Nietzsche. Filosofia. Romantici. I propri lettori.
« Ma l’arte mia non cerca anime elette,
vele modeste vuole la mia nave ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. L’arte di amare Ovidio. P. 110.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Sulle cose importanti.
« E non siamo forse traditi da tutto ciò che riteniamo importante? Esso mostra dove si trovano i nostri pesi e per quali cose noi non possediamo alcun peso ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Libro II. Par. 88. Pag. 127.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Sempre a casa propria.
« Quando un giorno, arriviamo a toccare la nostra meta – e allora mostriamo con orgoglio quali lunghi viaggi abbiamo fatto per giungervi. In verità non c’eravamo accorti d’essere in viaggio. Ma siamo arrivati così lontano proprio illudendoci di essere, in ogni luogo, a casa propria.
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. paragrafo 253. “Sempre a casa”. P. 195.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« …scrivere per me è un imperiosa necessità. B) Perché? A) In confidenza, io non ho finora trovato alcun’altro mezzo per liberarmi dei miei pensieri ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Par. 93. P. 130.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Sulla solitudine.
« Quando si vive soli, non si parla troppo forte, non si scrive nemmeno troppo forte perché si teme la vuota risonanza. –la critica della ninfa Eco. E tutte le voci suonano in maniera diversa nella solitudine ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. Paragrafo 182. P. 184.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. L’invenzione linguistica.
« L’uomo inventore dei segni è insieme l’uomo sempre più acutamente cosciente di sé: solo come animale sociale l’uomo imparò a divenir cosciente di se stesso – è ciò che egli sta ancora facendo, ciò che egli da sempre di più. Come si vede, il mio pensiero è che la coscienza non apprenda all’esistenza individuale dell’uomo… »
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte IV. “Del genio della specie”. P. 272.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« Regolarmente la civiltà inferiore accoglie dalla superiore prima di tutto i vizi, debolezze e dissolutezze, perché avverte su di sé il loro fascino ».
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. P. 134.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« Quando si vive soli, non si parla troppo forte, non si scrive nemmeno troppo forte perché si teme la vuota risonanza. –la critica della ninfa Eco. E tutte le voci suonano in maniera diversa nella solitudine ».
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. Paragrafo 182. P. 184..
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Su Schopenhauer.
« E’ forse il duro senso dei fatti, la sua onesta volontà di cose chiare e irrazionali, che lo fa spesso apparire così inglese e così poco tedesco? Oppure è la robustezza della sua coscienza intellettuale, che sostenne un’antinomia tra essere e volontà durata tutta la vita, che lo forzò a contraddirsi costantemente, anche nei suoi scritti e quasi ad ogni passo (…). Sono invece le mistiche perplessità e i sotterfugi di Schopenhauer, in quei passi dove il pensatore dei fatti si lascia sedurre e corrompere dal vanitoso impulso di essere colui che scoglie l’enigma del mondo; … ».
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 135.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Su ciò che si apprende subito dagli altri filosofi.
« Queste e altre simili aberrazioni e manchevolezze del filosofo sono sempre le prime cose ad essere accettate e a divenire oggetto di fede- manchevolezze e aberrazioni sono infatti sempre quel che è maggiormente facile ad imitare e non esigono una lunga propedeutica ».
Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 136.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Su ciò che ha influenzato i filosofi.
« Anche i singoli atteggiamenti e affetti dei filosofi hanno costantemente esercitato una seduzione! ».
Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 137.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« Il wagnerismo comincia a dimostrarsi pericoloso tanto quanto soltanto ha saputo essere l’hegellianeria di ogni genere. Schopenhaueriano è l’odio di Wagner verso gli ebrei, con i quali non riesce a essere giusto neppure nella loro piu’ grande impresa. Sono stati pure gli ebrei a escogitare il cristianesimo ».
Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 137.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. La legge viene utilizzata, sempre o per lo più, per sfruttare a proprio vantaggio la situazione e non per dirimere le credenze.
Il contadino e la donna erano d’accordo [nella restituzione reciproca degli averi con Encolpio e Ascilto], ma si fecero avanti certi avvocati con facce di ladri notturni, i quali, per fregarsi il mantello, insistevano affinché gli indumenti in contestazione venissero depositati nelle loro mani in attesa che il giudice, il giorno dopo, risolvesse la questione. Secondo loro bisognava indagare non tanto slla proprietà degli oggetti, quanto sopra l’eventuale furto del quale si accusavano entrambe le parti. Si era ormai deciso il sequestro, e un mediatore calvo e con la fronte piena di bitorzoli che la faceva da avvocato si era già impadronito del mantello dicendo che l’avrebbe esibito al giudice il giorno seguente. Era chiaro che quei ladroni, avuto in mano l’indumento se lo sarebbero tenuto, sicuri che noi, per paura d’essere incriminati non ci saremmo mai presentati all’udienza.
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, pp. 43-45.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. Gli atteggiamenti nichilisti sono presenti in ogni epoca.
Trimalcione disse: “Ah, poveri noi! Ben poca cosa è il misero uomo! Così saremo tutti [come lo scheletro che aveva fatto portare di fronte a sé] quando ci avrà rapiti l’Orco. Viviamo allegramente, dunque, finché ci è concesso.
