NOTA DEL TRADUTTORE
La traduzione in italiano del testo di George E. Moore, A Defence of Common Sense, è nata dall’esigenza di riflettere sui fondamenti della filosofia. I cosiddetti filosofi del senso comune sono considerati in genere come gli esponenti di un capitolo minore della storia della filosofia. Eppure un implicito “senso comune” sembra essere un sottotesto presente nella riflessione anche dei maggiori filosofi. Prendiamo per esempio un qualsiasi filosofo idealista, che esprime nelle sue opere l’idea che il mondo sia una creazione dell’Io pensante. Se questo filosofo si rivolge ad altri filosofi, o semplicemente include nelle sue frasi, anche non filosofiche, l’idea di un “Noi”, sta in un certo senso tradendo la propria filosofia. Sta esprimendo, infatti, un concetto del senso comune, una sorta di assioma indimostrabile filosoficamente o logicamente, ovvero che è certo che esiste una moltitudine di esseri coscienti e che ognuno di essi può essere in qualche modo in contatto con gli altri. Il testo di Moore che ho tradotto esplora in modo approfondito questa contraddizione nonché l’universalità di alcuni concetti che definiamo appunto come “senso comune”.
– Si segnalano:
Breve biografia di George E. Moore.
Il testo originale del testo tradotto.
In difesa del senso comune
In ciò che segue ho cercato semplicemente di chiarire, uno per uno, alcuni dei punti più importanti in cui la mia posizione filosofica differisce dalle posizioni assunte da alcuni altri filosofi. È possibile che i punti che ho ritenuto di menzionare non siano realmente i più importanti, e forse riguardo ad alcuni di essi nessun filosofo ha mai pensato davvero cose diverse dalle mie. Tuttavia, per quanto mi è dato sapere, su ognuno di questi punti molti sono stati effettivamente in disaccordo; anche se (nella maggior parte dei casi, se non altro) su ciascuno di essi molti si sono trovati d’accordo con me.
I. Il primo punto abbraccia un gran numero di altri punti. Ed è uno che non posso esprimere con la chiarezza che desidero, se non al costo di una certa lunghezza. Il metodo che sto per utilizzare per esprimerlo è questo. Incomincerò enunciando sotto il titolo (1) una lunga lista di affermazioni, che possono apparire, a prima vista, truismi così ovvi da non meritare menzione: esse costituiscono, infatti, un insieme di affermazioni, ciascuna delle quali (secondo la mia personale opinione) io so, con certezza, essere vera. Successivamente, sotto il titolo (2) enuncerò una singola affermazione, che fa un’asserzione circa un intero insieme di classi di affermazioni, ciascuna classe essendo definita come la classe composta da tutte le asserzioni che assomigliano a una delle asserzioni in (1) per un certo aspetto. (2), pertanto, è un’asserzione che potrebbe anche non essere dichiarata, finché l’elenco di asserzioni in (1), o altro simile elenco, è già stato dato. (2) è essa stessa un’affermazione che può sembrare un truismo talmente ovvio da non meritare menzione: ed è anche un’affermazione che (secondo la mia personale opinione) io so, con certezza, essere vera. Ma, ciò non di meno, essa è, per quanto mi è dato sapere, un’affermazione riguardo la quale molti filosofi si sono trovati, per differenti ragioni, in disaccordo con me; anche se non hanno negato direttamente (2) in se stessa, hanno abbracciato visioni con essa incompatibili. Il mio punto di partenza, dunque, è che (2), insieme con tutte le sue implicazioni, alcune delle quali menzionerò espressamente, è vera.
(1) Comincio pertanto con il mio elenco di truismi, ciascuno dei quali (secondo la mia personale opinione) io so, con certezza, essere vero. Le affermazioni da includere in questa lista sono le seguenti:
Esiste attualmente un corpo umano vivente, che è il mio corpo. Questo corpo nacque in un certo momento del passato e da allora è esistito ininterrottamente, benché non senza incorrere in cambiamenti: esso era, per esempio, molto più piccolo quando è nato, e lo è stato per un certo tempo successivo, rispetto a ora. Sin dalla nascita è stato o a diretto contatto o non molto distante dalla superficie della Terra; e, in qualsiasi momento a partire dalla nascita, sono esistite anche molte altre cose, dotate di forma e grandezza in tre dimensioni (nello stesso senso familiare in cui esso lo è), rispetto alle quali si è trovato a varie distanze (nel senso familiare in cui si trova ora a una certa distanza e dal caminetto e dalla libreria, e a una distanza maggiore dalla libreria che non dal caminetto); sono inoltre esistite (per lo meno molto spesso) alcune altre cose di questo tipo, con le quali esso è stato in contatto (nel senso familiare in cui è ora in contatto con la penna che sto stringendo nella mano destra e con alcuni degli indumenti che indosso). Tra le cose che hanno, in questo senso, formato parte del suo ambiente (cioè sono state o in contatto con esso o a una certa distanza da esso, per quanto grande), ci sono stati, in qualsiasi momento a partire dalla sua nascita, un grande numero di altri corpi umani viventi, ciascuno dei quali, allo stesso modo, (a) è nato in un dato momento, (b) ha continuato ad esistere per un certo tempo dopo la nascita, (c) è stato, in qualsiasi momento della sua vita dopo la nascita, o in contatto con o non molto distante dalla superficie della Terra; e molti di questi corpi sono già morti e hanno cessato di esistere. Ma la Terra è anche esistita per molti anni prima che il mio corpo nascesse; e per molti di questi anni, inoltre, un gran numero di corpi umani ha, in ogni momento, vissuto su di essa; e molti di questi corpi sono morti e hanno cessato di esistere prima che esso nascesse. Infine (per venire a una differente classe di asserzioni), io sono un essere umano, e ho avuto, in momenti differenti sin da quando il mio corpo è nato, molte differenti esperienze, di molti tipi diversi: per esempio, ho spesso percepito sia il mio corpo sia altre cose che formavano parte del suo ambiente, inclusi altri corpi umani; ho non soltanto percepito cose di questo genere, ma ho anche osservato fatti che le riguardavano, come per esempio il fatto che sto ora osservando, che il caminetto si trova attualmente più vicino al mio corpo che non la libreria; sono stato consapevole di altri fatti, che non stavo all’epoca osservando, come per esempio il fatto, di cui sono ora consapevole, che il mio corpo esisteva ieri ed è stato anche per qualche tempo più vicino al caminetto che non alla libreria; ho avuto aspettative per il futuro e molte credenze di altro tipo, sia vere sia false; ho pensato cose immaginarie, persone e avvenimenti, nella realtà dei quali non credevo; ho avuto sogni; e ho avuto sentimenti di molti tipi differenti. E, proprio come il mio corpo è stato il corpo di un essere umano, per la precisione me stesso, che ha, nel corso della sua vita, avuto molte esperienze di ciascuno di questi (ed altri) tipi differenti, così, nel caso del gran numero di altri corpi umani che hanno vissuto sulla Terra, ognuno è stato il corpo di un diverso essere umano, che ha, nel corso della vita del suo corpo, avuto molte differenti esperienze di ciascuno di questi (ed altri) tipi differenti.
(2) Vengo ora al singolo truismo che, come si vedrà, non poteva essere espresso se non in riferimento all’intero elenco di truismi appena dato in (1). Inoltre, questo truismo (secondo la mia personale opinione) io so, con certezza, essere vero; ed è come segue:
Nel caso di molti degli esseri umani (non dico tutti) appartenenti alla classe (che include me stesso) definita nel modo seguente, cioè come esseri umani che hanno posseduto corpi umani, che sono nati e hanno vissuto per un dato tempo sulla Terra, e che hanno, nel corso della vita di questi corpi, avuto molte differenti esperienze di ciascuno dei tipi menzionati in (1), è vero che ciascuno, durante la vita del suo corpo, ha conosciuto di frequente, riguardo se stesso e il suo corpo, e in un dato tempo precedente qualsiasi dei momenti in cui ho scritto le asserzioni in (1), un’asserzione corrispondente a ciascuna delle asserzioni in (1), nel senso che essa asserisce, riguardo se stesso e il suo corpo e il tempo precedente in questione (cioè, in ogni caso, il tempo in cui egli venne a saperlo), esattamente ciò che la corrispondente asserzione in (1) asserisce relativamente a me o al mio corpo e al tempo in cui ho scritto quell’asserzione.
In altre parole, ciò che (2) afferma è soltanto (il che sembra un truismo abbastanza ovvio) che ciascuno di noi (intendendo per ‘noi’ un gran numero di esseri umani della classe definita) ha frequentemente saputo, circa se stesso o il suo corpo e il tempo in cui venne a saperlo, ognuna delle cose che, nel mettere giù la mia lista di asserzioni in (1), io stavo dichiarando di sapere circa me stesso o il mio corpo e il tempo in cui ho scritto quell’affermazione: cioè, proprio come io sapevo (quando lo scrissi) che “Esiste al presente un corpo umano vivente che è il mio corpo”, allo stesso modo ciascuno di noi è stato frequentemente al corrente, riguardo se stesso e un certo altro tempo, della differente ma corrispondente asserzione, che egli avrebbe potuto correttamente esprimere allora con “Esiste al presente un corpo umano vivente che è il mio corpo”; proprio come io so che “Molti corpi umani diversi dal mio hanno vissuto sulla Terra prima di ora”, così ciascuno di noi è stato di frequente al corrente della differente ma corrispondente asserzione che “Molti corpi umani diversi dal mio hanno vissuto sulla Terra prima di ora”; proprio come io so che “Molti esseri umani differenti da me hanno prima di ora percepito e sognato e sentito”, così ciascuno di noi è stato di frequente al corrente della differente ma corrispondente affermazione che “Molti esseri umani differenti da me hanno prima di ora percepito e sognato e sentito”; e lo stesso vale per ciascuna delle affermazioni enumerate in (1).
