Il nonsense del racconto di Alice nel Paese delle meraviglie
Il racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carrol, da un certo tempo dopo la sua felice pubblicazione diffusa in gran parte del mondo, da che era destinato ai bambini, poi è diventato il banco di studio del mondo della cultura. Da un lato la scienza delle nuove teorie fisiche e matematiche e dall’altro la psicologia, la scienza che studia il comportamento e la mente, hanno fatto la parte del leone. I primi con l’esistenza di ‘dimensioni parallele’ e la ‘scienza dei quanti’, i secondi con l’ipotesi della ‘sindrome di Alice’ che indicherebbe un gruppo di sintomi associati a emicrania, epilessia e riguardano distorsioni percettive e sensoriali. Come immaginare che “non tutti i mali vengono per nuocere”, di un intreccio su cui c’è concordanza nel definirlo “nonsense”, cioè negazione, ma non mancanza di senso. Ovvero l’uso apparentemente sensato di parole insensate, e apparentemente insensato di parole sensate. E così, in cascata concepire l’idea mostruosa che i bambini hanno letto fino ad oggi il romanzo di Alice nel Paese delle meraviglie, un libro per adulti: e che adulti!, il fior fiore della cultura scientifica e letteraria.
Quale il progetto occulto della casualità ordito dalla natura, viene da pensare quasi sgomenti! Concepire una sorta di ‘Rebis filosofale’ come quello perseguito dagli alchimisti. Che intreccio mostruoso!
Ve ne do una prova che sembra trasparire dall’immagine dell’illustr. 1 dove i tre giardinieri hanno piantato le rose bianche per “errore”, nel giardino della Regina di Cuori, del racconto di Alice nel Paese delle meraviglie. Viene da dire, ipotizzando il concorso della casualità: «Ma è veramente per errore che sono state piantate le rose bianche al posto di quelle rosse?». E continuando con questo risvolto – mettiamo –, neanche immaginato dallo stesso Lewis Carrol, l’autore del racconto, se non per creare il “nonsense”, ecco l’aggancio con il supposto ‘Rebis filosofale’ degli alchimisti, che stabilisce un ordine nella trasmutazione riferibile alla mente umana in evoluzione. Prima viene la mente involuta, quasi a livello di animale, poi si profila la nascita di una mente che comincia a pensare ed agire, tale da riuscire a relazionare in buona armonia con quella degli altri. È il ‘biancore’ (con le rose bianche del racconto a simbolo) di un’alba del genere umano (gli alchimisti la chiamano ‘Albedo’ e quella precedente ‘Nigredo’). E successivamente, per gradi, la mente diventa sempre più ricca di nozioni benefiche in alcuni, ed è come se fosse colorata rossa come le rose rosse predilette dalla Regina di cuori del racconto (per gli alchimisti è la fase cosiddetta del ‘Rubedo’).
Ed ecco, chi da un lato e chi dall’altro, bambini e dottori della cultura, ora è come se inseguissero un certo ‘bianconiglio’ (lo scopo dell’Albedo alchemico) e come Alice, approdano nel loro Paese delle meraviglie. Si infilano nella tana del piccolo mammifero e cadono in una realtà estranea, completamente diversa da quella in cui viviamo: un universo distinto eppure connesso con quello che assomiglia al nostro: un ‘mondo parallelo’ per i bambini e un altro analogo per gli adulti della cultura!