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, p. 83.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. Tre pregiudizi condivisi: (a) il pane è sempre meno caro nel passato, (b) tutti i mali della società dipendono dalla cattiva gestione personale dei politici, (c) i mali della natura nascono nella scarsa fede degli uomini negli dei.
Ah, se avessimo ancora gli uomini di valore che ho trovato qui quando arrivai dall’Asia! Allora era un vivere! Se il pane e la farina non erano come si doveva, prendevano a schiaffi i responsabili con una forza da smuovere anche Giove. (…) Così, in quei tempi, il grano si aveva per niente. Con un soldo di pane c’era da mangiare in due. Oggi invece le michette sono più piccole di un occhio di bue. Ahimé, ahimé, che ogni giorno è sempre peggio! Questo paese si sviluppa all’ingiù come la coda del vitello. Ma perché dobbiamo avere un edile da tre fichi, che vende per qualche soldo la nostra pelle? Uno che vada a far denaro e a godersela in casa sua? Ormai lo so che ha messo insieme mille monete d’oro. Ma se noi avessimo i coglioni, non si vanterebbe tanto. Il popolo è leone in casa e volpe fuori. In quanto a me, mi son già venduto i panni, e se dura la carestia dovrò vendermi anche la casa. Mi domando cosa sarà di questo paese abbandonato dagli dei e dagli uomini. Possa perdere i miei cari se non è vero che tutto questo viene dagli dei. Nessuno infatti crede più in loro, nessuno osserva il digiuno, nessuno stima un capello Giove. Stanno tutti ad occhi chiusi, intenti solo al proprio bene. Una volta le matrone andavano in processione a piedi nudi, coi capelli sciolti e il cuore pulito, per chiedere a Giove la pioggia. Subito pioveva a secchi e tutti ridevano bagnati come topi. Ora invece, vedendo che siamo senza fede, gli dei non si fanno più sentire e la campagna va in malora.
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, pp. 109-111.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. Trattenere i peti è un gran male!
Correvano chiacchiere di questo genere, quando entrò Trimalcione che si asciugò la fronte, si lavò le mani col profumo, e dopo una breve pausa disse: “Scusatemi amici, ma da parecchi anni il mio intestino non funziona e i medici non ci capiscono nulla. Però mi comincia a giovare la scorza di melograno e anche la resina sciolta nell’aceto, tanto che spero di tornare al buon regime di una volta. Purtroppo ho anche lo stomaco che rimbomba come se dentro ci fosse un toro. A proposito: se qualcuno di voi vuole fare il suo comodo, non c’è motivo d’aver vergogna. Nessuno di noi è nato senza buchi. Trattenersi è il peggiore dei tormenti. Neppure Giove la può tenere. Cos’hai da ridere, Fortunata? Non ti basta che di notte non mi fai dormire? Lo sai che a tavola non impedisco a nessuno di liberarsi. Anche i medici proibiscono di trattenersi.
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, p. 119.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. Le pratiche sociali umilianti per fare la scalata sociale sono antiche quanto l’umanità.
Come stavo dicendo, a questa fortuna mi ha portato la mia frugalità. Sono venuto dall’Asia che ero grande come questo candelabro, tanto che mi ci misuravo ogni giorno. Per farmi venire più in fretta la barba, mi ungevo con il grasso di lucerna. Per quattordici anni ho dovuto dare il culo al mio padrone. Il che non è nulla di male, perché è il padrone che comanda. Certo, mi sfogavo con sulla padrona: voi m’intendete. E non dico di più perché non sono uno di quelli che si vantano.
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, p. 203-205.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. Perché l’amore del sapere non ha mai arricchito nessuno.
“Sono un poeta, e come spero, non da poco, se i premi significano qualcosa, perché certe volte toccano anche agli immeritevoli. TU mi chiederai perché sono così malvestito. E’ perché l’amore del sapere non ha mai arricchito nessuno.
Chi si affida al mare di guadagni s’impingua,
chi cerca la battaglia e la guerra d’oro si cinge,
il vile adulatore ebro nella porpora giace,
chi tenta le spose i gode il suo premio.
Solo chi pratica l’eloquenza vive di stenti
E con voce spenta invoca le arti neglette.
Senz’altro è così: se qualcuno, nemico dei vizi, si mette per la retta via, subito attira sopra di sé l’odio di chi continua nei cattivi costumi. Nessuno infatti approva principi diversi dai propri. Inoltre, quelli che pensano solo ad accumulare ricchezze, non vogliono che ci sia al mondo qualche cosa di più importante. Essi perseguitano quindi in tutti i modi i cultori delle lettere e cercano di sottometterli alla legge del denaro. Chissà perché l’intelligenza è sempre sorella della povertà”.
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, p. 227.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. La decadenza delle arti e i “costumi moderni”.
“E’la brama di denaro che ha provocato questo guaio [la decadenza delle arti e della pittura]. Nei tempi antichi, quando si amava la virtù senza fronzoli, fiorivano le arti liberali e gli uomini andavano a gara per svelare tutto ciò che poteva servire nei secoli futuri. (…) Noi, invece, affogati nel vino e nelle puttane, non abbiamo neppure la forza di praticare le arti che troviamo già evolute e perfette: ce la prendiamo con gli antichi e ci limitiamo ad imparare e a insegnare i vizi.”
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, p. 237-239.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità. Dopo la morte non resta più niente di noi.
