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Friedman, M., (1962), Capitalism and Freedom, Chicago: Chicago University Press.
Friedman M., Capitalismo e libertà, IBL, 2010.
The heart of the liberal philosophy is a belief in the dignity of the individual, in his freedom to make the most of his capcities and opportunities according to his own lights, subject only to the proviso that he not interfere with the freedom of other individuals to do the same. This implies a belief in the equality of men in one sense; in their inequality in another. Each man has an equal right to freedom. This is an important and fundamental right precisely because men are different, because one man will want to do different things with his freedom than another, and in the process can contribute more than another to the general culture of the society in which many men live.
Il cuore della filosofia liberale risiede nella credenza nella libertà dell’individuo, nella sua libertà di seguire la gran parte delle sue capacità e opportunità in accordo con il suo lume naturale, soggetto soltanto al limite della non-interferenza con la libertà di altri individui nel fare lo stesso. Questo implica la credenza nell’eguaglianza degli uomini in un senso preciso: nella loro non eguaglianza in un altro senso. Ogni uomo ha un eguale diritto alla libertà. Questo diritto è importante e fondamentale esattamente perché gli uomini sono differenti perché un uomo vorrà ottenere cose diverse dalla propria libertà rispetto ad un altro, e nel processo potrà contribuire più di un altro alla cultura generale della società in cui molti uomini vivono.
Milton Friedman
- Introduzione
Capitalismo e libertà (Capitalism and Freedom) è un saggio sul liberalismo economico scritto dal premio Nobel per l’economia (1976), Milton Friedman (1912-2006). Non si tratta di un libro tecnico ma di un testo relativamente accessibile, ancorché non sempre immediatamente intelligibile in ogni passaggio per un lettore digiuno di teoria economica (quale il sottoscritto). Per comodità personale, mi rifarò alla terza edizione in lingua originale del 2002 perché è quella che ho infine letto ma ha poche modifiche rispetto alla prima, del 1962. Sebbene le citazioni che riferirò saranno in inglese, è auspicabile che il lettore non faccia particolare fatica a leggere questo testo. Nel caso, esiste una edizione italiana Capitalismo e libertà – IBL libri (2010). Lo scopo di questa analisi non è quella di restituire interamente i contenuti del testo ma delucidare i fondamenti basilari del pensiero economico di Friedman così come ce li presenta nel testo in questione.
Il primo aspetto importante da cogliere è che Capitalismo e libertà è più interessante per le assunzioni filosofiche di fondo che non per le sue conseguenze concrete, pure interessanti. Ciò è per due motivi. Il primo è che si tratta propriamente di un testo che condensa alcuni concetti fondamentali sulla libertà e, propriamente, sulla libertà economica. In un certo senso (specialmente nei primi capitoli), Friedman è in tal senso esplicito: “This book discusses some of these great issues. Its major theme is the role of competitive capitalism – the organization of the bulk of economic activity through private enterprise operating in a free market – as a system of economic freedom and a necessary condition for political freedom, Its minor theme is the role that government should play in a society dedicated to freedom and relying primarily on the market to organize economy. The first two chapters deal with these issues on an abstract level, in terms of principles rather than concrete application”.[1] Il secondo motivo è che sono quelle che vengono letteralmente messe alla prova dell’esperienza. Infatti, Friedman è, in tal senso, un sostenitore di un approccio positivo alla scienza economica laddove con “approccio positivo” si intende una validazione delle tesi economiche su base empirica – attraverso lo studio di una possibile sperimentazione diretta, quando possibile. Quindi tra due posizioni economiche A e B è possibile stabilire una preferenza in base alle conseguenze che A e B hanno prodotto sul restante contesto sociale ed economico. Tuttavia, di nuovo, è fondamentale comprendere il backbone filosofico della posizione di Friedman, ovvero di una posizione irriducibilmente filosofica.
