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Antologia F-M

Fisher. Storia. Medioevo. Le crociate: paradossi dello scisma d’oriente.

« Che lo scisma tra le due chiese fosse un guaio cui si doveva porre un termine, il clero greco e latino riconoscevano di buon grado ma non avrebbero sacrificato per sanarlo né il più piccolo pregiudizio né un sol briciolo di orgoglio ».

Fisher H.A.L. , Storia d’Europa, volume I, traduzione di A. Prospero, Laterza, Roma-Bari 1973.

Fisher. Storia. Medioevo. Paradossi delle crociate e dell’ideologia.

« Incalcolabili furono gli effetti disastrosi di questa profonda scissione tra le due metà del mondo cristiano. Non altrimenti si spiega il fallimento del tentativo dei crociati per riprendere ai musulmani l’Asia anteriore. A quest’animosità inveterata il cui sentimento di razza e il sentimento religioso erano esasperati dall’ambizione politica e dall’avidità economica, si deve l’atto più disonorevole di tutta la storia medioevale, e cioè la diversione alla conquista di Costantinopoli e la mutilazione e il saccheggio del più ricco e civile stato europeo ».

H.A.L. Fisher, Storia d’Europa, volume I, traduzione di A. Prospero, Laterza, Roma-Bari 1973.

 Filolao ( pitagorico ). Filosofia. Presocratici.

« Bisogna esaminare i compienti e la sostanza del numero in rapporto alla potenza che è nel dieci. Perché grande e perfettissima e onnipotente e principio e giuda della vita divina celeste e di quella umana la natura del numero, partecipando alla potenza del dieci. Senza di essa tutte le cose sarebbero illimitate e oscure e incomprensibili. Perché è la natura del numero che fa conoscere ed è guida e insegna a ognuno tutto ciò che è dubbio e ignoto. Nulla sarebbe comprensibili, né le cose in sé né le loro relazioni, se non ci fossero il numero e la sostanza ».

F.S.

Filolao. Filosofia. Presocratici.

« Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo nulla sarebbe possibile pensare né conoscere ».

F.S.

Gadamer. Filosofia. Contemporanei. Estetica Ermeneutica.

« L’uomo è caratterizzato dalla rottura con l’immediato e il naturale, rottura che gli è imposta dalla parte spirituale, razionale, dalla sua stessa essenza. Sotto questo aspetto, egli non è per natura quel che dovrebbe essere ».

H.G. Gadamer. Verità e Metodo. Bompiani. Milano. 1986. Trascendimento della dimensione estetica. P. 34.

Gadamer. Filosofia. Contemporanei. Estetica Ermeneutica. L’essenza dell’opera ( letteraria, artistica ecc.. ).

« … l’opera d’arte non è un oggetto che si contrappone al soggetto. L’esistenza dell’opera risiede piuttosto propriamente nel fatto che essa diviene un’esperienza che modifica colui che la fa. Il subjectum dell’esperienza dell’arte, quello che permane e dura, non è la soggettività di colui che esperisce l’opera, ma l’opera stessa ».

H.G. Gadamer. Verità e Metodo. Bompiani. Milano. 1986. P. 138.

 Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica. L’immagine interna.

« Chiamerò complessivamente “immagine interna” sia il precedente di un’immagine ( sensazione ), sia l’immagine in quanto attualmente prodotta  ( percezione ), sia l’immagine in quanto riprodotta ricordata-rielaborata ( immaginazione ), per distinguerle complessivamente dalla “figura”esteriorizzata… »

Garroni E., Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Premessa P. IX.

 Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica. Definizione di “stile”.

« Innanzi tutto lo “stile come norma”, in rapporto a prescrizioni o regole preferenziali e non necessariamente in tutti sensi obbligatorie. (…) In secondo luogo lo “stile come scelta”, come ciò che può essere o ci si aspetta che sia realizzato mediante una scelta meditata nell’ambito delle possibilità offerte da una lingua o da altri mezzi espressivi, che in linea di principio sempre alternative ad ogni scelta determinata.(…) In terzo luogo lo “stile come violazione di una norma” o addirittura come opposizione alle norme mediante vere e proprie invenzioni espressive, come ciò che, per essere artisticamente rilevante, deve differenziarsi e dall’uso comune standardizzato e da norme, di qualsiasi tipo, già stabilite ».

Garroni E., Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Cap. 16. Pp. 102-104.

 Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica.

« … l’opera non costituisce mai un mondo in sé chiuso (…) e deve essere quindi compresa nella sua relazione intima con la percezione del mondo e con l’esperienza nella sua varietà e interpretabilità ».

Garroni E., Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Cap. 17. P. 113.

Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica. L’immagine interna.

« Le mie osservazioni partono dalla convinzione che l’immagine interna è un piccolo grande enigma… »

Garroni. E. Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Premessa. P. IX.

 Gorgia ( encomio di Elena ). Filosofia. Presocratici.

« La parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e in visibilissimo, divinisse(?) cosa sa compiere; riesce infatti a calmare la paura, e a eliminare il dolore e a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà ».

F.S.

Gorgia. Filosofia. Presocratici.

« In chi lo ascolta ( Socrate ) si infonde un brivido di spavento, una pietà piena di lacrime, un rimpianto di cose perdute proclive al dolore, onde l’anima patisce, a causa delle parole, un suo proprio patema, innanzi a liete e ad avverse vicende di fatti e di persone estranee ».

F.S.

Hobsbawn. Storia. Contemporanea. Differenze tra Stati Uniti e Impero britannico.

Ci sono importanti differenze per quanto riguarda la struttura interna dello Stato e la sua ideologia. L’impero britannico non aveva una finalità universale, a semplicemente britannica, anche se naturalmente i suoi propagandisti sapevano trovare motivazioni più altruistiche. In questo senso, l’abolizione della tratta degli schiavi venne usata per giustificare la potenza navale britannica, così come oggi i diritti umani vengono spesso usati per giustificare la potenza militare degli Stati Uniti.

Hobsbawn E. J., Imperialismi, Rizzoli, Milano, 2007, p. 45.

Hobsbawn. Storia. Contemporanea. La follia della strategia politica americana.

Agli occhi di qualsiasi osservatore esterno, le politiche che negli ultimi anni hanno preso il sopravvento a Washington sembrano talmente folli che è difficile comprendere che cosa ci sia realmente dietro. E’ comunque chiaro che il primo obiettivo di coloro che oggi determinano, almeno in parte, le scelte politiche di Washington, è una pubblica affermazione della supremazia globale americana attraverso l’uso della forza militare. Rimane oscuro l’autentico scopo di questa strategia.

E’ probabile che essa raggiunga il successo? Il mondo è troppo complesso per poter essere dominato da un singolo Stato.

Hobsbawn E. J., Imperialismi, Rizzoli, Milano, 2007, p. 53.

Hobsbawn. Storia. Contemporanea. Il nuovo linguaggio della propaganda.

La vacuità di questa politica emerge chiaramente dal modo in cui i suoi obiettivi sono stati presentati sul piano delle relazioni pubbliche. Espressioni come “l’asse del male” o “la road map” non sono giudizi politici, ma semplici frasi a effetto apparentemente in grado di accumulare un loro potenziale politico. Il nuovo linguaggio propagandistico che ha inondato il mondo dall’inizio della seconda guerra del Golfo è un indice dell’assenza di una linea politica vera e propria. Bush non persegue una politica, ma si limita a recitare una parte. Funzionari del tipo di Richard Perle e Paul Wolforwitz parlano come Rambo tanto in pubblico quanto in privato. L’unica cosa che conta è la schiacciante potenza americana. In termini reali essi intendono dire che gli Stati Uniti possono invadere qualunque Paese che sia abbastanza piccolo e nel quale possano conseguire la vittoria con sufficiente rapidità.

Hobsbawn E. J., Imperialismi, Rizzoli, Milano, 2007, p. 57.

Hobsbawn. Storia. Contemporanea. La conseguenza della politica e propaganda americana.