“Chi è sommerso dai flutti non ha sepoltura. Ma che importa? Un corpo può essere consumato dal fuoco, dall’acqua e anche dal tempo. Qualunque cosa si faccia, tutto finirà sempre nel nulla. Le fiere possono sbranare un cadavere, ma il fuoco non lo tratterrebbe meglio, quel fuoco che noi crediamo sia il castigo più grave per gli schiavi! Dopo la morte non resta più niente di noi.”
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, p. 327.
Petronio. Storia. Letteratura. Antichità.
“Ti dirò, che col confessarti umile schiavo, infiammi di più la brama di chi già arde per te. Ci sono purtroppo delle donne che si scaldano solo per gli uomini più sozzi e non si eccitano se non davanti a schiavi o corrieri dal gonnellino corto. Alcune s’innamorano d’un gladiatore e d’un mulattiere pieno di polvere, altre d’un istrione che si è fatto un po’ di fama apparendo sulle scene. La mia padrona è una di queste: trascura l’orchestra, scavalca le quattordici file dei senatori e dei cavalieri, e va a cercarsi il suo amore sul fondo, fra la plebe più vile.”
Lusingato da questo bel discorso, dissi: “Di grazia, sei forse tu quella che mi ama?”
Alla mia battuta poco felici, l’ancella mi rispose con una lunga risata, poi disse: “Non crederti da tanto: finora non mi sono mai data a uno schiavo, e prego gli dei che mi tengano lontano dal concedermi a gente che può finire sulla croce. Lo facciano le matrone, che amano baciare i segni delle frustate. In quanto a me, sarò soltanto una serva, ma non credo che ai cavalieri.”
Rimasi molto colpito da tanta diversità di gusti, e mi accorsi che spesso le serve hanno la superbia delle matrone e le matrone la bassezza delle serve.
Petronio, Satiricon, trad. it. Piero Chiara, Mondadori, Milano, 1969, p. 343.
Pirenne. Storia. Medioevo. Commercio degli schiavi.
« Il commercio degli schiavi non cessò di essere praticato nel regno franco fino alla fine del IX secolo. Le guerre condotte contro i barbari della Sassonia, della Turingia e delle regioni slave erano una fonte di approvvigionamento che sembra essere stata piuttosto abbondante (… )
Bisogna ricordare che il commercio di schiavi, al quale gli ebrei si dedicavano ancora attivamente nel IX secolo, risale certamente ad un’epoca più antica ».
Henri Pirenne, Le città del Medioevo, traduzione di E. Romeo, Laterza, Roma-Bari 1995.
Protagora. Filosofia. Sofisti. L’uomo misura di tutte le cose.
« Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono e di quelle che non sono ».
F.S.
Protagora. Filosofia. Sofisti. Sull’impossibilità di rispondere alla domanda: esistono gli dei?
« Riguardo agli dei non posso accertare che sono né che non sono, opponendosi a ciò molte cose: l’oscurità dell’argomento e la brevità della vita umana ».
F.S.
Pericle. Storia. Antichità. Sulla politica.
« Benché soltanto pochi siano in grado di dar vita ad una politica, noi tutti siamo in grado di giudicarla ».
F.S. ( Popper, Società aperta e i suoi nemici ).
Poe. Narrativa.
Si definiscono comunemente analitiche quelle facoltà dello spirito che in realtà sono, in se stesse, poco suscettibili di analisi. Noi non le valutiamo che nei loro risultati e constatiamo, tra l’altro, che esse sono, per quanti le posseggono in alto grado, una fonte inestimabile di gioia. Come infatti l’uomo forte si compiace della sua prestanza fisica e di metterla alla prova con esercizi atti all’azione muscolare, così l’analisi trae il suo godimento da quelle attività spirituali che tende a districare le difficoltà. E’ un godimento che sgorga anche dalle occasioni più banali, quali la soluzione di un enigma, un rebus, una scrittura astrusa; e la capacità di penetrazione, che l’uomo dedito a tali studi acquista in queste soluzioni, assume agli occhi della gente un carattere quasi soprannaturale.
Poe E.A., Due inchieste di Dupin. Edizioni Paoline, Chieti, 1966, p. 9.
Poe. Narrativa. Gli scacchi sono peggio della dama.
