Stewart, Mattew; (2006), Il cortigiano e l’eretico, Milano: Feltrinelli.
Stewart M., Il cortigiano e l’eretico, Feltrinelli, Milano, 2007.
Il cortigiano e l’eretico è un saggio di Mattew Stewart, ph.d. in filosofia e indipendent researcher. Si tratta di un’opera che unisce vari generi, dal reportage storico alla biografia intellettuale. Il testo ricostruisce la storia dell’incontro tra due dei maggiori filosofi del XVIII secolo, ovvero Baruch Spinoza (1632-1677) e Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716).
Mattew Stewart ricostruisce la vita di entrambi i filosofi fino al momento del loro incontro-incrocio e poi oltre. Effettivamente non si potevano trovare due personalità più diverse, due storie e vite più distanti anche dal punto di vista filosofico, nonostante il fatto che Stewart cerchi di dimostrare che Leibniz non sia stato nel migliore dei casi uno spinozista sotto mentite spoglie. Baruch Spinoza può essere portato come uno degli esempi di filosofo che incarna l’archetipo della “volontà santa” kantiana, almeno secondo la vulgata popolare. Infatti, persona straordinariamente pacifica, studente modello, viene malamente scacciato dall’influente comunità ebraica dell’Amsterdam così ben descritta da Johan Huizinga e Stephen Nadler (autore della più importante biografia di Spinoza attualmente disponibile per la Cambridge University Press). Eredita l’azienda del padre a ventun anni in una condizione totalmente fallimentare. E dopo che gli muore il padre, gli vengono a mancare pure i fratelli. Il risultato complessivo è che si sposta dalla capitale dei Paesi bassi per una località più consona ad una vita ritirata e dai rischi di una società libera, relativamente ai tempi che correvano.
Spinoza vive così in nome del mantenimento di se stesso, molando le lenti, e allo sviluppo di una delle più straordinarie teorie filosofiche della storia Occidentale, espressa in capolavori come L’etica (pubblicata postuma nel 1677) e Il trattato teologico politico (1670). La sua salute da sempre precaria non viene certo migliorata dalle terribili esperienze dei suoi amici impegnati politicamente né, soprattutto, dalla polvere di vetro che egli inalava visto che all’epoca le condizioni del lavoro erano quelle che erano. Il risultato fu che morì all’età di soli quarantaquattro anni.
Spinoza non si legò mai ad alcuna donna e le notizie sulla sua vita privata sono assai poche (secondo Stewart anche perché al momento della morte molte sue lettere furono distrutte anche per coprire le tracce dei suoi contatti con eminenti studiosi dell’epoca, Leibniz in primis). Tuttavia, per quanto un uomo possa essere santo rimane pur sempre un uomo. E Spinoza più di tutti, definito ingiustamente “ateo” (quando Hegel ribalterà questa definizione “accusandolo” di vedere Dio ovunque), sa che un uomo è prima di tutto un modo finito della sostanza assolutamente infinita che gli determina una infinita serie di cause resistenti al suo sviluppo. E tra queste le passioni sono un epifenomeno ma sottolineano talvolta la presenza di oggetti d’amore. Quindi, anche Spinoza si dice avesse avuto un cedimento sentimentale per la sua maestra di latino, che poi si unì ad un più facoltoso studente. Definito amabile da tutti, filosofi e non filosofi, Spinoza è uno degli esempi di “buona filosofia”, una delle persone che modestamente vanno annoverati giustamente nel panteon di figure positive per tutta l’umanità. Tutta un’altra storia, invece, ci racconta Stewart su Leibniz.
