Guy Consolmagno S.I. e Paul Mueller S.I. sono gesuiti statunitensi, autori del libro Battezzeresti un extraterrestre? … e altre domande tra scienza e fede poste all’Osservatorio astronomico vaticano [2014, io utilizzo l’edizione Rizzoli del 2018]. Il primo è un astronomo e geologo planetario, attuale direttore della Specola Vaticana; anche il secondo è un astronomo della Specola Vaticana, fisico ed esperto di storia e filosofia della scienza.
Il libro è costituito da una serie di vivaci dialoghi fra i due, che iniziano con un Preludio e si sviluppano in Sette giorni (Primo giorno: Genesi biblica o Big Bang scientifico?, Scenario: Art Institute of Chicago; Secondo giorno: Cos’è successo veramente a Galileo?, Scenario: la Torre dei Venti, Città del Vaticano; Terzo giorno: Che cos’era la stella di Betlemme?, Scenario: telescopi della Specola Vaticana sul tetto della residenza estiva del papa a Castel Gandolfo; Quarto giorno: Come sarà la fine del mondo?, Scenario: cena nel ristorante al termine dell’universo; Quinto giorno: Cos’è successo al povero Plutone?, Scenario: Plateau dell’Antartide orientale; Sesto giorno: Voi battezzereste un extraterrestre?, Scenario: Aeroporto Internazionale di Los Angeles, terminal internazionale “Tom Bradley”; Settimo giorno: Ringraziamenti). Nel presente articolo io esamino solo il dialogo del Sesto giorno, inerente al problema di come si possa conciliare la Rivelazione di Dio contenuta nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, con l’eventuale esistenza di alieni.
In passato, ricorda GUY, alcuni pensatori hanno affrontato in modo inadeguato e sarcastico questo problema. Ad esempio, Thomas Paine (intellettuale e rivoluzionario, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America) affermò: «“Dovremo forse ammettere che ogni mondo in una illimitata creazione avrebbe un’Eva, una mela, un serpente ed un redentore? In tal caso, la persona che sarebbe irriverentemente chiamata Figlio di Dio […] non potrebbe fare altra cosa se non viaggiare da un mondo all’altro ripetendovi una successione continua di decessi, con a malapena qualche breve intervallo di vita”» (pp. 318-319). Ma non si tratta di una questione meramente fantascientifico-teologica. PAUL menziona le sonde spaziali Pioneer 10 e 11 inviate dalla NASA (rispettivamente, nel 1972 e 1973) nel Sistema Solare e oltre, le quali trasportavano una placca di alluminio anodizzato con oro, destinata a comunicare a eventuali esseri intelligenti extraterrestri alcuni aspetti fondamentali della nostra specie e della nostra conoscenza dell’universo. Sulla placca sono rappresentate le immagini seguenti: le figure di un uomo e una donna (con la mano destra dell’uomo alzata, a simboleggiare un gesto di pace), e il profilo della sonda come sfondo; lo schema della transizione iperfine per inversione di spin dell’idrogeno atomico allo stato neutro; il Sistema Solare con la traiettoria del percorso della sonda; la posizione relativa del Sole e di quattordici pulsar (stelle di neutroni), con i loro periodi rotazionali, rispetto al centro della Via Lattea. Al momento attuale, fa presente GUY, non disponiamo di alcuna prova attendibile dell’esistenza di esseri intelligenti extraterrestri «e, dato che non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscerli realmente, a me pare che la domanda sull’eventualità di battezzarli riguardi soprattutto noi e che tiri in ballo alcune nostre congetture sul significato che attribuiamo all’essere umani e all’essere in relazione con Dio» (p. 328). Si chiede PAUL: «Chi dovrebbe riguardare questa domanda? Noi cristiani, per capire se siamo in grado e disposti ad accogliere nella comunità chi appare molto diverso da noi? Oppure gli altri, Gentili o alieni che siano, per capire se sono in grado e disposti a intraprendere una scelta di vita cristiana?» (pp. 333-334).