Sul piano internazionale, la prospettiva più allarmante è la destabilizzazione del mondo. In proposito il Medio Oriente è solo uno degli esempi: oggi questa regione è molto più instabile di quanto fosse dieci o cinque anni fa. La politica americana viene a indebolire ogni possibile accordo alternativo, ufficiale o ufficioso, volto a mantenere l’ordine.

Hobsbawn E. J., Imperialismi, Rizzoli, Milano, 2007, p. 58.

Hobsbawn. Storia. Contemporanea.

Queste considerazioni ci offrono una chiave di lettura per comprendere la crescente pressione esercitata sui media: proprio perché riveste una così grande importanza, l’opinione pubblica è infatti anche sottoposta a enormi manipolazioni. Durante la prima guerra del Golfo (1990-1991), si tentò di evitare che si ripetesse la situazione del Vietnam, impedendo ai media di avvicinarsi alle zone d’azione. Questi sforzi non ebbero però successo, perché alcuni corrispondenti (per esempio, della Cnn) che si trovavano a Baghdad riferirono delle versioni dei fatti che non quadravano con la storia che Washington intendeva raccontare. La volontà di controllare i giornalisti non ha funzionato neppure durante l’ultima guerra in Iraq, così che in futuro la tendenza sarà probabilmente quella di trovare metodi più efficaci, che potrebbero assumere la forma di una supervisione diretta, magari ricorrendo anche, come ultima risorsa, a strumenti di controllo tecnologico; (…).

Hobsbawn E. J., Imperialismi, Rizzoli, Milano, 2007, p. 61.

Huizinga. Storia. Medioevo. Sulle usanze della giustizia medioevale.

« Fino a quali estremi, per niente cristiani, giungesse proprio la mescolanza di fede e desiderio di vendetta lo dimostra la consuetudine dominante in Francia e in Inghilterra di rifiutare ai condannati a morte non solo il viatico, ma anche la confessione: non si volevano salvare le loro anime; anzi, si voleva aggravare l’affanno mortale colla certezza delle pene infernali ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. Sui sentimenti di giustizia nel medioevo.

« Mancavano nel medioevo tutti quei sentimenti che hanno reso oscillante il nostro concetto di giustizia: l’idea della responsabilità, l’idea della fallibilità del giudice, la coscienza che la società è corresponsabile dei misfatti del singolo, la questione se non val meglio correggere il colpevole che farlo soffrire ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. Sulla giustizia medioevale.

« Laddove noi conosciamo delle pene ridotte o inflitte con esitanza e quasi con cattiva coscienza, la giustizia medioevale non conosce che i due estremi: la piena misura di una pena crudele o la grazia ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. Sui sentimenti popolari del popolo medioevale intorno alle questioni inerenti alla giustizia.

« Il contrasto immediato tra crudeltà e compassione dominava i costumi anche al di fuori dell’amministrazione della giustizia. Da un lato si incontra la più spietata inumanità verso i bisognosi e gli invalidi; dall’altro una tenerezza infinita e un profondo sentimento di fraternità verso i malati, i poveri, i dementi, simili a quelli che troviamo nella letteratura russa, e anche ivi uniti alla crudeltà. Il piacere delle esecuzioni capitali è almeno accompagnato fino ad un certo punto giustificato da un forte senso di giustizia appagato ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. Sul trattamento dei pazzi nel medioevo.

« Come si procedesse con i dementi, risulta dalla relazione sul trattamento fatto a Carlo VI, che, essendo re, ebbe delle cure certamente diverse da quelle praticate agli altri. Per cambiare biancheria il povero folle non s’era trovato di meglio che di farlo spaventare da dodici uomini tinti di nero, come si i diavoli venissero a prenderlo ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. La vita quotidiana dei medioevali.

« Così cruda e così variopinta era la vita, che essa poteva aspirare in un medesimo istante l’odore di sangue e di rose. Il popolo, come un gigante dalla testa di bimbo, oscillava tra angosce infernali ei più ingenui piaceri, fra una crudele durezza e una singhiozzante tenerezza. Viveva sempre tra gli estremi: dalla completa rinuncia ai piaceri del mondo a un attaccamento frenetico alla ricchezza e ai godimenti, dall’odio più cupo a una bonarietà ridanciana ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. Sull’inquietudine dello studio della storia.

« Chi però studi a fondo quell’epoca riesce soltanto a stento a tener fermo l’aspetto giocoso, perché al di fuori della sfera dell’arte c’è soltanto il buio. Nei minacciosi ammonimenti dei sermoni, negli stanchi gemiti della letteratura, nelle monotone relazioni delle cronache e dei documenti, da per tutto grida il pittoresco peccato e piange la miseria ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. Come si giustifica l’apparato del potere di fronte al popolo.

« L’orgoglio è il peccato dell’epoca feudale e gerarchica, in cui i possessi e le ricchezze sono poco mobili. Allora il potere non è ancora essenzialmente collegato colla ricchezza; è più personale e, per essere riconosciuto deve manifestarsi con un grande apparato: un numeroso seguito di fedeli, ornamenti preziosi, un contegno pieno di sussiego. La coscienza di essere più degli altri viene di continuo alimentata dal pensiero feudale e gerarchico mercé forme espressive: omaggi e ossequi offerti in ginocchio, solenni prove d’onore, pompa maestosa, tutte cose che fanno apparire quella superiorità come qualcosa di molto reale e legittimo ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. La percezione dei popoli della loro storia.

« Il popolo non può capire la propria sorte e gli avvenimenti dell’epoca altro che come una successione ininterrotta di malgoverno e di sfruttamento, di guerre e di saccheggi, di carestia, miseria e pestilenza ».

J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Kant. Filosofia. Moderni. Definizione dell’immaginazione.

« L’immaginazione è la facoltà di rappresentare un oggetto, anche senza la sua presenza nell’intuizione. (…)

L’immaginazione è pertanto una facoltà di determinare a priori la sensibilità… »

I. Kant. Critica della ragion pura. ( Edizione 1987 ). Laterza ( concessa stampa Mondolibri ). Roma-Bari. P. 121.

 Kant. Filosofia. Moderni. Necessità dei lavori scientifici.

«… in ogni ricerca scientifica bisogna continuare tranquillamente il proprio cammino con tutta l’esattezza e sincerità possibili, senza curarci di ciò con cui tal ricerca potrebbe contrastare fuori del suo dominio ed eseguirla per sé sola,  per quanto si può,  secondo verità e in modo completo ».

I. Kant. Critica della ragion pratica. Traduzione di Francesco Capra. Laterza. Bari. 1997. P. 233.

Kant. Filosofia. Moderni.

« la ragion pura è per sé sola pratica, e dà all’uomo una legge universale che noi chiamiamo legge morale ».

I. Kant. Critica della ragion pratica. Traduzione di Francesco Capra. Laterza. Bari. 1997. P. 55.

Karnow. Storia. Storia contemporanea, guerra del Vietnam. La vita dei contadini è ovunque e sempre la schiavitù della terra.

La vita dei contadini obbedisce al dominio del pesante e interminabile ciclo delle loro coltivazioni. Arano, seminano e raccolgono, si rassegnano alla siccità, alle inondazioni, alle pestilenze e alle malattie che colpiscono il riso, il granoturco, lo zucchero, le noccioline e le patate. Il loro lavoro quotidiano piega la schiena e fa invecchiare molto precocemente. La fame di ogni giorno indebolisce i bambini. Ogni ora di veglia è una lotta per la sopravvivenza. Ma in Vietnam, oltre all’antica fatica e all’incostanza della natura, i contadini avevano portato il peso di una guerra per una generazione intera. Li trovai sconvolti, terrorizzati, sfiniti. Quando parlavano, un unico filo sembrava correre attraverso le loro conversazioni. Non partecipavano al conflitto, ne erano le vittime. Non simpatizzavano né per Diem né per il Vietcong; provvedevano per la parte che li tormentava di meno.

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, p. 127.

