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Le peculiarità dell’astrofisica

[Nota dell’autore. L’articolo è stato rielaborato il 24 Aprile 2020 tenendo conto della prima fotografia di un buco nero, pubblicata nell’aprile 2019.]

L’astrofisica è una scienza particolare, per vari motivi. Nel libro L’universo e io. Una filosofia dell’astrofisica [2017, io mi riferisco all’edizione Solferino 2018 (I libri del Corriere della Sera)] l’astrofisica tedesca Sibylle Anderl (nata nel 1981) scrive, a tal proposito: «L’astrofisica ha infinite peculiarità! In fin dei conti, è una delle poche scienze che non può mai interagire con i propri oggetti di ricerca. L’universo è troppo grande, e quasi tutto ciò che interessa a noi astrofisici è semplicemente troppo lontano. Le condizioni nell’universo, d’altro canto, sono assai più estreme di quelle che possiamo ricreare nei nostri laboratori terrestri, e le scale temporali in cui i processi si svolgono nell’universo sono sempre troppo lunghe in confronto alle nostre brevi esistenze umane» (Prologo II, pp. 11-12).

L’Autrice ci parla, anzitutto, dei vari oggetti di studio dell’astrofisica. La sintetica panoramica che segue è corredata di alcune mie integrazioni.

I buchi neri – previsti dalla teoria della Relatività Generale di Einstein pubblicata nel 1916 – sono corpi celesti aventi un campo gravitazionale oltremodo intenso, cosicché né materia né radiazione elettromagnetica possono fuoriuscirne; nondimeno, come teorizzato da Stephen Hawking (1942-2018) negli anni Settanta, essi non sono del tutto neri in quanto “evaporano” lentamente, cioè emettono una debole radiazione termica (si tratta di un effetto puramente quantistico). L’Autrice prende in considerazione, in particolare, il buco nero supermassiccio situato al centro della nostra galassia, la Via Lattea. Le onde gravitazionali – anch’esse previste dalla teoria della Relatività Generale – sono increspature del tessuto dello spaziotempo quadridimensionale, la cui prima prova sperimentale è stata annunciata da scienziati del consorzio LIGO nel 2016, con riferimento alla rilevazione (avvenuta nel 2015) delle onde gravitazionali che sono state prodotte al termine di un processo nel quale due buchi neri, dopo aver girato l’uno intorno all’altro in un percorso a spirale, si sono fusi dando origine a un unico buco nero.

Il 10 aprile 2019 l’agenzia ANSA ha pubblicato sul suo sito web quella che è stata definita “la foto del secolo”: la prima fotografia di un buco nero (realizzata nell’ambito del progetto internazionale Event Horizon Telescope finanziato dalla Commissione Europea, al quale ha partecipato anche l’Italia attraverso l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Esso è situato al centro della galassia Messier 87, visibile nella costellazione della Vergine, alla distanza di circa 55 milioni di anni-luce dal Sistema Solare (un anno-luce corrisponde a circa 9460 miliardi di chilometri). Nel 2018 è uscito il libro L’ombra di Einstein. Un buco nero, un gruppo di astronomi e la sfida per vedere l’invisibile scritto da Seth Fletcher, caporedattore della prestigiosa rivista Scientific American [io mi riferisco all’edizione Bollati Boringhieri 2019, sulla cui copertina è riportata la storica foto].

Nel nostro universo sono presenti strutture quali superammassi e ammassi di galassie di varia forma, nelle quali si trovano stelle di vario tipo: dalle stelle allo stato embrionale alle supernove (stelle morenti che danno luogo a una spettacolare esplosione), alle pulsar (stelle di neutroni, fase terminale della vita di certe stelle, caratterizzata da rapida rotazione ed emissione di onde elettromagnetiche, specialmente nella banda delle radiofrequenze), alle nane bianche (fase terminale della vita di certe altre stelle). Relativamente al nostro Sistema Solare, di recente è stata effettuata una nuova classificazione di Plutone: scoperto nel 1930 nella fascia di Kuiper, è considerato dal 7 settembre 2006 (dopo accurati studi e accese discussioni da parte dell’Unione Astronomica Internazionale) non più un pianeta alla stregua degli altri otto del Sistema Solare, ma il primo di una classe speciale di “pianeti nani” situati al di là di Nettuno.

