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La filosofia morale contemporanea tenta di indagare alcuni casi particolari delle azioni umane: le azioni umane definibili volontarie. Le azioni umane volontarie sono quelle in cui il soggetto si trovava nella condizione di poter determinare la propria scelta senza costrizioni e, a seconda di come si interpreti il mondo delle possibilità del soggetto, a seconda delle sue possibilità. In questo senso la filosofia morale si sforza di comprendere il ruolo del soggetto nel momento stesso in cui decide di intraprendere le azioni. In senso ampio, uno dei problemi generali della filosofia morale sta nella determinazioni delle motivazioni che sono dietro ogni scelta: il problema dell’intenzionalità.
L’intenzione di un soggetto è la spinta prima secondo la quale poi il soggetto stesso intraprendere una determinata scelta. La realizzazione dell’intenzione è l’azione. Per azione si intende propriamente un fatto il quale, per essere spiegato, basta il soggetto stesso. Il problema dell’intenzione, il problema delle motivazioni dell’intenzione, il problema dell’interpretazioni del mondo del soggetto (per esempio se il soggetto sia o non sia determinato dalle circostanze in maniera necessaria o non sia in realtà determinato affatto ecc.) sono tutti problemi generali che la filosofia morale tratta differentemente da autore ad autore.
La filosofia morale contemporanea è una letteratura che si pone in relazione soprattutto alla filosofia analitica e non è un caso che molti degli autori che vedremo sono propriamente dei filosofi linguisti che hanno anche trattato più propriamente di morale. Così si deve già intravedere in questo un modo comune di trattare gli argomenti. Intanto c’è una certa aspettativa di stampo meramente scientista nei riguardi della morale. Infatti la morale non va intesa come “mondo dei valori o dei precetti del viver buono” ma piuttosto del “come l’uomo si comporti nel momento in cui si appresta a determinarsi liberamente”. In questa indagine dunque si fa di tutto per evitare dei coinvolgimenti di valori esterni ad una semplice teoria dell’azione. Non vengono analizzate le credenze sulle quali poi il soggetto agisce piuttosto quali sono i criteri di esistenza dell’azione e di come questa si venga a determinare nella mente del soggetto.
Tutti gli autori condividono così un atteggiamento comune che si mostra con evidenza dall’estrema somiglianza degli stili di trattazione degli argomenti, tutti tremendamente simili e, in ciò, terribilmente monotoni. Tutti poi si rifanno ad un’idea di chiarezza tipica di quella volontà analitica che vorrebbe la verità come un mero risultato di un metodo. Peccato che non siano poi così chiari nelle loro trattazioni in quanto spesso si lascino andare in ambiguità, usi specifici e non ordinari di termini.
La tradizione della filosofia morale prende le mosse da tre grandi pensatori: Aristotele, Kant e Hume. In particolare i filosofi si dividono tra i neokantiani gli humiani. Aristotele piuttosto delinea nell’Etica Nicomachea quell’atteggiamento comune a tutti questi pensatori e propone una risoluzione del problema che, in una certa misura, è abbastanza trascurato.
John Searle: razionalità dell’azione
Quale è il filone di tradizione in cui si inserisce Searle?
Searle prende le mosse dall’impostazione kantiana ovvero dall’idea che anche le ragioni di per loro possono riuscire a motivare l’azione e non solo i desideri. Per sostenere le sue argomentazioni Searle specifica subito di come si debba prescindere dalle impostazioni tradizionali.
Qual è la tesi dell’autore?
Searle sostiene che le azioni possono essere motivate anche da ragioni che non implichino in alcun modo desideri precedenti. Il problema è infatti mostrare come gli obblighi non siano di natura simile ai desideri e la ragione non pone solamente nuovi desideri ma pure è in grado di motivare le azioni di per sé.
Quali sono le parole chiave?
Ragione, obbligo, promessa, soddisfazione, azione, desideri, tradizione (humiana e kantiana), intenzione, motivazione.