Karnow. Storia. Storia contemporanea, guerra del Vietnam. Motivazioni americane della guerra in Vietnam e distorsione dei fatti a uso e consumo della politica, compresa l’interpretazione dei dati quantitativi

Nella storia nessun conflitto è stato studiato tanto dettagliatamente mentre era in corso. Funzionari militari e civili, in quasi tutti gli enti federali di Washington, prima o poi condussero qualche indagine sul Vietnam, con la collaborazione di specialisti, di innumerevoli uffici studi come la RAND Corporation e la Stanford Reaserch Institute. C’era di tutto: tecnici degli armamenti, economisti, sociologi, politologi, antropologi, agronomi, biologi, chimici e studiosi dell’opinione pubblica. Indagarono sugli effetti dei defoglianti, l’impatto delle bombe, l’efficacia dei cannoni. Passarono in attento esame i villaggi e intervistarono i contadini. Interrogarono i disertori e i prigionieri nemici. Analizzarono i documenti catturati ai comunisti e passarono in rassegna le dichiarazioni di Hanoi; produssero immense raccolte di grafici, carte, opuscoli, volumi e pubblicazioni. Ma le statistiche non riuscivano a formare un quadro preciso del problema, meno che mai a offrire soluzioni. L’elemento mancante nella “misurazione quantitativa” che guidava McNamara e altri responsabili della politica americana, era la dimensione quantitativa che non poteva essere facilmente messa agli atti. Non c’era il modo di soppesare le motivazione dei guerriglieri vietcong. I computer non potevano essere dettagliati per dare una definizione delle speranze e delle paure dei contadini vietnamiti. Le misteriose manovre di Diem e della sua famiglia mettevano in gravi difficoltà i diplomatici americani, che erano ancor meno capaci di influenzare le loro decisioni. Con l’intensificarsi della guerra, i civili e i militari americani vennero spinti dal miope senso di  “ottimismo esasperato”, la convinzione che gli americani, in quanto tali, potevano raggiungere qualsiasi risultato in qualsiasi luogo. La sicurezza della propria onnipotenza veniva anche stimolata dalle pressioni esercitate dai rispettivi superiori gerarchici a Saigon e a Washington. Adottare un atteggiamento negativo era una forma di disfattismo e per i disfattisti non c’erano promozioni. Al contrario i rapporti ottimistici venivano ricompensati, anche se avevano scarsa affinità con la verità. Un’altra motivazione che spingeva gli americani in Vietnam, era una sorta di zelo missionario, non diverso dal credo che aveva precedentemente ispirato i colonialisti francesi. Ma gli americani gli dienedro una forma diversa. Non stavano imponendo il colonialismo ma, anzi, stavano aiutando i vietnamiti a migliorare le loro istituzioni. Definivano questo impegno: “costruzione della nazione” e sarebbero stati arroganti se non fossero stati completamente sinceri ne credere ingenuamente che potevano ricostruire la società vietnamita secondo criteri occidentali. Tuttavia, mentre cercavano di insegnare alla burocrazia di Diem le complesse procedure del sistema politico e della pianificazione economica, scoprirono ben presto con loro dispiacere che i vietnamiti seguivano una musica estranea alle orecchie occidentali.

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, pp. 144-145.

Karnow. Storia. Storia contemporanea, guerra del Vietnam. La fine di un capo di stato vietnamita: non sempre i potenti fanno una fine gloriosa.

Alla fine di gennaio del 1964, un comandante di trentasette anni, il generale Nguyen Khanh, fece cadere la giunta che aveva fatto cadere Diem solo tre mesi prima. Figura elegante, occhi dardeggianti, barba caprina, Khanh si agitava e si pavoneggiava come il peronaggio di un’opera teatrale cinese; nell’esercizio del potere, il suo comportamento era ai confini del comico. Ma era astuto ed energico. Anche in una società nella quale gli scrupoli erano scarsi, godeva di scarsa considerazione; aveva costruito la sua carreira passando da una fazione all’altra, soprattutto a quella che gli prometteva di realizzare le sue illimitate ambizioni. In quel periodo ebbi occasione di scambiare qualche opinione con Khanh, ma potei intervistarlo soltanto dopo la guerra quando venne a risiedere negli Stati Uniti. Dirigeva un modesto ristorantino orientale, tra stazioni di servizio e parcheggi di auto usate in un viale secondario di West Palm Beach, in Florida, e viveva nei pressi, in una casetta piena di bandiere, emblemi, fotografie autografe e altre cose che gli ricordavano i giorni passati del suo potere. In quell’atmosfera malinconica di glorie sbiadite, ce ne stavamo seduti malamente in due poltrone ricoperte di plastica; parlava in buon francese. Prima ancora di sentirlo, sapevo che nelle sue “storie di guerra” avrei dovuto tenere separati i fatti dalle finzioni. Qualunque fosse il grado di verità dei suoi resoconti, guardando al passato, mi sembrò quasi incredibile che la crociata americana in Vietnam avesse potuto imperniarsi su un personaggio così inconsistente.

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, pp. 205-206.

Karnow. Storia. Storia contemporanea, storia della guerra del Vietnam. La logica economica non sempre riesce a soverchiare i problemi ideologici e politici. Non tutto è riassumibile alla logica dell’economia.

E la sua diagnosi della situazione rifletteva ancora una volta il fatale errore americano consistente nel ritenere che in Vietnam il problema era essenzialmente una questione di organizzazione e di gestione. “In Vietnam abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno. Gli Stati Uniti hanno fornito consiglieri militari, addestramento, attrezzature, aiuti economici e sociali, assistenza politica. Il governo del Vietnam ha messo un numero relativamente grande di ottimi elementi in posizioni importanti e ha attuato procedure civili e militari che sembrano funzionare. Quindi, da parte nostra sappiamo che cosa fare. Abbiamo i mezzi con cui farlo. Non ci resta altro che farlo. Questo richiede un comandante duro e deciso. Forse è Khanh.”

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, p. 209.

Karnow. Storia. Storia contemporanea. Storia della guerra del Vietnam. La logistica e l’impegno economico non bastano a vincere una guerra/non sempre gli incentivi economici conducono gli uomini ad agire per il meglio.

La difficoltà tuttavia consisteva nel misurare i risultati. In quel periodo un esponente americano a Saigon mi diede questa spiegazione: “Supponiamo, per esempio, che fornissimo loro un piano per distribuire diecimila radio nei villaggi i modo che i contadini potessero ascoltare le trasmissioni propagandistiche di Saigon. Loro rispondevano entusiasticamente e noi consegnavamo le radio. Pochi mesi dopo, conducevamo un’indagine, ci dicevano quello che noi volevamo sentir dire: i contadini vengono convertiti alla causa del governo e noi stiamo vincendo la guerra. Ma in realtà che cosa era accaduto? Le radio avevamo realmente raggiunto i villaggi oppure la metà erano state vendute al mercato nero? I contadini sentivano veramente la radio di Saigon o la radio di Hanoi? Non lo sapevamo. Eravamo nel misterioso Oriente. A Washington riferivamo che c’erano stati dei progressi perché Washington chiedeva che si facessero progressi”. A metà del 1964, gli Stati Uniti avevano costruito nel Vietnam del Sud il più formidabile apparato americano mai raccolto all’estero in “tempo di pace”; ed era solo un accenno di ciò che sarebbe capitato in seguito. Gli esperti americani nelle province insegnavano ai contadini vietnamiti ad allevare maiali, a scavare pozzi e a costruire case. C’erano medici americani, insegnanti, contabili, meccanici ed anche dei discjockey che si esibivano alla stazione radio americana di Saigon. I tecnici americani mettevano a punto i fucili ad alta velocità, sistemavano le bombe a spillo e le macchine fotografiche a raggi infrarossi per scattare immagini attraverso i camuffamenti. Gli agenti segreti americani erano legati ad una dozzina di reti spionistiche segrete, tra cui un distaccamento speciale che spiava le spie. Tutte queste e altre attività americane erano finanziate con soldi degli Stati Uniti, che oltre a finanziare gli armamenti rendevano possibile l’importazione di medicine, latte, carburante, fertilizzanti e altri prodotti, venduti localmente per generare il denaro necessario a pagare il governo di Saigon e le sue forze armate, che allora avevano raggiunto la forza di seicentomila uomini. La guerra, in breve, era diventata il principale pilastro dell’economia sudvietnamita. Il voluminoso apparato americano in Vietnam diventava semrpe più grande e quanto più cresceva, tanto maggiori erano i contrasti tra le varie agenzie, ciascuna delle quali cercava di aumentare la proprai importanza. La CIA, sostenendo che la strtegia anti insurrezionale era la risposta alla guerra, criticava la tattica convenzionale favorita dai consiglieri militari. I funzionari del dipartimento di stato mettevano in discussione le valutazioni delle informazioni da parte degli analisti della CIA, i quali si lamentavano che i loro giudizi sulla situazione venivano ignorati. I funzionari che si curavano degli aiuti civili, lamentavano le interferenze nei loro progetti economici e sociali da parte degli esponenti militari, i quali litigavano fra loro sui meriti relativi alle varie armi.

