Nel 2013, il puledro scalciante della narrazione che era in me, divelse il recinto della prematurità, nel quale a lungo lo aveva costretto il giogo del mio essere, per far fumare il proprio fiato all’aria esterna che, finalmente, iniziava ad avvolgerlo. Trovava così vita una raccolta auto-pubblicata di trentatré poesie racchiuse sotto il titolo di Corrispondenze.
Tuttavia, pure all’aria aperta, il puledro continuò a scalciare, a causa del carattere riottoso che gli aveva dato il recinto in oltre tre decenni di limitazioni. Allora più che mai, l’animale-narrazione cercava di capire come muoversi e dove correre, scrollando la testa in ogni direzione cardinale. Il lungo e tortuoso percorso fatto per prendersi la tanto agognata libertà aveva poi stabilito nella ragione un’irremovibile certezza: non si sarebbe più tollerata alcuna limitazione.
Il verso che fluiva come aria nuova, fresca e aperta, era anche costrizione metrica, di rima e di concatenamento. In generale, la tecnica, insieme a quell’elemento ineludibile dalla poesia che è il compendio, pur permettendo di narrare, presentava nuovi impensati recinti. Fu allora che il puledro, fattosi ritto sulle zampe posteriori, nitrì all’ampia prateria sulla quale immaginò di galoppare. La prosa.
L’animo di quel puledro, si deve sapere, è di epoca romantica. Uno di quegli animi che incide la coscienza, che si rifà a morali, sacrifici e studi. E come l’uomo ha studiato gli uccelli per imparare a volare, a sua volta quell’animo impose studio al neofita. Si era ormai nel 2014, quando il riconoscimento più importante della narrazione, il premio Nobel alla letteratura, veniva assegnato al francese Patrick Modiano. Gli elementi ora c’erano tutti: voler fare prosa, voler fare prosa di valore, capire cosa è la prosa di valore. Leggere Modiano!
Poiché il cavallo è selvaggio, l’uomo che si sottopone alla disciplina mal si addice al paragone equestre, perciò si abbandoni l’allegoria per un più immediato proseguimento. Di Modiano mi imbattei nel romanzo, edito da Einaudi. Apprezzai la scrittura fluida, le vicende fosche dipanate dallo scrittore e le trame intrecciate sapientemente, nonché l’atmosfera noir, seppure non proprio la mia prediletta. Tuttavia la sensazione di qualcosa di inafferrabile mi rimase fino all’ultima pagina del finale aperto.
Un buon libro, indubbiamente, anche se mi veniva complicato trovare la giustificazione dell’onorificenza più grande. Ma Modiano aveva pur vinto il Nobel ed io, che volevo afferrare ogni cosa del testo, non tanto per divenire un epigono – condizione già sublime ma riservata solo ad una schiera di eletti – quanto per provare a narrare con valore, sentivo che non avevo altra possibilità che quella di lavorare come un esegeta. D’altronde, quando si sta dinnanzi ad un quadro, come si può afferrare il senso di questo se non si accede alla dietrologia dell’opera e dell’autore?
Jean Bosmans e Margaret Le Coz, i protagonisti del romanzo di Modiano, sono due fuggitivi. Il primo fugge dalla madre che si fa accompagnare da uno spretato e vuole estorcergli soldi, l’altra fugge da un uomo molestatore. Così si spiega il senso di inafferrabile, che tuttavia non svanisce affatto quando i due si incontrano in mezzo al caos della città, cessando apparentemente di scappare. Infatti in seguito Margaret parte e, lasciando Jean a Parigi, ristabilisce quella condizione di fuga e quella sensazione di inafferrabile ben architettata.
Anche lo spazio, il tempo e la struttura del romanzo sono elementi che sottostanno in modo coerente con le peculiarità già dette. I protagonisti si muovono tra rue e avenue, tra negozi e caffè, tra la Germania e la Francia, mentre il finale si svolge quarant’anni dopo le vicende precedenti. Fino all’ultimo Modiano lascia le cose impalpabili, non dà stabilità: evita anche di nominare i capitoli. Un’opera letteraria, come un quadro, deve essere guardata tanto da vicino quanto da lontano.
L’esegesi rivela che le fughe degli uomini e delle donne non sono solo fughe da altre persone, si fugge anche da condizioni esistenziali (Modiano ambienta i suoi romanzi all’epoca dell’occupazione tedesca in Francia) e la fuga è inevitabilmente relazionata con la memoria, che comunque si vuole conservare (Jean Bosmans annota tutto in un taccuino).
Il lascito di Alfred Nobel è chiarissimo. Si assegni il premio ad uno scrittore la cui opera ha una fortissima rilevanza ideale. E l’opera di Modiano, questo scrittore prima perfettamente sconosciuto, poi biasimato per il riconoscimento ottenuto, insieme ad altri suoi numerosi pari, è impregnata di memoria evocativa, di tonalità sbiadite dal tempo. Lui stesso, da scrittore navigato, ha detto: “mi sembra di aver scritto sempre lo stesso libro” tanto sono centrali e ricorrenti le tematiche trattate. Forse è vero, ma dall’altra parte della Luna le cose appaiono sempre diverse e l’ultima parola la dà la motivazione del premio:
“per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inesplicabili e scoperto il mondo della vita nel tempo dell’occupazione”.
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