Spero che non vi sia alcuna difficoltà nel comprendere, fin qui, ciò che l’affermazione (2) asserisce. Ho cercato di chiarire per mezzo di esempi cosa intendo per “asserzioni corrispondenti a ciascuna delle asserzioni in (1)”. E ciò che (2) afferma è semplicemente che ciascuno di noi ha di frequente saputo essere vera un’affermazione corrispondente (in quel senso) a ciascuna delle affermazioni in (1): una differente affermazione corrispondente, ovviamente, per ciascuna delle volte in cui egli sapeva che una simile asserzione era vera.
Rimangono tuttavia due punti, che, in ragione del modo in cui alcuni filosofi hanno usato la lingua inglese, devono – io credo – essere esplicitamente menzionati, se voglio rendere assolutamente chiaro ciò che sto esattamente asserendo nell’asserire (2).
Il primo punto è questo. Alcuni filosofi sembrano aver pensato che fosse legittimo usare la parola ‘vero’ in senso tale che un’affermazione che è parzialmente falsa può nondimeno essere anche vera; e alcuni di essi, perciò, direbbero forse che affermazioni come quelle enumerate in (1) sono, secondo loro, vere, mentre rimangono sempre convinti che ciascuna di quelle affermazioni sia parzialmente falsa. Desidero pertanto rendere assolutamente chiaro che non sto usando ‘vero’ in un senso simile. Lo sto usando nel senso (e credo che questo sia l’uso ordinario) che, se un’affermazione è parzialmente falsa, ne consegue che non è vera, benché, ovviamente, possa essere parzialmente vera. Sto affermando, in breve, che tutte le asserzioni in (1), nonché molte asserzioni corrispondenti a ciascuna di esse, sono interamente vere; sto affermando questo nell’affermare (2). Da ciò segue che qualsiasi filosofo che, riguardo alcune o tutte queste classi di affermazioni, è convinto in realtà che ciascuna asserzione della classe in questione sia parzialmente falsa, si trova in effetti in disaccordo con me e sostiene una posizione incompatibile con (2), benché possa ritenersi giustificato nel dire che egli crede che alcune affermazioni appartenenti a tutte queste classi siano ‘vere’.
E il secondo punto è questo. Alcuni filosofi sembrano aver pensato che sia legittimo usare espressioni come, per esempio, “La Terra è esistita per molti anni nel passato” come se stessero esprimendo qualcosa in cui credono davvero, quando in realtà credono che qualsiasi asserzione, che con una simile espressione s’intenderebbe ordinariamente esprimere, sia quanto meno parzialmente falsa; mentre tutto ciò che essi realmente credono è che esiste qualche altro insieme di asserzioni, collegato in qualche modo a quelle che tali espressioni di fatto esprimono, le quali, a differenza di queste, sono effettivamente vere. In altre parole, usano l’espressione “La Terra è esistita per molti anni nel passato” per esprimere non ciò che ordinariamente s’intenderebbe esprimere, ma l’asserzione che una certa asserzione, collegata a questa in un certo modo, è vera; e al contempo restano convinti che l’asserzione, che con quest’espressione s’intenderebbe ordinariamente esprimere, sia, quanto meno parzialmente, falsa. Desidero pertanto rendere assolutamente chiaro che non sto usando le espressioni che ho adoperato in (1) in alcun senso sottile di questo genere. Ho inteso con ciascuna di esse precisamente ciò che qualsiasi lettore, nel leggerle, avrà inteso che volessi dire. E, pertanto, qualsiasi filosofo che ritiene che qualcuna di queste espressioni, se intesa in questo modo comune, esprima un’affermazione che incorpora un qualche errore comune, si trova ad essere in disaccordo con me e mantiene una posizione incompatibile con (2), anche se può pensare che esista qualche altra asserzione, vera, che l’espressione in questione potrebbe essere usata legittimamente per esprimere.
In ciò che ho appena detto, ho assunto che esista un qualche significato che è il significato ordinario e comune di espressioni quali “La Terra è esistita per molti anni nel passato”. E questa, temo, è un’assunzione che alcuni filosofi sono capaci di mettere in discussione. Essi sembrano pensare che la domanda “Credi che la Terra sia esistita per molti anni nel passato?” non sia una domanda banale, tale che possa essere soddisfatta da un semplice “Sì” o “No” o da un altrettanto semplice “Non saprei”, ma è il tipo di domanda a cui si può rispondere propriamente con: “Tutto dipende da ciò che intendi con ‘la Terra’ ed ‘esiste’ e ‘anni’: se intendi dire così e così, e così e così, e così e così, allora rispondo sì; se, invece, intendi dire così e così, e così e così, e così e così, allora rispondo no, o quantomeno penso che sia estremamente dubbio”. Mi sembra che non possa esservi un modo di vedere le cose più profondamente sbagliato. Un’espressione quale “La Terra è esistita per molti anni nel passato” è esattamente il tipo di espressione inequivocabile, il cui significato è comprensibile a tutti. Chiunque pensi il contrario deve – suppongo – star confondendo la domanda se noi comprendiamo il suo significato (e noi tutti certamente lo comprendiamo) con la domanda, del tutto differente, se sappiamo ciò che essa vuol dire, nel senso che siamo in grado di fornire una corretta analisi del suo significato. La domanda qual è la corretta analisi dell’affermazione significata in ogni occasione (poiché, ovviamente, ciascuna specifica circostanza in cui l’espressione è usata implica, come ho insistito nel definire (2), una differente asserzione) con “La Terra è esistita per molti anni nel passato” è – mi sembra – una domanda profondamente difficile, alla quale, come cercherò fra breve di dimostrare, nessuno conosce la risposta. Ma l’ammettere che non sappiamo quale sia, per certi aspetti, l’analisi di ciò che comprendiamo con tale espressione, è cosa del tutto differente dall’affermare che non comprendiamo l’espressione. È ovvio che non possiamo neppure sollevare la questione di come debba essere analizzato ciò che di essa comprendiamo, se prima non l’abbiamo capita. Pertanto, non appena ci rendiamo conto che la persona che adopera tale espressione la sta usando nel suo significato ordinario, ne afferriamo il senso. Sicché, nello spiegare che stavo usando le espressioni adoperate in (1) nel loro senso ordinario (quelle di esse che possiedono un senso ordinario, il che non vale proprio per tutte), ho fatto tutto ciò che è necessario per chiarire quel che intendevo significare.
Ma ora, assumendo che le espressioni che ho adoperato per esprimere (2) siano comprese, penso, come ho già detto, che molti filosofi abbiano in realtà assunto posizioni incompatibili con (2). E tali filosofi, a me sembra, possono essere suddivisi in due gruppi principali. A. Ciò che (2) asserisce, riguardo a un intero insieme di classi di affermazioni, è che noi abbiamo, ciascuno di noi, frequentemente saputo essere vere affermazioni appartenenti a ciascuna di queste classi. Ed un modo di tenere una posizione incompatibile con questa affermazione è, naturalmente, di ritenere, riguardo a una o più delle classi in questione, che nessuna affermazione di tali classi sia vera: ovvero che tutte loro sono, per lo meno parzialmente, false; poiché se, nel caso di ciascuna di queste classi, nessuna affermazione ad esse appartenenti è vera, è ovvio che nessuno può aver riconosciuto alcuna asserzione di una simile classe come vera, e perciò che noi non possiamo aver saputo essere vere asserzioni appartenenti a ciascuna di queste classi. E il mio primo gruppo di filosofi consiste di filosofi che hanno tenuto posizioni incompatibili con (2) per questa ragione. Essi hanno ritenuto, riguardo una o più delle classi in questione, semplicemente che nessuna affermazione di quella classe sia vera. Alcuni di loro hanno pensato ciò riguardo a tutte le classi in questione; alcuni solo riguardo ad alcune di esse. Ma, naturalmente, qualsiasi di queste due posizioni abbiano tenuto, la loro posizione è inconsistente con (2). B. Alcuni filosofi, d’altra parte, non si sono avventurati ad affermare, riguardo a ciascuna delle classi in (2), che nessuna affermazione di tali classi è vera, ma ciò che hanno affermato è che, nel caso di alcune di queste classi, nessun essere umano ha mai saputo, con certezza, che una qualsiasi asserzione di tali classi sia vera. Ciò vale a dire che essi differiscono profondamente dai filosofi del gruppo A, dal momento che ritengono che affermazioni di tutte queste classi possano essere vere; ma nondimeno abbracciano una posizione incompatibile con (2), poiché assumono, riguardo ad alcune di queste classi, che nessuno di noi ha mai saputo che un’affermazione delle classi in questione sia vera.