Dico ciò perché mi pare che ogni calcolo, in sé, non sia altro che un’analisi. Ed un giocatore di scacchi, per esempio, può benissimo fare l’uno senza l’altra: da ciò deriva che il gioco degli scacchi, nei suoi effetti in campo spirituale, non è visto nella giusta luce. Non voglio certo stendere qui un trattato sull’analisi, ma soltanto far precedere ad un racconto piuttosto eccezionale alcune osservazioni che a volte ho avuto occasione di fare e che gli serviranno da prefazione. Questa occasione mi serve per proclamare la potenza della riflessione è messa in gioco assai più attivamente e proficuamente dal modesto gioco della dama che dalla laboriosa futilità degli scacchi. La complessità di quest’ultimo gioco, determinata dai diversi e bizzarri movimenti dei pezzi, dotati a loro volta di diversi e vari valori, fa cadere nel comune errore di scambiare la complessità con la profondità. Certo il gioco richiede un grandissima attenzione, continuamente tesa ad evitare un errore che determinerebbe la perdita della partita; e siccome i movimenti possibili non sono soltato vari, ma complicati, le possibilità di errore diventano molteplici, ed in genere il vincitore non è il giocatore più abile, ma il più attento. Invece nel gioco della dama, nel quale il movimento è semplice e soggetto a poche varianti, le probabilità di una svista sono minime e, non essendovi l’attenzione totalmente e assolutamente impegnata, si ritroverà in netto vantaggio il giocatore che è dotato di superiore perspicacia. Per venire ad un esempio più concreto, immaginiamo di avere davanti un gioco di dama in cui la totalità dei pezzi sia ridotta a quattro pedine ed in cui non vi sia possibilità di distrazioni. Ammessa una pari forza nei giocatori, la vittoria non potrà spettare che a quello dotato di tattica più abile, derivante da un potente sforzo intellettuale. A corto di altri espedienti, il giocatore capace di analisi penetra lo spirito dell’avversario, si identifica con esso e spesso scopre di colpo l’unico mezzo, a volte tanto semplice da sembrare assurdo, di tendergli un tranello o di fargli fare un calcolo sbagliato. (…) Il miglior giocatore di scacchi non sarà mai altro che il miglior giocatore di scacchi; ma essere forti nel whist significa possedere la capacità di riuscita in tutte quelle importanti speculazioni spirituali in cui lo spirito si trova in lotta con lo spirito. Con forti intendo il possesso di quella perfezione per cui, giocando, si sa usare opportunamente la propria intelligenza, cogliendo non solo tutti i diversi e complessi casi che si presentano, ma anche quelli che si celano talvolta nelle profondità del sentiero, inaccessibili alle comuni intelligenze. Osservare attentamente vuol dire poter ricordare con esattezza; perciò, da questo punto di vista, il giocatore di scacchi capace di forte concentrazione sarà anche un buon giocatore di whist, poiché le regole di Hoyle, basate anch’esse sulla meccanicità del gioco, sono facilmente e generalmente comprensibili.
Poe E.A., Due inchieste di Dupin. Edizioni Paoline, Chieti, 1966, pp. 12-14.
Polibio. Storia. Antichità.
« D’altra parte, la stessa eccezionalità degli avvenimenti su cui ho deciso di scrivere, basta da sola a richiamare e invitare chiunque, giovane o adulto, ad accostarsi a quest’opera. Quale uomo potrebbe infatti essere così ignorante o superficiale da non voler sapere in che modo e da quale tipo di Stato fu dominato quasi tutto il mondo abitato, e in meno di cinquantatre anni cadde sotto il potere assoluto dei Romani, fatto che non si trova sia mai accaduto in precedenza? Chi potrebbero essere così affascinato da qualche altro spettacolo o tipo di insegnamento da ritenerlo più utile di questa conoscenza?
E che l’oggetto di investigazione che ci riguarda è di grandezza eccezionale risulterà chiaro al massimo grado se prederemo e confronteremo con la grandezza dei Romani le più illustri potenze del passato, su cui gli storici hanno scritto più a lungo ».
Polibio I 1. 4-5.
Polibio. Storia. Antichità.
« E’ infatti evidente anche a chi si occupi appena appena di politica che, se i Cartaginesi riescono a sconfiggere definitivamente i Romani o i Romani a battere i Cartaginesi, non è assolutamente pensabile che i vincitori si accontentino di dominare l’Italia e la Sicilia, ma arriveranno ad estendere le loro mire e ad inviare i loro eserciti oltre i confini del lecito. … se aspettasse che le nubi che ora si addensano all’occidente arrivino ad incombere sulla Grecia, temo fortemente che le tregue, le guerre e tutti questi giochi che ora stiamo facendo tra noi, vengano troncati così bruscamente da dover pregare gli Dei di concederci ancora questa possibilità: quella, cioè di combattere e di far pace tra noi quando lo vogliamo; in una parola: di risolvere da soli le nostre contese ».
Polibio V 104.3.
Polibio. Storia. Antichità.
« …mentre Antioco lo salutava a voce da lontano e gli tendeva la destra, porse al re la tavoletta che teneva a portata di mano e sulla quale c’era il testo del senatoconsulto e per prima cosa lo invitò a leggerla, non ritenendo opportuno, così credo io, esprimergli il convenzionale segno di amicizia, prima di conoscere le intenzioni di colui che gli porgeva la destra, se gli fosse cioè amico o nemico. E quando il re, dopo averla letta, disse di volersi consultare con i suoi amici riguardo alla notizia ricevuta, Popilio compì un atto che sembrò offensivo e veramente arrogante: con il bastoncino di vite che teneva in mano [ forse come insegna del proprio ufficio ] tracciò un segno attorno a Antioco e gli ordino di restare dentro a quel tale cerchio finché non avesse dato una risposta riguardo al contenuto di quello scritto. Antioco rimase sbalordito per il gesto autoritario del Romano e dopo qualche istante di esitazione, dichiarò che avrebbe fatto tutto quello che i Romani avessero ordinato. Allora Popilio e i suoi collegi gli presero la destra e lo salutarono tutti insieme con grande cordialità. Lo scritto ordinava di porre immediatamente fine alla guerra con Tolomeo ».
Polibio XXIX 27.2.7.
Plutarco. Storia. Antichità.