L’esistenza di dimensioni parallele ha sempre colpito l’immaginario collettivo, sia dei bambini che degli adulti. Tuttavia, se ‘funziona’ l’occulta manipolazione dell’ipotetica supposta casualità dell’intreccio del “nonsense”, allora ben venga questo viaggio nel ‘mondo parallelo’. Mi sovviene ‘Il pifferaio di Hameln’, una fiaba tradizionale tedesca, trascritta, fra gli altri, dai fratelli Grimm. È anche nota come ‘Il Pifferaio Magico’ o con altri titoli simili. La storia è questa: un uomo con un piffero si presenta in città e propone di disinfestarla dai ratti; il borgomastro acconsente promettendo all’uomo un adeguato pagamento. Non appena il Pifferaio inizia a suonare, i ratti, incantati dalla sua musica, si mettono a seguirlo, lasciandosi condurre fino al fiume Weser, dove annegano. La gente di Hamelin, ormai liberata dai ratti, decide incautamente di non pagare il Pifferaio. Questi, per vendetta, riprende a suonare mentre gli adulti sono in chiesa, attirando dietro di sé tutti i bambini della città. Centotrenta bambini lo seguono in campagna e vengono rinchiusi dal Pifferaio in una caverna. Nella maggior parte delle versioni, non sopravvive nessun bambino, oppure se ne salva uno che, zoppo, non era riuscito a tenere il passo dei compagni. Varianti più recenti della fiaba introducono un lieto fine in cui un bambino di Hameln, sfuggito al rapimento da parte del Pifferaio, riesce a liberare i propri compagni. Una variante dice che i bambini entrano in questa caverna seguendo il pifferaio magico e fuoriescono da un’altra caverna, la grotta di Almaş in Transilvania.
E c’è anche la versione del ‘mondo parallelo” della scienza con la ‘montagna’ del pifferaio che vi corrisponde che sembra essere appunto la “montagna di Gamow” o “picco di Gamow”, legato al cosiddetto “effetto tunnel”.
L’effetto tunnel è un effetto quanto-meccanico che permette una transizione ad uno stato impedito dalla meccanica classica. Nella meccanica classica, la legge di conservazione dell’energia impone che una particella non possa superare un ostacolo (barriera) se non ha l’energia necessaria per farlo. Questo corrisponde al fatto intuitivo che, per far risalire un dislivello ad un corpo, è necessario imprimergli una certa velocità, ovvero cedergli dell’energia.
La meccanica quantistica, invece, prevede che una particella abbia una probabilità diversa da zero di attraversare spontaneamente una barriera arbitrariamente alta. Ma non manca la stessa favola di Alice in trattazione, a concepire il fenomeno della “montagna di Gamow” con una delle vignette del racconto. Nell’illustr. 3 si vede Alice che colpisce dei porcospini con un fenicottero, mandandoli ad urtare contro un muro. I porcospini hanno il viso di Heisenberg (noto scienziato della fisica nucleare). Uno di essi attraversa la barriera e resta stupito osservando il suo orologio di fronte all’altro personaggio stupito, un coniglio-Einstein (altro riferimento ad uno scienziato di fama).[1]
Ma mi sono dilungato oltremodo sul lato del tema dei ‘mondi parallelli’, che se pure affascinante mi ha allontanato dal tema che mi sono prefisso di sviluppare, cioè entrare nel merito del “nonsense” e capirne l’antifona. Rimedio subito.
A tal uopo ci viene in soccorso un barlume che può spiegare l’apparente mostruosità del ragno che, da sempre in qualche modo, imbastisce occultamente la tela dell’intreccio del supposto ‘Rebis alchemico’ insito nel genere di lettura concepito nel racconto della smemorata Alice che scivola nel tunnel del ‘bianconiglio’. Ma non per stravolgere l’intreccio del supposto “nonsense”.
I metaloghi di Gregory Batenson
Si tratta di una mia idea che mi è venuta d’un tratto rileggendo in particolare il capitolo VII di Alice nel Paese delle Meraviglie, che ha per titolo “Un tè di matti”. L’idea che mi son fatto su questo tema, mi ha portato ben più in là delle opinioni correnti, riferendomi in particolar modo al dialogo avvenuto, appunto, durante «Un tè di matti». Dopo averlo letto e riletto la mia mente mi ha portato ai metaloghi di Gregory Bateson, in particolare il dialogo tra lui e la figlia, che egli riporta sul suo libro “Verso un’ecologia delle mente” di Gregoy Bateson – [pag. 56 – Ediz. Adelphi]. Di qui un meraviglioso aggancio all’ecologia della mente che in Alice sembra disturbata da una sindrome, secondo l’opinione corrente dei psicologi.