A. Ho detto che alcuni filosofi, appartenenti a questo gruppo, hanno ritenuto che nessuna affermazione appartenente a ciascuna delle classi in (2) sia totalmente vera, mentre altri lo hanno pensato solo riguardo ad alcune delle classi in (2). Ed io credo che la principale differenza in questa categoria sia stata la seguente. Alcune delle affermazioni in (1) (e perciò, ovviamente, tutte le affermazioni appartenenti alle corrispondenti classi in (2)) sono affermazioni che non possono essere vere a meno che alcune cose materiali siano esistite e siano state in relazioni spaziali l’una con l’altra: si tratta, cioè, di affermazioni che, in un certo senso, implicano la realtà di cose materiali e la realtà dello Spazio. Per esempio, l’affermazione che il mio corpo è esistito per molti anni nel passato ed è stato, in ciascun momento durante quel tempo, in contatto con o non molto distante dalla Terra, è un’asserzione che implica sia la realtà di cose materiali (posto che si usi ‘cose materiali’ in senso tale che negare la realtà di cose materiali implichi che nessuna affermazione che asserisce che siano esistiti corpi umani, o che la Terra sia esistita, sia interamente vera) ed anche la realtà dello Spazio (posto, di nuovo, che si usi ‘Spazio’ in senso tale che negare la realtà dello Spazio implichi che nessuna affermazione che asserisce che qualcosa sia mai stata in contatto con o a una certa distanza da un’altra, nel senso familiare evidenziato in (1), sia interamente vera). Ma altre tra le affermazioni in (1) (e, di conseguenza, tra le affermazioni appartenenti alle corrispondenti classi in (2)) non implicano (quanto meno non in modo ovvio) né la realtà di cose materiali né la realtà dello Spazio: per esempio, le affermazioni che io ho spesso avuto sogni e che ho provato molti differenti sentimenti in differenti occasioni. È vero, invece, che le affermazioni di questa seconda classe implicano una cosa che è implicata anche da tutte le affermazioni della prima, cioè che (in un certo senso) il Tempo è reale; ed implicano anche una cosa non implicata dalle affermazioni della prima classe, cioè che (in un certo senso) almeno un Sé è reale. Ma credo che vi siano alcuni filosofi che, pur negando che (nei sensi in questione) le cose materiali o lo Spazio siano reali, abbiano voluto ammettere che Sé e Tempo sono reali, nel senso richiesto. Altri filosofi, d’altra parte, hanno usato l’espressione “Il Tempo non è reale”, per esprimere una certa visione da loro assunta; e per lo meno alcuni di loro – io penso – intesero con quest’espressione qualcosa di incompatibile con la verità di ciascuna delle affermazioni in (1): essi hanno voluto intendere, cioè, che tutte le asserzioni del tipo che è espresso con l’uso di ‘ora’ o ‘al presente’, per esempio “Sto ora vedendo e ascoltando” o “Esiste al presente un corpo umano vivente”, o con l’uso del tempo passato, per esempio “Ho avuto molte esperienze nel passato” o “La Terra è esistita per molti anni”, siano, quanto meno parzialmente, false.
Tutte le quattro espressioni che ho appena introdotto, cioè “Le cose materiali non sono reali”, “Lo Spazio non è reale”, “Il Tempo non è reale”, “Il Sé non è reale”, sono, io penso, a differenza delle espressioni che ho usato in (1), realmente ambigue. Ed è possibile che qualche filosofo abbia usato tali espressioni per esprimere una sua visione che non era incompatibile con (2). Non è a tali filosofi, seppure ve ne sono, che io sono al momento interessato. Tuttavia a me sembra che l’uso più naturale e proprio di ciascuna di queste espressioni sia un uso che esprime una visione incompatibile con (2); e, per ciascuna di esse, vi sono stati filosofi, io credo, che hanno realmente usato tali espressioni per esprimere visioni di questo tipo. Tutti questi filosofi, pertanto, hanno abbracciato una posizione incompatibile con (2).
Simili visioni, che siano incompatibili con tutte le asserzioni in (1) o soltanto con alcune di esse, mi appaiono con assoluta certezza false; ritengo inoltre che, a tal proposito, i seguenti punti meritino una speciale attenzione:
(a) Se qualcuna delle classi di affermazioni in (2) è tale che nessuna affermazione di quella classe è vera, allora nessun filosofo è mai esistito, e pertanto nessuno può aver mai sostenuto, riguardo a una simile classe, che nessuna affermazione ad essa appartenente è vera. In altre parole, l’affermazione che alcune affermazioni appartenenti a ciascuna di queste classi sono vere è un’affermazione che ha la peculiarità che, se qualche filosofo la ha mai negata, segue dal fatto che l’ha negata che egli deve aver sbagliato nel negarla. Ciò perché, quando parlo di ‘filosofi’, intendo ovviamente (come noi tutti facciamo) esclusivamente filosofi che sono stati esseri umani, con corpi umani che hanno vissuto sulla Terra e che, in differenti occasioni, hanno avuto molte differenti esperienze. Se, pertanto, c’è stato qualche filosofo che è stato un essere umano di questa classe; e se ci sono stati esseri umani di questa classe, allora anche tutto il resto di ciò che è stato asserito in (1) è certamente vero. Di conseguenza, qualsiasi visione incompatibile con l’affermazione che molte asserzioni corrispondenti a ciascuna delle asserzioni in (1) sono vere, può essere vera soltanto sulla base dell’ipotesi che nessun filosofo abbia mai sostenuto una simile visione. Ne consegue, dunque, che, nel valutare se quest’affermazione è vera, io non posso coerentemente pensare che il fatto che molti filosofi, verso i quali nutro rispetto, abbiano, per quanto ne so, tenuto posizioni incompatibili con essa, possa avere un minimo peso contro di essa. Ciò perché, se so che hanno avuto simili posizioni, so anche, ipso facto, che si stavano sbagliando; e, se non ho alcuna ragione di credere che l’affermazione in questione sia vera, ho ancor meno ragione di credere che essi abbiano tenuto posizioni incompatibili con essa; poiché sono più certo che essi sono esistiti e hanno assunto qualche posizione, cioè che l’affermazione in questione è vera, piuttosto che essi hanno avuto visioni incompatibili con essa.
(b) È accaduto, ovviamente, che tutti i filosofi che hanno tenuti simili posizioni hanno poi espresso, persino nelle loro opere filosofiche, altre visioni incoerenti con quelle: nessun filosofo, cioè, è riuscito a mantenere posizioni di quel tipo in modo coerente. Uno dei modi in cui hanno rivelato tale inconsistenza è per mezzo dell’allusione all’esistenza di altri filosofi. Un altro modo è l’allusione all’esistenza della specie umana e in particolare l’uso del ‘noi’ nel senso in cui l’ho già costantemente adoperato fin qui, uso nel quale qualsiasi filosofo che asserisca che ‘noi’ facciamo così e così, per esempio che “noi prestiamo fede talvolta ad affermazioni che non sono vere”, sta asserendo non soltanto che egli stesso ha fatto la cosa in questione, ma che molti altri esseri umani, che hanno posseduto corpi e hanno vissuto sulla Terra, hanno fatto la stessa cosa. Il fatto è, naturalmente, che tutti i filosofi sono appartenuti alla classe degli esseri umani, che esiste solo se (2) è vera: vale a dire, alla classe degli esseri umani che sono stati frequentemente certi di affermazioni corrispondenti a ciascuna delle affermazioni in (1). Nel mantenere posizioni incompatibili con l’affermazione che le asserzioni di tutte queste classi sono vere, essi hanno perciò tenuto posizioni incoerenti con asserzioni che essi stessi sapevano essere vere; e non c’è pertanto da meravigliarsi se abbiano tradito di tanto in tanto la loro accettazione di tali asserzioni. La cosa strana è che quei filosofi sarebbero dovuti riuscire ad attenersi sinceramente, come parte del loro credo filosofico, ad asserzioni in contraddizione con ciò che essi stessi sapevano essere vero; e tuttavia, per quanto mi è dato capire, questo è ciò che spesso è davvero accaduto. La mia posizione, dunque, riguardo questo primo punto, differisce da quella dei filosofi appartenenti a questo gruppo A, non nel fatto che io credo in qualcosa in cui loro non credono, ma solo in ciò: che non assumo, come parte del mio credo filosofico, posizioni che essi assumono come parte del loro, vale a dire affermazioni incoerenti con altre, la cui verità entrambi, loro ed io, assumiamo in comune. E non mi sembra una differenza di poco conto.
(c) Alcuni di questi filosofi hanno portato avanti, in favore della loro posizione, argomenti concepiti per dimostrare, nel caso di alcune o tutte le affermazioni in (1), che nessuna affermazione di quel tipo può essere interamente vera, perché ognuna di tali affermazioni implica l’una e l’altra di due affermazioni incompatibili. Ed io ammetto, naturalmente, che se una qualsiasi delle affermazioni in (1) implicasse l’una e l’altra di due affermazioni incompatibili, non potrebbe essere vera. Ma ritengo di avere un argomento assolutamente conclusivo per mostrare che nessuna di esse implica una coppia di asserzioni tra loro incompatibili. Cioè questo: Tutte le affermazioni in (1) sono vere; nessuna affermazione vera implica l’una e l’altra di due affermazioni incompatibili; dunque, nessuna delle affermazioni in (1) implica l’una e l’altra di due affermazioni incompatibili.
(d) Benché, come ho cercato di mostrare, nessun filosofo che abbia ritenuto, riguardo a uno qualsiasi di questi tipi di asserzioni, che nessuna asserzione di quel tipo sia vera, sia poi riuscito a evitare di assumere anche altre posizioni incoerenti sotto questo aspetto con la sua posizione, tuttavia non penso che la concezione, secondo la quale nessuna affermazione appartenente a uno qualsiasi o a tutti questi tipi è vera, sia in se stessa una visione auto-contraddittoria, implicante, cioè, entrambe di due asserzioni incompatibili. Al contrario, mi sembra del tutto chiaro che avrebbe potuto darsi il caso che il Tempo non fosse reale, le cose materiali non fossero reali, lo Spazio non fosse reale, i sé non fossero reali. Ed in favore della mia posizione, che di nessuna di queste condizioni, di cui pure avrebbe potuto darsi il caso, si sia in realtà dato il caso, non dispongo – io credo – di alcun argomento migliore di questo: semplicemente, cioè, che tutte le asserzioni in (1) sono, di fatto, vere.