- La libertà come scopo ultimo dell’economia
Uno dei passi più interessanti di Capitalismo e libertà è probabilmente il seguente ed è, non a caso, il principio del primo capitolo: “It is widely believed that politics and economics are separate and largely unconnected; that individual freedom is a political problem and material welfare an economic problem; and that any kind of political arrangements can be combined with any kind of economic arrangements. (…) The thesis of this chapter is (…) that there is an intimate connection between economics and politics, that only certain combinations of political and economic arrangements are possible, and that in particular, a society which is socialist cannot also be democratic, in the sense of guaranteeing individual freedom” (p. 8). Questo passo è di estrema importanza e, per essere compreso fino in fondo, va dipanato con l’aggiunta di alcune implicite assunzioni che Friedman sta sostenendo (e che dipana nel corso del testo).
Per sostenere la posizione di Friedman, bisogna assumere che il cittadino nasce come individuo libero al quale ogni successiva limitazione viene imposta o dall’interno (da sé stesso) o dall’esterno. Il fatto che il cittadino sia libero non significa che sia assolutamente libero. La libertà del cittadino è limitata reciprocamente dall’azione e dalla libertà degli altri cittadini, egualmente liberi. Ed in effetti, mentre i cittadini non sono affatto eguali economicamente, essi sono tutti egualmente liberi. Secondo la posizione di Friedman, i cittadini sono identici circa la loro intrinseca condizione di libertà di partenza. Inoltre, la libertà non è solo concepita come condizione naturale del cittadino, ovvero come spontanea situazione consentita da un ipotetico stato di natura, ma è anche considerata come valore ultimo sulla quale valutare una società. Ovvero, la libertà è sia un dato di natura pre-economica, e che fonda l’economia – nella definizione dei fini e delle modalità -, sia un dato di validazione del valore politico e, in ultima istanza, etico. Infatti, senza libertà, l’unica condizione politica possibile è quella di una forma di totalitarismo in cui la libertà individuale è concepita in limitazione con l’azione formale e sostanziale di governo. Per questo, dunque, lo scopo stesso dell’attività politica ed economica di una società libera consiste nella stessa massimizzazione della libertà dei singoli cittadini.
La libertà economica è una logica conseguenza di quanto appena sostenuto. Infatti, in un’osservazione brillante, Friedman ricorda che, al lato pratico, la vita dei singoli cittadini – e la loro libertà, è in gran parte fondata esclusivamente sulla loro capacità di decidere come sarà la loro vita che è, in gran parte, fondata su piccole transazioni economiche. Uno stato con diritti politici e civili senza alcuna libertà economica sta azzerando quella che è la sostanziale libertà percepita perché in gran parte sostanziale della gran parte dei cittadini che saranno economicamente – ma anche eticamente – liberi nella misura in cui saranno almeno liberi di stabilire cosa comprarsi, perché e quando e che lavoro fare: “Economic arrangements play a dual role in the promotion of a free society. On the one hand, freedom in economic arrangements is itself a component of freedom broadly understood, so economic freedom is an end in itself. In the second place, economic freedom i salso an indispensable means toward the achievement of political freedom” (p. 8). Nelle società occidentali – e non solo, la libertà economica è data così intrinsecamente per scontata che non si pensa neppure alle conseguenze della potenziale perdita, ovvero la possibilità stessa che sia solo un’entità esterna – quale essa sia, che decide cosa il cittadino deve fare. Sarà quell’entità esterna a stabilire cosa mangiare, quanto mangiare, quando e secondo quali principi e così pure sarà quella a determinare la scelta della lettura dei testi, dell’ascolto dei video, audio e di ogni genere di servizio visto che essi non sono gratuiti e così via. Pensare ad una economia illibera, ovvero pianificata da un’entità terza differente dallo stesso cittadino, a questi livelli così semplici e quotidiani è talmente difficile da essere formulabile solo come concetto generale ma se poi si chiedesse nel concreto come sarebbe la vita ordinaria del cittadino nei suoi concreti dettagli nessuno, io credo, sarebbe seriamente capace di descriverne minuziosamente le singole sfaccettature (invito il lettore a tentare senza finire a produrre un mondo di fantascienza). Per questo Friedman sostiene che: “The first of these roles of economic freedom needs special emphasis because intellectuals in particular have a strong bias against regarding this aspect of freedom as important. They tend to express contempt for what they regard as material aspects of life, and to regard their own pursuit of allegedly higher values on a different plane of significance and as deserving of special attention. For most citizens of the country, however, if not for the intellectual, the direct importance of economic freedom is at least comparable in significance to the indirect importance of economic freedom as a means to political freedom”. (p. 8) Quindi la libertà economica non è solo ancillare ma è una delle necessarie espressioni della società libera.
