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Consigliamo I tre generi dell’etica e Introduzione all’epistemologia di Giangiuseppe Pili
(1) Esistono proprietà morali
- Le proprietà morali sono emergenti rispetto a quelle naturali
- Le proprietà morali sono somme complesse di proprietà naturali
(2) La conoscenza morale è espressa da giudizi sintetici a posteriori
(3) La conoscenza morale offre giustificazioni e motivi per l’azione
- Le motivazioni morali per l’azione funzionano solo nella dimensione contingente
- La moralità è capace di motivare gli agenti solo se ci sono determinate predisposizioni psicologiche
(4) La morale è prescrittiva e su questa base si possono operare previsioni di comportamento degli individui
Il realismo naturalista in etica riprende alcuni temi del naturalismo in generale: l’idea è quella di sforzarsi di concepire una morale che non abbia termini non riducibili ad altri incorporati nelle teorie scientifiche. Il naturalismo è una posizione che riduce ogni discorso a quello scientifico, assumendo questo come spiegazione unitaria del mondo.
Il primo punto fondamentale per un realista in questo senso non è rifiutare l’idea che non esistano fatti morali ma che questi non siano distinti da quelli spiegati dalle più accreditate teorie scientifiche: il fisicalismo è radicale. Dunque per giustificare (1), l’esistenza di proprietà morali, una strategia può esser quella di sostenere che essi siano presenti ma indipendenti da fatti fisici. Questa concezione si espone all’obiezione forte della “stranezza ontologica”: è molto discutibile che possano esistere fatti che non siano conosciuti e spiegati attraverso i metodi e le teorie scientifiche. Il realismo naturalista risolve il problema reinserendo le proprietà morali, predicate nel linguaggio da termini quali “bene”, “male”, “giusto”, “ingiusto” etc., all’interno di proprietà non-morali: una proprietà morale sarebbe un insieme molto complesso di proprietà non morali che sono sempre o per lo più presentate nella realtà insieme. Per esempio, il carattere di una persona entra nel discorso morale ma può essere considerato come una somma poliedrica di fatti non-morali che sono perfettamente spiegati dalla fisica quantistica, per quanto riguarda il funzionamento a livello particellare del sistema cognitivo, dalle neuroscienze per quanto riguarda l’analisi funzionale della computazione, dalla psicologia per altri meccanismi e così via. In questo senso, ogni analisi che verta sul carattere di una persona è morale e, allo stesso tempo, inserito in un quadro naturalista che non richiede in alcun modo la postulazione di entità “strane”, definite in modo indipendente da quelle fisiche-standard e conosciute attraverso dubbie intuizioni. Un problema sorgerebbe qualora le qualità morali fossero, in realtà, dei fatti “semplici”, cioè che non richiedono una correlazione di livelli diversi, cioè dei fatti spiegabili da una sola teoria fisica: in realtà, per dar conto di fatti morali bisogna analizzare molti livelli di analisi scientifica molto diversi e la cui spiegazione è molto articolata e, soprattutto, lunga e dispendiosa. Per questa ragione, risulta molto comodo avere una spiegazione ad alto livello che possa tener conto di eventi fisici complessi di difficile analisi differente: spiegare il comportamento umano (anche di un solo uomo), a partire dalla fisica delle particelle sarebbe un lavoro improbo dal punto di vista del tempo che richiederebbe. Inoltre, detto per inciso, ciò non è ancora possibile: non esiste una teoria fisica del comportamento complesso dell’uomo. Dunque, l’idea del realismo naturalista è quella di considerare la moralità come il complesso delle azioni umane, considerandole come definite da proprietà emergenti, somme di proprietà naturali (1)(a): le proprietà morali. Niente entità strane, niente intuizioni discutibili. E tutto sommato la morale rientra all’interno di un panorama di spiegazione scientifico che, secondo molti filosofi autorevoli (Quine, giusto per far un nome) è l’obbiettivo ultimo della filosofia.
La conoscenza morale è di due generi diversi: in prima persona e in terza persona. Un’azione morale è determinata da una serie di predisposizioni psicologiche che inducono un soggetto all’azione. Senza la componente psicologica, che è di natura prettamente contingente e non universalizzabile, il comportamento non è determinato secondo precetti morali. L’idea è che imperativi morali non siano che dei giudizi sintetici a posteriori, vale a dire delle proposizioni che stabiliscono come le persone agiscono in linea di massima e, grazie a ciò, consentono delle previsioni.
La conoscenza morale si articola come un paradigma scientifico: ci sono dei dati di fatto conosciuti empiricamente (il comportamento delle persone) che vengono concepiti come “morali” a seguito della loro intrinseca complessità. Su tali dati si possono operare delle generalizzazioni a partire dalla conoscenza empirica dei dati stessi: questi sarebbero le regole. In fine, la morale si costituisce come modello di predizione del comportamento ed è soggetta alle critiche e alle “crisi” assimilabili a quelle riscontrate dalle altre scienze: essa si mette in discussione a partire dalla non-spiegazione di alcuni dati di fatto, incapacità di previsione etc. Il paradigma vincente diventa quello più competitivo nella lotta per la spiegazione migliore.
Il problema del realismo naturalista è di fornire delle ragioni per agire e non solo delle descrizioni (ammesso che le dia) del comportamento degli agenti morali. Il fatto che un uomo agisca in virtù di determinate proprietà, definite come “morali”, non indica ancora perché la morale dovrebbe motivare all’azione. Inoltre, questa concezione dell’etica implica un suo annullamento: se l’etica è riscritta nei termini di una scienza, allora il problema del “dovere” cade automaticamente. Ciò che conta è solo sapere come gli individui agiscono nel concreto e perché, non se tali individui agiscano bene o male. L’aspetto normativo non è annullato dalla descrizione: in questo caso, la normatività non è solo la componente assiomatica di ogni teoria scientifica. Il livello normativo in questione è proprio quell’insieme di ragioni, regole, imperativi che distinguono il buon comportamento. Per fare un esempio: sarebbe come pretendere che la descrizione dei fagioli e dei vari tipi di essi risponda alla domanda “quali sono i fagioli più buoni”. Allo stesso modo, dire che la maggior parte degli agenti economici si comporta in un modo non-razionale, secondo la teoria della decisione razionale, non significa che facciano bene! O, ancora, il fatto che ci siano rare persone che siano in grado di operare ragionamenti corretti non significa che facciano bene a farlo e così via.
Alcuni autori considerano il realismo naturalista in etica una forma di scetticismo morale, cioè una forma sofisticata di descrizione di eventi senza tener conto dell’aspetto normativo che in etica è essenziale. La scienza, è stato osservato, sarà pure in grado di dirci cosa siamo ma non in grado di dirci come agire: il fatto di sapere qualcosa non implica di per sé alcuna conseguenza sul piano normativo. Un’obiezione, questa, che il realismo naturalista dovrebbe risolvere in modo convincente.
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