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, pp. 218-219.

Karnow. Storia. Storia contemporanea. Storia della guerra del Vietnam. La forza degli Stati Uniti dispiegata in Vietnam.

I tecnici dell’esercito americano e gli imprenditori privati lavorarono giorno e notte; spesso conseguirono risultati prodigiosi in pochi mesi. Potenti trattori, bulldozer e gru scavarono strade, costruirono ponti, e in un tratto del delta del Mekong dragarono il fiume creando un’isola di seicento acri adibita ad accampamento di sicurezza. Costruirono enormi depositi di carburante e giganteschi magazzini, alcuni dei quali refrigerati. Furono allestite centinaia di rampe per elicotteri e moltissimi campi di aviazione, tra cui enormi piste per aviogetti presso Danang e Bienhoa. Fino a quando non arrivarono gli americani, Saigon era stata l’unico porto importante del Vietnam del Sud e le sue antiquate istallazioni erano in grado di accogliere solo navi di modesto tonnellaggio. Vennero ora costruiti nel giro di pochissimo tempo sei porti progettati e dimensionati per accogliere grandi navi; tra questi un gigantesco complesso nella baia di Camranh, realizzato a tempo di record rimorchiando attraverso il Pacifico moli galleggianti prefabbricati. Regioni molto lontane tra loro vennero collegate tra loro con una complessa rete di strare, e Saigon venne messa in comunicazione con Washington mediante cavi sottomarini e mezzi radio così efficienti che i funzionari dell’ambasciata degli stati Uniti potevano mettersi in contatto con la Casa Bianca in pochi secondo e il presidente Johnson poteva telefonare (e lo fece spesso) per chiedere della situazione.

Nel 1967, a sostegno delle forze statunitensi, venne riversato in Vietnam un milione di tonnellate di rifornimenti al mese; questo significava una media di cento libbre di rifornimenti al giorno per ogni americano in missione. Il fante americano poteva disporre di un equipaggiamento modernissimo. Veniva trasportato con elicotteri sul campo di battaglia e, se ferito, veniva evacuato a bordo di chopper per il pronto soccorso medico noti come “spandipolvere” a causa del polverone sollevato dai loro rotori nella fase di atterraggio. Il suo obbiettivo di solito era già stato “ammorbidito” dalle incursioni aeree e dai bombardamenti dell’artiglieria e gli era possibile richiedere nel corso della battaglia l’ulteriore appoggio dell’aviazione e dell’artiglieria. Spesso durante l’azione era affiancato da carri armati e dall’artiglieria. Spesso durante l’azione era affiancato da carri armati e da altri veicoli blindati, e la sua unità aveva al seguito le armi più moderne: mortai, mitragliatrici, granate e lanciamissili e fucili totalmente automatici tipo l’M-16. Ad eccezione delle armi nucleari, quasi tutti i mezzi disponibili del potente arsenale americano furono prima o poi impiegati in Vietnam. Il cielo si riempì di cacci, bombardieri, elicotteri e altri velivoli tra i quali il B-52 da alta quota e il “puff the magic Dragon”, un DC-3 da trasporto modificato e fornito di mitragliatrici a tiro rapido capaci di crivellare un bersaglio con diciottomila colpi al minuto- Il movimento aereo era tale che, di fatto, gli aeroporti del Vietnam del Sud divennero i più trafficati del mondo. Oltre ai voli che partivano dalle basi all’interno del paese, la flotta aerea conduceva le sue azioni anche partendo da Guam e dalla Tjailandia e dalle portaerei situate nel Mar Cinese Meridionale. La flottiglia degli Stati Uniti dispiegata al largo del Vietnam comprendeva anche incrociatori, cacciatorpediniere, ricognitori, navi cisterna, navi ospedale e imbarcazioni leggere adatte a penetrare nel delta del Mekong. Ogni servizio voleva essere presente in Vietnam perché, come erano soliti dire a quell’epoca gli ufficiali americani, “è la sola guerra che abbiamo”. Il Vietnam si prestò anche come banco di prova per una tecnologia talmente sofisticata che al suo paragone i fantasmagorici marchingegni di James Bond apparivano superati. Gli scienziati americani realizzarono tutta una serie di rivelatori ultrasensibili del nemico, basati sulla riflessione della luce, del suono e del calore; crearono persino uno strumento elettronico capace di sentire l’odore dei guerriglieri. Produssero sostanze defoglianti ed erbicide per distruggere le foreste oltre alle coltivazioni, in particolare di riso, sulle quali i nordvietnamiti ed il Vietcong si basavano per l’alimentazioni. Perfezionarono razzi come il “Walleye”, un missile aria-terra provvisto di una telecamera che, collegata a un monitor nella cabina dell’aereo, permetteva al pilota di correggerne la traiettoria. Furono prodotte bombe di ogni tipo, forma e potenza, dalle bombe al fosforo a quelle al napalm che bruciavano vive le loro vittime. Un’altra arma devastante furono le bombe “grappolo” che esplodendo proiettavano ad alta velocità e tutt’intorno centinaia di frammenti che si conficcavano profondamente nel corpo di chi si trovava nel loro raggio di azione. Destinate a incursioni “chirurgiche” contro concentrazioni di truppe, le bombe a grappolo spesso sganciate dagli aerei americani su popolose regioni sia del Nord che del Sud Vietnam, uccisero e mutilarono migliaia di civili. Il generale Harold K Johnson, capo di stato maggiore dell’esercito, attribuì una volta questo sterminio indiscriminato all’assenza di informazioni precise sul bersaglio da colpire. “Poiché non ne sappiamo abbastanza” ebbe a dire “agiamo brutalmente, come un rullo compressore”.

Oltre a importare armi, munizioni, carburante, pezzi di ricambio e altro materiale bellico, Westmoreland e i suoi tecnici logistici inondarono il Vietnam con generi di conforto necessari alle truppe statunitensi lontane da casa. I soldati americani, isolati nelle basi sperdute in cima alle colline o nel cuore delle foreste, non solo potevano contare sull’invio di birra e sigarette via elicottero, ma periodicamente i chopper li rifornivano di pasti caldi, e il menù del giorno del Ringraziamento comprendeva tacchino, salsa di mirtilli e patate dolci. Coloro che erano scaglionati nelle retrovie gestivano club, snack-bar e quell’istituzione militare tipicamente americana che è il Post Exchange. IL principale PX, situato nel quartiere periferico di Cholon a Saigon, era grande quasi quanto quello di Bloomingdale a New York; i suoi sacaffali erano sovraccarichi di ogni genere di materiale, dai capi di abbigliamento sportivo alle macchine fotografiche, registratori, radio a transistors, sapone, shampoo, deodoranti e, naturalmente, preservativi. Al termine della sua ferma in Vietnam, un GI poteva acquistare un’automobile o una motocicletta da rivendere negli Stati Uniti e poteva persino capitare che venisse ingaggiato dai rappresentanti di quelle società commerciali di Wall Street che avevano installato uffici a Saigon, per la compravendita di interi stock. La grande cornucopia americana continuava a riversare le sue ricchezze nell’economia locale e le strade di Saigon e di altre città del Vietnam del Sud traboccavano di mercati neri che funzionavano a tutti gli effetti come Post Exchange e spesso disponevano di articoli che non si potevano trovare presso i PX ufficiali.