Lo scopo ultimo dell’economia intesa nella sua forma generale – di cui l’azione di governo è solo una sottoparte – è quella di massimizzare la libertà individuale: “As liberals, we take freedom of the individual, or perhaps the family, as our ultimate goal in judging social arrangements. Freedom as a value in this sense has to do with the interrelations among people; it has no meaning whatsoever to a Robinson Crusoe on an isolated island (without his man Friday)” (p.12). Tra due azioni economiche capaci di determinare una variazione nella struttura stessa dell’economia come totalità va sempre scelta quella che massimizza la libertà. La libertà economica si esprime, principalmente, come capacità di iniziativa del cittadino come ente privato all’interno di un preciso contesto sociale in cui egli si interfaccia con altri enti privati alla pari per cooperare ad uno scopo economico che è principalmente uno scambio cooperativo. Il posto astratto in cui ciò accade è il mercato. Quindi, val la pena ripeterlo, l’assunto filosofico di fondo di Friedman: (1) il valore ultimo dell’individuo è la libertà e la società libera è quella che massimizza la libertà individuale di ogni cittadino per quanto possibile. Questo principio è divisibile in tre: (a) la libertà come valore del cittadino, (b) la libertà come condizione unificante dei cittadini all’interno di un unico corpo sociale e (c) il valore ultimo della società è la libertà stessa. Solo come corollario di (1—a-c) si ottiene che l’economia ha un valore esclusivamente strumentale. Sebbene sia fondamentale per massimizzare la libertà degli individui, essa non ha valore superiore agli individui. Come un gioco ha un valore esclusivamente in base al divertimento che gli spettatori e giocatori provano, così l’economia non ha alcuno altro scopo se non promuovere la libertà individuale dei cittadini. Così, prima di passare alla nozione centrale di mercato e di libera iniziativa privata tra cittadini, non sarà fuori luogo soffermarci su due corollari importanti.
2.1 L’economia come valore derivato della libertà individuale e la quasi-neutralità del concetto economico da un punto di vista morale
Come si diceva in chiusura al precedente paragrafo, l’economia non ha alcun valore intrinseco. Qui con ‘economia’ non si intende la ‘scienza economica’ ma l’insieme di azioni umane volte all’acquisizione o scambio di beni o all’influenza dei modi attraverso cui ciò avviene: la spesa al supermercato o una politica economica sono solo due estremi di una medesima attività. Il campo di esistenza dell’azione economica è l’economia e l’economia è il campo astratto in cui ogni azione economica è compiuta. Diverse economie sono, naturalmente, possibili sia all’interno di un certo paese che in paesi diversi. Ma non tutte le economie sono uguali ovvero non ogni sistema economico è uguale ad un altro.
Qui con ‘sistema economico’ sto intendendo semplicemente le regole che vincolano l’azione economica in un determinato paese o comunità. In un paese in cui vige la proprietà privata, per vendere una casa bisogna avere un documento che stabilisce chi è il proprietario, bisogna firmare un contratto di fronte ad un notaio etc. Queste regole non sono né universali né necessarie ma sono parte di un determinato sistema economico. Friedman non parla di ‘sistema economico’ ma di economia in generale. Tuttavia, non è improprio definire in questo modo questo uso specifico della parola ‘economia’, come per altro viene spesso impiegata anche in italiano correntemente: “It is important to distinguish the day-to-day activities of people from the general customary and legal framework within which these take place. The day-to day activities are like the actions of the participants in a game when they are playing it; the framework, like the rules of the game they play. And just as a good game requires acceptance by the players both of the rules and of the umpire to interpret and enforce them, so a good society requires that its members agree on the general conditions that will govern relations among them, on some means of arbitrating different interpretations of these conditions, and on some device for enforcing compliance with the generally accepted rules. AS in games, so also in society, most of the general conditions are the unintended outcome of custom, accepted unthinkingly” (p. 25).
