Di Pili G., www.scuolafilosofica.com
La descrizione è di tre tipi: definita, indefinita e impropria. I tre tipi di descrizione denotano tre cose distinte, nel primo caso un oggetto, nel secondo caso un insieme e nel terzo caso un insieme vuoto ( un individuo che non esiste è un insieme vuoto ). Il problema della descrizione è il problema di stabilire cosa sia l’elemento atomico del linguaggio, ovvero cosa possa essere l’enunciato atomico minimale dotato di senso compiuto.
Un enunciato è formato da predicato e termine singolare, s’è visto, ma l’enunciato, per esistere, necessita tanto dei predicati quanto dei termini singolari. I termini singolari sono nomi e descrizioni definite, espressioni che denotano oggetti. Ma quale differenza c’è tra nomi e descrizioni definite? La differenza è che tra un nome proprio e l’oggetto denotato c’è perfetta aderenza, ovvero posto un nome, ammesso che abbia un significato, esso ha un solo oggetto referente senza dubbio. Una descrizione definita ha la stessa funzione logica del nome proprio ma esprime qualcosa di diverso dal nome proprio: il nome proprio sembra dire “esiste uno e un solo individuo ed è x”. La descrizione definita sembra invece essere meno vincolante rispetto al nome nella denotazione, ma essa esprime, in un certo senso, anche delle proprietà dell’oggetto e dovrebbero essere proprio quelle proprietà capaci di discriminare un oggetto tra gli altri di un certo contesto.
Una descrizione definita, in effetti, è del tutto impensabile senza un contesto “pragmatico” di riferimento altrimenti “il tavolo” è semplicemente “un tavolo”. Dunque, una descrizione definita è definita solo in quanto rimanda ad una serie di relazioni ad hoc, particolari e irripetibili ( giacché se fossero ripetibili allora con la stessa descrizione definita intenderemo cose diverse ).
In questa differenza d’uso sta la differenza tra nome proprio e descrizione definita: il nome proprio, in un certo senso, è un nome singolare assolutamente irripetibile, a prescindere dal contesto: un nome proprio infatti denota solo un oggetto e non più di uno e questo oggetto è pensato a prescindere dalle sue determinazioni contestuali.
Ma a questo punto sorge il problema: noi con le descrizioni definite e con i nomi cosa vogliamo effettivamente denotare? Dire “gli oggetti del mondo” è insufficiente: perché dovremmo voler usare dei termini assolutamente irripetibili per degli oggetti? In effetti, la necessità di usare nomi propri è assolutamente minoritaria rispetto alla necessità di usare descrizioni definite: i nomi propri, a ben vedere, sono poco ricorrenti nel linguaggio mentre sono molto più diffuse le descrizioni definite.
La ragione sta nel fatto che i nomi propri denotano solo un oggetto e tra due parlanti per comprendersi è necessario che quel nome proprio sia conosciuto da entrambi. Se uso un nome sconosciuto, non c’è modo di intendersi con un’altra persona a meno che non sia in grado di parafrasare quel nome proprio in un oggetto dotato di certe proprietà e inserito in un certo contesto determinato: se dico “Wolfgang è biondo” per chi legge non ha semplicemente alcun significato, anche perché di “Wolfgang” ne esistono molti. Se invece dico “Wolfgang è una persona della mia famiglia ed intrattiene con me la relazione di fratello” sto definendo sia che cosa è “Wolfgang” sia in che contesto esso esista: per definire un individuo non basta dire cosa è, devo anche definirlo in un certo dominio, in questo caso, il dominio è l’insieme dei miei familiari e “Wolfgang” fa parte del dominio.
I nomi propri sono dei “designatori rigidi” nel senso che essi si ( dovrebbero ) attribuiscono ad un solo individuo, mentre le descrizioni definite si attribuiscono a più individui in generale, ma nel caso specifico soddisfano un solo individuo: è questa la critica di Russell, alla fine. Le descrizioni definite, per lui, non erano in grado di arrivare a definire l’oggetto come un nome proprio. Ma non potrebbe forse essere preferibile l’opposto?
La descrizione definita è il termine che usiamo per una qualsiasi definizione: “il triangolo è la spezzata chiusa che ha tre lati e tre angoli”. Noi possiamo definire i nomi propri, li possiamo usare solo perché essi sono effettivamente sostituibili alle descrizioni definite, nei casi in cui ciò è possibile. Ma un linguaggio senza nomi propri è pensabile ed è anche molto utile, mentre un linguaggio senza descrizioni definite è un linguaggio molto povero. Inoltre, il grande limite dei nomi è che essi non esplicitano alcuna proprietà particolare dell’oggetto che denotano a meno di voler ammettere che i nomi sono effettivamente dei casi particolari di descrizioni definite e, per ciò, un nome è un’abbreviazione di descrizione definita: “Beethoven” non dice assolutamente nulla di per sé in quanto potrebbe essere, per esempio, un cane, un musicista o il fratello del musicista che era un falegname e così via. Se invece dico “il mio compositore preferito” oppure “il più grande musicista dopo il 1791” sto dicendo molto di più di quello che direi se mi accontentassi di pronunciare il nome “Beethoven”: nel primo caso ho esplicitato che è un compositore e che è il mio preferito, nel secondo caso che è un grande musicista e che il migliore dopo il 1791. Insomma, le descrizioni definite sono espressioni capaci di denotare molto bene gli oggetti perché ci danno subito un pulviscolo di informazioni preziose sull’oggetto anche qualora noi non conoscessimo per nulla quell’oggetto: se non so chi è “Beethoven” ma so che cos’è un compositore ( e ciò è molto più probabile perché esistono moltissimi compositori che non sono Beethoven ) è molto più utile parlare in termini di descrizioni definite piuttosto che in termini di nomi propri.
Insomma, le descrizioni definite effettivamente possono applicarsi a molti oggetti, anche se di volta in volta, specificando o presumendo un contesto, si applicano ad un solo oggetto. L’applicazione delle descrizioni definite è pressoché infinita e universale ed è presumibile che al principio del linguaggio non ci fossero nomi propri ma solo descrizioni definite in quanto è molto più utile, quando si ha un linguaggio povero, usare più cose con un solo nome piuttosto che un solo nome per un solo oggetto.
In fine, le descrizioni definite hanno un uso molto elastico e il linguaggio ama l’elasticità giacché esso deve essere comprensibile e, contemporaneamente, deve poter comunicare informazioni: con un nome, a meno di conoscerne già il significato, si indica ciò che si indica con una descrizione definita, con la differenza che a un nome corrisponde un solo oggetto. Il nome è l’abbreviazione di una descrizione definita dove, se si volesse riscrivere propriamente il nome nei termini del nome allora si dovrebbe enumerare tutte le singole proprietà dell’oggetto: a voler riscrivere “Beethoven” nei termini di una descrizione definita si passerebbe il tempo: “Il musicista nato a Bonn nel 1770…” il nome dunque è usato solo quando a) entrambe le persone conoscono l’uso del nome, b) quando l’uso del nome è l’insieme delle descrizioni definite dell’oggetto denotato, in tutti gli altri casi si usano descrizioni definite.
In conclusione, nomi e descrizioni definite sono termini singolari in sensi diversi e hanno usi diversi: i nomi sono casi particolari di abbreviazioni di più descrizioni definite, mentre le descrizioni definite denotano degli oggetti di un certo contesto, ma possono essere usate per più contesti.
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