Voglio parlarvi di un tema a me molto caro: l’insegnamento del Sardo, come lingua ufficiale, nelle scuole di ogni grado nel territorio isolano. La Sardegna mi appartiene, lei mi fa sua ogni volta che mi sveglio e mi sento a casa. E’ la mia Terra e, in quanto tale, la voglio preservare in tutto e per tutto. La nostra cultura, la nostra lingua, la nostra casa devono prosperare, e di conseguenza prospererà la nostra identità.
Prima, però, di affrontare tale argomento, è necessario un piccolo passo indietro, fornendo qualche delucidazione a proposito dei processi storici in atto nell’Isola sotto il profilo linguistico della Limba, essenziale per farvi capire il mio punto di vista.
Richiamo dunque l’attenzione dei Sardi, ma anche quella di coloro che pur non essendolo, sono rimasti attratti da questa purezza che ci caratterizza.
Il Sardo è una lingua?
Questa ambiguità, ancora radicata nel luogo comune, dovrebbe essere ormai chiarita. Eppure alcuni fattori che la tengono in vita vi sono e li definirei ragguardevoli. La lingua presenta, infatti, problematiche evidenti: la frammentazione linguistica e la mancanza di unità ortografica. E’ facile notarlo: tutti i dialetti sardi si differenziano tra loro e tutti hanno una diversa ortografia. Tale fenomeno è causato dalle colonizzazioni che ha subito la Sardegna durante i secoli. Le più importanti in chiave linguistica furono quella dei Catalano-Aragonesi, che governarono la Sardegna per centocinquant’anni, successivamente quella della Spagna, fino al 1720, anno in cui l’isola passò sotto il dominio sabaudo-piemontese. Vocaboli come ‘ventana’ (finestra) o ‘calantura’ (febbre) sono ancora utilizzati. Per questa ragione il sardo, come detto, presenta una frammentazione linguistica, la quale però, grazie all’opera prodigiosa dei Cantadoris, si è ridotta a due macro varietà diatopiche, cioè due variazioni linguistiche legate all’area geografica: il Campidanese (Capo di Sotto) e il Logudorese (Capo di Sopra). Con gli anni si sono formati un Campidanese e un Logudorese letterari, propriamente di nessun paese, in cui però tutti i sardi (del Sud o del Nord) si riconoscono perché li comprendono, li apprezzano e li percepiscono come propri. Le due varietà si differenziano assai, tanto da risultare incomprensibili a chi ne padroneggia solamente una. Il Logudorese, giusto per fornirvi un riscontro, ancora conserva strutture del latino arcaico (probabilmente dato dal fatto che la zona di sviluppo ricopre la Sardegna interna, e quindi meno soggetta a contatti linguistici). Un esempio facile da ricordare è il sostantivo ‘sue’ (scrofa), dal latino arcaico ‘sus’, paragonabile col più moderno campidanese ‘madri’, dal latino più recente ‘matrix’. Si deduce che il Campidanese ha subito, nel tempo, contaminazioni linguistiche che ancora il Logudorese ignora, le quali hanno dato vita a processi linguistici come quello della palatalizzazione (da kentu a centu). Anche l’ortografia si è essenzialmente ridotta alle due varietà, di pari passo con la frammentazione. Vi sono poi, è doveroso citarle, altre varietà linguistiche in Sardegna, le quali tuttavia non possono essere ritenute delle varianti del Sardo, perché allogene (giunte da fuori) e alloglotte (differenti dalla lingua ufficiale o da quella parlata maggiormente). Parlo in particolare del Sassarese, del Gallurese, del Tabarchino e dell’Algherese.
La Legge Regionale n. 26 del 1997 intitolata “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna”, nell’articolo 2 sancisce: “Ai sensi della presente legge la Regione assume come beni fondamentali da valorizzare la lingua sarda – riconoscendole pari dignità rispetto alla lingua italiana – la storia, le tradizioni di vita e di lavoro, la produzione letteraria scritta e orale, l’ espressione artistica e musicale, la ricerca tecnica e scientifica, il patrimonio culturale del popolo sardo nella sua specificità e originalità, nei suoi aspetti materiali e spirituali.”
La Legge Nazionale n. 482 del 1999, nell’articolo 2 recita: “In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, […] e il sardo.”. E nell’articolo 4, comma 1: “Nelle scuole materne dei comuni di cui all’articolo 3, l’educazione linguistica prevede, accanto all’uso della lingua italiana, anche l’uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado, è previsto l’uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento.”.
