Le opere presentate in questa mia relazione appartengono a periodi diversi fra loro. Tuttavia, nelle loro diversità, presentano una volontà comune di appartenere ad un genere che, sotto molti punti di vista, è alquanto eterogeneo. Il genere gotico ha, nelle sue intenzioni primarie, interesse a rifarsi al Medioevo come fonte dalla quale trarre ispirazione nel raccontare storie esotiche, dal sapore retrò (utilizzando un termine che va tanto di moda oggi), ma anche cariche di una forza propria, forse unica rispetto ad altri generi.
Questa forza, permette agli autori di raccontare di personaggi, spesso bislacchi e un po’ rozzi, quando, in quanto signori in possesso di castelli (come Manfredi de Il castello di Otranto) ci aspetteremmo tutt’altro comportamento.
Questa forza, permette anche di creare entità soprannaturali. Wolpole ce le ha mostrate per la prima volta, la Radcliffe e Lewis ne continuarono a farne uso. Quest’ultimi cercarono, però, di dare nuovo slancio al genere con un po’ di nuovi stratagemmi. La Radcliffe prese il soprannaturale e lo portò ad un livello reale, innestando nella storia l’elemento psicologico.
Lewis sfruttò, invece, un aspetto de il castello di Udolfo, quello di saper intrecciare le storie fra di loro, ad un livello di maestria tale da poterle fare auto-convalidare l’una con l’altra.
Radcliffe, che ammirava l’opera di Lewis, migliorò l’abilità di intrecciare le storie ne L’italiano.
Entrambi si adoperarono per presentare al pubblico l’importanza dell’aspetto psicologico in un’opera gotica. La paura, l’ossessione, la paranoia creano mostri, mostri in grado di perseguitarci, soprattutto se, ahimè, siamo così sciagurati da nasconderci in castelli e fortezze.
Castelli e fortezze, aumentano le possibilità di incontrare un evento fuori dalla comune realtà, soprattutto se siamo fanciulle sole e sperdute, ma ancora in grado di fantasticare. La fantasia, per la Radcliffe, è sempre presente negli animi sensibili, ma la sensibilità non è un aspetto che può risultare utile nel mondo dei romanzi gotici. Coloro che sono sensibili sono molto più soggetti a subire soprusi.
Già da questa “strana coppia” Radcliffe-Lewis si può vedere debuttare uno dei grandi aspetti del gotico: l’elemento sociale. Loro li presentano in due forme, la famiglia e la Chiesa, come luoghi di alienazione, tuttavia, non dobbiamo stupirci se l’istituzioni ricompariranno più tardi, anche se in altre forme.
In primo luogo, sarà la realtà sociale ad essere al centro dei romanzi gotici e soprattutto quando verrà mostrata l’incapacità dell’aristocrazia di tenersi al passo con i tempi.
Dalle critiche verso Il vecchio Barone Inglese il gotico si muoverà in direzione della nuova borghesia, una borghesia che però ha ancora dei grossi limiti, come mostrerà il vampiro di Dracula.
Negli anni la letteratura gotica aggiungerà nuovi simboli a cui fare riferimento, riprendendo antichi miti come il Faust e Prometeo, per rivederli sotto una nuova luce.
Saprà, inoltre, interrogarsi su l’importanza della scienza e come essa debba relazionarsi alla mortalità, sui cambiamenti nelle strutture sociali, riallacciandosi molto spesso, al vecchio feudalesimo, per mettere in mostra le differenze presenti, rispetto ai tempi in cui i signori vivevano nei castelli.
Infine, il gotico metterà in scena la parte più oscura dell’umanità: i suoi sentimenti repressi, che una società ordinata non sa accettare.
Questi e molti altri sono i temi trattati, che non starò qui a ripercorrere per intero.
È chiaro, però, qual è l’elemento che li accomuna tutti, il minimo comune denominatore: l’uso del Medioevo. Il Medioevo che diventa “una comoda e un po’ inutile etichetta, applicata a bottiglie che non danno sempre lo stesso vino”[1]. È questa la definizione di Eugenio Randi, che si chiede qual è l’utilizzo del Medioevo in epoca contemporanea.
Proprio nella contemporaneità, il Medioevo assume forme che, in ambito letterario, sono le più disparate. La letteratura stessa ha sfruttato il periodo medioevale per creare le storie più fantasiose.
Il gotico, negli anni del ventesimo secolo, ha visto contaminazioni con altri generi, nonostante spesso si sia ricondotto l’idea del Medioevo al classico stereotipo di periodo violento e barbaro.
Lo stesso Isaac Asimov, nella sua Trilogia della Fondazione, ci presenta una forma fantascientifica di Medioevo, nella quale l’umanità si affida a degli scienziati, segregati in pianeti isolati (monasteri?)[2], dove studiano le possibili soluzioni per permettere la sopravvivenza della razza umana alle sue numerose crisi[3].
Gran parte delle citazioni medioevali si trovano in genere impensabili. Per concludere, citerò alcune di queste nuove forme di gotico.