GUY racconta che durante il Festival della Scienza svoltosi a Birmingham nel 2010, nel giorno in cui doveva tenere una conferenza (e che coincideva con il giorno della visita del papa Benedetto XVI), alcuni giornalisti britannici gli avevano chiesto, appunto, se sarebbe stato disposto a battezzare un alieno [successivamente GUY osserva: «Ciò che in realtà mi stavano chiedendo quei giornalisti era: non è forse presuntuoso da parte di noi umani credere che il cristianesimo abbia una rilevanza cosmica, invece di ritenerlo solo un capriccio locale tutto terrestre?» (p. 341)]; «“Solo se me lo chiedesse!”», era stata la sua risposta. «Si sono messi tutti a ridere, che in fondo era quello che volevo. Poi, il giorno dopo, hanno riportato tutti la mia battuta come se fosse stata una risposta seria, come se avessi fatto una specie di dichiarazione ufficiale del Vaticano sugli alieni. PAUL: Mi è piaciuta molto la tua risposta, anche se l’hai detta solo per scherzo. Ma, sul serio, la questione del battezzare gli alieni avrebbe senso solo se esistessero davvero, e solo se lo chiedessero loro stessi dopo avere capito bene cosa sia il battesimo: l’iniziazione alla speranza e alla dura prova dello stile di vita cristiano, modellato da Gesù e vissuto da sempre in modo assai imperfetto da tutti i cristiani» (p. 312). «C’è un’altra cosa che mi è piaciuta molto della tua risposta ai giornalisti, di quel “Solo se me lo chiedesse”. La Chiesa cattolica e anche altre chiese cristiane sono rimaste coinvolte in una storia triste e tragica di battesimi forzati. Prima di parlare della nostra eventuale disponibilità a battezzare una creatura aliena, dovremmo affrontare la storia. Il battesimo può essere offerto come dono, ma non dovrebbe mai essere imposto o somministrato sotto pressione. Mi riferisco agli ebrei, ai musulmani, agli indù, ai nativi americani e a tutti quelli che in passato sono stati costretti a battezzarsi. E vale anche per tutti gli alieni che potremmo incontrare in futuro» (p. 320). Comunque, fa notare GUY, «possiamo dire che a volte il battesimo forzato ha protetto qualcuno dalla schiavitù. Le iniziative dei missionari sono entrate spesso in conflitto con i coloni europei commercianti di schiavi» (p. 322). «PAUL: Ma, per me, il battesimo e la vita cristiana non hanno a che fare con diritti e privilegi. Riguardano di più l’amore sacrificale e la comunità. La vita cristiana a volte equivale a trovare la propria strada in una via trafficata e pericolosa, che però non devi attraversare da solo» (p. 329).
PAUL parla poi del pensiero del gesuita, paleontologo e paleoantropologo Pierre Teilhard de Chardin espresso nel libro Il Fenomeno umano (scritto fra il 1938 e il 1948, pubblicato postumo nello stesso anno della morte dell’autore, il 1955), un’articolata “memoria scientifica” nella quale egli dipinge un quadro affascinante che ha come soggetto principale l’evoluzione orientata del cosmo, la quale, mediante una “legge di complessità-coscienza” fondata sull’azione del Cristo cosmico, dalla geogenesi, attraverso la biogenesi, conduce alla psicogenesi, culminando nella noosfera, una sorta di rete delle menti umane interconnesse, e tendendo al Punto Omega, che rappresenterebbe – facendo riferimento anche ad altri scritti dello stesso autore – il compimento supremo e trascendente, rispetto allo spazio e al tempo, dell’intera Creazione, quando Dio sarà «tutto in tutti» (espressione utilizzata da Paolo, l’apostolo delle genti, nella Prima Lettera ai Corinzi 15,28). Lo scienziato gesuita fu osteggiato sia dall’establishment scientifico allora imperante, per aver introdotto elementi teleologici (ossia, relativi a una finalità intrinseca di cui sarebbe dotata la natura) nel discorso scientifico, sia dalle autorità cattoliche del tempo, per aver considerato in maniera troppo positiva la teoria dell’Evoluzione (GUY aggiunge che, in seguito, egli è stato riabilitato dalle autorità della Chiesa cattolica, soprattutto per merito dei papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI). Tuttavia, PAUL dichiara di non condividere la posizione assai singolare e privilegiata che Teilhard de Chardin riservava all’essere umano nell’universo, preferendo ritenere che lo stesso amore di Dio si estenda a tutto l’universo: «Se noi siamo al centro del Suo amore e del Suo interesse, c’è qualcosa di noi che Dio ama. Ora vorrei capovolgere l’idea di Teilhard: e se ciò che Dio ama di noi non fosse qualcosa che ci distingue, ma che invece ci accomuna al resto dell’universo?» (p. 349). GUY, a sua volta, cita il gesuita e astronomo George Coyne, direttore emerito della Specola Vaticana, il quale ha sostenuto che l’universo, nell’Umanità, è divenuto autoconsapevole, ma dichiara di non condividere del tutto quest’idea, preferendo pensare all’autoconsapevolezza dell’individuo concreto invece che a quella di un’astratta Umanità.
Nella parte conclusiva del dialogo PAUL rammenta che, così com’è scritto nel capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo, il criterio della salvazione per l’eternità degli uomini nel giudizio finale, applicato dal Figlio dell’Uomo, non riguarderà tanto l’esser stati membri di una determinata chiesa, quanto, piuttosto, l’aver dato da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, l’aver ospitato i pellegrini, l’aver coperto gli ignudi, l’aver fatto visita ai malati e ai carcerati, poiché l’aver servito anche uno dei più piccoli di questi Suoi fratelli equivale ad aver servito il Signore stesso. Sorge spontaneamente una domanda: non sono forse questi, rispetto alla nostra civiltà, gli individui alieni…?
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