Friedman è esplicito – e lo è spesso su questo punto – ovvero che un sistema economico non si giudica sulla base dei suoi principi ma sulla base delle sue conseguenze con un’unica condizione di limite: la massimizzazione della libertà dei singoli cittadini concepiti nella loro interazione complessiva. Questo punto è fondamentale. Per Friedman, esiste un unico scopo unitario rispetto ad un sistema economico globalmente inteso: la massimizzazione della libertà individuale. Se un sistema economico limita la libertà individuale oltre il necessario rispetto alla massimizzazione della libertà totale allora è semplicemente un cattivo sistema economico. Viceversa, un sistema economico che riesce a promuovere la libertà individuale è un buon sistema economico. Friedman è sempre stato esplicito su questo punto: se il comunismo avesse saputo al lato pratico promuovere la libertà dei suoi singoli cittadini e il sistema capitalistico e libero mercato no, il comunismo sarebbe indubbiamente da preferire. Il lato pratico è decisivo in questo contesto perché, ancora, non si sta qui valutando un’idea astratta ma qualcosa di estremamente concreto il cui valore ultimo è uno solo: la libertà del cittadino.
Per questa ragione, Friedman ha una visione fortemente neutrale dell’economia da un punto di vista etico e morale. Moralmente, ognuno è libero di seguire i principi che meglio crede – in quanto libero cittadino. Eticamente, il comportamento generale della società libera deve sempre salvaguardare la nozione ultima su cui essa stessa si fonda, ovvero la libertà del cittadino. Il resto è insignificante rispetto a questo principio di fondo. Naturalmente, secondo Friedman, la libertà individuale è anche una condizione necessaria della virtuosa azione economica, ma questa è solo una gradita conseguenza. Quindi, l’economia non è il regno della moralità tanto quanto non lo è l’ingegneria aerospaziale. Però come l’ingegneria aerospaziale ha comunque il fine ultimo (etico) di progettare velivoli capaci di garantire la sopravvivenza dei cittadini, così l’economia ha comunque lo scopo di salvaguardare un’unica condizione etica (e quindi pre-economica): la libertà.
2.2 Una conseguenza collaterale dei principi liberali (e libertari) di Friedman
Se il cittadino è egualmente libero all’atto di nascita in quanto essere umano, egli non nasce però eguale economicamente. Le due cose sono nettamente disgiunte in Friedman. La povertà è un fattore esterno, una variabile della condizione di partenza in cui gli individui semplicemente si ritrovano. Il fatto che sia percepibile come ‘ingiusto’ non cambia la sostanza del fatto che un mondo ideale in cui ognuno nasce con parità di ricchezza, oltre a non essere molto diversificato nelle varietà degli individui e non chiaro nella sua funzionalità economica, sarebbe anche illiberale almeno rispetto a come ciò sia stato possibile. D’altra parte, argomenta Friedman, nessuno si lamenta del fatto che esistono persone più talentuose di altre, più capaci di lavorare e di disciplina. Sono talenti che non dipendono dall’individuo, strictly speaking, e sono fatti accidentali. Come la qualità genetica non dipende né dalla volontà dei genitori né tantomeno dalla prole, così la condizione economica di partenza non è materia di interesse economico, almeno nel senso che essa è un dato, appunto, di fatto. Quindi se il cittadino è libero ed eguale nella libertà rispetto ad ogni altro cittadino, egli non è però economicamente uguale.
- Il mercato come luogo astratto in cui la libera iniziativa si incontra
Si diceva, dunque, che il mercato è il posto in cui si incontrano i cittadini liberamente per avere interscambi economici di qualunque tipo, dal lavoro alla spesa quotidiana. L’attribuzione della responsabilità individuale e dei limiti dell’azione economica è destinata al governo il quale ha il dovere di prendersi cura del mercato come un giardiniere di un giardino non suo: egli non ha il compito di piantar ciò che gli piace ma di assicurarsi che le singole piante crescano sane e libere.
