Scopri Intelligence & Interview di Scuola Filosofica!
Iscriviti alla Newsletter!
Consigliamo in SF – I paradossi dalla A alla Z di Michael Clark
Se in un bambino cresce in un una realtà virtuale in tutto identica alla realtà, in cosa egli sarà diverso da un bambino che cresce nella realtà?
Per chiarire questo problema bisogna definire con più precisione cosa si intenda per “bambino”, “cresce” e “realtà virtuale” e “realtà non virtuale”.
Il bambino nel problema rappresenta un qualunque soggetto che sia inconsapevole del fatto che le sue percezioni sono prodotte da una serie di stimoli a cui non si connettono i reali oggetti che li determinano “generalmente”: un soggetto in una realtà virtuale identica alla nostra riceve delle informazioni dal mondo le quali sarebbero identiche se fosse immerso nella realtà. Un esempio: quando un bambino vede una macchina nella realtà virtuale riceve tutte le informazioni sensibili che riceverebbe se l’automobile fosse “vera”. Dunque assumiamo questa definizione:
(1) Il bambino è un qualunque soggetto inconsapevole della virtualità della realtà in cui è immerso.
Il bambino è un soggetto umano in fase di sviluppo, perciò in crescita. In realtà, anche un vecchio è “in crescita”, se si intende con la parola esclusivamente il concetto di “evoluzione”. Tuttavia, in questo problema noi stiamo assumendo che il soggetto inconsapevole della virtualità del mondo che lo circonda, sia anche in un periodo della vita biologica in cui il suo organismo, e quindi il suo cervello, siano ancora in fase di sviluppo.
(2) Il soggetto è in crescita significa che il soggetto è in un periodo di sviluppo biologico.
Una realtà si dice “virtuale” se essa è costruita esclusivamente all’interno del soggetto e non ha un corrispettivo nella realtà dei fatti. La realtà virtuale è un mondo fittizio immaginato dal soggetto e interpretato come se fosse vero. Una realtà virtuale si può dire identica alla realtà non virtuale se e solo se per il soggetto i due mondi sono indistinguibili. In altre parole, la realtà (virtuale e non) è definita in relazione alla costruzione mentale che essa genera all’interno del soggetto. Perché una realtà virtuale si possa dire effettivamente “identica” ad un’altra si deve supporre che tutti i soggetti non sarebbero capaci di distinguere i due mondi. L’identità sta, ancora una volta, all’interno del quadro di percezione, cioè delle cause che provocano nel soggetto certe rappresentazioni del mondo. Se un mondo(1) pone al soggetto le stesse rappresentazioni della “realtà” del mondo(2) allora mondo(1) e mondo(2) sono identici per il soggetto. Prendiamo il caso che un soggetto sia nel mondo(1) e si addormenti, se al suo risveglio è nel mondo(2) ed egli non nota nessuna differenza a livello di percezione allora il mondo(1) e il mondo(2) saranno identici. Si potrebbe obbiettare che mondo(1) e mondo(2) potrebbero differire anche per un fatto singolo e tutto il resto rimanere uguale: anche in questo caso il soggetto, probabilmente, non li distinguerebbe. Però noi stiamo assumendo l’identità in senso forte: tutte le percezioni possibili del soggetto nel mondo(1) sono in linea di principio le stesse che nel mondo (2): se mondo(1) e mondo(2) differissero anche per un fatto, anche assumendo che il soggetto non sia a conoscenza della differenza, ciò sarebbe in linea puramente di principio verificabile. L’insignificanza del fatto non conta, nella misura in cui tale fatto può allo stesso tempo essere verificato in qualche modo. Infatti, si assume che qualunque fatto produca delle percezioni nel soggetto e a fatti diversi corrispondano percezioni diverse. Se così stanno le cose, due mondi possibili identici in tutto per il soggetto sarebbero per il soggetto indistinguibili.
Assumiamo dunque tale principio:
(3) Se il mondo(1) causa nel soggetto tutte le rappresentazioni del mondo(3) e il mondo(2) causa nel soggetto tutte le rappresentazioni del mondo (3) allora il mondo(1) e il mondo (2) saranno percettivamente identici per il soggetto.
La realtà “non virtuale” non è definibile in alcun modo sensato ed è un concetto da considerare come elementare, la cui negazione conduce piuttosto a realtà diverse. Per definire un mondo-fittizio bisogna assumere che esista un mondo che non lo sia. Infatti, non si potrebbe pensare ad alcuna informazione irreale se non si potesse all’informazione in se stessa. A questo punto riproponiamo i tre principi proposti:
(1) Il bambino è un qualunque soggetto inconsapevole della virtualità della realtà in cui è immerso.
(2) Il soggetto è in crescita significa che il soggetto è in un periodo di sviluppo biologico.
(3) Se il mondo(1) causa nel soggetto tutte le rappresentazioni del mondo(3) e il mondo(2) causa nel soggetto tutte le rappresentazioni del mondo (3) allora il mondo(1) e il mondo (2) saranno percettivamente identici per il soggetto.