Problemi e risoluzioni:
Il problema principale è quello di dimostrare la forza motivazionale della ragione indipendentemente dall’introduzione di desideri o sentimenti umani. Così si specifica la presenza di obblighi comunitari e indipendenti dal soggetto il quale è così posto in una condizione di dover svolgere un obbligo per il solo fatto di doverlo fare anche se il desiderio di farlo potrebbe addirittura essere contrario.
Leibniz
Leibniz elabora il problema della libertà a partire dall’analisi aristotelica. La libertà è divisa in libertà di diritto e in libertà di fatto ed in generale è definita come potere di fare o non fare qualcosa in accordo con la propria volontà. Leibniz per volontà non distingue tra desiderio e ragione (cosa che poi verrà fatta tanto da Hume che da Kant).
La libertà è dunque una possibilità, un potere e questo potere però è la stessa espressione di un soggetto. In questo senso solo gli esseri dotati di intelletto possono essere liberi con delle limitazioni. Il problema tra libertà e necessità è risolto non ponendo il problema se l’una si escluda all’altra ma come non incompatibilità tra l’una e l’altra. Al concetto di libertà si oppone il concetto di costrizione. In questo senso il soggetto può dirsi costretto in due sensi: o per costrizione interna o per costrizione esterna. La costrizione esterna è una condizione fisica tale che esclude tutte le altre alternative del soggetto. La costrizione interna si pone quando ad una volontà si oppone un certo e determinato desiderio. In questo modo la volontà è continuamente sottoposta a forze resistenti e ci si può difendere solo con la possibilità da parte nostra 1) di dare il giusto peso ai vari desideri, 2) sospendere la nostra facoltà di giudizio, 3) sostituire un desiderio ad un altro, così da farli lottare o almeno provarci.
Per Leibniz il soggetto si dice libero se può fare o non fare qualcosa in accordo con i propri desideri. Il fine si pone a partire da una certa disposizione del soggetto ad agire in un certo modo. Il soggetto appetirà al bene che altro è se non la ricerca del piacere mentre il male è dolore e da questo il soggetto fuggirà come può.
Hume
Hume critica il concetto di libertà come arbitrio o indifferenza. Egli mostra prima come il concetto di necessità e di causa siano dovuti alla attività della mente e che questa necessità non si trovi in alcun dato di esperienza ma è la mente stessa a trarre le sue conclusioni. La causalità è una continuità e associazione di eventi tali che si ripetono spesso e così all’uno associamo l’altro. Ma il rapporto tra la causa e l’effetto non si risolve in una connessione logica bensì solo data dall’associazione che la nostra mente deriva dall’esperienza.
L’uomo conosce il mondo e trae la conclusione che tutto abbia una causa tale che da essa ne nasca un effetto. In questo senso non si capisce perché l’uomo debba ingiustificatamente definirsi libero a differenza di tutti gli altri enti di natura. Inoltre tutti gli uomini sono uniti sotto società e gli usi e costumi saranno simili. A cause simili si danno effetti simili così anche per gli uomini devono potersi spiegare i comportamenti a partire da ragioni naturali. Hume così sostiene che l’uomo è affatto libero in quanto a ben guardare tutti i comportamenti sono seguiti da delle cause ovvero da desideri. I desideri sono l’unica forma motivazionale dell’uomo. L’uomo non può nulla per contrastare questi desideri in quanto la ragione non ha potere ma è solo uno strumento per raggiungere il fine posto dal desiderio: il desiderio è il fine e se non è raggiungibile nell’immediato ricorre alla ragione di modo che questa gli mostri l’ordine delle azioni così da raggiungere il fine. Come dice Hume in una sua celeberrima frase, la ragione è schiava delle passioni. I desideri sono distinti o secondo ragionevoli o irragionevoli oppure desideri motivati o immotivati. I desideri ragionevoli sono quelli che, dopo l’analisi dei mezzi della ragione, sono anche passibili di realizzazione. In questo senso sono in accordo con la ragione, i desideri irragionevoli invece sono propriamente quei desideri irrealizzabili e quindi contro il giudizio della ragione e quindi irrazionali. Specifichiamo però che non c’è distinzione tra desiderio e desiderio nel senso di positività o negatività di per sé: posso desiderare tanto di uccidere tutti gli abitanti della terra piuttosto che andare a comprarmi una pizza che non si potrà dire che il primo desiderio si meno irrazionale che il secondo. La distinzione dei desideri tra immotivati e motivati risiede solo in questo: che i primi sono i desideri di partenza mentre i secondi sono quelli che nascono dalla “motivazione” della ragione, ovvero sono desideri intermedi che nascono quando la ragione mostra che si abbisogna di altre cose per soddisfare il primo desiderio.