Leibniz è un po’ più giovane di Spinoza. E a differenza di Spinoza aveva un background più strutturato e più influente. Peccato che il potente padre muore presto ed egli è costretto a barcamenarsi da solo nel mondo. Sarà l’inizio di un’incessante attività spesa nel triplice tentativo di diventare importante e abbastanza ricco per favorire lo sviluppo delle scienze e della filosofia e delle arti. La ricchezza e l’influenza e la filosofia (le scienze tutte) saranno l’oggetto spasmodico della vita di Leibniz, che vivrà alla continua ricerca della sicurezza economica e “politica” per poter garantire lo sviluppo del suo progetto filosofico. Stewart adombra ambiguità continuamente nella vita di Leibniz, che sarebbe il “cortigiano” del titolo.
Spinoza dedicò la sua vita alla ricerca filosofica pura, vivendo come un uomo qualunque, senza mai travalicare i suoi spazi. E sebbene fosse appunto così, la sua vita fu più volte a rischio. Perché solo un uomo pacifico ma convinto fino in fondo del suo pensiero può mettere a repentaglio intere coorti di uomini più “umani”, per così dire. Infatti, niente fa paura come colui che è disposto a difendere un’idea anche senza volerlo, per pura convinzione e per pura solida sicurezza nella sua ragione. Niente lo distoglierà dall’idea che, sino a prova contraria (ovvero, molte prove contrarie molto solide) egli ha ragione. E il fatto che la sua vita dipende soltanto da questa autodeterminazione della volontà su un principio di ragione (la sua) non gli consente alcun genere di concessione rispetto a compromessi sia nei costumi che, soprattutto, nel pensiero. E il risultato è il rigetto violento da parte di tutti coloro i quali si imbattono con una persona del genere, con la quale c’è ben poco da trattare e scendere a compromessi. Spinoza, uomo pacifico per eccellenza, fu per almeno un secolo l’esempio di “empietà” come Socrate prima di lui. Tutto il contrario di Leibniz.
Leibniz tentò in ogni modo di trovare accomodamenti e compromessi per vivere una vita sostanzialmente capace di essere all’altezza delle necessità dello sviluppo della comunità scientifica. Perché Spinoza, è vero, fu un uomo mite ma non umile, direbbe lui stesso!, visto che egli interpreta l’umiltà come una passione – sentimento sintomo di deprivazione di potenza e, quindi, negativo per l’uomo di ragione. Scrittore di grandi opere filosofiche, certo. Ma la scienza e l’umanità sono frutto della convivenza di idee eterogenee che solo persone come Leibniz possono portare avanti anche orchestrando più pensatori e fondando istituzioni.
Neppure Leibniz si è sposato. Dormiva pochissime ore. Si spese in ogni campo del sapere. Intraprese ogni sorta di attività, compresa la supervisione di sviluppo di infrastrutture che egli stesso aveva progettato per migliorare l’efficienza e i guadagni del suo datore di lavoro. Le sue ricerche in matematica e logica furono rivoluzionarie. Aveva ideato (pur con gli inevitabili difetti della tecnologia dell’epoca) una macchina capace di svolgere moltiplicazioni. Progettava e cercava di realizzare i suoi progetti in ogni modo. La sua abnegazione non fu inferiore, per certi aspetti, a quelli di Spinoza. Perché, come Spinoza, ha sacrificato tutta la vita in nome della filosofia, delle scienze e delle idee. Certo, a differenza di Spinoza, era disposto a pagare il prezzo del compromesso e della ricerca del soldo continuamente (a differenza di Spinoza, che viveva di avena e latte ogni giorno ad ogni pasto e quindi erano sufficienti le sue lenti molate). E sicuramente aveva la tendenza ad amplificare i suoi meriti di fronte a quelli degli altri. Ma il contesto politico-accademico è sempre stato spietato e chi vuole ottenere risultati deve essere sempre pronto a pagare pegno alla giusta abnegazione alla causa.