Ma cosa è un metalogo?, rientrando nel mio intervento.
Il metalogo è una conversazione immaginaria tra un padre e una figlia su un argomento problematico. Inizia sempre con una domanda della piccola figlia, domanda che permette a papà Bateson di introdurre le sue teorie. I metaloghi non terminano mai con certezze, ma lasciano la possibilità di porsi molte altre domande. E’ un modo di presentare le idee molto diverso da quello al quale siamo abituati (ipotesi, dimostrazione delle ipotesi e conclusioni), per questa ragione il lettore può rimanere, almeno ad un primo approccio, perplesso. Ma se da un lato Bateson sostiene l’importanza dell’accrescimento della conoscenza fondamentale, dall’altro lato attraverso i metaloghi egli ci fornisce un esempio concreto di cosa significhi avvicinarsi a un problema con una atteggiamento conoscitivo e di come dei dati oggettivi possano essere utilizzati con un intento euristico, piuttosto che con una forzatura atta a incasellare i dati dentro una teoria di riferimento.[1]
Va precisato che Bateson, biologo di formazione, non fu soltanto biologo ma antropologo, epistemologo, naturalista, etologo, cibernetico, collaborò conpsichiatri e psicoterapeuti…. Fu, in altre parole, scienziato e filosofo della natura: Bateson – scrive Marcello Cini – è “nel senso pieno del termine, un filosofo naturale”.
Ma ecco il dialogo tra padre e figlia e basta questo per trovare accostamenti con quello di Alice con il Cappellaio e il Ghiro sonnecchiante che di tanto in tanto fa da eco.
Figlia- Papà., quante cose sia?
Padre. Eh? uhm… so circa un chilo di cose.
F. non dire sciocchezze. Un chilo di quali cose? Ti sto chiedendo davvero quante cose sai.
P. Be’, il mio cervello pesa circa un chilo e penso di usarne circa un quarto… Quindi diciamo due etti e mezzo.
F. Ma tu sai più cose del papà di Johnny? Sai più cose di me?
P. Uhm… una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: «I Padri sanno sempre più code dei figli?« e il padre rispose: «Sì». poi il ragazzino chiese: «papà chi ha inventato la macchina a vapore?» e il padre: «James Watt» E allora il figlio gli ribattè: «ma perché non l’ha inventato il padre di James Watt?».
F. Lo so. Io so più cose di quel ragazzo, perché so perché il padre di James Watt non l’ha inventata: é perché qualcun altro doveva inventare qualcos’altro prima di chiunque potesse fare la macchina a vapore. Voglio dire… non so… ma ci voleva che qualcuno potesse scoprire la benzina prima che qualcuno potesse costruire u motore.
P. Sì… questa è la differenza. Cioè voglio dire che il sapere è come tutto intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile solo in virtù degli altri pezzi…
F. Pensi che si dovrebbe misurare in metri?
P. No. direi di no.
F. Ma le stoffe si comprano a metro.
P. Sì, ma non volevo dire che è una stoffa. È solo come una stoffa… e certamente non sarebbe piatto come stoffa… ma avrebbe tre dimensioni… forse quattro dimensioni.
F. Che cosa vuol dire papà?
P. Non so, veramente tesoro. Stavo solo cercando di riflettere.
E il metalogo continua e sembra che si rifletta in una sorta di un altro “metalogo” (si potrà chiamare così?) di tutto il romanzo di Alice fra gli incompresi abitanti del Paese delle meraviglie.
Brescia, 24 luglio 2019
[1]Fonte: http://www.psicologiarelazionale.org/letture/metaloghi.html
[1]http://www.fisicamente.net/DIDATTICA/index-157.htm
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