B. Questa posizione, che è di solito considerata molto più modesta di A, possiede, io penso, il difetto che, a differenza di A, è davvero auto-contraddittoria, implica cioè entrambe di due asserzioni mutualmente incompatibili.
La maggior parte dei filosofi che hanno tenuto questa posizione hanno creduto, io ritengo, che, benché ciascuno di noi sia certo della verità di asserzioni corrispondenti ad alcune delle asserzioni in (1), cioè di quelle che asseriscono semplicemente che io medesimo ho avuto delle esperienze di certi tipi nel passato in molte differenti occasioni, nessuno di noi, tuttavia, può essere altrettanto certo della verità di una qualsiasi asserzione o del tipo (a), che afferma l’esistenza di cose materiali, o del tipo (b), che afferma l’esistenza di altri sé, accanto a me stesso, e che essi anche hanno avuto esperienze. Ammettono che noi di fatto crediamo ad affermazioni di entrambi questi tipi, e che possono essere vere: alcuni direbbero persino che sappiamo che sono altamente probabili; ma negano che noi si possa mai sapere, con certezza, che sono vere. Alcuni di loro hanno parlato di tali credenze come di ‘credenze del Senso Comune’, esprimendo con ciò la loro convinzione che credenze di questo tipo sono intrattenute molto diffusamente dal genere umano: ma restano convinti che cose di tal genere sono, in ogni caso, soltanto credute, non conosciute per certe; ed alcuni hanno espresso questo punto dicendo che sono materia di Fede, non di Conoscenza.
Ora la cosa notevole, che quelli che abbracciano questa visione non hanno in generale, io penso, adeguatamente considerato, è che, in ogni caso, il filosofo che prende tale posizione sta facendo un’asserzione che riguarda ‘noi’: vale a dire non solo se stesso, ma anche molti altri esseri umani. Quando dice “Nessun essere umano ha mai saputo con certezza dell’esistenza di altri esseri umani”, sta dicendo: “Ci sono stati molti altri esseri umani accanto a me, e nessuno di loro (compreso me stesso) è mai stato certo dell’esistenza di altri esseri umani”. Quando dice: “Queste sono credenze del Senso Comune, ma non sono materia di conoscenza”, è come se stesse dicendo: “Ci sono stati molti altri esseri umani, accanto a me, che hanno condiviso queste credenze, ma né io né nessun altro ha mai saputo se esse sono vere”. In altre parole, afferma con fiducia che queste sono credenze del Senso Comune, e sembra spesso non notare che, se lo sono, devono essere vere, dal momento che l’asserzione che sono credenze del Senso Comune è tale da implicare logicamente asserzioni sia del tipo (a) sia del tipo (b): essa implica logicamente l’asserzione che molti esseri umani, accanto al filosofo stesso, hanno posseduto corpi umani, che hanno vissuto sulla Terra e hanno avuto varie esperienze, comprese credenze di questo genere. Ecco perché tale posizione, al contrario di quelle del gruppo A, mi sembra essere auto-contraddittoria. La sua differenza da A consiste nel fatto che sta facendo un’asserzione circa la conoscenza umana in generale, e dunque sta di fatto asserendo l’esistenza di molti esseri umani, laddove i filosofi del gruppo A, nel dichiarare la propria posizione, non fanno nulla di simile: si limitano a contraddire altre cose che essi pensano. È vero che un filosofo che dice “Sono esistiti molti esseri umani accanto a me e nessuno di noi è mai stato certo dell’esistenza di qualsiasi essere umano al di là di se stesso” sta soltanto contraddicendo se stesso, se ciò che pensa è in realtà “Sono certamente esistiti molti esseri umani accanto a me” o, detto altrimenti, “Io so che sono esistiti altri esseri umani al di fuori di me”. Ma questo è esattamente il modo, a me sembra, in cui tali filosofi si comportano. Essi mi sembrano costantemente tradire il fatto che considerano l’affermazione che quelle credenze sono credenze del Senso Comune, oppure l’affermazione che loro stessi non sono gli unici membri della razza umana, non semplicemente vera, ma certamente vera; e certamente vera non può essere, a meno che almeno un membro della razza umana, cioè loro stessi, abbia riconosciuto per vere esattamente le cose che quel membro sta dichiarando che nessun essere umano ha mai riconosciuto come tali.
Ciò nondimeno, la mia posizione, che io so, con certezza, che tutte le affermazioni in (1) sono vere, non è certo una posizione la cui negazione implichi entrambe di due asserzioni incompatibili.
Se io so che tutte queste affermazioni sono vere, allora ritengo che sia assolutamente certo che anche altri esseri umani abbiano riconosciuto la verità di affermazioni corrispondenti: vale a dire che anche (2) è vera e che io so che è vera. Ma sono veramente sicuro che tutte le affermazioni in (1) siano vere? Non è possibile che creda semplicemente ad esse? O che sappia soltanto che sono altamente probabili? In risposta a questa domanda, penso di non aver nulla di meglio da dire che a me sembra di sapere queste cose, con certezza. In effetti, è ovvio che, per la maggior parte di esse, non ho una conoscenza diretta: cioè, le riconosco come vere solo perché, in passato, ho riconosciuto come vere altre affermazioni che valevano come prove a sostegno di quelle. Se, per esempio, so che la Terra è esistita per molti anni prima della mia nascita, lo so di certo perché in passato ho conosciuto altre cose che valevano come prova di ciò. E di sicuro non so esattamente quali fossero queste prove. Non di meno, tutto ciò non mi sembra una buona ragione per dubitare di questa mia conoscenza. Tutti noi, io credo, ci troviamo in questa strana posizione: di sapere molte cose, riguardo alle quali sappiamo, in aggiunta, che dobbiamo aver avuto delle prove a sostegno, e tuttavia non sappiamo in che modo le sappiamo, cioè non sappiamo quale fu la prova. Se c’è un qualsiasi ‘noi’, e se noi sappiamo che c’è, deve essere così: poiché che esista un ‘noi’ è una delle cose in questione. E che io sappia che esiste un ‘noi’, cioè che molti altri esseri umani, dotati di corpi umani, hanno vissuto sulla Terra, a me sembra di saperlo con certezza.
Se a questo primo punto nella mia posizione filosofica, cioè la mia credenza in (2), si dovesse attribuire un nome già adoperato dai filosofi per classificare le posizioni di altri filosofi, si dovrebbe esprimere – credo – dicendo che io sono uno di quei filosofi che ritengono che “la visione del mondo del Senso Comune” sia, per certi aspetti fondamentali, totalmente vera. Ma deve essere anche ricordato che, a mio parere, tutti i filosofi, senza eccezione, sono stati d’accordo con me su questo punto, e che la sola vera differenza, comunemente espressa in questo modo, si pone tra quei filosofi che hanno mantenuto anche posizioni inconciliabili con tali caratteristiche della “visione del mondo del Senso Comune” e quelli che non lo hanno fatto.
Gli aspetti in questione (cioè asserzioni di ognuna delle classi definite nel definire (2)) hanno tutti questa peculiare proprietà, cioè, che se sappiamo che sono elementi nella “visione del mondo del Senso Comune”, ne consegue che sono veri: è auto-contraddittorio sostenere che noi sappiamo che sono elementi propri della visione del Senso Comune e che tuttavia non sono veri; ciò perché dire che noi sappiamo che lo sono equivale a dire che sono veri. Naturalmente, le espressioni “visione del mondo del Senso Comune” o “credenze del Senso Comune” (così come sono usate dai filosofi) sono straordinariamente vaghe; e, per quanto ne so, è possibile che vi siano molte affermazioni, che possono essere considerate a buon diritto elementi della “visione del mondo del Senso Comune” o “credenze del Senso Comune”, le quali non sono vere, e meritano di essere trattate con il disprezzo tipico con cui certi filosofi parlano di “credenze del Senso Comune”. Ma riferirsi con disprezzo alle “credenze del Senso Comune” da me menzionate è con tutta certezza il massimo dell’assurdità. Ed esiste, naturalmente, un immenso numero di altri elementi nella “visione del mondo del Senso Comune”, che, se quelle sono vere, sono anch’essi certamente veri: per esempio, che hanno vissuto sulla superficie della Terra non solo esseri umani, ma anche molte specie differenti di piante e animali, ecc. ecc.
II. Mi sembra che il punto successivo, quanto ad importanza, in cui la mia posizione filosofica differisce da quella di certi altri filosofi, sia quello che ora esprimerò nel modo seguente. Credo, cioè, che non vi sia alcuna buona ragione per supporre (A) che ogni fatto fisico sia logicamente dipendente da un certo fatto mentale né (B) che ogni fatto fisico sia causalmente dipendente da un certo fatto mentale. Nel dire ciò non intendo dire, naturalmente, che esistono fatti fisici totalmente indipendenti (cioè sia logicamente sia causalmente) da fatti mentali: io credo in effetti che vi siano; ma non è quello che sto affermando. Sto solo affermando che non vi è alcuna buona ragione per supporre il contrario; con il che voglio dire, ovviamente, che nessun essere umano, che ha posseduto un corpo umano che ha vissuto sulla Terra, abbia avuto, durante la vita del suo corpo, alcuna buona ragione per supporre il contrario. Molti filosofi – mi pare – hanno non solo creduto che ogni fatto fisico sia logicamente oppure causalmente, o entrambe le cose, dipendente da qualche fatto mentale (intendendo ‘fatto fisico’ e ‘fatto mentale’ nel senso in cui sto usando tali termini), ma anche che vi fossero buone ragioni perché loro stessi nutrissero simili credenze. Da questo punto di vista, dunque, io sono differente da loro.
