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Il binomio scacchi e matematica ha molto fascino, specialmente in questi ultimi tempi recenti, per ragioni eterogenee. E’ possibile considerare la relazione tra gli scacchi e la matematica da punti di vista anche molto diversi: gli scacchi applicati alla matematica, la matematica applicata agli scacchi, prospettive e problemi di scacchi e matematica uniti insieme, comunanze astratte ma importanti tra i due regni. Da un punto di vista filosofico, è indubbiamente l’ultimo punto ad essere maggiormente interessante. Ma due parole meritano di essere spese anche per le altre possibili prospettive.
Prima di procedere, non sarà fuori luogo notare che tanto gli scacchi che la matematica sono, a mio modesto avviso, due nomi per due categorie troppo vaste per riuscire a discriminare a sufficienza tutto ciò che con “scacchi” e “matematica” intendiamo, sia a livello tecnico che a livello intuitivo. Se, infatti, intendiamo la matematica come la teoria dei numeri, cioè qualcosa di abbastanza specifico, allora forse non coglieremo molte somiglianze con i finali degli scacchi. Viceversa, se con “scacchi” intendiamo esclusivamente l’insieme delle partite giocate nella storia, piuttosto che le regole del gioco catalogate dalla FIDE, allora sarà ben difficile trovare delle comunanze con “la matematica”. E’ evidente, allora, che dobbiamo approcciarci con il giusto spirito al problema, rilassare i termini e i concetti fino ad ammettere molto di quanto tecnicamente andrebbe sostanzialmente escluso.
La matematica applicata agli scacchi riguarda diversi ambiti in cui elementi matematici (cioè oggetti matematicamente caratterizzabili, se non proprio definibili, ad esempio i numeri interi) entrano all’interno di qualche aspetto degli scacchi. Apparentemente ovvio, ma di grande utilità, è indubbiamente il sistema di notazione delle mosse, che prevede un ordine. Con “ordine” qui intendiamo esattamente una successione di elementi scacchistici (le mosse) esprimibile mediante una corrispondenza con un insieme numerico (i numeri interi). Per ordinare le mosse nel formulario abbiamo bisogno dei numeri. Allo stesso modo, quando si colloca nella scacchiera un pezzo esso si inserisce nello spazio, che è definito da delle coordinate. Le coordinate sono degli enti matematici. Per tanto, per trascrivere una partita di scacchi, senza dover effettuare lunghe ed inutili descrizioni, abbiamo bisogno della matematica. Lo spazio/tempo scacchistico è dunque definibile mediante semplici elementi matematici.
I sistemi di valutazione dei pezzi e delle posizioni, a livello elementare (e quindi fondamentale) prevedono la matematica: ad ogni pezzo è associato un valore numerico non arbitrario (il pedone vale uno come unità di misura e base per gli altri pezzi). La semplice associazione di pezzi a valori numerici consente di effettuare stime grossolane (ma estremamente utili) sulla valutazione complessiva di posizioni complesse.
Ci sono poi rari casi in cui la matematica può spiegare alcune caratteristiche del gioco, ad esempio il caso del quadrato del re rispetto alla cattura di un pedone riguarda alcune proprietà geometriche della scacchiera.
Gli scacchi applicati alla matematica riguardano particolari problemi formulabili all’interno dell’universo scacchistico che sono interessanti anche da un punto di vista matematico. Il problema di come un cavallo possa toccare tutte le case della scacchiera una sola volta è il classico esempio, il più celebre, di questa categoria di problemi congiunti.
Altre componenti interessanti sia per scacchisti (latu sensu) e i matematici sono i problemi scaturiti da scacchiere infinite, cioè scacchiere che hanno tanti quadrati quanto i punti dello spazio euclideo. In questo caso, si danno particolari rovelli: è possibile in una scacchiera infinita dare matto con il solo re e la torre contro il re?
La curiosità umana è spesso indirizzata a domande di conteggio (basti considerare la perversione del Guinness dei Primati) in cui l’elemento numerico assume anche un valore di quantificazione di una qualità. Nel caso degli scacchi problemi di natura numerica sono legati addirittura alla leggenda dell’invenzione del gioco. Più interessanti, però, sono i casi dei problemi legati al calcolo delle mosse e delle posizioni possibili sulla scacchiera. L’ultimo in cui mi sono personalmente imbattuto è stato quello relativo a quante possibili masse combattenti si possono avere. Definendo una massa combattente come due pezzi coordinati insieme, la domanda è quante sono le masse combattenti di stesso colore componibili all’interno della scacchiera. Queste domande ammettono risposte di natura matematica e hanno un interesse quanto meno euristico per gli scacchi.