Ricapitolando, il Sardo è una minoranza linguistica, ufficialmente una lingua riconosciuta dalla legge e che dovrebbe avere pari dignità alle altre lingue quali Italiano, Francese, Tedesco etc. Allo stesso tempo, però, è facile dimostrare che la pari dignità sia una semplice asserzione dichiarativa di intenti, la cui verità risiede esclusivamente sulla carta (ormai vecchia di sedici anni). Infatti, la Limba non gode delle agevolazioni e dei diritti di cui dovrebbe godere. Denuncio che per lo studio del Sardo non esiste un sostanzioso corpo d’insegnanti laureati; il Sardo non è una materia obbligatoria (come invece lo sono l’Italiano e l’Inglese); il Sardo non possiede norme consolidate di ortografia, fonetica, morfologia e lessico.
La situazione attuale
Il contesto odierno della Sardegna è in continuo declino. Tra gli anni 50’ e 70’, il Sardo fu proibito nelle scuole. Testimoni i miei genitori, i quali, se sfuggiva una parola, andavano incontro a punizioni corporali umilianti; e come loro chissà quanti altri.
Dunque, posso dedurre che i miei genitori non padroneggiano la lingua come i miei nonni, e io non ho la stessa padronanza che invece hanno i miei genitori. E’ un circolo vizioso che va ad aggravarsi nelle generazioni più giovani: il Sardo è in serio pericolo di estinzione. Ormai la lingua italiana è sicuramente quella madre (L1), mentre il Sardo non occupa nemmeno il posto di quelle che si definiscono L2, cioè lingue apprese successivamente alla L1 in modo volontario. Si classifica invece come LE, lingua intermedia, il cui apprendimento viene lasciato al caso, senza creare volontariamente situazioni di studio mirato. Ecco perché si verifica in Sardegna una situazione di diglossia, dove due lingue presiedono nella stessa comunità, ma queste non sono alla pari. L’Italiano si definisce “high”, parlato e capito da tutti, mentre il Sardo è “low”, non parlato (se non con qualche sentenza di circostanza) e poco capito. L’ingresso dell’Italiano nelle scuole creò (e in alcuni paesi crea) un disorientamento generale dell’uso del Sardo: ciò facilita la nascita di vocaboli vistosamente spuri, quali ‘prestu’, ‘giallu’ etc.
Norme nelle scuole
Per quanto affermato, credo che per porre rimedio sia necessario insegnare tale lingua nella scuole di tutti i gradi. Il sardo è un patrimonio culturale immenso, non misurabile, perderlo significherebbe perdere parte della nostra storia e parte della nostra identità.
Finora ci sono state tre proposte di normalizzazione della lingua. La prima del 2001, chiamata Limba Sarda Unificada (LSU); la seconda chiamata Limba Sarda Comuna (LSC), nata nel 2006. Entrambe volute dalla Regione Sarda ed entrambe propongono uno standard con una sola norma: ovvero il Logudorese. Appare non priva di quesiti la scelta della lingua unica come standard linguistico, nella misura in cui non si vede come tale selezione non sia guidata da una qualche altra preferenza non esplicita, dal momento che due lingue così diverse non sono riducibili in alcun modo. Una simile selezione appare arbitraria e quindi dubbia.
Il Comitato Scientifico per la Norma Campidanese del Sardo Standard la pensa diversamente: il Logudorese e il Campidanese devono avere ed è giusto che abbiano pari dignità. Considerarne solo una vorrebbe dire ancora una volta perdere qualcosa di significativo, non tenendo conto dei percorsi storici, culturali ed economici intrapresi dalla Sardegna. Inoltre, secondo il Comitato, “la prima sciagura che colpisce i popoli che perdono la lingua materna a vantaggio di una straniera innestatasi al suo posto, è la diffusione di una straordinaria povertà lessicale, che genera grande insicurezza, specie tra chi della nuova legge deve fare uso”. Infine, tale scelta non nasce da nessun dibattito e da nessun parere, né di coloro che parlano Sardo quotidianamente, né dai luoghi dell’istruzione o di cultura (Scuola e Università), né da forme di delegazione del popolo sardo come i Comuni, le Provincie e il Consiglio Regionale.
Riporto ora la proposta del Comitato Scientifico che prevede entrambe le norme (Campidanese e Logudorese) all’interno della scuola:
1) le Scuole dell’Infanzia e Primarie devono usare, per la comunicazione orale con i bambini, il dialetto del paese. Per la scrittura devono usare la norma della varietà in uso nella Provincia di appartenenza; ma ogni bambino deve apprendere alcune poesie all’anno nella norma della varietà diversa dalla sua;
2) le Scuole Secondarie di 1° grado devono usare con gli studenti la norma della variante in uso nella loro Provincia. Ma ogni studente deve imparare a leggere correttamente qualunque brano nella norma della varietà diversa dalla sua;
3) le Scuole Secondarie superiori devono usare con gli studenti la norma della varietà in uso nella loro Provincia. Ma ogni studente deve possedere una competenza linguistica attiva minima nella varietà diversa dalla sua;
4) la facoltà Sardistica dell’Università deve usare con gli studenti la norma della varietà in uso nella sua Provincia. Gli studenti devono sostenere gli esami nella varietà in uso nell’università. Ma ogni studente deve sostenere un esame nella norma della variante diversa dalla sua.