Nel caso del termine ‘fatto fisico’, posso spiegare come lo sto usando solo fornendo degli esempi. Intendo per ‘fatti fisici’ fatti come i seguenti: “Quel caminetto si trova attualmente più vicino al mio corpo di quella libreria”, “La Terra esiste da molti anni”, “La Luna si è trovata in ogni istante, nel corso di molti anni, più vicina alla Terra che al Sole”, “Quel caminetto è di un colore chiaro”. Ma, quando dico “fatti come questi”, intendo dire, naturalmente, fatti come quelli sotto un certo punto di vista; e quale sia questo punto di vista, non sono in grado di definirlo. L’espressione ‘fatto fisico’, tuttavia, è di uso comune; e a me sembra che la sto adoperando nel suo senso ordinario. Oltretutto, non c’è alcun bisogno di una definizione per chiarire il mio punto, considerato che, tra gli esempi che ho fornito, ce ne sono alcuni riguardo ai quali ritengo che non vi sia alcuna ragione per supporre che essi (cioè quei particolari fatti fisici) siano logicamente o causalmente dipendenti da alcun fatto mentale.
‘Fatto mentale’, d’altra parte, è un’espressione molto più inconsueta, e io la sto usando in un senso specificamente limitato, che, per quanto io pensi che sia naturale, necessita di essere spiegato. Possono esservi molti altri sensi in cui l’espressione può essere appropriatamente adoperata, ma a me ne interessa soltanto uno; ed è pertanto essenziale che spieghi quale sia.
È possibile che vi siano, presumo, forse tre diversi generi di ‘fatti mentali’. È solo in riferimento a quelli del primo genere che io sono sicuro che esistano fatti di tale tipo; ma se vi fossero fatti di uno qualsiasi degli altri due tipi, pure sarebbero ‘fatti mentali’ nella mia accezione limitata, sicché occorre che io spieghi cosa implica l’ipotesi che vi siano fatti di quegli altri due tipi.
(a) Il primo dei miei tre generi è questo. Io sono cosciente adesso; e inoltre sto vedendo qualcosa in questo momento. Questi due fatti sono entrambi fatti mentali del primo genere; e il mio primo genere consiste esclusivamente di fatti che assomigliano all’uno o all’altro dei due sotto un certo aspetto.
(α) Il fatto che io sono cosciente adesso è ovviamente, in un certo senso, un fatto, riferito a un particolare individuo e a un particolare tempo, che indica che quell’individuo è cosciente in quel momento. E qualsiasi fatto che assomigli a questo da tale punto di vista deve essere incluso nel mio primo genere di fatti mentali. Pertanto, il fatto che io sono stato cosciente in molti differenti momenti anche ieri non è in se stesso un fatto di questo tipo: ma implica che ci sono (o, come diremmo comunemente, dal momento che i tempi in questione sono passati, ‘ci sono stati’) molti altri fatti di questo tipo, cioè ciascuno dei fatti che, in ciascuno dei momenti in questione, avrei potuto appropriatamente esprimere con “Io sono cosciente adesso”. Qualsiasi fatto che fa riferimento, in questo senso, a un individuo e a un tempo (sia che l’individuo sia io stesso o un altro sia che il tempo sia passato o presente), indicando che quell’individuo è cosciente in quel momento, va incluso nel mio primo genere di fatti mentali, che io chiamo fatti di classe (α).
(β) Il secondo esempio che ho fornito, cioè il fatto che sto vedendo qualcosa adesso, è ovviamente collegato al fatto che io sono cosciente adesso in un modo peculiare. Ciò da un lato implica il fatto che io sono cosciente adesso (poiché dal fatto che sto vedendo qualcosa segue che sono cosciente: non avrei potuto vedere alcunché a meno che non fossi stato cosciente, mentre avrei potuto senz’altro essere cosciente senza vedere nulla), dall’altro rappresenta una specifica maniera (o modo) di essere cosciente, nel senso che io cosciente in quel modo: nello stesso senso in cui l’affermazione (riferita a una particolare cosa) “Questo è rosso” implica sia l’affermazione (riferita alla stessa cosa) “Questo è colorato” sia un’altra affermazione, riferita a una specifica maniera di essere colorato, che attesta che quella cosa è colorata in quel modo. E qualsiasi fatto che sia collegato in questo modo peculiare a un qualsiasi fatto di classe (α), deve essere incluso esso stesso nella mia prima categoria di fatti mentali e deve essere definito come un fatto di classe (β). Pertanto, il fatto che io ora stia ascoltando è, come il fatto che io ora stia vedendo, un fatto di classe (β); e lo stesso vale per qualsiasi fatto, riferito a me stesso e a un tempo passato, che avrebbe potuto in quel momento essere propriamente espresso con “Adesso sto sognando”, “Adesso sto immaginando”, “Attualmente sono consapevole del fatto che …” ecc. ecc. In breve, qualsiasi fatto che sia riferito a un particolare individuo (me stesso o un altro), a un particolare tempo (passato o presente) e a un qualsiasi particolare tipo di esperienza, nel senso che quell’individuo sta avendo in quel momento un’esperienza di quel particolare genere, è un fatto di classe (β): e solo tali fatti sono fatti di classe (β).
Il mio primo tipo di fatti mentali consiste esclusivamente di fatti di classe (α) e (β), e consiste di tutti i fatti dell’uno o dell’altro di questi generi.
(b) Che vi siano molti fatti di classe (α) e (β) mi sembra perfettamente certo. Ma mi pare che molti filosofi abbiano tenuto una certa visione circa l’analisi dei fatti di classe (α), tale che, se fosse vera, ci sarebbero fatti di un altro tipo, che pure vorrei chiamare ‘fatti mentali’. Non sono del tutto sicuro che quest’analisi sia veritiera; ma mi sembra che possa essere vera, e poiché siamo in grado di comprendere cosa comporta la supposizione che sia vera, siamo in grado di comprendere anche cosa comporta la supposizione che vi siano ‘fatti mentali’ di questo secondo genere.
Molti filosofi, io penso, hanno tenuto la seguente posizione riguardo l’analisi di ciò che ognuno di noi sa quando riconosce (in qualunque momento) “Io sono cosciente adesso”. Essi hanno ritenuto, cioè, che vi sia una certa proprietà intrinseca (con la quale abbiamo tutti familiarità e che potrebbe essere definita quella di ‘essere un’esperienza’), tale che, in qualsiasi momento un essere umano riconosca “Io sono cosciente adesso”, sta riconoscendo, circa quella proprietà e se stesso e il momento in questione, che “Si sta verificando ora un evento che ha questa proprietà (cioè ‘è un’esperienza’) e che è una mia esperienza”, e tale che questo fatto è ciò che egli esprime con “Io sono cosciente adesso”. E, se questo punto di vista corrisponde al vero, devono esserci molti fatti di ciascuno di tre tipi, ognuno dei quali vorrei chiamare ‘fatti mentali’: ovvero (1) fatti che riguardano un dato evento, che possiede questa supposta proprietà intrinseca, e un dato tempo, nel senso che quell’evento si è verificato in quel dato momento; (2) fatti che riguardano questa supposta proprietà intrinseca e un dato tempo, nel senso che un evento che ha quella proprietà si è verificato in quel momento; e (3) fatti che riguardano una data proprietà, che è uno specifico modo di possedere la supposta proprietà intrinseca (nel senso sopra chiarito in cui ‘essere rosso’ è uno specifico modo di ‘essere colorato’), e un dato tempo, nel senso che un evento che ha quella specifica proprietà si è verificato in quel momento. Naturalmente, non solo non ci sono, ma neppure possono esservi, fatti di ognuno di questi tipi, a meno che non vi sia una proprietà intrinseca correlata a ciò che ognuno di noi (in qualunque occasione) esprime con “Io sono cosciente adesso”, nel modo sopra definito; e resto molto dubbioso se esista o no una simile proprietà. In altre parole, benché sappia per certo sia che ho avuto molte esperienze sia che ho avuto esperienze di molti tipi differenti, resto molto dubbioso se la prima affermazione sia lo stesso che dire che ci sono stati molti eventi, ognuno dei quali fu un’esperienza, ed una mia esperienza, e se la seconda sia lo stesso che dire che ci sono stati molti eventi, ognuno dei quali fu una mia esperienza ed ebbe inoltre una differente proprietà, che era uno specifico modo di essere un’esperienza. L’affermazione che io ho avuto delle esperienze non implica necessariamente l’affermazione che ci siano stati degli eventi che erano esperienze; e non riesco a convincermi del fatto che abbia familiarità con alcun evento del genere supposto. Mi sembra tuttavia possibile che l’analisi proposta di “Io sono cosciente adesso” sia corretta: che io abbia davvero familiarità con eventi del genere supposto, benché non riesca a vederlo. E se è così, allora chiamerei i tre tipi di fatti sopra definiti ‘fatti mentali’. Naturalmente, se vi sono ‘esperienze’ nel senso definito, possiamo ritenere (come hanno fatto molti) che non possano esservi esperienze che non siano esperienze di un dato individuo; e in quel caso ogni fatto di ognuno di questi tre tipi sarebbe logicamente dipendente da, benché non necessariamente identico a, qualche fatto di classe (α) o di classe (β). Ma mi sembra che esista anche un’altra possibilità, cioè che, se vi sono ‘esperienze’, vi siano esperienze che non appartengono ad alcun individuo; e, in tal caso, vi sarebbero dei ‘fatti mentali’ che non sono né identici a né logicamente dipendenti da alcun fatto di classe (α) o di classe (β).