Il cortigiano e l’eretico è un libro estremamente perspicace, a tratti geniale che finisce in modo congruente con le premesse, alcune di queste errate. Infatti, sin tanto che Stewart racconta di Spinoza, il testo è solido. Si capisce che Stewart ha una dovuta “cattiveria” nel rappresentare tutto il mondo della cortigianeria affatto lontana nel tempo e tutta contemporanea. Il suo è un attacco frontale ad ogni forma di “aristocrazia intellettuale”, nel bene e nel male. Spinoza, dunque, rappresenta per lui il contraltare positivo di un fare filosofia devoluto ai potenti e il cui scopo è quello di accrescere le posizioni di chi ha già tutto in sé per vivere e vorrebbe anche pensare. E in questa linea interpreta Leibniz. La seconda parte del libro, in cui purtroppo vede solamente Leibniz, essendo Spinoza morto nel frattempo, è letteralmente devoluta a distruggere Leibniz.
Dipinto come un ingenuo, nel migliore dei casi, e un ciarlatano consapevole e incline all’amore per il denaro, nel peggiore dei casi, Leibniz assurge ad emblema di filosofo il cui unico intento era “farsi amare” (come ad un certo punto dice Stewart stesso). Sempre alla ricerca di denaro per averne ancora di più, sempre per ciò in bolletta e sempre legato al potente di turno, non si può neppure dire che Leibniz abbia tratto chissà quale vantaggio. Ma Stewart ne fa una questione concettuale, ed è qui che il libro ha una sua interessante valenza filosofica. Egli lascia intendere che Leibniz sia quel tipo di intellettuale pronto ad asservire il potere per delle ragioni intrinsecamente ambigue, laddove la sua volontà di migliorare l’umanità passa inevitabilmente prima dal migliorare se stesso (e la sua posizione). Ma questo è davvero troppo ingeneroso.
Infatti, anche concedendo molto del discorso di Stewart, ovvero che Leibniz fosse addirittura uno spinoziano incapace di prendersi il rischio di esserlo fino in fondo e dichiararlo pubblicamente rischiando di sua tasca, anche volendo davvero prendere sul serio che Leibniz fosse solamente interessato a salvare se stesso dalla troppo superiore filosofia di Spinoza, rimane almeno il fatto che per l’esistenza della filosofia moderna Leibniz è stato importante almeno quanto Spinoza. E questo non si può semplicemente ridurre a logica di potere. Leibniz fu indiscutibilmente uno dei grandi intelletti del XVIII secolo e fu l’iniziatore di una serie di riflessioni che, se appaiono banali a Stewart, non lo sono per molti altri per molte ragioni.
Il cortigiano e l’eretico è un libro dissacrante e pungente e, per ciò, rigenerante come una doccia fredda. Fa sempre bene leggere simili lavori, che passano alla soda caustica tutto quello che la vulgata contemporanea sulla filosofia vuole far passare, come se la filosofia fosse avulsa dalla realtà. La filosofia, in quanto pensiero razionale, è ancorata alla realtà anche negli aspetti più beceri e deteriori. Lo è in tutti i sensi. Ed è bene saper guardare questi aspetti e le relazioni con ciò che c’è di più alto ma non per ridurre tutto in cenere, ma proprio per scoprire sino a che punto questo è irrilevante. Si tratta di un libro che sarebbe potuto assurgere a qualcosa di più. Peccato, perché aveva tutte le caratteristiche di un Arabia Felix o di altri lavori di Torkild Hansen, uno scrittore capace di restituire la realtà attraverso uno sguardo implacabilmente ironico e caustico, ma senza perdere di vista il giusto sguardo d’insieme. Ed è proprio questo sguardo d’insieme che Stewart ad un certo punto sembra perdere, così preso com’è dall’immergere Leibniz nel suo tritacarne. Un po’ meno zelo e un po’ più di distacco avrebbero resto Il cortigiano e l’eretico un vero capolavoro, come lo è la prima metà. Invece così è un libro intelligente che avrebbe potuto mantenere lo standard del masterpiece e che infatti non c’è riuscito.
Mattew Stewart
Il cortigiano e l’eretico – Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno
Feltrinelli
Pagine: 326
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