« Era dunque il tempo dei Giochi Istmici e una folla immensa di spettatori era seduta nello stadio per vedere le gare di atletica, tanto più che, essendo cessati già da un po’ di tempo gli impegni bellici, la Grecia si era riunita, sperando nella libertà, mentre già si trovava con una pace sicura. Ecco che il trombettiere comandò a tutti il silenzio, l’araldo avanzò in mezzo allo stadio e fece questo proclama: “Il senato romano e il console e generale Tito Quinzio, avendo vinto il re Filippo e i Macedoni, lasciano Corinto, la Focile, la Locride, l’Eubea, l’Acaia Ftiotide, la Magnesia, la Tessaglia, la Perrebia libere, senza guarnigioni, esenti da tributi, in possesso delle loro leggi tradizionali”. Dapprima non tutti udirono o udirono chiaramente; vi era nello stadio un movimento confuso e tumultuoso, con gli spettatori meravigliati che si interrogavano l’un l’altro su ciò che era stato detto e chiedevano una ripetizione del proclama. Ristabilito il silenzio, l’araldo fece risuonare più forte la sua voce e le parole del proclama rieschggiarono in tutte le direzioni: allora un grido di gioia di un’ampiezza incredibile si diffuse fino al mare. Tutti gli spettatori si alzarono: nessuno prestava più attenzione agli atleti… ».
Plutarco, Vita di Flam. 10.
Storia. Antichità. Iscrizione.
« …assumendosi la responsabilità dell’ambasceria a Roma nell’interesse del popolo, affrontarono difficoltà fisiche non meno che morali, conferendo con i Romani più imporanti e vincendoli con la loro pazienza giorno dopo giorno e assicurandosi che i patroni della nostra città fornissero l’aiuto di Roma al nostro popolo: presentando i fatti e attendendo giornate intere nei vestiboli di costoro ( sono ovviamente gli atria delle case romane, ove i clienti aspettavano per il saluto mattutino ) essi ebbero la meglio su coloro che guardavano al nostro nemico e gli davano la loro protezione ».
SIG 656 Dittenberger; nuove lezioni offre Hermann, “ZPE” 7, 1971, pp.72-77.
Platone. Filosofia. Antichità. Platonismo. Le colpe di Socrate.
« Socrate è colpevole di essersi rifiutato di riconoscere gli dei riconosciuti dalla città e di avere introdotto altre nuove divinità. Inoltre è colpevole di aver corrotto i giovani. Si richiede la pena di morte ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Antichità. Platonismo.
« Una vita priva di indagine non è vita da uomini ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla ricerca della verità.
« … i molti ignorano che, senza codesto discorso per tutte le vie, è impossibile che la mente si imbatta nel vero ».
Platone. Parmenide. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970.
Platone. Filosofia. Platonismo. L’uno e la molteplicità.
« … che è quello che è sempre e non ha generazione; e che è quello che si genera, e mai non è. L’uno, è ciò che si comprende per intelletto e per ragione, siccome quello che è eternamente a un modo; l’altro, per lo contrario, è ciò che è opinabile per opinione ed irrazionale senso, generandosi esso e perendo sì, che mai non è veramente. Tutto quello che poi si genera, è necessità che generato sia da alcuna cagione; senza quella non patendo alcuna cosa venire a generazione ».
Platone. Timeo. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970.
Platone. Filosofia. Platonismo.
« il padre come vede muovere e vivere questo suo generato degli iddii eterni, s’allegra ».
Platone. Timeo. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970.
Platone. Filosofia. Platonismo.
« …conosco bene la mia ignoranza… ».
Platone. Fedro. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970..
Platone. Filosofia. Platonismo. Gli stati devono essere governati dai filosofi.
« Non è possibile la cessazione, per gli stati, dei mali e neppure per il genere umano, se i filosofi non regnano negli stati, o quelli che ora chiamiamo re e principi non praticano una buona e genuina filosofia, e se non si compongono e congiungono insieme potere politico e filosofia, e se non si estromettono con la forza tutti coloro che tendono solamente all’una o all’altra cosa soltanto ».
? Repubblica.
Platone ( Lettera ). Filosofia. Platonismo. Sull’impossibilità di ridurre il lungo ( discorso ) al breve.
« La filosofia più alta non può essere ridotta a formule, come le altre banche del sapere. La sua luce si accende solo come il risultato di una lunga riflessione del problema, di una convivenza con essa, che la fa scaturire da scintilla a scintilla: e allora si nutre da sé ».
Lettera?
Platone. Filosofia. Platonismo. Guardando se stessi.
« E alla fine risposi a me stesso e all’oracolo che mi andava bene essere così come sono ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla paura della morte.
« E’ certo infatti, o giudici, che aver timore della morte altro non è che sembrare sapienti senza invece esserlo, perché significa far credere di sapere cose che non si sanno affatto. Nessuno infatti conosce la morte e nemmeno sa se magari non sia il bene più grande per gli uomini, tuttavia questi la temono come se si trattasse del più grande dei mali. Non è questa la vera ignoranza, la più vergognosa di tutte, l’essere convinti di sapere ciò che non si sa? ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla vanità della ricerca delle ricchezze.
« Carissimo, ( tu che sei ateniese ), cioè della città più grande e stimata per sapienza e potenza, non ti vergogni di darti pena per diventare il più ricco possibile e di preoccuparti della tua reputazione, del tuo onore, senza curarti né di pensare alla sapienza e alla verità, insomma all’anima, per raggiungere la perfezione? ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla giustezza del proprio comportamento.