(c) Infine, alcuni filosofi hanno pensato, per quanto io possa capire, che vi sono o possano esservi fatti che riguardano un individuo, nel senso che egli è cosciente, o è cosciente in una certa specifica maniera, che però differiscono dai fatti di classe (α) e (β) sotto l’importante aspetto che non riguardano alcun tempo determinato: essi hanno concepito la possibilità che possano esistere uno o più individui che sono coscienti atemporalmente [timelessly], e atemporalmente coscienti in specifiche maniere. Ed altri ancora, mi sembra, hanno concepito l’ipotesi che l’intrinseca proprietà definita in (b) sia tale da non appartenere soltanto ad eventi, ma anche a una o più interi [wholes] che non accadono in un dato momento: in altre parole, che possano esistere una o più esperienze atemporali, che potrebbero essere oppure no le esperienze di un individuo. Mi sembra molto dubbia la possibilità che qualcuna di queste ipotesi corrisponda al vero; ma neppure posso dare per certo che non sono possibili. E, se sono possibili, allora dovrei attribuire il nome di ‘fatto mentale’ ad ogni fatto (se ce ne fosse qualcuno) di ciascuno dei cinque tipi seguenti, cioè: (1) ad ogni fatto che riguardi un qualsiasi individuo che è cosciente atemporalmente; (2) ad ogni fatto che riguardi un individuo che è cosciente atemporalmente in una certa specifica maniera; (3) ad ogni fatto che rappresenti un’esperienza atemporale di esistenza; (4) ad ogni fatto riguardante la supposta intrinseca proprietà di ‘essere un’esperienza’, in base al quale esiste qualcosa di atemporale che possiede quella proprietà; e (5) ad ogni fatto, relativo a una qualsiasi proprietà che sia uno specifico modo di questa supposta proprietà intrinseca, in base al quale esiste qualcosa di atemporale che possiede quella proprietà.
Ho dunque definito tre differenti tipi di fatti, ciascuno dei quali è tale che, se vi fossero fatti di quel tipo (come certamente vi sono, nel caso del primo tipo), i fatti in questione sarebbero ‘fatti mentali’ nel mio senso. Ora, per completare la definizione del senso limitato in cui sto usando ‘fatti mentali’, mi resta solo da aggiungere che vorrei applicare il nome anche a una quarta classe di fatti: cioè ad ogni fatto che, con riferimento a uno qualsiasi di questi tre tipi di fatti o a qualsiasi tipo in essi incluso, sia il fatto che vi sono fatti del tipo in questione. Non soltanto, cioè, ogni fatto individuale di classe (α) sarà, nel mio senso, un ‘fatto mentale’, ma anche il fatto generico “che esistono fatti di classe (α)” sarà esso stesso un ‘fatto mentale’. E lo stesso vale per tutti i casi analoghi: ovvero, non soltanto il fatto che io sto ora percependo (che è un fatto di classe (β)) sarà un ‘fatto mentale’, ma anche il fatto generico che vi sono fatti, relativi a individui e tempi, che attestano che l’individuo in questione sta percependo nel momento in questione, sarà un ‘fatto mentale’.
A. Se si intendono ‘fatto fisico’ e ‘fatto mentale’ nei sensi appena spiegati, ritengo allora che non vi sia alcuna buona ragione per supporre che ogni fatto fisico sia logicamente dipendente da un qualche fatto mentale. E, con riferimento a due fatti, F1 e F2, uso l’espressione “F1 è logicamente dipendente da F2” se e soltanto se F1 implica F2, sia nel senso in cui l’affermazione “Io ora sto vedendo” implica l’affermazione “Io ora sono cosciente” sia in quello in cui l’affermazione (relativa a una particolare cosa) “Questo è rosso” implica l’affermazione (riferita alla stessa cosa) “Questo è colorato”, sia anche nel senso, più rigorosamente logico, in cui, per esempio, l’asserzione connettiva “Tutti gli uomini sono mortali e Mr. Baldwin è un uomo” implica l’asserzione “Mr. Baldwin è mortale”. Dire, pertanto, di due fatti, F1 e F2, che F1 non è logicamente dipendente da F2, vuol dire semplicemente che F1 potrebbe essere stato un fatto, anche se non c’è stato alcun fatto F2; o, anche, che l’asserzione connettiva “F1 è un fatto, ma non c’è alcun fatto F2” non è auto-contraddittoria, ovvero non implica l’una e l’altra di due affermazioni mutualmente incompatibili.
Ritengo, dunque, che, nel caso di alcuni fatti fisici, non vi sia alcuna buona ragione per supporre che esista qualche fatto mentale, tale che il fatto fisico in questione non avrebbe potuto essere un fatto, a meno che non lo fosse stato anche il fatto mentale in questione. E la mia posizione è perfettamente sicura, dal momento che penso che questo caso si dia per tutti e quattro i fatti fisici che ho presentato come esempi di fatti fisici. Per esempio, non vi è alcuna buona ragione per supporre che vi sia un qualunque fatto mentale, tale che il fatto che quel caminetto si trovi attualmente più vicino al mio corpo rispetto a quella libreria non avrebbe potuto essere un fatto, a meno che il fatto mentale in questione non fosse stato anch’esso un fatto; e lo stesso vale per tutti e tre gli altri casi.
La mia posizione è certamente differente da quella di alcuni filosofi. Differisce per esempio da quella di Berkeley, che riteneva che quel caminetto, quella libreria e il mio corpo sono, ciascuno di essi, o ‘idee’ o ‘costituiti da idee’ e che nessuna ‘idea’ può esistere senza essere percepita. Egli pensava, cioè, che questo fatto fisico è logicamente dipendente da un fatto mentale della mia quarta classe, cioè un fatto di questo genere: che esista almeno un fatto, che sia un fatto riguardante un individuo e il tempo presente, nel senso che quell’individuo sta percependo qualcosa in questo momento. Egli non dice che questo fatto fisico è logicamente dipendente da un qualsiasi fatto appartenente a una delle mie prime tre classi, cioè da un fatto che, con riferimento a un particolare individuo e al tempo presente, sia il fatto che quell’individuo stia ora percependo qualcosa. Ciò che egli dice, invece, è che il fatto fisico non avrebbe potuto essere un fatto, a meno che non fosse stato un fatto che c’era un fatto mentale di questo genere. Mi sembra, inoltre, che molti filosofi, che sarebbero stati forse in disaccordo con la tesi di Berkeley che il mio corpo sia un’‘idea’ o ‘costituito da idee’ o con la sua tesi che le ‘idee’ non possano esistere senza essere percepite, o con entrambe, sarebbero non di meno stati d’accordo con lui nel pensare che questo fatto fisico sia logicamente dipendente da un qualche ‘fatto mentale’. Essi, cioè, potrebbero dire che esso non avrebbe potuto essere un fatto, a meno che non vi fosse stata, in un dato momento o in un altro, o fosse pure atemporalmente, una qualche ‘esperienza’. Molti in verità, per quanto ne so, hanno pensato che ogni fatto è logicamente dipendente da ogni altro fatto. E, naturalmente, essi hanno creduto a proposito delle loro opinioni, così come Berkeley nel caso delle sue, che fossero fondate su buone ragioni.
B. Penso anche che non vi sia alcuna buona ragione per supporre che ogni fatto fisico sia causalmente dipendente da qualche fatto mentale. Nel dire che F1 è causalmente dipendente da F2, intendo dire soltanto che F1 non sarebbe stato un fatto senza che lo fosse stato F2; non che F1 non avrebbe potuto in teoria essere un fatto, a meno che non lo fosse stato F2 (il che è ciò che ‘logicamente dipendente’ asserisce). Posso illustrare ciò che intendo dire ritornando all’esempio che ho appena fornito. Il fatto che quel caminetto si trovi attualmente più vicino al mio corpo di quella libreria, è per quanto ne so (come ho poco sopra spiegato) non dipendente logicamente da alcun fatto mentale: potrebbe essere stato un fatto anche se non ci fosse stato alcun fatto mentale. Ma esso è di sicuro dipendente causalmente da molti fatti mentali: il mio corpo non sarebbe stato qui a meno che io non fossi stato cosciente in molti modi nel passato; e il caminetto e la libreria certamente non sarebbero esistiti senza che anche altri uomini fossero stati coscienti.
Ma per quanto riguarda gli altri due fatti che ho dato come esempi di fatti fisici, cioè il fatto che la Terra sia esistita in passato per molti anni e il fatto che la Luna sia stata per molti anni in passato più vicina alla Terra che al Sole, ritengo che non vi sia alcuna buona ragione per supporre che questi siano causalmente dipendenti da qualche fatto mentale. Per quanto mi è dato sapere, non c’è ragione di supporre che vi sia un qualsiasi fatto mentale del quale potrebbe essere veridicamente detto: a meno che questo fatto non fosse stato un fatto, la Terra non sarebbe esistita per molti anni nel passato. E nel pensare ciò, di nuovo, ritengo che la mia posizione differisca da quella di alcuni filosofi. Differisce, per esempio, da quelli che hanno creduto che tutte le cose materiali siano state create da Dio e che essi hanno buone ragioni per supporre ciò.
