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La quinta S. Pili E.

Si tratta di un romanzo autobiografico, esplicitamente autobiografico. Si legge nella premessa:

“Le vicende narrate in questo romanzo sono opera di fantasia e nessuna caratterizzazione ha come riferimento uomini e donne realmente esistenti. Qualsivoglia coincidenza con episodi o persone della vita reale è da considerarsi puramente accidentale, frutto dell’ironia del caso”.[1]

Sembrerebbe, a primo sguardo, che si stia sostenendo la solita premessa di “irrealtà del romanzo rispetto alla realtà dei fatti”. Ma c’è una parola che mette in luce, seppure con prudenza e con circospezione, la reale motivazione dell’autore: “ironia-del-caso”. Si dice infatti che sarebbe solo un’erronea coincidenza pensare ad un’effettiva sussistenza dei fatti, spiegabile con una casuale lettura del testo. Anzi, data l’eventualità dell’errore, quasi si vorrebbe mettere in luce la grande accuratezza e capacità dello scrittore nel suo esser riuscito ad affabulare a tal punto il lettore da fargli credere reali cose che non sono.

Eppure ci vorrebbe sin troppa ironia e casualità a pensare che questo lavoro non rifletta realmente lo sforzo e gli ideali dell’autore stesso nella vita. Lo si vede anche da altri particolari all’interno del testo stesso.[2] Quella ironia del caso significa proprio la volontà dell’autore di dire ciò che vuole e contemporaneamente far sì che questo non possa neanche essere oggetto di attacco. In un certo senso, l’invito suona così: considera il vero verosimile e non viceversa.

In un romanzo autobiografico ciò che più importa è la propria vicenda. Nel quadro generale, dato il carattere di denuncia del libro, bisognava celare alcuni fatti a causa di complicazioni problematiche. Purtroppo però sembra che queste realtà omesse o celate siano importanti a tal punto che il lettore potrebbe risultarne disorientato qualora non le conoscesse di suo.

Per quel che riguarda il fine, ché è poi il metro di misura con cui si giudica l’opera di un artista, nella misura in cui la sua opera in quello si disvela; per quanto l’autore stesso, nella premessa ne ponga uno differente dalla narrazione autobiografica ciò non sembra pienamente giustificato dai fatti: “L’autore ha sempre sognato di scriverle, ed essere riuscito anche a pubblicarle  (…) soddisfa un’esigenza, sì, di narcisismo, ma soprattutto il piacere di raccontare e di affabulare”.[3]

Così si pone il gusto della scrittura e, contemporaneamente, quello di far piacere tramite essa. Ma perché la parola “narcisismo”? Perché non dire più semplicemente che si trae piacere dalla scrittura, nel suo atto del comporre e simultaneamente di dire il vero? Finzione letteraria non significa certamente falsità letteraria. Eppure l’autore dice “narcisismo”. Ci appare chiaro ancora di più l’importanza della propria vicenda, dell’autobiografismo, e non di altro. Il narcisismo può esser pensabile e credibile solo se mi compiaccio di me, nel mio stesso contemplarmi.

L’impegno dunque è dare realtà alla propria storia, dar vita a ciò che di fronte alla coscienza dell’autore sembra essere stato un evento centrale. E solo così si spiega il narcisismo. Narcisismo di porre la propria esistenza come esempio tale da poter reggere il confronto col giudizio altrui e così assurgere a livello universale. Questo “narcisismo” non può non avere delle conseguenze concrete nello stile ed è certamente un limite d’impostazione del libro ma riflette anche l’ansia dell’autore a voler dare una sistemazione alla propria vicenda e il tentativo di contribuire realmente su degli eventi che sembrano sfuggire di mano.

E* è il personaggio principale e colui che si svolge negli eventi. Attorno a lui ci sono delle figure ma nessuna è di particolare rilievo, tutti i personaggi vengono citati ma nessuno è più centrale di altri. Si nota giusto una maggiore ricorrenza della presenza, ma non è nella quantità di volte che un personaggio viene nominato che diventa anche un personaggio centrale. Anche quelle personalità che sembrano essere rilevanti, in realtà non sono altro che una funzione nel romanzo, positive o negative. I personaggi sono trattati similmente a un ponteggio che può servire a ristrutturare la facciata di un palazzo: un mezzo di sostegno che, però, non è mai il corpo centrale.