A questo punto possiamo direttamente considerare le comunanze tra la matematica e gli scacchi da quel punto di vista più astratto che ci sembra più sensato per far emergere in cosa le due discipline sembrano unite. Gli scacchi sono un gioco, la matematica no. Ma non è facile definire cosa sia un gioco. Di certo gli scacchi non si possono giocare da soli, mentre la matematica si fa sostanzialmente in solitario (nel senso che un’idea matematica è, appunto, un’idea e in quanto tale fa parte di una mente in un certo momento della storia). Tuttavia, tanto gli scacchi che la matematica condividono una sorta di visione comune delle cose.
Innanzi tutto, la matematica e gli scacchi condividono l’idea che gli elementi costitutivi delle reciproche discipline sono sostanzialmente astratti, cioè non costituiti da materia. Un pedone potrebbe essere benissimo sostituito da un pezzo di ferro, da un tappo di bottiglia, perché ciò che rende un pedone tale non è certamente la materia che lo compone. Allo stesso modo, e ancora di più, le relazioni tra numeri o tra pezzi della scacchiera non dipendono dalle comuni leggi della fisica. Un numero non rispetta la legge di gravità allo stesso modo di ciò che rende buona la struttura pedonale (infatti si può giocare a scacchi anche in assenza di gravità!).
In secondo luogo, tanto gli scacchi che la matematica vogliono dimostrazioni inoppugnabili, anche se non tutto ciò che è vero negli scacchi e nella matematica può essere dimostrato. In altre parole, in matematica si vuole raggiungere la verità, preferibilmente mediante dimostrazioni. Negli scacchi vale lo stesso. Infatti, sussiste una tensione permanente all’interno di ogni giocatore di scacchi: la tensione che sussiste tra la volontà di vincere e quella di scoprire se la nostra vittoria era determinata dall’esecuzione delle mosse migliori. E questo essere delle mosse “migliori” deve essere in qualche modo provabile.
In questo ultimo aspetto si nota un altro punto in comune tra scacchi e matematica, almeno in questo senso così astratto. E cioè che entrambe le discipline vorrebbero alzarsi al di sopra delle cose del mondo per dischiudere universi perfetti, puri, senza errori e contraddizioni. La contemplazione delle cose di questi “universi” da parte del soggetto umano è simile (o dovrebbe essere simile) alla contemplazione divina, alla purezza dello sguardo che si ritrova a vedere e considerare qualcosa di perfetto. Per questa ragione, infatti, gli scacchisti e i matematici tendono a perdersi in quegli universi perché ne comprendono l’assoluta diversità dalle cose del mondo, che sono corruttibili, mutevoli e, in definitiva, mortali. Una combinazione di scacchi o una dimostrazione matematica sono eterne, almeno in un senso importante di questa parola.
Infine, gli scacchi e la matematica condividono un senso estetico comune, in cui l’assenza di errore, la precisione e l’eleganza sono criteri condivisi per intendere il significato profondo di un’idea e darne una valutazione.
Bibliografia essenziale
D’Eredità G., (2012), Chess and Mathematical thinking Cognitive, Epistemological and Historical issues, Tesi di Dottorato, Palermo.
Magari R., (1992), Scacchi e probabilità, Atti del convegno “Matematica e scacchi. L’uso del gioco degli scacchi nella didattica della matematica.” Forlì.
Nicodemo M., (2011), Scacchi, enigmi e matemaitca, Mursia, Milano.
Pollini I., (2013), Dal mondo degli scacchi al mondo della bellezza, soloscacchi.altervista.com, http://www.soloscacchi.net/.
Pili G., (2012), Un mistero in bianco e nero. La filosofia degli scacchi, Le Due Torri, Bologna.
Un settore della Matematica che ha rapporti rilevanti con il gioco degli Scacchi è, indubbiamente, la Teoria matematica dei giochi.