Desiderio immotivato → soddisfazione
Desiderio immotivato → ragione → soddisfazione
Desiderio immotivato → ragione → insoddisfazione
Desiderio immotivato → ragione → desiderio motivato → soddisfazione
Desiderio immotivato → ragione → desiderio irragionevole.
Kant
Nella Critica della ragion pura, nella dialettica trascendentale, Kant mostra l’attività delle categorie pure dell’intelletto nel loro operare con concetti puri ovvero indipendentemente da qualsiasi esperienza o dato empirico. Quando le categorie si muovono in questa direzione determinate solo da sé e completamente indeterminate da qualche esperienza producono dei concetti vuoti e indimostrabili: i giudizi infatti non sono né di carattere analitico ( in quanto non procedono per deduzione da principi), né sintetici (in quanto non procedono per associazione logica di dati empirici). Questi sono i concetti della ragion pura e sono al di là di qualsiasi possibilità dimostrativa. I concetti sono: l’anima, la libertà e il mondo. Ma tra questi ve ne sono anche di altri.
Kant procede per antinomie e mostra come entrambe le possibilità siano possibili e ma non dimostrabili e in questo senso per questa ragione ora è stato accettata l’una ora l’altra possibilità. Pone prima la dimostrazione della libertà: essa parte dal concetto di causalità e si procede così a ritroso fino alla causa incausata che deve esser per ciò stessa libera. Da qui se ne deduce che nel mondo ci siano delle cause che non siano state determinate da un altro stato precedente. Per esempio io sono ora libero di alzarmi da questa sedia e l’unità percettiva dell’esperienza mostra solo che c’è un susseguirsi di eventi nel tempo ma non secondo la causa. Così si può dare che ci siano eventi non causati da uno stato di cose precedenti. Dall’altra parte invece viene posta la dimostrazione della necessità di tutte le cose: se tutto ha una causa allora tutto è necessario. Se non fosse così non sarebbe possibile pensare ad una unità dell’esperienza e da uno stato di cose precedenti deve necessariamente seguire il successivo. In questo senso la distinzione di inizio secondo il tempo e di inizio secondo una causa non ha fondamento.
Kant sostiene con fermezza l’impossibilità di dimostrare ora l’una asserzione ora l’altra, secondo la ragion pura. Propone però una possibile esistenza della libertà secondo l’attività della ragion pratica. Essa è posta come postulato in virtù della stessa esistenza della ragione. In questo senso la libertà è nella misura in cui l’essere è razionale. L’uomo è dotato di ragione e così si può definire libero in quanto può non determinare la sua azione a partire dalla sua inclinazione o appetito ma piuttosto seguire l’imperativo morale. Questo imperativo implica appunto che vi sia questa libertà. Anche per Kant la libertà si può porre ora in un senso positivo ora in un senso negativo. Il senso negativo della libertà è quella della “libertà da X desiderio” mentre il senso positivo della libertà è quello della “libertà di Y in accordo con la ragione”.
Moore
Moore analizza il concetto di libertà a partire da tre possibili visioni della stessa: il principio della libertà come possibilità di scelta, la libertà secondo il libero arbitrio, l’assenza di libertà. Il principio della libertà come possibilità di scelta dice che: un soggetto può fare X e X è possibile se lo sceglie. L’idea relativa di giustizia è quella che una scelta si dice giusta se tra le alternative si è determinata quella più giusta ovvero quella che a parità di possibilità ha delle conseguenze positive. In questo senso l’impostazione sarebbe quella che il soggetto pensa a delle possibilità reali e ne determina una dopo aver soppesato tra le varie alternative e solo in fine ne determina una. Ovvero: 1) Alternative possibili, 2) conoscenza alternative possibili, 3) calcolo del valore delle varie possibilità e determinazione della possibilità migliore, 4) scelta della possibilità, 5) azione.