Non a caso, non c’è nessuna evoluzione ma solo delle rivoluzioni, come per il personaggio di Ugas Pasqualino il quale non arriva alla pazzia, ma c’era già e si esplicita senza continuità. Questo si nota sia a livello testuale, ovvero leggendo letteralmente il testo, sia a livello sovratestuale, ovvero cercando di vederne il significato in relazione al senso: E* si trova di fronte ad un folle senza che lo abbia mai potuto realmente sospettare. Dietro tutto questo, ancora una volta c’è il tentativo della coscienza dell’autore di metter ordine in se stessa ma tralascia cose che stanno al di la di quell’ordine, cose che non sembrano irrilevanti, a meno di schematizzare eccessivamente. Ed in effetti, talvolta, sembra che i personaggi siano poveri di carattere, o ne venga accentuato un solo lato. Ma l’essere umano è di natura ambigua e così i personaggi del libro rischiano spesso di passare per ombre senza corpo.

La vicenda è spesso descritta con un sistema di ricostruzione fattuale, quasi a voler dare una sintesi estrema di un intrico pesante. Causa ed effetto, soprattutto, effetto e causa, si susseguono a ritmo spedito. Ma la penna scorre veloce e, a volte, a una data causa segue un effetto di natura diversa dalla causa stessa. E così i fatti, le relazioni e il susseguirsi degli avvenimenti determinano una visione della causalità spesso lacunosa.

Ciò forse è dovuto all’anteporre l’emozione alla ragione: emozione come spinta metafisica degli eventi e non delle cause precise e ben concatenate. A questo punto possiamo anche dire questo: che se l’autore poteva dire “verità come verosimile e verosimile come verità” possiamo anche concedere la bontà del principio, ma certo non possiamo ammetterne il risultato. Spesso non c’è verosimiglianza, talvolta non c’è verità. Anche perché non necessariamente il vero è verosimile, cosa che non doveva essere ben chiara allo scrittore.

Il libro si può dividere in due parti: la prima è di preparazione alla seconda, una ricostruzione del personaggio e della sua storia in funzione di quella che è la vicenda più propria del libro. E’ ricco di curiosi aneddoti, di qualche bella descrizione lirica e di tante figure che in qualche modo l’autore ha voluto omaggiare. Ma è nel sindacato che si svolge la storia vera e propria, quell’evento che tanto ha colpito l’autore tanto da motivarlo a comporre l’opera. Leggiamo dalla prefazione “Quanto alla location, l’ambiente del sindacato – ma non solo (la Sardegna e i suoi luoghi costellati di koghe, personaggi storici, balentes, sogni e orizzonti visionari) -, l’autore ci ha lavorato per anni, consapevole e fiero di dare il suo personale contributo – di fatiche, impegno, amore – ad una organizzazione non seconda a nessuna per importanza storica, politica e sociale. E che ha dato un apporto decisivo alla crescita civile e al miglioramento delle condizioni di vita di milioni di persone”.[4] In questo passo troviamo sintetizzate tutte le idealità di fondo dell’autore. Lo notiamo per il fatto che, se esse non fossero esplicitate, non sarebbe venuto meno in alcun modo il senso del libro. Ovvero, sono una aggiunta data più dalla volontà di Pili a caratterizzarsi in un certo modo piuttosto che essere realmente un’importante chiave di lettura per capire il libro. O meglio, sono importanti proprio perché il libro è essenzialmente autobiografico e se così non fosse, non potrebbe neanche avere senso l’aggiunta.

Ci rendiamo conto, infatti, come ci sia una frase principale che era sufficiente a giustificare la scelta della location, ma subito segue la specifica, e nella specifica è interessante notare l’aggettivazione: “consapevole”, “fiero”, “personale”. Tutte e tre le parole mostrano la precisa denotazione che l’autore si dà e che tradisce un leggerissimo trasporto. Ma è anche interessante notare il tipo di contributo che dice di aver dato: “fatiche”, “impegno”, “amore”. Si noti che c’è una progressione di astrazione ma che finisce quasi di svuotare le parole stesse mettendole cioè in un contesto un po’ inappropriato. In politica manca, sì, la fatica della classe dirigente, ma la parola sembra più rimandare ad un lavoro diverso tipo; e amore tutto ha a che fare tranne che con la politica: la politica non si fa con l’amore, né con l’odio, si dovrebbe fare con ragione.