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, pp. 278-280

Karnow. Storia. Storia contemporanea. Guerra del Vietnam. Le conseguenze militari dell’intervento armato statunitense.

Quando nel 1965 la guerra si intensificò, i cannoneggiamenti, i bombardamenti e la distruzione chimica delle aree rurali perpetrati dagli Stati Uniti scacciarono i contadini dai loro villaggi e crearono l’enorme problema dei profughi. Si calcola che, nel tentativo di sopravvivere, quattro milioni di uomini, donne e bambini, all’incirca un quarto della popolazione del Vietnam del Sud, si rifugiarono nelle periferie di grandi e piccole città. Essi vennero raccolti in accampamenti di fortuna, in squallide baracche dove servizi igienici del tutto rudimentali favorivano il diffondersi di malaria, dissenteria e altre malattie. Migliaia di profughi, alla ricerca disperata di un modo per sopravvivere, si ammassarono nelle città di Saigon, Danang, Bienhoa e Vung Tau, che vennero così ad acquisire un assetto quasi medievale, con mendicanti e ambulanti che battevano le strade, implorando e molestando gli americani per ottenere denaro. Nessun luogo mi parve presentare un contrasto più stridente della terrasse dell’hotel Continental Palace, edificio che conservava il tipico stile coloniale francese, dove vittime vietnamite della guerra prive di gambe arrancavano come granchi sulle belle piastrelle del pavimento per abbordare soldati americani, impresari edili, giornalisti e visitatori che chiacchieravano tra un drink e l’altro sotto i ventilatori appesi al soffitto.

L’afflusso dei profughi nelle città fu in molti casi deliberatamente favorito dagli strateghi americani che calcolarono che questa “urbanizzazione forzata” avrebbe privato i nordvietnamiti ed il Vietcong dell’appoggio dei contadini e sarebbe stata ostacolata in tal modo la loro capacità di mantenere le loro posizioni nelle campagne. Anche Westmoreland era di questo avviso, come pure Robert Komer, suo delegato civile incaricato della “pacificazione”; questi si diceva convinto che “il processo di disgregazione” del nemico sarebbe stato accelerato dal restringimento della sua “base popolare”. La teoria venne ambiziosamente messa in pratica all’inizio del 1967, allorché tredicimila soldati americani lanciarono l’operazione “Cedar falls” nella provincia di Binh Duong, una roccaforte comunista, vicina al confine con la Cambogia a nord di Saigon. Aerei americani ne bombardarono i villaggi, distrussero i campi di riso e le foreste circostanti con sostanze erbicide prima che fanteria, appoggiata da carri armati e bulldozer vi penetrasse allo scopo di distruggere una rete nemica di bunker e tunnel, di cui si aveva notizia. Il risultato di questo rastrellamento fu l’esodo di circa settemila abitanti del luogo.

Qui come altrove, tuttavia, i nordvietamiti ed il Vietcong riuscirono nuovamente a infiltrarsi, pochi mesi dopo essere stati cacciati. I profughi, invece, sradicati dalle loro terre devastate e nel timore di nuove offensive rimasero nei centri urbani con le loro famiglie, distrutte e disgregate, aggravando l’instabilità della già fragile società del Vietnam del Sud. Privati delle loro terre, erano condannati ad una povertà senza speranza e il tradizionale tessuto sociale venne ulteriormente lacerato quando i loro figli, allettati dall’incredibile opulenza che gli americani avevano portato in Vietnam, decisero di rinnegare gli antichi voti di rispetto filiale e abbandonarono i genitori, nella frenetica ricerca di facili ricchezze. Per le giovani donne vietnamite, in particolare, l’allettante richiamo a una relativa ricchezza risultò irresistibile.

Durante la guerra contro la Francia, il “vizio organizzato” era rimasto in gran perte confinato a Cholon, sobborgo cinese di Saigon, dove la banda Binh Xuyen insieme con i suoi soci cinesi gestiva case da gioco, bordelli, fumerie di oppio e passava una percentuale dei profitti all’imperatore fantoccio Bao Dai. I francesi, sensibili alle debolezze dell’uomo, mantenevano addirittura un bordello autorizzato che viaggiava al seguito delle truppe, noto con il nome di Bordel Militaire de Campagne, BMC. L’estabilshment americano, invece, era troppo puritano per autorizzare ufficialmente il commercio sessuale. A Saigon, a Danang e ovunque vi fossero concentramenti di soldati americani, proliferarono bar, night-club e “sale per massaggi”, che per la maggior parte funzionavano sulle prestazioni di povere ragazze contadine indotte alla prostituzione dalla possibilità di guadagnare in una settimana più di quanto guadagnavano i loro padri in un anno di lavoro. Parecchi noti diplomatici e ufficiali statunitensi si presero come concubine donne vietnamite, di solito donne della Saigon bene, per le quali questi rapporti servivano ad elevare il tenore di vita e a ottenere protezione nell’eventualità di un futuro disastro.

Durante la guerra con gli americani si sviluppò anche un fiorente traffico di stupefacenti e spesso i piccoli spacciatori si trovarono a dover affrontare la concorrenza degli alti funzionari del governo sudvietnamita per l’accesso al mercato dell’eroina raffinata proveniente dalle coltivazioni di oppio nel Laos. Nel 1971, secondo un calcolo del Pentagono, il 30 per cento circa dei soldati americani di stanza in Vietnam aveva sperimentato l’oppio o l’eroina; risultò anche che grandi quantità di droga venivano esportate negli Stati Uniti. I periodici tentativi degli agenti americani volti a sgominare questa complessa rete di contrabbando venivano insabbiati dai loro superiori della missione statunitense poiché l’applicazione di una dura azione repressiva avrebbe compromesso quasi tutti i maggiori esponenti del regime di Saigon.

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, pp. 282-283.

Karnow. Storia. Storia contemporanea. I mezzi di comunicazione di massa si limitano ad esprimere l’opinione di frange di popolazione e niente di più.

Dopo la guerra, molti politici, generali e persino giornalisti accusarono i mezzi di informazione di aver illuso il popolo americano. Questo non corrisponde a realtà, perché la stampa, con tutte le sue manchevolezze, ha sempre seguito l’opinione pubblica americana più di quanto non l’abbia pilotata. Normalmente il pubblico fonda le sue convinzioni assai più sulla base di avvenimenti reali, quali ad esempio l’aumento delle tasse o la morte in guerra di un ragazzo che sulla base delle trasmissioni televisive e dei commenti dei giornali.

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, p. 322.

Karnow. Storia. Storia contemporanea. I mezzi di comunicazione di massa si limitano ad esprimere l’opinione di frange di popolazione e niente di più.

(…) i mezzi di informazione degli Stati Uniti si limitarono a seguire da vicino l’opinione pubblica (…).

Karnow S., Storia della guerra del Vietnam, Mondadori, Milano, 1983, p. 325.

Le Goff. Storia. Medioevo. Immagine dell’economia medioevale.

« All’ingrosso il tempo del lavoro è quello di un’economia ancora dominata dai ritmi agrari, esenti dalla fretta, senza scrupolo di esattezza, senza preoccupazioni di produttività, e di una società a sua immagine, “sobria e pudica” senza grandi appetiti, poco esigente, poco capace di sforzi quantitativi ».

Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, traduzione di M. Romano, Einaudi, Torino. 1977.

Le Goff. Storia. Medioevo. Sulla nuova valutazione del tempo.

« Comunque è proprio in questo periodo che per la prima volta si sviluppa una spiritualità dell’impiego del tempo. L’ozioso che perde il suo tempo, non lo misura, è simile agli animali, non merita di essere considerato un uomo: “egli si pone in tale stato che è più vile che quello delle bestie”. Nasce così un umanesimo a base di tempo ben calcolato ».

Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, traduzione di M. Romano, Einaudi, Torino 1977.

Le Goff. Storia. Medioevo. Sulla nuova valutazione del tempo nel medioevo e sulla valutazione delle cose.

