Nel 1766 nasceva a Parigi Germaine Necker, più nota come Madame de Staël. Nel 250° anniversario della sua nascita Bibliosofica Editrice pubblica un volume costituito da due saggi, di cui il secondo inedito in italiano, che donano nuova luce alla complessa e affascinante figura dell’autrice.
L’introduzione, a cura di Livio Ghersi, ci offre le coordinate storiche fondamentali. Anne-Louise Germaine Necker, è stata una scrittrice francese di origini svizzere vissuta tra la seconda metà del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Figlia di Jacques Necker, Controllore generale delle finanze sotto il regno di Luigi XVI, acquisisce il cognome de Staël in seguito al matrimonio con il barone de Staël-Holstein, ambasciatore svedese presso il governo francese.
Di ideali liberali, estimatrice del modello monarchico costituzionale inglese, restò delusa dallo sviluppo politico della Rivoluzione Francese. Dopo il famigerato e tremendo Terrore giacobino di Robespierre, un uomo solo, Napoleone Bonaparte, assunse il controllo totale della sua amata Francia, trasformando la Repubblica in Impero. Invisa al regime per le sue idee e per i suoi scritti, nel 1803 fu costretta all’esilio. Colse quest’occasione per girare l’Europa, interessandosi alle culture straniere ed entrando in contatto con i maggiori intellettuali dell’epoca.
Dopo la sconfitta e l’esilio di Napoleone, poté tornare in Francia, a Parigi, dove spirò, per una curiosa coincidenza, nel giorno della ricorrenza della presa della Bastiglia, il 14 luglio dell’anno 1817.
Nel primo saggio, Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau, l’autrice analizza lo stile, il pensiero e il carattere del filosofo e intellettuale ginevrino. La de Staël mostra la sua natura poliedrica esponendo chiaramente, e in certi casi criticando, il pensiero del Rousseau su una moltitudine di temi affrontati nelle sue numerose opere. Si va dal tema dell’educazione giovanile dell’Emilio, all’idea di stato democratico del Contratto sociale, dal Discorso sulle scienze e le arti, alle opere di botanica, all’insegna del miglior enciclopedismo illuminista.
Al di là delle poche (e tiepide) critiche, l’ammirazione per Rousseau emerge continuamente; la stessa autrice non cerca in alcun modo di mascherarla. Il suo saggio vuole essere un omaggio alla memoria del filosofo, figura tanto discussa e criticata in campo illuminista. E tale volontà della de Staël si palesa senza indugi nella prima frase della prefazione al saggio: “Non esiste ancora alcun elogio di Rousseau, ed io ho sentito il bisogno di veder espressa la mia ammirazione nei suoi confronti”.
E qui sta l’unico limite del saggio, per quanto considerabile un limite minore visto l’obiettivo dichiarato nella suddetta frase. È vero che la de Staël si destreggia alquanto bene all’interno del vasto e vario pensiero del Rousseau. Cerca di portare avanti la sua critica in modo scientifico. Ma, sia nei numerosi casi di critica positiva che nei pochissimi casi di critica negativa, dopo buoni spunti ed argomentazioni il discorso abbandona in parte i presupposti iniziali sconfinando in un campo meno razionale e più emozionale. Ad ogni modo, come accennato in precedenza, questo è un limite minore in quanto non inficia l’intenzione espressa dall’autrice nella prefazione. E tale scelta contribuisce a variare il ritmo del saggio e a farci apprezzare non solo il pensiero del Rousseau ma anche, e soprattutto, il suo animo, la sua indole. Il risultato è un saggio che, oltre che da stimolo per la mente, agisce anche da stimolo per il cuore, a tratti quasi unendo lettore e scrittrice in una sorta di comunione empatica. Questa tendenza esplode nell’ultima parte, Sul carattere di Rousseau, la più adatta allo stile e al linguaggio dell’autrice.