Nel libero mercato i cittadini, in quanto enti privati, si incontrano con altri enti privati con cui intrattengono attività economiche liberamente. Questo è un punto decisivo nella ‘filosofia economica’ di Friedman e, in generale, nella sua visione economica. Ovvero, all’interno del mercato nessuno forza il cittadino a intraprendere scelte che non sia egli stesso l’artefice. Se egli non è intenzionato a cercare lavoro, nessuno dovrebbe forzarlo a farlo così come se nessuno compra del panettone, nessuno può essere forzato a farlo e così via. Tuttavia, se un cittadino intende lavorare per una qualsiasi attività privata, egli deve seguire delle regole stabilito in un vicendevole patto (contratto) in cui gli enti privati si accordano (lavoratore/datore di lavoro). La verifica della contrattualità e della sua effettività spetta allo stato in quanto arbitro terzo tra le due parti, posto in una condizione privilegiata per stabilire se le due parti stanno rispettando gli accordi (non essendo lo stato un ente privato a sua volta ha quindi la giusta posizione per l’arbitraggio).
- L’iniziativa privata come motore insostituibile dell’economia libera
Il libero mercato crea una condizione generale di intesa libera tra gli enti privati i quali hanno il diritto, ma non il dovere, di unirsi in attività cooperative, una fondamentale differenza di ogni azione di governo. Sia ben chiaro che il diritto non è quello di avere un posto di lavoro garantito per regola, ma soltanto il fatto che il cittadino ha il diritto potenziale di disporre di se stesso liberamente all’interno del mercato in cui il suo stesso lavoro è un bene che egli stesso può sfruttare qualora intenda farlo e qualora qualcuno sia interessato ad usufruirne. Infatti, il mercato garantisce che il cittadino sia libero di prendere le decisioni che egli ritiene più razionali. Questo ha come conseguenza una diversificazione radicale delle scelte che, sommate assieme, determinano una impressionante varietà di offerta e domanda (esigenze) del mercato inteso come somma dell’offerta e domanda generale. Proprio per l’interazione spontanea di diversi interessi contraenti, il mercato garantisce, secondo Friedman, diversificazione, opportunità e cooperazione. Infatti, egli ricorda come il mercato abbia un notevole effetto mitigatore nelle relazioni sociali laddove anche persone che si odiano reciprocamente possono trovare un modo per venirsi in contro per ragioni puramente economiche e, in questo senso, ancorché non una totale cessione del conflitto s’è dato, si è però avuto un pacifico accordo tra parti che altrimenti avrebbero esclusivamente discordato. Al contrario, l’azione di governo garantisce sempre, in una certa misura, coercizione e conformismo. Friedman argomenta sul punto estensivamente. “The widespread use of the market reduces the strain on the social fabric by rendering conformity unnecessary with respect to any activities it encompasses. The wider the range of activities covered by the market, the fewer are the issues on which explicitly political decisions are required and hence on which it is necessary to achieve agreement. In turn, the fewer the issues on which agreement is necessary, the greater is the likelihood of getting agreement while maintaining a free society. Unanimity is, of course, an ideal. In practice, we can afford neither the time nor the effort that would be required to achieve complete unanimity on every issue. We must perforce something less. We are thus led to accept majority rule in one form or another as an expedient. (…)” (p. 24). Inoltre, l’azione di governo in campo economico, e in molti altri campi che hanno conseguenze collaterali economiche, è fondata sempre su una certa componente coercitiva nella misura in cui l’esecuzione di una certa decisione – e il processo di decisione stessa, si fonda su una certa componente coercitiva ineliminabile. Nel caso di una dittatura, la decisione è semplicemente unilaterale e, infatti, è coronata dal successo in modo direttamente proporzionale all’efficienza del potere centrale: il cittadino è semplicemente costretto. In una democrazia c’è l’effetto attenuante della deliberazione democratica. Ma anche in questo caso, l’azione di governo è possibile perché la maggioranza sta forzando una minoranza ad adottare una certa regola di comportamento. La giustificazione ultima di una siffatta manovra decisionale dipende dall’idea che solo una parte abbia la giusta soluzione e che l’altra debba semplicemente adeguarsi o, per essere più giusti nei riguardi della democrazia, l’interesse pubblico si determina mediante l’atto deliberativo non ex ante ma ex post ovvero: esso è determinato da una libera decisione – qualora, naturalmente, si viva davvero all’interno di uno stato con forma di governo democratica. Il fatto che questo comporti anche dei benefici è materia di aperta discussione in democrazia ma è indubbio, secondo Friedman, che questo processo si fondi comunque su una forma di paternalismo in cui una parte decide per il tutto nella piena convinzione che ‘il tutto’ non possa prendere una decisione migliore in ogni caso e che quindi la coercizione è legittima in funzione di questo. Quindi ne conclude Friedman: “A liberal is fundamentally fearful of concentrated power. His objective is to preserve the maximum degree of freedom for each individual separately that is compatible with one man’s freedom not interfering with other men’s freedom. He believes that this objectie requires the power be dispersed. He is suspicious of assigning to government any functions that can be performed through the market, both because this substitutes coercion for voluntary co-operation in the area in question and because, by giving government an increased role, it threatens freedom in other areas” (p. 39).