« Ormai quel che conta è l’ora-misura nuova della vita: “mai perdere un’ora di tempo”. La virtù cardinale dell’umanità è la temperanza, a cui l’iconografia fin dal secolo XIV da’ come attributo l’orologio, misura d’ora in avanti di tutte le cose ».

Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, traduzione di M. Romano, Einaudi, Torino 1977.

Leucippo. Filosofia. Presocratici.

« Nulla avviene invano ma tutto per una ragione e necessariamente ».

F.S.

Liddell Hart. Storia. Contemporaneo. L’uomo presta fede maggiormente a ciò che conferma le sue stesse opinioni.

Questo atteggiamento innovatore era dovuto soprattutto all’entusiasmo del generale Heinz Guderian e di alcuni altri militari, nonché all’interesse che i loro argomenti suscitavano in Hitler, il quale naturalmente prestava volentieri orecchio a ogni idea che promettesse la rapida soluzione di un eventuale conflitto.

Liddell Hart H. B., Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970, p. 30.

Liddell Hart. Storia. Contemporanea. La macchina si è sostituita all’uomo nell’arte della guerra.

La situazione che si creò in Europa nel 1939 confermò, dandole nello stesso tempo un nuovo significato, la famosa frase pronunciata da Clemenceau a propostio dell’ultimo grande conflitto tra nazioni: “La guerra è una cosa troppo importante perché la si possa lascaire in mano ai militari”. Ora infatti era chiaro che la guerra non avrebbe dovuto essere lasciata in mano ai militari anche se fosse stato possibile nutrire la più completa fiducia nella loro capacità di giudizio. Il potere di alimentare una guerra, se non quello di scatenarla, era ormai uscito dalla sfera di competenza del militare per entrare in quella dell’economista. Come sul campo di battaglia la forza della macchina aveva ormai acquisito un peso predoinante rispetto alla forza dell’uomo, così chiunque avesse una visione realistica di proclemi sapeva che nel campo dell’alta strategia l’importanza dell’industria e delle risorse economiche relegava ormai in secondo piano quella delle armate schierate sui fronti di battaglia. Qualora il flusso dei rifornimenti provenienti dai campi petroliferi e dagli stabilimenti avesse subito un’interruzione, le grandi amrate si sarebbero rapidamente ridotte a masse inerti. Per quanto agli occhi dell’uomo della strada le grandi colonne in marcia potessero ancora apparire imponenti e capaci di suscitare una specie di timore reverenziale, in esse il moderno scienziato della guerra non scorgeva altro che formazioni di marionette sistemate su di un nastro trasportatore. E appunto sotto questo aspetto si presentava il fattore potenziale che poteva salvare la civiltà.

Liddell Hart H. B., Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970, pp. 30-31.

Liddell Hart. Storia. Contemporanea. Per gli uomini, l’interesse per le vicende umane negli avvenimenti storici è sempre stata molto bassa.

Egli [Churchill] si rendeva conto che con ogni probabilità essa avrebbe spinto i tedeschi a invadere la Scandinavia, tanto è vero che osservava: “Quando si spara al nemico è logico aspettarsi che quello risponda”. Ma più avanti affermava: “Abbiamo più da guadagnare che da perdere da un attacco tedesco contro la Norvegia e la Svezia”. (A quanto pare egli non si preoccupava di chiedersi a quali sofferenze sarebbero andati incontro i popoli scandinavi una volta che i loro paesi fossero stati trasformati in campi di battaglia).

Liddell Hart H. B., Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970, p. 75.

Liddell Hart. Storia. Contemporanea. L’arte della guerra si muove sul morale delle truppe e sugli stratagemmi per aumentarlo e diminuirlo.

L’esiguità numerica delle forze aviotrasportate impiegate in Belgio era in straordinario contrasto con le notizie che circolavano in quei giorni: sulla vase delle segnalazioni provenienti da decine e decine di località diverse, si sarebbe detto che i tedeschi stavano impiegando migliaia di paracadutisti. La spiegazione di questo fenomeno fu fornita dallo stesso Student: per compensare l’insufficienza delle risorse effettive e creare la maggior confusione possibile da un capo all’altro del paese, gli aerei tedeschi paracadutarono un gran numero di manichini. E’ indubbio che questo trucco si rivelò efficacissimo, grazie anche alla naturale tendenza a moltiplicare tutte le cifre così caratteristica delle persone in preda a una profonda agitazione.

Liddell Hart H. B., Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970, p. 94.

Liddell Hart. Storia. Contemporanea. Il caso di Pearl Harbor.

Per quanto paradossale possa sembrare, i giapponesi si erano prefissi di sfruttare tutta la potenziale efficacia della sorpresa senza per altro uscire dai limiti della legalità; in altre parole, di spingersi il più vicino possibile al limite della legalità senza violarlo. I tempi della procedura di replica alle richieste americane del 26 novembre erano stati studiati con cura: essa doveva pervenire all’ambasciatore giapponese a Washington nella tarda serata di sabato 6 dicembre, per essere consegnata al governo degli Stati Uniti alle ore 13 di domenica, ora corrispondente alle  7.30 di mattina alle Hawaii. Questa procedura avrebbe dato agli Stati Uniti ben poche possibilità (circa mezz’ora di tempo) di notificare ai comandanti delle loro basi nelle Hawaii e altrove che era scoppiata la guerra, e nello stesso tempo avrebbe potuto essere dichiarata giuridicamente corretta a norma delle vigenti leggi internazionali. Tuttavia, a causa della lunghezza della nota giapponese (5000 parole) e di ritardi nel lavoro di decifrazione presso l’ambasciatore solo alle 14.20 ora di Washington, circa trentacinque minuti dopo l’inizio dell’attacco di Pearl Harbor. La violenza con cui tutta l’America denunciò l’attacco di Pearl Harbor come atto di barbarie e il modo in cui esso giunse come un fulmine a ciel sereno appaiono assai sorprendenti alla luce della storia. L’attacco di Pearl Harbor non fu infatti molto diverso nella sostanza dall’attacco che gli stessi giapponesi avevano sferrato contro la flotta russa a Port Arthur, e che dunque avrebbe dovuto costituire un precedente.

Liddell Hart H. B., Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970, p. 301.

Liddell Hart. Storia. Contemporanea. “In guerra il morale sta al materiale come tre sta a uno”.

La precipitosa ritirata inglese dalla frontiera prima ancora che i tedeschi vi fossero arrivati giustificò e nello stesso tempo rafforzò la decisione di Rommel di procedere con la massima audacia. Essa fu una straordinaria dimostrazione della fondamentale importanza che può avere l’addetto esercitato da una sconfitta sul morale degli uomini, e un0essesima riconferma del famoso detto napoleonico secondo cui “in guerra il morale sta al materiale come tre sta a uno”. Quando infatti decise di abbandonare la frontiera – “per guadagnare tempo con la distanza”, come egli stesso telegrafò ad Auchinleck – Ritchie aveva in campo 3 divisioni di fanteria quasi intatte, oltre a una quarta fresca in arrivo, e un numero di carri armati in condizioni di combattimento tre volte superiore a quello dell’Afrika Korps.

Liddell Hart H. B., Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970, p. 387.

Liddell Hart. Storia. Contemporanea. Le condizioni delle trincee italiane.

L’insufficienza dei rifornimenti di viveri contribuì in misura rilevante alla diffusione tra le struppe di malattie di vario genere. I suoi effetti erano inoltre aggravati dalle pessime condizioni igieniche dele trincee, soprattutto di quelle presidiate dagli italiani. Già nella battaglia di luglio gli inglesi erano stati costretti, a causa del sudiciume e del fetore, ad abbandonare le trincee italiane occupate, con il risultato che in numerose occasioni le forze corazzate tedesche li avevno sopresi allo scoperto, prima che riuscissero a completare lo scavo di nuove trincee. Ma la mancanza di precauzioni igieniche finì col dimostrarsi una specie di boomerang, favorendo il diffondersi della dissenteria e dell’itterizia infettiva non solo tra le truppe italiane ma anche tra le file degli alleati tedeschi; tra le vittime figurarono anche alcuni degli ufficiali che nella Panzerarmee svolgevano funzioni di primaria importanza.