E’ da menzionare, d’altro canto, il fatto che sebbene la Legge Regionale e quella Nazionale tutelino il sistema linguistico isolano, il MIUR non concede modifiche al programma scolastico ministeriale. Quindi anche volendo, l’attuazione di questo piano risulta impraticabile e quindi ipso facto vacuo.
Più passa il tempo, poi, più tale azione risulta vana: si arriverà ad un punto di non ritorno in cui i Sardi non sapranno più né parlare né capire la loro lingua, e allora sarà privo di significato l’inserimento della lingua, che sarà studiata solamente in modo teorico e non verrà impiegata al di fuori della scuola.
BIBLIOGRAFIA
Comitato Scientifico per la Norma Campidanese del Sardo Standard, Regole per ortografia, fonetica, morfologia e vocabolario della Norma Campidanese della Lingua Sarda, Cagliari, Alfa Editrice, 2009
Wagner, Max, La Lingua Sarda, Nuoro, Ilisso Edizioni, 2001.
https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_sarda
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Sardegna_aragonese
http://www.regione.sardegna.it/j/v/86?v=9&c=72&file=1997026
http://www.camera.it/parlam/leggi/99482l.htm
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Articolo molto interessante, ma vorrei allargare il discorso, solo il sardo è una lingua? O tutti gli altri “dialetti” in Italia sono lingue? Per queste, come per il sardo, esistono molti luoghi comuni che hanno nel tempo tolto lo status di lingua delimitando queste lingue a dialetti. Metto le mani avanti non conoscendo con chi sto parlando, quelli che noi chiamiamo dialetti sono in realtà lingue, e non lo dico io, ma sono riconosciute tali dai linguisti e da note organizzazioni internazionali come l’UNESCO. Ora, io mi chiedo perché limitarci al sardo? Perché non prendiamo in considerazione tutte le altre lingue? Perché se è vero che il sardo è in calo, cosa bisognerebbe dire allora a proposito delle lingue del nord Italia, dove i forti flussi migratori sia interni che esterni uniti a un’opera di proibizione e italianizzazione forzata (come nel caso dei nomi locali delle montagne, dei paesi, delle aree geografiche, ecc.) hanno ormai ridotto queste lingue su declino, a mio parere, irrecuperabile. Pensiamo al milanese, ormai parlato solo da qualche sparuto gruppo di anziani mentre i giovani non ne hanno la minima conoscenza. Io personalmente sono convinto che il sardo c’è la farà, la Sardegna è ancora un’isola “etnicamente” omogenea, persone come te e molte altre sono attive in questa campagna di promozione e di presa di coscienza, e inoltre la regione stessa si sta attivando anche se lentamente(cosa possibile solo per la Sardegna per il suo alto grado di autonomia regionale). Dovremmo prendere tutti più coscienza come italiani che l’Italia non è una, ma molte italie, tutte belle e caratteristiche proprio perché diverse. Mi spaventa molto di più l’omologazione che la differenza, sopratutto quando con l’omologazione si vogliono “uccidere” lingue e tradizioni. Non penso che se un domani ognuno conoscerà bene la sua lingua locale l’Italia morirà, anzi! Tutto il contrario! L’Italia è tale perché tutte le sue ricchezze sono il prodotto di decine di culture diverse che per millenni hanno agito separatamente, ma ora che sono unite non bisogna lasciarle morire, o l’Italia morirà insieme a loro!
https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_lombarda (la mia)
http://www.unesco.org/languages-atlas/index.php
Permettimi, in primo luogo, di ringraziare per il tuo prezioso commento: non capita spesso e ne sono onorata.
La tua argomentazione è valida e non posso che essere d’accordo. Essendo sarda, ed essendo poco informata circa la situazione delle altre minoranze linguistiche italiane, ho basato il saggio su questa lingua, ma come hai suggerito è bene ampliare un discorso analogo all’Italia, all’Europa e al globo intero. E’ chiaro che il tema è delicato, e come sostieni, probabilmente nella maggior parte delle zone italiane si è già giunti ad una situazione irrecuperabile.
Ma, a questo punto, una domanda mi sorge spontanea: partendo dal fatto che la distinzione fra lingua e dialetto è anche di natura politica (forse la ragione per cui li chiamiamo “dialetti” in modo improprio), oltre che linguistica come propone la definizione, vi è qualcuno che potrebbe fare la differenza a cui importa veramente? Il solo riconoscere una lingua come tale non è sufficiente: ne abbiamo l’evidenza. Per quanto mi riguarda, la presa di coscienza da parte del popolo è solo il primo passo verso un obiettivo lontano chilometri, ma è comunque un inizio importante.
La mia soluzione, come traspare nel saggio, è l’educazione. Potrebbero esistere altri rimedi altrettanto efficaci?
https://it.wikipedia.org/wiki/Dialetto