Il mercato è libero e necessariamente spinge alla cooperazione e, come conseguenza, determina diversificazione e varianza. L’azione di governo forza una uniformità nello stesso principio di regolamento imposto unilateralmente ancorché mediato da una decisione democratica: “Fundamentally, there are only two ways of co-ordinating the economic activities of millions. One is central direction involving the use of coercion- the technique of the army and of the modern totalitarian state. The other is voluntary co-operation of individuals – the technique of the market. The possibility of co-ordination through voluntary co-operation rests on the elementary – yet frequently denied – proposition that both parties to an economic transaction benefit from it, provided the transaction is bi-laterally voluntary and informed. Exchange can therefore bring about co-ordination without coercion. A working model of a society organized through voluntary exchange is a free enterprise exchange economy – what we have been calling competitive capitalism” (p. 13). Il punto di Friedman non è il rigetto dalla presenza di governo né, soprattutto, della democrazia. Il governo è necessario in tutto ciò che il mercato non può far da sé (compresa la sicurezza fisica e informativa dei cittadini nel mercato e l’applicazione fair delle sue regole) e la democrazia è la forma di governo che maggiormente si avvicina al mercato nel suo funzionamento. Tuttavia, questo non nega il fatto che, secondo Friedman, il governo dovrebbe semplicemente far da arbitro rispetto a ciò che il mercato offre, garantire che il mercato mantenga la sua postura libera e che i cittadini rispettino le regole necessarie per il mantenimento delle reciproche libertà.
- Attività privata e mercato come fondamenti del capitalismo
L’attività privata, combinata al mercato, genera quello che si può intendere come ‘economia capitalistica di libero mercato’. In realtà, Friedman non parla molto di “capitalism” nel suo Capitalismo e libertà. Egli, come visto, lo definisce in questo modo: “A working model of a society organized through voluntary exchange is a free enterprise exchange economy – what we have been calling competitive capitalism” (p. 13). Egli non parla che raramente di fabbriche, industrie e corporazioni etc.. Certo, il saggio non argomenta mai contro il capitalismo – al contrario, ma è a suo modo un libro di denuncia contro un certo tipo di intervento diretto del governo all’interno dell’attività economica. Più il sistema statale pervade il sistema economico e meno l’iniziativa privata e il mercato possono sviluppare le naturali tendenze allo sviluppo dell’impresa. In questo senso, Capitalismo e libertà sostiene non il capitalismo ma tutti i suoi prerequisiti e, in particolare, due positivi (attività privata e libero mercato) e uno negativo (l’azione di governo in campo economico).
L’attività privata è fondata su tre pilastri: (a) l’egoismo dell’individuo, (b) la sua libertà e (c) la sua decisione di entrare nel mercato per massimizzare la sua utilità. Sia chiaro che, ovviamente, l’egoismo individuale non è necessariamente in conflitto con quello di altri ma è anche il motivo valido per cui due individui cooperano nel mercato, secondo Friedman, in questo pienamente in linea con la teoria liberale classica. Lo scopo dell’azione privata è quella di produrre ricchezza mediante l’esercizio della libera iniziativa coniugata con quella degli altri. Il mercato è il luogo in cui le opportunità si trasformano in realtà nella misura del possibile. Sia chiaro che l’egoismo dell’individuo è condizione necessaria per l’iniziativa privata perché è l’unico fondamento per l’azione libera nella misura in cui, altrimenti, essa sarebbe indotta dall’esterno, e allora sarebbe dettata da una forma più o meno esplicita di coercizione. Tuttavia, l’egoismo individuale, senza la decisione di entrare nel mercato, non garantisce ancora l’iniziativa economica privata. Solamente dall’unione delle due condizioni si ottiene la finale attività economica. All’interno del mercato l’unica moneta di valutazione è il guadagno stesso, sicché il mercato ha come unico scopo la generazione della ricchezza e la sua ripartizione al solo e unico scopo di produrne di nuova. D’altra parte, è la ricchezza che consente lo sviluppo dei mezzi privati e pubblici grazie ai quali le azioni di governo, da un lato, e di privato sviluppo sociale, dall’altro, sono rese possibili. Secondo Friedman, il mercato non è e non deve essere il luogo della ridistribuzione dei beni che, per altro, egli ritiene impropria, giacché dipende intrinsecamente dall’azione di governo che forza alcuni individui a stornare parte dei loro capitali privati per tradurli in beni e servizi per terzi, sia esso lo stato e le istituzioni pubbliche che altri privati cittadini e, d’altra parte, tertium non datur.
