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Alcune riflessioni sui Tarocchi

È opinione diffusa che, nel migliore dei casi, i Tarocchi non siano che una curiosità, e, nel peggiore dei casi, un sistema divinatorio sfruttato dai furbetti a discapito dell’incolto o del credulone. Come suggerisce lo stesso significato che al termine ‘tarocco’ è stato assegnato nel tempo (falso, contraffatto), la pratica della lettura delle carte non sarebbe che una procedura permeata da un’aurea di mistero per raccontare, impunemente e sotto compenso, menzogne belle e buone.

Ma cosa sono i Tarocchi, e cosa possono rappresentare per colui il quale si appresta a considerarli senza pregiudizi ma, al contempo, senza ingenuità? Cerchiamo di avvicinare il fenomeno con la maggiore oggettività possibile. Innanzitutto, i Tarocchi sono un insieme di carte. Questo insieme è composto da due sottoinsiemi, ovvero 56 carte dette ‘arcani minori’, che poi sono le carte da briscola, con i quattro semi (dall’asso al dieci), più le carte di Corte (Fante, Cavaliere, Re, Regina), e 22 carte dette ‘arcani maggiori’, le quali presentano una simbologia più complessa (ne sono alcuni esempi il Mago, gli Innamorati, l’Eremita, l’Impiccato, la Morte, il Mondo etc.).

Voglio subito chiarire quali sono i due aspetti più interessanti legati ai Tarocchi, interessanti anche per colui il quale, giustamente, fosse scettico riguardo al potere divinatorio delle carte. Un primo aspetto, su cui mi dilungherò un pochino nel prosieguo, si riferisce alla ricchezza simbolica e filosofica delle carte. I Tarocchi, assunti come metodo particolare di indagine e osservazione della realtà o riflessione su di essa, possono e forse dovrebbero entrare in dialogo con un vasto insieme di tradizioni di pensiero filosofico che oggi hanno sicuramente perso il loro potere di avvicinarci alla verità, ma che possono nondimeno rappresentare un ottimo stimolo alla riflessione. Queste sono le cosiddette scienze o filosofie ermetiche; a partire dalla filosofia di Ermete Trimegisto (cfr. Corpus hermeticum), alla Cabala (specialmente quella di tradizione ermetica), all’alchimia, all’astrologia e alla magia.

Un secondo punto di interesse, meno legato alla speculazione sui simboli nelle carte, e più legato alla pratica di interpretare la realtà altrui o la propria per mezzo dei Tarocchi, è che le carte, e in particolare gli arcani maggiori, costituiscono quello che uno psicologo chiamerebbe nel suo linguaggio un ottimo materiale ‘proiettivo’, con ciò intendendo che le carte sono disegnate in modo tale da permettere a chi le osservi di spostare su di esse i propri sentimenti, alcune caratteristiche della propria storia personale o della propria personalità, e così via.

Questo secondo punto si spiega quasi da sé, e penso risulterà chiaro a chiunque abbia un poco di familiarità con le carte. La ricchezza simbolica degli arcani maggiori è tale da permettere un’ampia possibilità di lettura e identificazione. Inoltre, riflettendo contemporaneamente su più carte, le possibilità di creare delle narrazioni coerenti con una certa psicologia (es. la psicologia di Caio, piuttosto che di Tizio) si moltiplicano. In questo senso, chi legge i Tarocchi ha una libertà di interpretazione della persona quasi paragonabile a chi non avesse davanti a sé delle carte, ma un tavolo sgombro. Con ciò intendo dire che le carte non vincolano, se non in maniera marginale, l’interpretazione, proprio in virtù della loro ricchezza simbolica e della loro apertura a diversi significati. Tuttavia, chi tiene davanti a sé le carte, rispetto a chi non le tiene, ha il vantaggio pratico di poter strutturare un’interpretazione a partire da alcuni stimoli, i quali possono rivelarsi molto fecondi soprattutto nelle situazioni in cui chi interpreta abbia scarsa conoscenza della situazione da interpretare o della psicologia di chi viene interpretato.

Il primo punto di interesse, di cui sopra accennavo, invece è meno scontato, e ci dà occasione di introdurre ai Tarocchi. Poco si conosce sull’origine di queste carte, dunque non mi soffermo qui sulle questioni storico-critiche; compaiono durante il Medioevo, ma prodotti simili esistevano anche in India e in Cina, e sono chiaramente legati all’iniziazione dei misteri egizi. In ogni caso, è opinione del filosofo russo Petr Demianovic Ouspensky, che dedicò parte del suo lavoro alla riflessione sull’occultismo e sui Tarocchi (è possibile leggere il suo The symbolism of the Tarot. Philosophy of occultism in pictures and numbers), che le 78 carte siano uno dei metodi di cui l’uomo può disporre al fine di sviluppare una riflessione sulle ‘forze nascoste’ nella natura e nell’uomo stesso, a partire dagli stimoli provenienti dal simbolismo, e che, attraverso le carte, si possano insegnare la logica e gli elementi centrali del cosiddetto linguaggio esoterico.

Ouspensky propone un utile metodo o principio per dedurre l’interpretazione degli arcani. Possiamo immaginare di disporre le carte lungo il perimetro delle due figure qui sotto (per inciso, l’immagine è raffigurata anche in alcune versioni dell’arcano maggiore numero XIV, la Temperanza, ad esempio nella versione pensata da Waite e disegnata da Rider – cfr. The pictorial key to the Tarot, di Arthur Edward Waite).