Bisogna pur dire che alle volte ci viene presentata una realtà in modo assolutamente oggettivo e impersonale mentre il libro mette in mostra l’esatto opposto. Ed in questo senso ravvisiamo l’errore di fondo della lettura dei fatti dell’autore stesso che sembra troppo attento a vedere il suo per descrivere un quadro generale privo di contaminazioni personali. Se il fine era proprio quello di ricostruire il passato, questo si presenta troppo bucherellato per esser credibile. Errore riconducibile a quell’idea, detta sopra, che denuncia proprio il piacere del piccolo particolare ma perdita sostanziale della visione generale.

Sono notevoli invece le parti in cui vengono riportati i discorsi pronunciati e questo ci riporta ad un’altra ipotesi che avevamo avanzato prima: la cultura per l’autore è essenzialmente pratica ovvero in vista di un fine reale e concreto. Basti citarne uno: “Mentre venivo qui, stamani in macchina, ascoltavo il concerto per clarinetto di Mozart e pensavo alla serenità che infonde. E sebbene si sia sempre un po’ preoccupati quando si deve intervenire a un’assemblea congressuale, pensavo anche che con la stessa serenità noi ci si potesse presentare al giudizio del Congresso dopo cinque anni di lavoro intenso e irto di difficoltà per le cose egregiamente esposte (…). La serenità nasce dalla consapevolezza, pur con tutti i limiti, che, nonostante una navigazione in uno dei periodi più travagliati per la democrazia italiana, si è raggiunto lo scopo primario ed esistenziale di una Organizzazione Sindacale: tutelare collettivamente e individualmente gli iscritti e i lavoratori. Continuare nel solco tracciato è il nostro compito. (…) Ci apprestiamo a un cambiamento non indolore, tuttavia necessario perché ogni cambiamento, mantenuto nell’alveo della comunità democratica, contiene in sé germi benefici (…) Occorre continuare a concepire l’Organizzazione come aggregazione di culture diverse, pratica di donne e uomini, portatori di fantasie e idealità originali, somma di sensibilità politiche, tutte indistintamente tese a dare un apporto decisivo al raggiungimento degli scopi concreti dell’Organizzazione stessa. (…) Chi si candida ha dunque il dovere di dire che cosa intende fare per perseguire quegli scopi ideali da tramutare in risultati concreti. Innanzitutto, mantenere fede a un impegno di autonomia. Esaltare il coraggio delle idee e rappresentare tutti in ugual misura. (…) Occorre essere pronti a sottoporsi al giudizio di chi è parte viva ed essenziale dell’Organizzazione accettandone il verdetto, perché sarà un verdetto democratico. Ben sapendo che aveva ragione Pericle che già 2500 anni fa quando affermava che “forse in pochi siamo in grado di dar vita a una politica, siamo però tutti capaci di giudicarla”. (…) Qualche lustro fa ( o forse un secolo? ), parafrasando Martin Luter King, dissi al Congresso di avere un sogno: di avere una CIL priva di componenti e di una Sinistra unita. Venni bollato come un demagogo. Lobby oligarchiche ce n’è ancora sebbene meno spavalde, ma le componenti non esistono più e l’unità della Sinistra è un processo in atto. Compagne e Compagni, lavorando con coerenza, umiltà e la serenità così meravigliosamente trasmessaci da Mozart, certi sogni possono diventare realtà! Grazie!”.[5]

Per chiudere quest’analisi dell’opera, bisogna spendere qualche parola per lo stile: estremamente asciutto, frammentario, alle volte sembra che all’autore non piacciano i verbi. Ed uno dei principi di fondo, tra l’altro un’idea che compare nel libro, dice che bisogna esprimersi in modo tanto chiaro da poter essere compresi anche da un bambino di sei anni. Ora, lasciando stare la bontà o meno dell’assunto, assimilabile ad uno slogan giornalistico, e ponendo ad ipotesi che questo libro sia stato scritto con quell’intento di chiarezza, sembra che ci sia più oscurità nella frammentarietà delle frasi piuttosto che evidenza.

