È da poco uscito nelle sale cinematografiche un nuovo cartone, o “plasticone digitale”, l’ennesimo in questi tempi in cui i cartoni sono, in proporzione, preferiti ai film. Il titolo del cartone è Inside Out.
Mi sono recato alla sala cinematografica più vicina a casa con una certa diffidenza: ultimamente non sono stati molti i cartoni che mi hanno stupito e hanno lasciato il segno all’interno della mia “isola cinematografica” del cervello (vedi dopo). Fra questi voglio senz’altro ricordare WALL-E e Up, cartoni che vedo e rivedo sempre con estremo piacere e che riescono ad emozionarmi. Inside Out, dal canto suo, mi ha attirato per la grande pubblicità mediatica che c’era stata precedentemente l’uscita nelle sale e la grande aspettativa che c’era su di esso. Tuttavia la diffidenza e le aspettative erano entrambe molto alte.
La trama del film è molto semplice, ma ben strutturata: Riley è una bambina di undici anni che fino al momento del suo trasferimento a San Francisco, viveva una vita felice tranquilla, dove ha avuto modo di sviluppare ciò che ha di più caro. La famiglia, l’hockey, i giochi d’infanzia “le stupidere”, sono dunque le sue isole del cervello più sviluppate e più felici che la rendono la persona che è. Il momento del trasferimento è vissuto da Riley con enorme diffidenza e scetticismo, elementi inizialmente confermati, che la porteranno a star male e cadere in una grave depressione. Chi la aiuterà a uscire da questa crisi pre-adolescenziale?
Qui entra in gioco la vera innovazione del film che non vede un protagonista assoluto, piuttosto diverse figure che, oltre Riley, si innestano nell’intreccio narrativo: stiamo parlando di Gioia, Tristezza, Disgusto, Rabbia e Paura, i cinque simpatici elementi che giocano all’interno del cervello procurandoci tutte le emozioni portate dai loro nomi. Il cartone dunque è la storia di Riley sì, ma è la storia delle sue emozioni e di quello che a loro volta fanno: dunque l’inquadratura fondamentale di Inside Out è una soggettiva dagli occhi di Riley, dietro ai quali sta il quartier generale con i vari sentimenti.
È questo il punto forte del film: la storia del cervello di Riley, dove stanno conservati i ricordi base, inizialmente solo gioiosi, legati perlopiù all’infanzia che come dice Gioia “rendono Riley ciò che è Riley”. I ricordi base non si possono cancellare a piacimento, ma devono essere conservati in un prezioso “silos” cerebrale. I cinque sentimenti naturalmente sono amici fra di loro, ma lo capiranno in un processo di crescita che durerà tutto il film, nessuno di loro può fare a meno dell’altro. Questo è il significato per me più importante che lo sceneggiatore ha voluto lasciar trasparire e ho trovato fondamentale il dualismo imprescindibile che vige fra tristezza e gioia (anche per i ricordi base), ma naturalmente anche fra tutti gli altri sentimenti.
In ultima analisi un cartone animato molto bello, che però non raggiunge il massimo dei miei pur semplici gusti, perché comunque non è riuscito a emozionarmi come i miei preferiti sopra citati: voglio spendere una parola di encomio per la trama, assolutamente originale, e all’assenza delle quasi sempre inevitabili canzoni all’interno del film, e anche quest’ultimo, visti i precedenti terribili (vedi Frozen), è un elemento a grande favore.
VOTAZIONE PERSONALE: 6/8
Inside Out
Un film di Pete Docter. Con Mindy Kaling, Bill Hader, Amy Poehler, Phyllis Smith, Lewis Black.
Titolo originale Inside Out. Animazione, durata 94 min. – USA 2015. – Walt Disney
Stralci di recensione della stampa[1]
Dopo Inside Out verrebbe quasi da chiedersi: come si potrà raccontare la vita di altri personaggi senza tener conto di come è stata trattata Riley, l’adolescente protagonista di questo film? Le reazioni, le scelte degli esseri umani, ci dicono quelli della Pixar, sono frutto di mediazioni tra diverse emozioni. Così, grazie alle loro magie, entriamo nella mente della ragazza e scopriamo al Centro di Controllo Gioia, Tristezza, Disgusto, Rabbia e Paura, personaggi diversissimi e tutti fondamentali. La Repubblica
Addio Freud, bye bye dottor Jung, dite addio a psicofarmaci, lettino dello psicanalista, terapie di gruppo, mappe elaborate dai neurologi. Il messaggero
La Pixar torna ai suoi momenti migliori: alla regia, forse non a caso, c’è Pete Docter, che aveva firmato due capolavori come Up e Monsters & Co.. La struttura è quella classica del viaggio, comune a tutte le fiabe di questa casa di produzione, e la morale quasi didascalica. L’Espresso
Inside Out, è il più high concept dei film che la Pixar ha realizzato finora, e non solo perché è ambientato quasi interamente nella testa di una bambina. Il Manifesto
[1] http://www.mymovies.it/film/2015/insideout/
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