Liddell Hart H. B., Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1970, p. 419.

Locke J.. Filosofia. Moderni. Credibilità dell’autorità.

« Non è che io creda che un qualunque nome, per quanto grande, messo in testa ad un libro, possa coprire i difetti che si troveranno in esso. Ciò che va per le stampe deve reggere o cadere sul merito proprio della fantasia del lettore ».

Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 75.

 Locke J. Filosofia. Moderni. La novità come accusa.

« L’accusa di “novità” è una terribile imputazione fra coloro che dicano del cervello degli uomini come delle loro parrucche, cioè, in base alla moda, e non possono ammettere che una dotrtrina sia giusta se non è comunemente accettata ».

Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 4.

Locke J.. Filosofia. Moderni. Sulle opinioni.

« Le opinioni nuove sono sempre sospette e, di solito, vengono combattute, non per altra ragione se non perché non sono ancora accettate dai più ».

Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 4.

 Locke J.. Filosofia. Moderni. Sulla paradossalità di certe posizioni.

« …io sarei uno che scrive intorno all’intelligenza senza averne ».

Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 5.

 Locke J.. Filosofia. Moderni. Perché leggere il “saggio”.

« Se quest’opera avrà la fortuna di occupare allo stesso modo alcuna parte del tuo tempo libero, e se leggendola ne ricaverai anche solo la metà del piacere che ho provato io nel comporla, credo che non rimpiangerai il tuo denaro, più che io non rimpianga la mia fatica. Ti prego di non credere che queste righe vogliano essere un elogio del mio libro, e di non immaginare che, per il fatto che mi ha dato piacere lo scriverlo, io ne sia molto ammirato e preso, ora che è scritto. Chi va alla caccia di allodole o di passeri ne trarrà lo stesso divertimento, ma assai meno profitto, di chi persegue una nobile preda ».

Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001.  P. 6.

Manzoni. Letteratura. Italiana. La violenza della folla spettatrice di celebrità.

Già al principio stessi del suo pontificato, nel primo solenne ingresso in duomo, la calca e l’impeto della gente addosso a lui era stato tale, da far temere della sua vita; e alcuni gentiluomini che gli eran più vicini, avevan sfoderate le spade, per atterrire e respinger la folla. Tanto c’era in que’ costumi di scomposto e di violento, che, anche nel far dimostrazioni di benevolenza a un vescovo in chiesa, e nel moderarle, si dovesse andar vicino all’ammazzare. E quella difesa non sarebbe forse bastata, se il maestro e il sottomaestro delle cerimonie, un Clerici e un Picozzi, giovani preti che stavan bene di corpo e d’animo, non l’avessero alzato sulle braccia, e portato di peso dalla porta fino all’altar maggiore. D’allora in poi, in tante visite episcopali ch’ebbe a fare, il primo entrar nella chiesa si può senza scherzo contarlo tra le sue pastorali fatiche, e qualche volta, tra i pericoli passati da lui.

Manzoni A., I promessi sposi, Mondadori, Milano, 1990, p. 431.

Manzoni. Letteratura. Italiana. Corrispondenza tra illetterati: unarappresentazione fedele di ciò che può implicare l’analfabetismo.

Il contadino che non sa scrivere, e che avrebbe bisogno di scrivere, si rivolge a uno che conosca quell’arte, scegliendolo, per quanto può, tra quelli della sua condizione, perché degli altri si perita, o si fida poco; l’informa, con più o meno ordine e chiarezza, degli antecedenti: e gli espone, nella stessa maniera, la cosa da mettere in carta. Il letterato, parte intende, parte frantende, dà qualche consiglio, propone qualche cambiamento, dice: lasciate fare a me; piglia la penna, mette come può in forma letteraria i pensieri dell’altro, li corregge, li migliora, carica la mano, oppure smorza, lascia anche fuori, secondo gli pare che torni meglio alla cosa: perché non c’è rimedio, chi ne sa pià degli altri non vuole essere strumento materiale nelle loro mani; e quando entra negli affari altrui, vuol anche fargli andare un po’ a modo suo. Con tutto ciò, al letterato suddetto non gli riesce sempre di dire tutto quel che vorrebbe; qualche volta gli accade di dire tutt’altro: accade anche a noi altri che scriviamo per la stampa. Quando la lettera così composta arriva alle mani del corrispondente, che anche lui non abbia pratica dell’abbiccì, la porta a un altro dotto di quel calibro, il quale gliela legge e gliela spiega. Nascono delle questioni sul modo d’intendere; perché l’interessato, fondandosi sulla cognizione de’ fatti antecedenti, pretende che certe parole voglian dire una cosa; il lettore, stando alla pratica che ha della composizione, pretende che ne voglian dire un’altra. Finalmente bisogna che chi non sa si metta nelle mani di chi sa, e dia a lui l’incarico della risposta: la quale, fatta sul gusto della proposta, va poi soggetta a un’interpretazione simile. Che se, per di più, il soggetto della corrispondenza è un po’ geloso; se c’entrano affari segreti, che non si vorrebbero lasciar capire a un terzo, caso mai che la lettera andasse persa; se per questo riguardo, c’è stata anche l’intenzione positiva di non dir le cose affatto chiare; allora, per poco che la corrispondenza duri, le parti finiscono a intendersi tra loro come altre volte due scolastici che da quattr’ore disputassero sull’entelechia: per non prendere una similitudine da cose vive; che ci avesse a toccare qualche scappellotto.

Manzoni A., I promessi sposi, Mondadori, Milano, 1990, pp. 463-464.

Manzoni. Letteratura. Italiana. I termini di qualifica politica vengono revisionati nel tempo sin dai tempi remoti (almeno           quattro/cinque secoli per certo).

E ora, se vi dovesse tornare a insegnare, vi direbbe che gli va dato dell’eminanza: avete inteso? Perché il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali li dia questo titolo. E sapete perché sarà venuto a questa risoluzione? Perché l’illustrissimo, che era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche voi altri, cos’è diventato, a quanti si dà: e come se lo succiano volentieri! E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a tutti?Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, conitnuar come prima. Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a poco poi, si comincerà a dar dell’eminenza ai vescovi; poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perché gli uomini son fatti così; sempre voglion salire, sempre salire; poi i canonici…

Manzoni A., I promessi sposi, Mondadori, Milano, 1990, pp. 661-662.

Marziale.

« Est res magna tacere ».

F.S.

Maupassant. Letteratura. Francese. Ospizi per anziani.

Dopo la morte del loro padre, la baronessa avrebbe voluto che sua sorella fosse restata con lei; ma la zitella, perseguitata dall’idea di dar fastidio a tutti, di essere inutile e importuna, preferì ritirarsi in una di quelle case religiose che affittano stanze alle persone tristi e sole nella vita.

Maupassant G. de., Una vita, Garzanti, Milano, 1976, p. 37.

Maupassant. Letteratura. Francese. La zia Lisetta: tra reificazione e suicidio.

Ogni tanto andava a passare un mese o due nella sua famiglia.

Era una donnina che parlava poco, spariva sempre, si faceva vedere soltanto all’ora dei pasti e subito risaliva nella sua stanza, dove restava chiusa in continuazione.

Aveva un aspetto di persona buona e dimostrava assai di più della sua età benché avesse appena quarantadue anni; i suoi occhi erano dolci e tristi. In famiglia non aveva mai contato nulla. Da piccina, siccome non era né bella né turbolenta, nessuno la baciava mai e lei se ne stava tranquilla e zitta negli angolini. Poi restò sempre sacrificata. Da ragazza nessuno badò a lei.

Era qualcosa tra un’ombra e un oggetto familiare, un mobile vivo, che ci si è avezzati a vedere ogni giorno, ma di cui non ci si cura affatto.

(…) A volte la baronessa, quando parlava dei fatti lontani della sua giovinezza, diceva, per precisare una data: “era all’epoca della mattana di Lisetta…”

Non aggiungeva altro; e quella “mattana restava come avvolta nella nebbia.