Così uno stile che stenta a decollare porta con sé anche la volontà dell’autore di scrivere continuamente citazioni che vanno da Alberto Chiara ad Achille Campanile, Gadda, Joyce e tanti altri mostrando così l’apprezzamento per quegli autori, più che la loro assimilazione.

Se si dovesse dare un giudizio estremamente sintetico sullo stile, si potrebbe dire così: il libro è una somma di citazioni, tante che alla fine l’autore sembra scordarsi di scrivere il risultato.

Concludendo la recensione, si dica questo: il libro merita di essere letto perché, nonostante sia obbiettivamente claudicante, rimane pur sempre una testimonianza calda e pulsante di un uomo che giustamente può eleggersi, in una certa misura, ad esempio. Esempio che lui stesso, prima ancora che nei libri, porta con la sua vita. Una vita che sarà pure non ineccepibile ma, proprio per questo, pienamente umana; la vi(t)a di un uomo che non accetta passivamente l’accadimento ma che insorge e cerca di arginare, a modo suo, il male del mondo. Con tutti i problemi di una persona importante cioè colui che sa il suo dovere e lo compie: l’uomo di dovere cerca di proseguire nel suo cammino che assurge così a valore universalmente condivisibile.

Leggendo il libro arriviamo a notare una persona che i piccoli uomini dei nostri giorni non vedono e non apprezzano perché troppo lontani dall’ideale e troppo legati al nulla del presente per rendersi conto che il valore della vita non sta oltre la vita stessa: oltre non c’è che il nulla. Il valore della vita non può che essere nella vita stessa ed è indagando nell’essere e nel nostro intimo che capiamo che la nostra presenza non è vano nulla ma è, anzi, tutto ciò che noi abbiamo e che noi siamo. Il piccolo si terrorizza guardando il grande.

Un’ultima citazione per lanciare quel messaggio che, in un modo o nell’altro, sembra essere a tal punto condivisibile da dover essere ricordato: “A questi compagni, a queste persone serie, a tutti questi amici miei e del Sindacato con la S maiuscola, a tutti voi coi quali si è creato un esaltante feeling, si sono scambiati sentimenti forti di amore e di passione tanto che alcuni posso chiamare fratelli, si è sognato e si è fatta poesia (…) senza tuttavia perdere di vista i problemi politici, affrontandoli consapevolmente e spesso risolvendoli con successo; a questi Compagni dico continuate a lavorare, continuate a lottare, fate in modo che il lavoro svolto sinora, lavoro di tutti indistintamente, (…) continuate per impedire i principi della democrazia, del socialismo, della mutualità reciproca, del bene comune. (…) Che mi ha subito insegnato che forse forse una sana diffidenza è il miglior antidoto per certi mali. E tuttavia non riuscirò mai a pensare per prima cosa al male. Io continuerò a pensare al bene. Nell’eccellente film di animazione interpretato dai Beatles in versione cartoni animati Yellow Submarine –perché tutti viviamo in un sottomarino giallo che naviga in un tormentato oceano- il cattivo di turno è un mostro a forma di grosso guanto che vuole impedire al sottomarino di arrivare alla meta. (…) perché come dice la canzone, All We need is love, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è amore. Io ne ho dato tanto. Voi me ne avete dato tanto. Grazie”. [6]

PILI ENRICO

LA QUINTA S

AHIPSA EDITORE

EURO 15,00

PAGINE 360


[1] Pili E., Quinta S, pag 5.

[2] Tanto per iniziare, il protagonista è una lettera che, guarda caso, è una “e” contrassegnata da un asterisco. Sono stati citati nomi di persona in abbondanza, alcuni rimangono addirittura senza descrizione, ed in questo modo risulta poco chiaro lo svolgersi dei fatti per chi non è stato a sua volta parte degli eventi che, quindi, bisogna preliminarmente conoscere già o dare per scontati.

[3] Ivi. Pag 5

[4] Ivi. Pag 5.

[5] Ivi. Pag 168-170.

[6] Ivi. Capitolo All we need is love. Pag 349-350-353.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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