« Sappiate che io non mi comporterà mai diversamente da così anche se dovessi morire cento o mille volte ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. La malvagità e non la morte è la causa del vero male.
« Ma non questa, cittadini, io penso sia la cosa più difficile, sfuggire appunto alla morte, ma, piuttosto, sfuggire alla malvagità ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Reale G.. Filosofia. Aristotelismo. L’impegno morale della serietà dei filosofi.
« Del resto, come è stato ben detto, nessun filosofo potrebbe esser compreso, se non si assumesse che egli è in ogni momento responsabile della sua opera, quando non abbia negato espressamente parte di essa ».
G. Reale. Storia della filosofia greca e romana. Vol. 4 Aristotele e il primo peritato. Tascabili Bompiani. Milano. 2004. P. 18.
Reale G.. Filosofia. Aristotelismo. Buone ragioni per porsi problemi metafisici.
« Perché c’è questo tutto, da che cosa è sorto? Quale ne è il principio e ragion d’essere? Sono problemi, questi, che equivalgono al seguente: perché c’è l’essere e non il nulla? Un momento particolare di tale problema generale è il seguente: perché c’è l’uomo? Perché ciascuno esiste?
Come è chiaro, si tratta di problemi che l’uomo non può non porsi o, comunque, sono problemi che, nel momento in cui l’uomo li rifiuta categoricamente, n resta menomato il suo esser uomo ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. Introduzione.
P. XV.
Roberto Grossatesta. Filosofia. Medioevali. Sulla luce come primo principio materiale.
« Ritengo la luce prima forma corporea che alcuni chiamano corporeità. Luce si diffonde in ogni parte così che da un punto di luce si genera una grande sfera ».
F.S.
Sallustio. Storia. Antichità. Ognuno deve seguire la propria strada verso la propria soddisfazione.
Agricoltura, navigazione, architettura, tutto obbedisce all’ingegno. Ma quanti esseri umani, dediti al ventre e al sonno, trascorrono ignoranti e incolti la vita, come viandanti? Per essi, contro il volere della natura, il corpo è uno strumento di piacere, l’anima un peso. Poiché di entrambe si tace, pongo la loro vita sullo stesso piano della morte. Mi pare invece che veramente goda e viva della propria anima colui che, intento a qualche attività, cerca la fama in un’impresa gloriosa o in una nobile occupazione. Ma in una così grande varietà di opere, la natura addita a ciascuno un diverso cammino.
Sallustio, La congiura di Catilina, Mondadori, 1992, p. 7.
Sallustio. Storia. Antichità. La società umana è spesso stata corrotta.
Crebbe la cupidigia, prima di denaro, poi di potere; alimento per così dire di ogni male. Poiché l’avidità sovverta la lealtà, la rettitudine e ogni altra virtù; in cambio educò all’arroganza, alla crudeltà, a trascurare gli dei, a considerare tutto in vendita. L’ambizione forzò molti mortali a esser falsi, ad avere altro sulle labbra, altro nel cuore, a stimare gli amici e i nemici non dal merito ma dal tornaconto, ad apparire buoni nell’aspetto più che nell’animo. Tali cose dapprima crebbero poco a poco, talvolta erano punite; dopo, come il contagio dilagò simile ad una pestilenza, la città fu sconvolta, il governo da giusto e onesto si fece crudele e intollerabile.
Sallustio, La congiura di Catilina, Mondadori, 1992, p. 17.
Sallustio. Storia. Antichità. La corruzione dei costumi consiste nel desiderare senza alcun ritegno tutto ciò che esiste: questa smania di possesso non è una prerogativa dell’opulenza occidentale attuale.
Quando le ricchezze cominciarono a costituire un merito, e a essere accompagnate dalla gloria, dal potere, dal prestigio, la virtù incominciò ad intorpidire, la povertà a passare per un disonore, l’integrità morale per una malevola ostentazione. Così il lusso e l’avidità, con la tracotanza, invasero i giovani: si abbandonarono alle rapine, agli sperperi; insoddisfatti del proprio,smaniosi dell’altrui, disprezzavano allo stesso modo la dignità, il pudore, le leggi umane e divine; non si davano pensiero, né si ponevano alcun freno. Quando si vedono case e ville edificate a misura di città, varrebbe la pena di visitare i templi degli dei che i nostri avi, uomini profondamente devoti, innalzarono. Abbellivano i santuari con la pietà, le case con la gloria; agli sconfitti toglievano solo la possibilità di nuocere. Questi altri invece, gente ignava, per colmo di scelleratezza strappano agli alleati quello che uomini di straordinario valore, benché vincitori, avevano loro lasciato; come se l’esercizio del potere risiedesse nel commettere soprusi.
Sallustio, La congiura di Catilina, Mondadori, 1992, p. 19.
Sallustio. Storia. Antichità. Il bene pubblico non nasce da una società civile malata.