L’iniziativa degli enti privati all’interno del mercato determina una variazione notevole nella creazione di opportunità per coloro che sono interessati al mercato stesso. Questo è principalmente dovuto al fatto che il mercato si orienta tendenzialmente verso chi offre il servizio migliore rispetto all’offerta e a chi è in grado di pagare l’offerta, rispetto alla domanda. Sicché la combinazione di domanda e offerta determina anche una vasta serie di alternative competitive dove, appunto, la competizione è essa stessa una sorta di attività cooperativa resa possibile dal mercato: “Competition has two very different meanings. In ordinary discourse, competition means personal rivarly, with one individual seeking to outdo his known competitor. In the economic world, competition means almost the opposite. There is no personal rivarlyu in the competitive market place. There is no personal higgling. The wheat farmer in a free market does not feel himself in personal rivarly with, or thretened by, his neighbor, who is, in fact, his competitor. The essence of a competitive market is its impersonal character” (p. 119).
In sostanza, dunque, la libera iniziativa privata è generata dalla necessità di provvedere alla domanda di beni da parte di una parte stessa del mercato. L’ente privato entra così nel libero mercato insieme a tutti gli altri competitor che, in questo modo, danno origine ad una attività finalizzata alla creazione di capitale la cui erogazione è principalmente un servizio retribuito. La competizione è comunque di natura cooperativa nella misura in cui si rispettino le regole di minimo del mercato della società capitalistica. Tuttavia, un capitalismo di stato – così come talvolta viene definito il sistema economico staliniano e di altri totalitarismi, non è infatti capitalismo vero e proprio perché solamente dalla combinazione dell’iniziativa privata in combinazione con il libero mercato può effettivamente determinare la nascita, crescita e sviluppo del capitale che è sostanzialmente un bene immateriale che si sostanzia più di servizi che di materia prima, denaro compreso.
- Conclusioni
Capitalismo e libertà è un testo ricco di osservazioni tecniche e specifiche di politica economica, laddove l’azione politica pensata da Milton Friedman è sempre rivolta alla massimizzazione della libertà degli individui. Alcuni punti sono così importanti e controversi da richiedere articoli a sé stanti, come ad esempio la gestione della sanità, dell’educazione e della ridistribuzione dei beni. Lo scopo di questo breve articolo non consisteva nel riportare interamente Capitalismo e libertà ma soltanto fornire gli strumenti concettuali necessari per poterlo comprendere a fondo. Come Il capitale di Marx può risultare un testo controverso, anche Capitalismo e libertà può generare reazioni viscerali, specialmente in paesi in cui le politiche economiche sono dettate da molte scelte illiberali strettamente parlando. Ma questa è una materia di discussione politica, che riguarda ogni singolo cittadino liberamente. Ma se le reazioni istintive possono essere dettate da ragioni, se così le vogliamo chiamare, emotive o fondate su abitudini politiche il cui unico fondamento è quello di averle assunte una volta per sempre, come per Il capitale, così anche per Capitalismo e libertà il primo scopo dovrebbe essere quello di capire e poi, se proprio necessario, giudicare. E così ci pare che in questa sede ci possiamo accontentare di quanto presentato sin qui. Nessun testo così importante può essere lasciato ad un’introduzione come questa che, appunto, non può che essere un punto di partenza per quanto, si spera, benvenuto.
[1] Friedman, M., (1962), Capitalism and freedom, Chicago: Chicago University press, p. 4.
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