Le 56 carte degli arcani minori andrebbero disposte lungo il perimetro del quadrato, 14 su ogni lato. Ventuno arcani maggiori, sette per lato, andrebbero a formare il triangolo, mentre l’arcano maggiore il Matto o il Folle, che è numerato zero, andrebbe posizionato centralmente. Il triangolo rappresenta Dio (la Trinità), il mondo delle idee o, altrimenti detto, la realtà noumenica. Il punto centrale rappresenta l’uomo, la sua anima, la sua coscienza. La carta del Matto rappresenta infatti la dimensione umana, con le sue debolezze e imperfezioni, e può essere contrapposta alla carta del Mago, la numero uno, dove l’uomo è nobilitato poiché viene mostrato come colui che controlla e conosce le forze nascoste e che collega, con la sua dimensione, ciò che è materiale a ciò che è spirituale, il fenomeno al noumeno. Nella carta del Mago, i quattro semi o simboli sono disposti sul tavolo di fronte a lui, mentre nella carta del Folle possiamo immaginare che siano nascosti nella sua sacca da viandante. Egli non li sa usare, e tuttavia questi non smettono di conservare la loro potenza. Il quadrato, infine, rappresenta la realtà terrena, il mondo dell’esperienza, quello fisico (come opposto a spirituale).

Ora, a partire da questa immagine, dobbiamo considerare che ogni arcano minore ha un seme: bastoni, coppe, spade e denari. Il mondo fisico è dunque composto da questi quattro elementi. Qui è utile ragionare per analogia con quanto accade nella riflessione esoterica ebraica tramandata nella Cabala. I rabbini pensano che il mondo sia composto da quattro elementi o principi che ne formano uno, ovvero Dio. Questi principi sono rappresentati dal tetragramma, le quattro lettere del nome di Dio (Geova o Yahweh). Come molti sapranno, nella lingua ebraica scritta non compaiono le vocali, dunque le quattro lettere sono Y-H-W-H. Non entro nel dettaglio, ma ognuna di queste lettere ha un significato simbolico.

La cosa interessante di questo insegnamento è l’idea che ogni fenomeno sia in realtà costituito da questi quattro principi, sicché ogni cosa è permeata della sostanza e della parola (del nome) del Dio, e compito dello studioso è proprio quello di ridurre la diversità percepita nel mondo in una comprensione che sia in grado di vedere le analogie e le similitudini fra le cose e come queste sono imparentate tra loro per mezzo dell’idea di Dio. Tutto esiste secondo la logica del nome di Dio, e tutto è comprensibile attraverso questa lente. Maggiore è la capacità di trovare analogie nelle cose sotto il potere ‘sintetico’ del nome di Dio, maggiore è la sapienza e la consapevolezza del rabbino.

Un ragionamento simile è applicabile anche ai Tarocchi. I quattro semi delle 56 carte corrispondono infatti alle quattro lettere che compongono il nome di Dio. Ma non solo. Corrispondono anche ai quattro elementi alchemici (fuoco, acqua, aria e terra) e alle quattro classi di spiriti (elfi, spiritelli, silfidi e gnomi). I bastoni corrispondono al fuoco e alla classe degli elfi, le coppe all’acqua e agli spiritelli, le spade all’aria e ai silfidi, i denari alla terra e agli gnomi. Re, regina, cavallo e fante corrispondono, rispettivamente, ai quattro principi, nell’ordine in cui li abbiamo elencati. Così i numeri dall’uno al quattro, e quelli dal cinque all’otto, e così via. Tutta la realtà è composta da questi principi e dal simbolismo a loro associato, e la totalità delle combinazioni possibili delle carte esaurisce l’esperienza di coscienza dell’uomo, di quel punto al centro del triangolo che comprende in sé l’intero quadrato. Ci sarebbero altri dettagli da fornire rispetto all’interpretazione delle carte, ma credo che quanto detto possa bastare a dare l’idea generale.

Due appunti conclusivi. Il primo è che la singola carta andrebbe compresa e interpretata in relazione alle altre, perché da sola non esprime la ricchezza simbolica che nasce per lo più dall’interazione fra le diverse carte. Non è tanto, in questo senso, la carta a esprimere una certa esperienza fenomenica, quanto piuttosto una combinazione di carte. Il secondo appunto è che i Tarocchi sono utili come metodo in grado di favorire l’intuizione sulla realtà perché i loro simboli non hanno significati definiti. Piuttosto, i significati delle carte sono il prodotto di una creazione continua da parte dell’interprete. Questa apertura a diversi significati, particolarmente ampia o ricca nella serie delle figure degli arcani maggiori, è all’origine del carattere sfuggevole e fantastico dei Tarocchi.

Credo che questo mazzo di carte vada preso per quello che è. Da una parte, si tratta di un metodo per interrogare la realtà che non ha nessuna validità sul piano scientifico o della ragione, dall’altra, si tratta di un ottimo strumento, carico di fascino simbolico, per allenare il pensiero ad addentrarsi nella sfera del fantastico rispettando alcune griglie interpretative che sono abbastanza strette da favorire un certo rigore nella creatività e abbastanza larghe da permettere ampio spazio all’immaginazione.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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