A questa visione, che rientra nella possibilità che si diano delle possibilità alternative, si oppongono da un lato l’idea di libertà del libero arbitrio e quella della necessità. La libertà del libero arbitrio tende a mostrare come esistano sempre infinite possibilità mentre nel caso della necessità si da l’asserzione che qualunque fosse l’azione non era possibile fare altrimenti. Ovvero in quanto tutto ha una causa da essa segue necessariamente che qualsiasi cosa era determinata in un certo modo. A questa obbiezione Moore intelligentemente risponde a due riprese. La prima obiezione è quella della infondatezza di questo principio in quanto non si pone senza una adeguata dimostrazione. Infatti anche ammettendo che tutto abbia una causa non per questo si elimina la possibilità delle alternative ovvero se il soggetto può fare X e X è possibile se lo sceglie allora X era possibile e dunque era dato dalla situazione. In questo senso il principio delle alternative possibili non è in contrasto col determinismo. La seconda obiezione è che si fa confusione con i significati della parola “potere”. L’azione X non era controvertibile può significare che 1) l’azione altre azioni erano impossibili, che 2) altre azioni erano possibili ma non si sono realizzate. In questo senso si vede che l’asserzione “non si poteva fare diversamente” non significa che non esistessero possibilità alternative ma solo che non si sono poi verificate. Il determinismo sia rispetto al passato ( determinismo ), sia rispetto al futuro ( fatalismo ) risulta essere ingiustificabile nel senso che non è in contrasto con la teoria delle possibilità alternative.
In sintesi, la visione di Moore è quella di colui che pensa che le azioni si determinino a partire dalla conoscenza delle varie possibilità che un soggetto può compiere a partire dalle quali poi può decidere per una possibilità piuttosto che un’altra. In questo senso l’azione più giusta sarà quella più efficiente. Così possiamo dire due cose: 1) l’azione si genera dalla conoscenza delle possibilità e dalla determinazione della possibilità migliore, 2) che l’azione verrà compiuta in base ad una qualche idea di efficienza.
Frankfurt e le possibilità alternative
Nel saggio “Possibilità alternative e libertà” Frankfurt attacca la posizione secondo la quale una azione si definisce responsabile solo se potevamo fare altrimenti ovvero se avevamo della alternative possibili e così una azione poteva non essere. Frankfurt non definisce il principio delle possibilità alternative e semplicemente si limita a criticare il principio nel suo significato più generale. Per muovere questa critica si serve di tre esempi:
Esempio 1:
1) Il soggetto decide di fare X
2) Il soggetto viene successivamente minacciato e se il soggetto non compie X allora Y conseguenza ragionevolmente convincente.
3) Il soggetto compie l’azione X
Esempio 2:
1) Il soggetto decide di fare X
2) Il soggetto viene minacciato e se il soggetto non compie X allora Y conseguenza ragionevolmente convincente.
3) Il soggetto è atterrito e non riesce a fare altro che X.
4) Il soggetto compie X.
Esempio 3:
1) Il soggetto decide X
2) Il soggetto è all’oscuro di una coercitività assoluta che incombe sulla sua azione ovvero non può che fare X ma non ne è in alcun modo consapevole e così la minaccia non è avvertita dal soggetto sul piano motivazionale.
3) Il soggetto compie l’azione X.
I tre esempi mostrano come il soggetto a prescindere dall’obbligo che scaturisce dalle circostanze, comunque avrebbe fatto l’azione X. In questo senso il soggetto anche quando aveva la possibilità di fare altrimenti in ogni caso non si è determinato a fare un’altra azione ed in questo senso era pienamente responsabile delle sue azioni. Quindi in conclusione non basta dimostrare che non c’era alcuna responsabilità qualora non ci fosse altra scelta, così ponendo la dimostrazione che non basta avere delle possibilità alternative per porre la responsabilità. L’azione così si può dire priva di responsabilità solo nel caso che l’azione è stata determinata dall’entrata delle circostanze coercitive.
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