Né solo i complici della congiura avevano perduto la testa; la plebe al completo, smaniosa di mutamenti, approva l’azione di Catilina. Ma non pareva conformarsi in questo alla sua natura? Poiché sempre, in uno Stato, chi non ha nulla invidia i galantuomini, esalta i malvagi; detesta ciò che è antico, agogna al nuovo; insofferenti delle proprie condizioni, fantasticano immensi sconvolgimenti; si alimentano con leggerezza di rivolte, di disordini, poiché non corre rischi chi possiede solo miseria. Ma la plebe urbana in verità aveva molte ragioni per gettarsi a capofitto. Prima di tutto quelli che si eran fatti conoscere ovunque per disonestà e prepotenze, che avevano dilapidato il patrimonio con un’esistenza dissoluta, o che erano stati costretti a lasciare le loro città per uno scandalo o un delitto, tutti erano confluiti a Roma come in una sentina. Poi, molti, memori della vittoria di Silla, poiché vedevano che alcuni, da semplici soldati, erano divenuti senatori, altri così ricchi da spassarsela per l’intera vita in un fasto regale, speravano, prendendo le armi, di ricavare altrettanto dalla vittoria. I giovani, infine, che avevano sofferto la fame nei campi col lavoro delle proprie braccia, attirati dalle largizioni pubbliche e private, avevano preferito l’ozio urbano a un ingrato lavoro. Prosperavano tutti, gli uni come gli altri, sul pubblico danno. Di cosa meravigliarsi allora se uomini alla deriva, in miseria, che coltivavano smisurati progetti, provvedevano allo Stato come avevano provveduto a se stessi?
Sallustio, La congiura di Catilina, Mondadori, 1992, p. 51.
Sallustio. Storia. Antichità.
[Nel piano della congiura di Catilina] ciascuno aveva la sua vittima designata; i figli ancora minorenni, quasi tutti di nobile famiglia, avrebbero ammazzato i loro pari; poi, tra lo sgomento generale provocato dal massacro e dagli incendi, si sarebbero precipitati da Catilina.
Sallustio, La congiura di Catilina, Mondadori, 1992, p. 57.
Sallustio. Storia. Antichità. Dal discorso di Cesare: non bisogna giudicare i fatti in preda ai fumi delle passioni.
Tutti gli uomini, padri coscritti, quando sono chiamati a giudicare su casi di controversa natura, debbono essere esenti da livori e da simpatie, dall’ira, dalla pietà. Non è facile per un animo turbato giungere a distinguere il vero; non c’è uomo che sia riuscito a obbedire insieme alle proprie passioni e al proprio interesse. Uno spirito ben teso si accresce in potenza; ma quando cediamo alla passione, essa impera, l’animo soccombe. Potrei citare numerosi casi, padri coscritti, di re e di popoli che presero una cattiva decisione sotto l’impulso dell’ira o della pietà (…).
Sallustio, La congiura di Catilina, Mondadori, 1992, p. 67.
Severino. Filosofia. Contemporanei. Pensiero sulla totalità.
« Si può pensare la totalità delle cose solo se si scorge la loro identità: l’identità del diverso, l’identità del molteplice ».
F.S. ?
Senofane. Filosofia. Eleati.
« Il dio tutto vede intero, tutto intero pensa, tutto intero ode ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« Il certo nessuno mai lo ha colto né alcuno ci sarà che lo colga relativamente agli dei e relativamente a tutte le cose su cui parlo. Infatti, se anche uno si trovasse per caso a dire, come meglio non si può, una cosa reale, tuttavia non la conoscerebbe perché a tutti è dato opinare ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« Gli dei non rivelarono sin dall’inizio ogni cosa ai mortali, ma questi, col passare del tempo, trovano cercando, ciò che è meglio ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« Il dio, tutto intero, pensa, vede e ode ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« I mortali immaginano che gli dei siano nati, che abbiano vesti, voce e figura come loro ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati.
« Esercita il suo dominio senza sforzo, e col suo pensiero realizza tutto ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sulla predominanza dell’intelligenza sulla forza bruta.
« Se qualcuno, là dove è il santuario di Zeus presso le correnti del Pisa in Olimpia, vincesse o per la velocità delle gambe o al pentatlon o alla lotta o affrontando il doloroso pugilato o quella terribile gara che chiamano pancrazio, certo apparirebbe più glorioso agli occhi dei suoi cittadini e ai giuochi avrebbe un posto d’onore e la città gli offrirebbe il vitto a spese pubbliche e un dono che sarebbe per lui un cimelio; oppure, otterrebbe tutto questo, anche se vincesse alla corsa con i carri, senza esserne degno come sono degno io: vale di più il nostro sapere che non la forza fisica di uomini e cavalli. Ben irrazionale è questa valutazione e non è giusto apprezzare più la forza che non il beneficio del sapere ».
F.S.
Senofonte. Storia. Antichità. Cose che capitano negli assedi.
A quel punto, lo spettacolo fu terribile. Le donne, infatti, gettavano di sotto i figli e si gettavano poi a loro volta, e ugualmente gli uomini. Allora Enea di Stinfalo, locago, nel vedere uno che correva per gettarsi di sotto, con indosso una bella veste, lo afferra per impedirglielo; ma quello lo trascina con sé, ed entrambi andarono giù, scagliati contro le rocce, e morirono. Quindi furono presi pochissimi uomini, ma molti buoi , asini e pecore.
Senofonte, Anabasi. Elleniche, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma, 2009, p. 315.
Senofonte. Storia. Antichità. Costumi di popoli diversi dai nostri.