In particolare, sussiste un Teorema – dovuto al tedesco Ernst Zermelo (1871-1953), matematico e filosofo della Matematica, celebre soprattutto per i suoi contributi alla Teoria assiomatica degli Insiemi – che, nel caso del gioco degli Scacchi, asserisce l’esistenza di una sola fra le seguenti tre alternative (sebbene, attualmente, non si sappia quale alternativa si verifichi):
il Bianco può forzare il Nero alla sconfitta,
il Nero può forzare il Bianco alla sconfitta,
entrambi i Colori possono forzare la patta.
«Il teorema asserisce che non esiste una quarta alternativa: non è possibile che due giocatori razionali, pur conoscendo l’albero del gioco, non siano in grado di prevedere, a priori, l’esito di ogni partita fra loro. Questa alternativa è invece una caratteristica di altri giochi, per esempio della morra cinese» [“Di duelli, scacchi e dilemmi. La teoria matematica dei giochi”, Roberto Lucchetti (matematico), PBM Editori, 2001, p. 45].
In altri termini, gli Scacchi sono un gioco determinato.
Si tratta di un teorema tutt’altro che banale (come potrebbe sembrare a prima vista, o meglio, a prima svista…)!
Giorgio Della Rocca
Caro Giorgio,
Innanzi tutto, grazie per il gradito commento. Conoscevo il teorema di Zermelo, il cui interesse consiste nel mostrare al limite quale deve essere il risultato del gioco (uno dei due giocatori vince, oppure pattano). La cosa curiosa è che questo teorema è poco informativo rispetto ai modi attraverso cui noi potremmo propendere per una delle tre alternative. In altre parole, esso asserisce una tautologia: se supponiamo le tre tesi siano (a), (b) e (c) e allora è vera la proposizione complessa “(a) o (b) o (c)” (non può che essere così: per essere falsa avremmo bisogno che sia (a) che (b) che (c) fossero false, ma sappiamo che una delle tre deve essere vera). In questo senso, esso diventa triviale. La questione è che si tratta di un problema indecidibile perché non disponiamo del tempo sufficiente per stabilire quale delle tre tesi sia vera e quale falsa. Però sappiamo che la disgiunzione delle tre proposizioni deve essere vera. Il fatto che il teorema sia poco informativo rispetto al nobil gioco è mostrato che esso si applica a tutti i giochi deterministici a due giocatori a somma zero (cioè a giochi in cui ci siano due giocatori e che la vittoria dell’uno implichi la sconfitta dell’altro ma si ammetta la patta).
[Ringrazio Giangiuseppe Pili per le sue risposte ai miei commenti (e per la tempestività delle stesse).]
Con riferimento al Teorema di esistenza della soluzione nel gioco degli Scacchi, ferma restando la mancanza d’informatività riguardo al procedimento effettivo che consentirebbe a uno dei due Colori di vincere o a entrambi di pattare, ribadisco, comunque, la significatività del Teorema stesso, che non si limita a una mera enumerazione dei possibili esiti di una partita ma afferma l’esistenza di «un comportamento (razionale) dei giocatori che, se adottato, farebbe sì che ogni partita da loro giocata finisca sempre allo stesso modo, uno dei tre possibili» [“Di duelli, scacchi e dilemmi. La teoria matematica dei giochi”, p. 45].
Dopotutto, è meglio non sapere quale delle tre alternative si verifichi o, nel caso in cui si riesca a saperlo, quale sia la strategia da adottare per realizzarla: evidentemente, è il prezzo da pagare per consentire agli Scacchi di conservare il loro fascino!
Giorgio Della Rocca
Figurati, piacere mio!
Per quanto riguarda la teoria dei giochi sono d’accordo. Mentre io sono più ottimista sul fatto che se anche esistesse un algoritmo capace di calcolare tutte le mosse, comunque non esaurirebbe molti problemi degli scacchi (per esempio la definizione delle proprietà delle mosse). Rimane il fatto, poi, che noi rimarremmo sufficientemente all’oscuro del calcolo bruto per continuare a giocare. In fondo, il calcolatore ha impattato sul mondo degli scacchi molto meno sul versante agonistico (in un certo senso…) che non su quello tecnico. Dimostrando il fatto che anche a conti fatti, alla fine ciò che conta è il “gioco”.