Fondamentali sono lo studio del Big Bang e dello sviluppo successivo dell’universo. «Subito dopo il Big Bang l’universo era molto caldo e molto denso. La fisica vigente nei primissimi momenti di vita del cosmo non la conosciamo ancora. […] Solo dopo 10-34 secondi siamo in grado di orientarci e applicare le teorie oggi note» (Il grande Tutto, p. 253). A quel punto si sarebbe verificata un’espansione piuttosto rapida dell’universo (detta inflazione). Esso ha continuato successivamente a espandersi. Attualmente si sta espandendo in modo accelerato, ma è praticamente impossibile fare previsioni attendibili inerenti al suo futuro lontano. In base al modello Ʌ-CDM (modello cosmologico standard), disponiamo di una conoscenza sufficientemente adeguata solo di circa il 5% del nostro universo; la parte rimanente, circa il 95%, sarebbe costituita da materia oscura ed energia oscura (rispettivamente, circa il 26% e circa il 69%). Il modello permette di stabilire anche l’età attuale dell’universo: circa 13,8 miliardi di anni. Infine, un campo di ricerche e speculazioni cosmologiche molto affascinante è quello riguardante le teorie del Tutto.

L’Autrice affronta, inoltre, gli aspetti epistemologici dell’astrofisica: la disputa fra realismo e antirealismo; il diverso ruolo di osservazione e sperimentazione; i problemi dell’affidabilità e della corretta interpretazione dei dati ottenuti con le tecnologie utilizzate; il ruolo cruciale di modelli e simulazioni (in matematica, informatica, fisica – e, nella fattispecie, astrofisica –, altre scienze della natura); le difficoltà legate alla sottodeterminazione della teoria (cioè, il fatto che i dati disponibili e le previsioni verificabili possono essere inquadrati in più di una sola teoria); l’antinomia kantiana attinente al problema della finitezza o infinitezza dell’universo nel suo complesso [«Kant dice che dovremmo guardarci dal fare considerazioni sull’universo nel suo complesso perché, basandoci su argomentazioni logiche, potremmo dimostrare sia che l’universo dev’essere finito (perché un universo infinito è inconcepibile), sia che debba essere infinito (perché in un universo finito non riusciamo a figurarci i confini dell’universo)» (Il grande Tutto, p. 237)].

Non viene invece toccata la questione della presenza di un Dio, giacché, a giudizio dell’Autrice, per quanto concerne la comprensione dell’universo «sarebbe meglio fornire spiegazioni fisiche più che teologiche» (Il grande Tutto, p. 258). Tuttavia, Sibylle utilizza alcune volte, nel libro, l’espressione “grazie a Dio”…

(Sibylle Anderl, dalla terza di copertina del libro citato)


Giorgio Della Rocca

Sono nato il 10 Agosto 1964 a Pontinia, comune dell’Agro Pontino in provincia di Latina, e vi abito. Mi sono diplomato al Liceo Scientifico "G.B. Grassi" di Latina, e laureato in Matematica con indirizzo Didattico all’Università degli Studi "La Sapienza" di Roma. Negli anni Novanta ho svolto attività di collaborazione con "La Sapienza", anche presso la sede decentrata di Latina. Dal 1992 insegno Matematica in quello che attualmente è l’Istituto Statale di Istruzione Superiore "San Benedetto - Einaudi - Mattei" (in particolare, io appartengo al "San Benedetto"), situato nel territorio del comune di Latina. Altri interessi si possono evincere dai miei articoli presenti in "ScuolaFilosofica". Il mio motto: Scienza, Coscienza, Sapienza!

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