Secondo l’assunzione (1) il bambino non è un soggetto che è ragionevolmente condotto a dubitare, supponendo che il dubbio sia ragionevole solo se ci sia qualche motivo che sorge spontaneamente e non argomentazioni filosofiche, ad esempio. E se anche ci fosse la possibilità di dubitare, sarebbe impossibile verificare quale delle due alternative sia vera e quale quella falsa: “Sono in mondo irreale/fittizio o sono in un mondo reale/non-fittizio” è un’asserzione indecibile se si assume che si conosca la verità dei due disgiunti attraverso la verifica di fatti.
Secondo l’assunzione (3) il bambino in questione, e qualunque soggetto umano, non sarebbe in alcun modo in grado di distinguere due mondi identici a livello percettivo. Dunque per (1) e (3) il soggetto percepisce i due mondi in modo identico, non ha ragione di dubitare che i due mondi siano diversi e, in fine, la sua vita non si svolgerà in modo diverso perché l’insieme delle rappresentazioni che egli ha del mondo non cambia in nessun caso. Dunque egli percepisce sapori quando mangia, odori quando annusa etc..
Secondo il principio (2) il soggetto è in fase evolutiva, motivo per il quale egli costruirà delle rappresentazioni del proprio mondo virtuale. Supposto per il punto (1) che il soggetto è immerso nella realtà virtuale di cui non è consapevole, e per il punto (2) che egli crescerà all’interno del mondo fittizio allora da ciò segue che il bambino vivrà una vita in tutto identica a quella di chi vive nel mondo non-virtuale giacché si è assunto che i due mondi sono identici per (3).
Posti i tre principi, sembrerebbe che tutto fili liscio. In effetti, supponendo l’esistenza di realtà in tutto e per tutto identiche alla nostra, solo ontologicamente distinte, esse non determinerebbero né fatti né pensieri grazie ai quali il soggetto potrebbe dire con qualche senso: “Se vivessi nel mondo(1) sarebbe diverso che nel mondo(2)”. In realtà, noi stiamo solo sostenendo l’identità degli indiscernibili da un punto di vista percettivo, l’idea che un mondo virtuale alla Matrix è generalmente ritenuto credibile.
Tuttavia, se questo ragionamento ha una qualche plausibilità filosofica, ciò è materialmente assurdo. Se il soggetto stesse con il corpo in una realtà diversa da quella che la mente si rappresenta (posto che questa frase abbia un senso) allora bisogna supporre che la realtà virtuale abbia l’intera capacità di causare percezioni della realtà-non virtuale, il che è assurdo, supposto che la realtà virtuale esista impiantata sulla realtà. Per simulare una realtà x in modo che la realtà y sia indistinguibile in tutti i sensi e in linea di principio per il soggetto S allora x e y dovrebbero condividere tutto l’insieme delle cause, vale a dire che x e y sono la medesima cosa, il che è supposto essere falso. Abbiamo supposto che mondo(1) mondo(2) siano identici non per natura causale-fattuale ma per “pensabilità-percettiva” del soggetto. Ma ciò implicherebbe che mondo(1) e mondo(2) siano identici anche relativamente ai fatti, cioè siano identici anche a livello ontologico, il che è negato.
Non si può immaginare una realtà virtuale identica al mondo-non virtuale perché la realtà virtuale implica necessariamente: (a) una perdita di informazione rispetto alla realtà non-virtuale, (b) un regresso non infinito nelle cause né in avanti né indietro nel tempo, (c) ontologicamente gli enti della realtà virtuale devono essere diversi dalla realtà-non virtuale: per rendere plausibile tutto ciò, dunque, si deve depotenziare il concetto di realtà virtuale sia da un punto di vista epistemologico che ontologico.
Una realtà virtuale è possibile solo come sottomondo della realtà, non come mondo parallelo. Se si considera come mondo parallelo, allora esso non è più un mondo fittizio, ma un altro mondo, come due mondi possibili non sono l’uno l’immagine dell’altro ma due universi paralleli e distinti in tutto. Così, però, l’idea di una realtà immaginaria identica a quella reale cade perché cadono le condizioni di possibilità.
Inoltre, una realtà virtuale non identica a quella non-fittizia avrebbe delle conseguenze nella rappresentazione del soggetto della realtà e di se stesso. Ma ciò, ancora una volta, abbiamo assunto che non sia possibile, se mondo(1) e mondo(2) sono realmente identici.
In conclusione: se un bambino nascesse in una realtà in tutto indistinguibile dalla realtà non-virtuale allora egli avrebbe una “vita” (percezioni, appercezione, autocoscienza, coscienza del mondo, realtà degli affetti, mondo dell’eticità, insieme dei comportamenti atti alla sopravvivenza, cioè l’esser parte di un mondo, il suo esser-ci) del tutto identica a quella di un altro bambino nato in una realtà non virtuale.
Tuttavia, questa possibilità è implausibile perché un mondo siffatto sarebbe non-virtuale, ma la realtà stessa da tutti i punti di vista.
Be First to Comment