Quando si trovarono, marciando, tra gli amici, furono mostrati loro certi figli di persone benestanti che erano stati messi all’ingrasso e nutriti di noci bollite, molli e bianchissimi, quasi delle stesse dimensioni in lunghezza e in larghezza, con il dorso variopinto e tutta la parte anteriore del corpo tatuata con fiori. Cercavano anche di unirsi in pubblico alle etere che i Greci conducevano con sé: questo, infatti, era il loro costume. Tutti erano bianchi, gli uomini e le donne. Quelli che presero parte alla spedizione dicevano di aver incontrato in costoro la popolazione più barbara e più lontana dai costumi geci. Mentre erano tra la folla, infatti, facevano cose che altri farebbero appartati, e quando erano soli agivano come se fossero stati con altri: conversavano con se stessi, ridevano da soli, ballavano dovunque venissero a trovarsi, quasi si mostrassero ad altri.
Senofonte, Anabasi. Elleniche, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma, 2009, p.329.
Sesto Empirico. Filosofia. ? . Sugli accademici.
« Di accademie, dicono i più, ce ne sono state tre, la prima e la più antica fu quella di Platone; la seconda o media, quella di Arcesilao, uditore di Polemone, la terza e la nuova quella di Carneade e Clitomaco ».
F.S.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Pensiero.
« II. L’uomo pensa [ NS; o altrimenti, noi sappiamo di pensare ] ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte 2. Assioma 2. P. 124.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sulle differenze di pensiero fra gli uomini.
« Sono infatti sulla bocca di tutti i molti: tante teste e tanti pareri, ognuno abbonda del proprio buon senso, le differenze fra cervelli non sono minori di quelle fra i palati. Questi molti dimostrano a sufficienza che gli uomini giudicano le cose secondo la loro disposizioni d’animo piuttosto che capire, le immaginano ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Appendice. P. 126.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sui pregiudizi teologici.
« …tutti i pregiudizi che qui intraprendo a denunciare dipendono soltanto da questo unico pregiudizio, che cioè comunemente gli uomini suppongono che tutte le cose naturali, come essi stessi, agiscano in vista di un fine; anzi, danno per certo che lo stesso Dio diriga tutte le cose verso un certo qual fine ( dicono, infatti, che Dio ha fatto tutte le cose in vista dell’uomo e l’uomo stesso allo scopo di adorarlo ) (…) cercando prima di tutto la causa [ di tale pregiudizio ]. (…) e cioè che tutti gli uomini nascono ignari delle cause delle cose, mentre tutti appetiscono la ricerca del proprio utile, cosa della quale sono consapevoli. Da questa condizione segue in primo luogo che gli uomini credono di essere liberi poiché sono consapevoli delle loro volizioni e dei propri appetiti, mentre non pensano neppure lontanamente alle cause dalle quali sono disposti a appetire e a volere poiché di queste cause essi sono ignari. In secondo luogo, segue che gli uomini fanno tutto in vista di un fine, e cioè in vista dell’utile che appetiscono; (…) ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Appendice, Parte I.
Spinoza. Filosofia. Moderni. L’affetto della superbia.
« …la Superbia è effetto o proprietà dell’Amore di sé e, per tanto, può anche essere definita come Amore di sé, ossia Soddisfazione di sé in quanto produce nell’uomo un affetto per cui si sente di sé più del giusto. Non si da contrario di questo affetto. Infatti nessuno sente di sé meno del giusto, in quanto immagina di non potere questo o quello ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte III. Proposizione XXVIII. Spiegazione
Spinoza. Filosofia. Moderni. L’eternità.
« Per eternità intendo la stessa esistenza in quanto la si concepisce seguire necessariamente dalla sola definizione daella cosa eterna ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Definizione I. P. 88.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sulla conoscenza inadeguata.
« Da tutte le cose dette fin qui risulta chiaramente che noi percepiamo molte cose e che formiamo nozioni universali. 1) Dalle cose singolari rappresentate a noi mediante i sensi in modo mutilato, confuso e senza ordine per l’intelletto: e per ciò ho preso l’abitudine a chiamare tali percezioni conoscenza per esperienza vaga. 2) Da segni, per esempio dal fatto che, udite o lette certe parole, ci ricordiamo delle cose e formiamo di esse certe idee simili a quelle mediante le quali immaginiamo le cose. D’ora in avanti chiamerò entrambi questi modi di contemplare le cose conoscenza del primo genere, opinione o immaginazione ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte II. Proposizione XL. Scolio II. P. 156.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Infinite cause.
« Dalla necessità della divina natura, devono seguire infinite cose in infiniti modi ( cioè, tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito ). (…) solo Dio, infatti, esiste per la sola necessità della sua natura e agisce per la sola necessità della sua natura. E per ciò Dio solo è causa libera. -Una cosa che è determinata da Dio a fare alcun che non può rendere se stessa indeterminata ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Proposizione XVI; Proposizione XVII; Corollario II.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sull’indifferenza dell’infinita sostanza.
« Confesso che l’opinione che sottomettere tutte le cose a una certa qual volontà indifferente di Dio e stabilisce che tutte le cose dipendono dal suo beneplacito, si allontana dal vero meno di quella di coloro che stabiliscono che Dio fa ogni cosa in vista del bene ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Proposizione XXXIII. Scolio II.
Spinoza. Filosofia. Moderni. La sostanza.
« Per sostanza intendo ciò che è in sé ed è concepito per sé: ovvero ciò, il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa, da quale debba essere concepito ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Definizione III. P. 87.
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