III. Ho già spiegato di essere differente da quei filosofi che hanno creduto che vi siano buone ragioni per supporre che tutte le cose materiali siano state create da Dio. Ed è, io credo, un punto importante nella mia posizione, degno di essere menzionato, che io la pensi in modo differente anche da quei filosofi che hanno creduto che vi siano buon ragioni per supporre che esista in generale un Dio, abbiano essi oppure no giudicato verosimile che egli abbia creato tutte le cose materiali.
Similmente, laddove alcuni filosofi hanno creduto che vi siano buone ragioni per supporre che noi esseri umani continueremo a esistere e a essere coscienti anche dopo la morte dei nostri corpi, io penso invece che non vi sia alcuna buona ragione per supporre ciò.
IV. Vengo ora a un punto di ordine molto differente.
Come ho spiegato sotto I., non sono affatto scettico circa la verità di affermazioni quali “La Terra esiste da molti anni”, “Molti corpi umani hanno vissuto ciascuno per molti anni su di essa”, affermazioni cioè che asseriscono l’esistenza di cose materiali: al contrario, ritengo che tutti noi sappiamo, con certezza, che molte di tali affermazioni sono vere. Resto molto scettico, invece, su quale sia, per certi aspetti, la corretta analisi di simili affermazioni. E si tratta di un tema riguardo al quale credo che la mia posizione differisca da quella di molti filosofi. Molti sembrano pensare che non vi sia nulla di dubbio a proposito della loro analisi, né, perciò, a proposito dell’analisi della proposizione “Sono esistite cose materiali”, riguardo a certi aspetti per i quali io credo, invece, che l’analisi dell’affermazione in questione sia estremamente dubbia. Alcuni di loro, inoltre, come abbiamo visto, mentre non nutrono dubbio alcuno circa la loro analisi, sembrano dubitare invece della verità di simili affermazioni. Io, d’altra parte, penso che non vi sia alcun dubbio che molte di tali affermazioni siano interamente vere, ma penso anche che nessun filosofo, finora, sia riuscito a suggerire una loro analisi, a proposito di certi punti importanti, che si avvicini anche solo lontanamente a essere vera con certezza.
Mi sembra del tutto evidente che la questione di come debbano essere analizzate affermazioni del tipo che ho appena fornito dipenda dalla questione di come debbano essere analizzate affermazioni di un altro tipo più semplice. Io so, in questo momento, che sto percependo una mano umana, una penna, un foglio di carta ecc.; e mi sembra che non possa sapere come l’affermazione “Esistono cose materiali” debba essere analizzata, finché io non sappia, sotto certi punti di vista, come debbano essere analizzate queste affermazioni più semplici. Ma persino queste non sono abbastanza semplici. Mi sembra del tutto evidente che la mia conoscenza che io sto percependo ora una mano umana sia dedotta da un paio di asserzioni ancora più semplici: asserzioni che posso esprimere soltanto nella forma “Sto percependo questo” e “Questa è una mano umana”. È l’analisi di affermazioni di questo secondo tipo che mi sembra presentare le più grandi difficoltà, mentre, nondimeno, l’intera questione della natura delle cose materiali dipende ovviamente dalla loro analisi. Mi sembra sorprendente che, a fronte di così ampia trattazione di cosa sono le cose materiali e cosa sia il percepirle, così pochi filosofi abbiano tentato di fornire una chiara spiegazione di ciò che essi stessi precisamente presumono di conoscere (o di giudicare, nel caso abbiano pensato che non sappiamo se alcuna di tali affermazioni sia vera o, addirittura, che nessuna di tali affermazioni è vera), quando conoscono o giudicano cose come “Questa è una mano”, “Questo è il Sole”, “Questo è un cane”, ecc. ecc. ecc.
Due cose soltanto mi sembrano assolutamente certe nell’analisi di tali affermazioni (e persino riguardo a queste temo che alcuni filosofi la pensino in modo diverso da me), cioè che, ogni qual volta sappia, o giudichi, che una affermazione di questo tipo è vera, (1) c’è sempre qualche dato-dei-sensi [sense-datum] a proposito del quale l’affermazione in questione è un’affermazione – un dato-dei-sensi che è un soggetto (e, in un certo senso, il soggetto principale e definitivo) dell’affermazione in questione – e (2), tuttavia, ciò che sto conoscendo o giudicando essere vero circa questo dato-dei-sensi non è (in generale) che è esso stesso, a seconda dei casi, una mano o un cane o il Sole ecc. ecc..
Alcuni filosofi hanno dubitato, io credo, se esistano cose come quelle significate da altri filosofi con ‘dati-dei-sensi’ o ‘cose sensibili’ [sensa]. E mi sembra del tutto possibile che alcuni filosofi (compreso me stesso in passato) abbiano adoperato questi termini in accezioni tali da rendere realmente dubbio se esistano cose di tal genere. Ma non vi è dubbio alcuno che esistono dati-dei-sensi, nel senso in cui sto ora usando l’espressione. In questo momento ne sto vedendo un gran numero e ne sto sentendo altri. E, allo scopo di chiarire al lettore che tipo di cose intendo con dati-dei-sensi, mi basta semplicemente chiedergli di guardare la sua mano destra. Una volta fatto ciò, egli sarà in grado di identificare qualcosa (e, a meno che non veda doppio, soltanto una cosa), riguardo la quale capirà a prima vista che è una posizione naturale considerare quella cosa identica, non certo alla sua intera mano destra, ma a quella parte della sua superficie che sta in quel momento osservando; ma sarà anche (con un po’ di riflessione) in grado di vedere che è ambiguo [doubtful] ritenere che essa possa essere identica alla parte in questione della superficie della sua mano. Cose (sotto un certo aspetto) del tipo a cui appartiene questa cosa che si vede guardando la propria mano, e a proposito della quale si può capire come alcuni filosofi abbiano supposto che sia la parte della superficie della propria mano che uno sta guardando, mentre altri filosofi abbiano supposto di no, sono ciò che io intendo per ‘dati-dei-sensi’. Definisco pertanto il termine in modo tale che resta una questione aperta se il dato-dei-sensi che io ora vedo guardando la mia mano, e che è un dato-dei-sensi della mia mano, sia oppure no identico a quella parte della sua superficie che sto in questo momento osservando.
Riguardo a questo dato-dei-sensi, che ciò che io conosco, quando affermo “Questa è una mano umana”, non sia esso stesso una mano umana mi sembra certo a causa del fatto che io so che la mia mano è fatta di diverse parti (per esempio l’altro suo lato e le ossa al suo interno), le quali del tutto certamente non fanno parte di questo dato-dei-sensi.
Mi sembra perciò certo che l’analisi dell’affermazione “Questa è una mano umana” sia, quanto meno approssimativamente, della forma: “C’è una cosa, e soltanto una cosa, della quale è vero sia che è una mano umana sia che questa superficie è una parte della sua superficie”. In altre parole, per mettere la mia concezione nei termini di una ‘teoria rappresentativa della percezione’, ritengo del tutto certo che non percepisco direttamente la mia mano; e che quando ho detto (come posso correttamente aver detto) di ‘percepirla’, intendevo con ‘percepire’ che io percepisco (in un senso differente e più fondamentale) qualcosa che è (in un senso opportuno) rappresentativo di essa, cioè una certa parte della sua superficie.
Questo è tutto ciò che penso vi sia di certo nell’analisi dell’affermazione “Questa è una mano umana”. Abbiamo visto che essa comprende nella sua analisi un’asserzione della forma “Questa è parte della superficie di una mano umana” (dove “Questa”, naturalmente, ha un significato differente da quello che ha nell’affermazione originale che è stata ora analizzata). Ma anche quest’affermazione riguarda senz’alcun dubbio il dato-dei-sensi che sto osservando, che è un dato-dei-sensi della mia mano. E da qui sorge l’ulteriore domanda: quando io riconosco che “Questa è parte della superficie di una mano umana”, che cosa sto io conoscendo circa il dato-dei-sensi in questione? Sto in questo caso realmente conoscendo, circa questo dato-dei-sensi, che è esso medesimo parte della superficie di una mano umana? O, come abbiamo scoperto nel caso di “Questa è una mano umana”, dove ciò che io stavo conoscendo a proposito del dato-dei-sensi era certamente non che esso medesimo era una mano umana, si dà forse il caso anche qui, similmente con questa nuova affermazione, che, circa il dato-dei-sensi, io non stia conoscendo che è esso medesimo parte della superficie di una mano? E, se è così, cos’è che sto conoscendo circa il dato-dei-sensi stesso?
Questa è la domanda a cui, come a me sembra, nessun filosofo ha finora suggerito una risposta anche solo prossima ad essere vera con certezza.
Mi sembra che vi siano tre, e solo tre, tipi alternativi di risposta possibile; e per ogni risposta finora suggerita per ciascuno di questi tipi mi pare che sussistano obiezioni molto pesanti.
(1) Del primo tipo, non vi è che una risposta: cioè che ciò che sto realmente conoscendo è che il dato-dei-sensi medesimo è parte della superficie di una mano umana. In altre parole, che, pur non percependo io la mia mano direttamente, percepisco invece direttamente parte della sua superficie; che il dato-dei-sensi stesso è questa parte della sua superficie e non semplicemente qualcosa che (in un senso ancora da determinare) ‘rappresenta’ questa parte della sua superficie; e che, per questa ragione, il senso in cui ‘percepisco’ questa parte della superficie della mia mano non è un senso che richiede a sua volta di essere definito per mezzo di un riferimento a una terza, ancora più profonda accezione di ‘percepire’, che è la sola in cui la percezione è diretta, cioè quella in cui percepisco il dato-dei-sensi.