L’impressione finale è di conoscere un po’ meglio il filosofo per quanto riguarda il suo pensiero e, soprattutto, per quanto riguarda il suo animo grazie a questo saggio, un “ritratto” ideologico e interiore dipinto forse in uno stile poco obiettivo ma con una tenerezza e una passione degne di un grande artista.
Il secondo saggio, Riflessioni sul suicidio, è dedicato a Charles-Jean-Baptiste Jules Bernadotte, generale di Napoleone designato nel 1810 a succedere al re Carlo XIII di Svezia e, negli anni seguenti, avversario dello stesso Napoleone. Il filo conduttore tra questo e il saggio precedente è legato alla tesi, affatto diffusa ai tempi della de Staël, secondo la quale Rousseau si sarebbe suicidato, tesi difesa dalla stessa autrice.
Nella prima sezione l’autrice analizza l’azione della sofferenza sull’animo umano (n.d.r. La sofferenza fisica, al contrario, non è presa in considerazione), nella seconda si espongono le prescrizioni della religione cristiana nei confronti del suicidio, nella terza si indica in cosa consista la più grande dignità morale dell’uomo. La de Staël ammette subito che, pur essendo principalmente un gesto egoistico e violento, il suicidio può non esser considerato un gesto malvagio nei casi in cui sia volto al porre fine ad una forte ed inevitabile sofferenza interiore. Riflette anche sul libero arbitrio, in questo caso esponendo il caso di Rousseau e citando, per poi confutarlo, un passo del romanzo dello stesso Giulia o la nuova Eloisa, nel quale si difende la libertà di togliersi la vita. Tutto ciò passa attraverso un’ottica prettamente cristiana, sintomatica della ritrovata spiritualità dell’autrice.
Nella parte finale all’egoismo e al ristretto orizzonte di chi sceglie di togliersi la vita per sfuggire ai dolori terreni, contrappone la dignità morale di chi si abbandona alla dedizione, cioè all’atto di dedicarsi totalmente al bene comune e a qualunque causa possa sostenerlo. Scegliere di vivere nonostante le sofferenze, sopportarle abbracciando la rassegnazione cristianamente intesa, dedicare la propria vita al bene comune e, fosse necessario, offrire a questa causa la propria vita. In ciò consiste la più grande dignità morale dell’uomo.
In questo secondo saggio si nota la forte influenza della salda fede cristiana della de Staël. L’impegno dell’autrice nel portare avanti la sua riflessione e la sua preparazione culturale appaiono notevoli come sempre. Ma l’influenza di cui sopra indebolisce il suo ragionamento rendendolo pericolante. Al di là delle considerazioni della prima parte del saggio riguardo l’azione della sofferenza sull’animo, il resto della ragionamento si muove su un substrato spirituale offerto come valido a priori.
La solidità della riflessione pare in parte compromessa ma ciò non inficia l’aspetto che costituisce il vero valore aggiunto dell’opera. Vale a dire che la conclusione finale sulla dignità morale dell’uomo che si abbandona al sacro principio della dedizione assume ai miei occhi un importante valore pedagogico, quasi un tentativo di “riforma delle coscienze” tanto apprezzabile da mettere in secondo piano le crepe dell’impalcatura generale della riflessione.
Se il motore del primo saggio è chiaramente la profonda ammirazione della de Staël nei confronti di Rousseau, il secondo saggio pare un prodotto del vissuto dell’autrice metabolizzato in maniera originale dal suo animo passionale. Un’autrice senza dubbio più matura rispetto all’entusiasta “partigiana” del primo saggio, e che mostra maggior sicurezza e disinvoltura nella conduzione della sua riflessione.
In conclusione il presente volume può essere visto come uno strumento di avvicinamento al personaggio e alla ideologia della de Staël prima di avere a che fare con opere più impegnative, e una lettura che, se inquadrata nell’ambito dell’idealismo post-illuminista proprio dell’autrice, dimostra un valore morale non trascurabile.
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