Il genere fantascientifico, come quello di Asimov, si sposa bene con romanzi di tipo apocalittico. Il Medioevo assume in questi casi una forma di day after, come in La morte di Megalopoli[4], di Roberto Vacca. In questo romanzo, una società futuristica iper-informatizzata, perde il controllo della rete che tiene in collegamento tutte le comunità, riducendo la potenza degli Stati Uniti e riportando l’umanità ad uno stato tribale. Gli uomini si dividono in gruppi (barbari), pronti a procacciarsi i beni con le loro scorribande e a difenderli arroccandosi in posizioni strategiche (castelli)[5].
In un racconto del 1900, L’uomo che poteva compiere miracoli, di H.G. Wells, la figura del signor Fotheringay è quanto mai originale. Con la propria volontà egli ha il potere di cambiare il corso degli eventi. Dopo un breve periodo nel quale si abitua a questo suo dono, egli si consulta con un prete per poter fare del bene, assieme al quale riuscirà a fare del bene: redimendo ubriaconi, asciugando paludi, ecc. Tuttavia, i guai arrivano quando, per poter completare la loro opera, decidono di arrestare il sole, proprio come Giosuè. Persone, animali e cose, vengono annientate a causa della propria inerzia. Si salverà soltanto Fotheringay, grazie ai suoi poteri[6].
Impressionante è la capacità, mostrata da Wells, del personaggio della sua storia, di poter infrangere anche il principio di non contraddizione, piegando le leggi della natura: ovvero si apre la possibilità al fatto che una cosa sia e, allo stesso tempo, non sia.
Tale principio era stato difeso da Tommaso D’Aquino anche contro chi, come Pier Damiani, riteneva che Dio potesse modificare il passato[7].
Wells riprende discussioni tardo medioevali sulla possibilità di passare da un mondo all’altro dei mondi possibili, che Dio avrebbe potuto creare, ritenendo aperta la via per poter ricreare un mondo anche nella struttura delle leggi che lo sorreggono e lo permeano.
Ultimo fra i tentativi di confronto con il Medioevo è un ben più lineare romanzo, privo delle contemporanee contaminazioni, di Laura Mancinelli, dal titolo I dodici abati di Challant (1981). Chiuderei la mia rassegna con questo libro, perché senza gli spunti apocalittici dei precedenti si presenta come un romanzo ironico sul Medioevo. Sospeso tra storia e invenzione in un Medioevo che sembra vero, la trama è incentrata su dodici abati.
La storia narra di dodici monaci, che hanno avuto l’incarico di sorvegliare un duca che ha l’obbligo della castità a seguito di un testamento. Il romanzo passa in rassegna i punti di vista e gli stili di vita caratteristici del medioevo mediante alcuni personaggi particolari. Il personaggio principale, il duca, passa con l’avanzare del racconto in secondo piano, per fare in modo che i vari personaggi abbiano uguale importanza ad eccezione della contessa, l’unico personaggio che riesce a collegare tutti gli altri ruoli e a dare loro un’importanza[8].
Il romanzo si presenta come un riflesso dell’ideale di vita medioevale, secondo la prospettiva della Mancinelli, raccontato attraverso i punti di vista dei singoli abati e di altri personaggi. Queste sono alcune delle attuali trasformazioni del romanzo gotico, che trae direttamente, come abbiamo visto, ispirazione dal Medioevo in tutte le sue forme, anche in quelle più inaspettate, come nel caso dei romanzi fantascientifici.
Il Medioevo, da questa prospettiva, risulta più che un periodo storico, un insieme o un amalgama di elementi, caratteristiche, ambientazioni, personaggi, ruoli da cui trarre spunto per qualunque tipo di storia. Un “cilindro magico” dal quale poter tirare fuori, più che dei conigli, ispirazioni per storie, anche a noi contemporanee. A riprova del fatto che effettivamente parlare del Medioevo è forse parlare della nostra vita e della nostra realtà quotidiana, il Medioevo e la nostra quotidianità sono, evidentemente, due termini, per cui l’uno non esclude l’altro.
[1] Eugenio Randi, il Medioevo ha il naso di cera. Il Medioevo nei romanzi contemporanei, in Il Medioevo: specchio e alibi, a cura di Enrico Menestò, Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Ascoli Piceno, 1997, p. 37
[2] Eugenio Randi, il Medioevo ha il naso di cera, p. 39
[3] Isaac Asimov, Il ciclo delle fondazioni, Mondadori, Milano, 2011
[4] Roberto Vacca, La morte di Megalopoli, Mondadori, Milano, 1991
[5] Eugenio Randi, il Medioevo ha il naso di cera, p. 39
[6] H.G. Wells, Avventure del tempo e dello spazio, Editore Mursia, Milano, 1973, pp. 471-484
[7] Eugenio Randi, il Medioevo ha il naso di cera, pp. 42-43
[8] Laura Mancinelli, I dodici abati di Challant, Einaudi Editore, Torino, 1995, pp. 3-139
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