Se questa opinione corrisponde al vero (come penso sia possibile), mi sembra inevitabile che si debba abbandonare una visione che è stata considerata come certamente vera dalla maggior parte dei filosofi, cioè l’idea che i nostri dati-dei-sensi possiedano sempre, realmente, le qualità che sensatamente ci appare che essi abbiano. Ciò perché io so che, se un altro uomo osservasse attraverso un microscopio la stessa superficie che io sto guardando ad occhio nudo, il dato-dei-sensi che egli vedrebbe gli apparirebbe sensatamente dotato di qualità molto diverse da, e incompatibili con, quelle che il mio dato-dei-sensi appare a me sensatamente possedere: e tuttavia, se il mio dato-dei-sensi è identico alla superficie che entrambi stiamo osservando, allora anche il suo dovrebbe essere identico a essa. Il mio dato-dei-sensi può, pertanto, essere identico a questa superficie solo a condizione che sia identico al suo dato-dei-sensi. E, poiché il suo dato-dei-sensi gli appare sensatamente possedere qualità incompatibili con quelle che il mio appare a me sensatamente possedere, il suo dato-dei-sensi può essere identico al mio solo a condizione che il dato-dei-sensi in questione o non possiede le qualità che a me pare sensatamente possedere o non possiede quelle che a lui appare sensatamente possedere.
Non penso, tuttavia, che questa sia un’obiezione fatale a questo primo tipo di concezione. Mi sembra che un’obiezione di gran lunga più seria sia quella che, quando vediamo un oggetto doppio (quella che si dice ‘una doppia immagine’ della cosa), certamente abbiamo due dati-dei-sensi, ciascuno dei quali è della superficie osservata. Essi non possono perciò essere entrambi identici a essa; e tuttavia, se un dato-dei-sensi è mai identico alla superficie di cui è un dato-dei-sensi, allora ciascuna di queste cosiddette ‘immagini’ sembra che debba esserlo [identica alla superficie]. Sembra, perciò, che alla fine ogni dato-dei-sensi sia, dopotutto, soltanto ‘rappresentativo’ della superficie di cui è un dato-dei-sensi.
(2) Ma, se così, che relazione ha con la superficie in questione?
Questo secondo tipo di argomento pone che, quando io riconosco che “Questa è parte della superficie di una mano umana”, ciò che sto conoscendo a proposito del dato-dei-sensi che è di quella superficie, è non che sia esso stesso parte della superficie di una mano umana, ma qualcosa del seguente tenore. C’è – esso afferma – una qualche relazione R, tale che ciò che sto conoscendo circa il dato-dei-sensi può essere espresso o con “C’è una cosa e una cosa soltanto della quale è vero sia che è una parte della superficie di una mano umana sia che ha R con questo dato-dei-sensi” o anche con “C’è un insieme di cose, del quale è vero sia che l’insieme, preso collettivamente, è parte della superficie di una mano umana sia anche che ciascun elemento dell’insieme ha R con questo dato-dei-sensi e che nulla che non sia un elemento dell’insieme ha R con esso”.
Ovviamente, nel caso di questo secondo tipo sono possibili molte visioni differenti, che differiscono in base a ciò in cui ritengono che la relazione R consista. Ma ce n’è una sola che mi sembra veramente plausibile, quella cioè che considera R come una relazione ultima e non analizzabile, che potrebbe essere espressa dicendo che ‘xRy’ significa lo stesso che “y è un modo di apparire o una manifestazione di x”. Ovvero, l’analisi che questa risposta darebbe a “Questa è parte della superficie di una mano umana” sarebbe: “C’è una ed una sola cosa della quale sono veri entrambi: che è parte della superficie di una mano umana e che questo dato-dei-sensi è un modo di apparire o una manifestazione di essa”.
Anche a questa posizione mi sembra che si possano opporre obiezioni molto serie, derivate principalmente da una considerazione della seguenti domande: in che modo possiamo sapere, circa uno qualsiasi dei nostri dati-dei-sensi, che esiste una ed una sola cosa soltanto che ha con essi una tale supposta relazione ultima? E, se vi riusciamo, in che modo possiamo poi sapere qualcosa in più su tali cose, per esempio che forma e dimensioni abbiano?
(3) Il terzo tipo di risposta, che mi sembra la sola alternativa possibile se (1) e (2) sono respinte, è il tipo di risposta che J. S. Mill sembra aver suggerito come quella vera, quando disse che le cose materiali sono “possibilità permanenti di sensazione”. Egli sembra aver ritenuto che quando io conosco un fatto quale “Questa è parte della superficie di una mano umana”, ciò che sto conoscendo circa il dato-dei-sensi che è il soggetto principale di quel fatto, non è che esso stesso è parte della superficie di una mano umana né, ancora, a proposito di una qualsiasi relazione, che la cosa che ha con esso quella relazione è parte della superficie di una mano umana, ma un intero insieme di fatti ipotetici, ognuno dei quali è un fatto della forma: “Se queste condizioni fossero state soddisfatte, avrei percepito un dato-dei-sensi intrinsecamente correlato a questo dato-dei-sensi in questo modo”, “Se queste (altre) condizioni fossero state soddisfatte, avrei percepito un dato-dei-sensi intrinsecamente correlato a questo dato-dei-sensi in questo (altro) modo”, ecc. ecc.
A proposito di questo terzo tipo di visione relativa all’analisi delle affermazioni del genere che stiamo considerando, mi sembra, di nuovo, senz’altro possibile che sia vera; ma ritenere (come Mill stesso e altri sembrano aver fatto) che sia certamente, o quasi certamente, vera mi sembra un errore grande quanto quello di pensare che o (1) o (2) siano certamente, o quasi certamente, vere. Mi sembra che ci siano contro di essa obiezioni molto serie, queste tre in particolare: (a) che, anche se, in generale, quando io conosco un fatto quale “Questa è una mano”, certamente conosco alcuni fatti ipotetici della forma “Se fossero state soddisfatte queste condizioni, avrei percepito un dato-dei-sensi di questo genere, che sarebbe stato un dato-dei-sensi della medesima superficie di cui questo è un dato-dei-sensi”, non è chiaro se qualsiasi condizione relativa a ciò che io so non sia essa stessa una condizione della forma “Se questa e quella cosa materiale fossero state in quelle posizioni e condizioni …”; (b) che sembra di nuovo molto dubbio se vi sia una qualsiasi relazione intrinseca, tale che la mia conoscenza che (sotto queste condizioni) avrei percepito un dato-dei-sensi di questo genere, che sarebbe stato un dato-dei-sensi della medesima superficie di cui questo è un dato dei sensi, sia equivalente a una conoscenza, circa quella relazione, che, sotto quelle condizioni, avrei percepito un dato-dei-sensi collegato da essa a questo dato-dei-sensi; e (c) che, se ciò fosse vero, il senso in cui una superficie materiale è ‘tonda’ o ‘quadrata’ sarebbe necessariamente del tutto differente da quello in cui i nostri dati-dei-sensi ci appaiono sensatamente ‘tondi’ o ‘quadrati’.
V. Proprio come credo che l’affermazione “Ci sono e ci sono state cose materiali” sia assolutamente vera, ma che la questione di come questa affermazione debba essere analizzata non abbia ottenuto finora risposte che siano neppure lontanamente vere con certezza, allo stesso modo ritengo che l’affermazione “Ci sono e ci sono stati molti Sé” sia assolutamente vera, ma che anche in questo caso tutte le analisi che sono state suggerite dai filosofi siano alquanto dubbie.
Che io stia ora percependo molti differenti dati-dei-sensi lo so con certezza: vale a dire, so che ci sono fatti mentali di classe (β), connessi in un modo che è appropriato esprimere dicendo che sono tutti fatti che riguardano me; ma come questo tipo di connessione debba essere analizzato non lo so per certo né penso che lo sappiano, con un qualsiasi grado di certezza, gli altri filosofi. Proprio come, nel caso dell’affermazione “Questa è parte della superficie di una mano umana”, esistono molte opinioni estremamente differenti sulla sua analisi, ciascuna delle quali mi sembra possibile, ma neppure una lontanamente certa, lo stesso vale anche nel caso dell’affermazione “Questo, quello e quel dato-dei-sensi sono tutti in questo momento percepiti da me” e, ancora di più, nel caso dell’affermazione “Io sto ora percependo questo dato-dei-sensi, e sempre io in passato ho percepito dati-dei-sensi di questi altri tipi”. Della verità di tali asserzioni mi sembra che non vi sia alcun dubbio, ma su quale sia la loro corretta analisi mi sembra, invece, che persistano i dubbi più pesanti: la corretta analisi, per esempio, può essere forse del tutto paradossale, così come lo è la terza concezione fornita più sopra sotto IV a proposito dell’analisi di “Questa è parte della superficie di una mano umana”; ma se sia tanto paradossale quanto questa mi sembra altrettanto dubbio come in quel caso. Molti filosofi, d’altra parte, mi sembrano convinti che vi sia poco o nessun dubbio circa la corretta analisi di simili affermazioni; molti di loro, del resto, rovesciando esattamente la mia posizione, hanno pensato anche che le affermazioni stesse non siano vere.
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