Una sera Lisa, che allora aveva vent’anni, s’era buttata nell’acqua, senza che nessuno ne sapesse il motivo. Nulla nella sua vita, nei suoi modi, poteva far immaginare una simile follia. L’avevano ripescata mezza morta; i suoi genitori, alzando le braccia in atto d’indignazione, invece di cercare le cause misteriose di quel gesto, s’eran limitati a parlare di “mattana”, come parlavano dell’incidente del cavallo Cocò, che un po’ di tempo prima s’era rotto una gamba in un solco, ragion per cui l’avevano dovuto ammazzare.

Maupassant G. de., Una vita, Garzanti, Milano, 1976, pp. 37-38. Corsivo nostro.

Maupassant. Letteratura. Francese. Già allora c’era il problema delle chiacchiere inutili.

Dopo le prima frasi di benvenuto, e i complimenti tra vicini, nessuno sapeva più che dire. Allora si fecero i rallegramenti, a vicenda, senza motivo. Ambedue le parti speravano che quelle ottime relazioni sarebbero continuate. Era un vantaggio potersi vedere, quando si stava tutto l’anno in campagna.

Maupassant G. de., Una vita, Garzanti, Milano, 1976, p. 72.

Maupassant. Letteratura. Francese. Nel bel tempo in cui la felicità sessuale era un dono collettivo.

“Che volete mai? Sono tutte così al paese! E’ un vero disastro, ma non c’è nulla da fare, e d’altronde è necessaria una certa indulgenza per le debolezze della natura. Non si sposano se non sono incinte, signor.”

E aggiunse, sorridendo:

“Si direbbe ch’è un’usanza del luogo…”

E poi, con tono indignato:

“Perfino i bambini ci si mettono. O non ho trovato, io stesso, due ragazzetti, maschio e femmina, che venivano al catechismo; o non li ho trovati nel cimitero, l’anno scorso? Ho avvertito i genitori, e lo sapete quel che m’hanno risposto? –Signor parroco, che volete mai, non gliele abbiamo mica insegnate noi quelle porcherie… Non ci possiamo far nulla- Sicché, signor barone, la vostra cameriera fa come fanno le altre…”

Il barone, che tremava dal nervosismo, lo interruppe:

“Che me ne importa! Io mi indigno per Giuliano: quello che ha fatto è davvero infame, e io mi riporto via la mia figliola.”

Camminava su e giù, furente, e accalorandosi sempre più:

“E’ un infamia aver tradito a questo modo mia figlia, è un’infamia! Quell’uomo è un mascalzone, una canaglia, un miserabile; glielo dirò, lo schiaffeggerò e lo ammazzerò a bastonate!”

Ma il prete, il quale stava annusando piano piano una presa di tabacco, accanto alla baronessa tutta piangente, disse, per compiacere il suo dovere di piacere:

“Via, via, signor barone, parliamo tra noi: ha fatto come fanno tutti. Voi ne conoscete parecchi, di mariti fedeli?”

E aggiunse con bonomia maliziosa:

“Ecco, scommetto che anche voi avete fatto la vostra parte. Via, mettetevi una mano sulla coscienza: è vero?”

Il barone, colpito, si fermò di fronte al parroco il quale seguitò:

“Eh, anche voi, anche voi avete fatto come gli altri… e Chissà che anche voi non abbiate mai gustato una servetta come quella. VI ripeto che lo fanno tutti. Eppure vostra moglie non è stata né meno felice né meno amata: vero?”

Il barone sconvolto stava immobile.

Maupassant G. de., Una vita, Garzanti, Milano, 1976, pp. 99-100.

Maupassant. Letteratura. Francese. Ancora la storia del sesso nell’Europa Occidentale.

La figliola dei Couillard aveva appena fatto un figlio e si stava per sposare. La serva dei Martin, un’orfana, era gravida; una ragazzotta delle vicinanze, di quindici anni, era gravida; una vedova, una povera donna laida e zoppa, soprannominata Mota, tanto repulsiva appariva la sua sporcizia, era gravida.

Ogni tanto si veniva a sapere d’una nuova gravidanza, o di qualche scappata d’una ragazza, d’una contadina sposata e madre di famiglia, od i un fattore ricco e rispettato.

Maupassant G. de., Una vita, Garzanti, Milano, 1976, p. 126.

Maupassant. Letteratura. Francese.

Il nonno e la mamma partirono subito per Le Havre. Giunti al collegio, seppero che da un mese Paolo non si faceva vedere. Il preside aveva ricevuto quattro lettere firmate da Giovanna, nelle quali veniva annunciata una malattia, e si davano altre notizie. Ogni lettera era accompagnata da un certificato medico: naturalmente era tutto falso. Restarono a guardarsi senza fiato.

Maupassant G. de., Una vita, Garzanti, Milano, 1976, p. 174.

Maupassant. Letteratura francese. Un impiegatuccio come tanti.

Era diventato vecchio, senza essersi accorto che la vita era trascorsa perché la scuola si era prolungata nell’ufficio, e gli istruttori che in passato lo facevano tremare erano oggi sostituiti dai capi che egli temeva moltissimo. La porta di quei despoti da camera lo faceva fremere da capo a piedi; e quel continuo timore faceva sì che egli avesse un modo impacciato di presentarsi, un atteggiamento umile e una specie di balbuzie.

Conosceva Parigi quanto può conoscerla un cieco condotto ogni giorno dal cane alla stessa porta; e leggendo nel giornale da un soldo gli avvenimenti e gli scandali, li considerava racconti di fantasia, inventati apposta per distrarre gli impiegatucci. Uomo d’ordine, reazionario senza alcun partito, ma nemico di ogni “novità”, saltava le notizie politiche che,d’altronde, la sua gazzetta travisava sempre a beneficio di interessi altrui; e tutte le sere, risalendo gli Champs Elysées, guardava la folla fluttuante a passeggio e l’onda incessante delle carrozze, come fa il viaggiatore forestiero che attraversi lontane contrade.

Maupassant G., de, Novelle, Garzanti, Milano, 1988, pp. 42-43.

Maupassant. Letteratura francese. La lontananza e la separazione dai cari è sempre stata dura.

– Non ho più visto la mamma da tanto tempo. E’ doloro star separate così a lungo.

E volgeva lontano lo sguardo smarrito, attraverso lo spazio, fino al villaggio che aveva lasciato lassù, lassù al nord.

Maupassant G., de, Novelle, Garzanti, Milano, 1988, p. 69.

Maupassant. Letteratura francese. I sistemi “pagani” per deviare le forze della natura sono i primi rimedi per i mali della vita.

Da quel giorno ebbe un solo pensiero: avere un figlio, un altro; e confessò a tutti il suo desiderio.

Una vicina le consigliò un rimedio: dar da bere ogni sera al marito un bicchied d’acqua con un pizzico di cenere. L’uomo acconsentì: ma senza risultato.

Si dissero: “Forse c’è qualche segreto”. E cominciarono a chiedere. Gli fu indicato un pastore che abitava a dieci leghe di distanza; e padron Vallin un bel giorno attaccò il calessino e andò a consultarlo. Il pastore gli consegnò una pagnotta sulla quale tracciò dei segni; era una pagnotta fatta di erbe e i coniugi dovevano mangiare un boccone per ciascuno, la notte, prima e dopo i loro abbracci.

Consumarono tutto il pane senza ottenere alcun risultato.

Un maestro di scuola svelò  certi segreti, certe operazioni amorose, sconosciute in campagna e infallibili, secondo lui. Non riuscirono.

Il curato consigliò un pellegrinaggio al Preziosissimo Sangue di Fécamp: Rose andò a prosternarsi con la folla all’abbazia, e, mischiando i suoi desideri a quelli grossolani che si effondevano dal cuore di tutti quei contadini, supplicò Colui che tutti imploravano di renderla ancora una volta feconda. Ma fu invano.

Maupassant G., de, Novelle, Garzanti, Milano, 1988, p. 83.

Maupassant. Letteratura francese. Neppure i “balli democratici delle discoteche moderne” sono un fatto inedito nella storia.

Si ballava: le coppie, a faccia a faccia, saltellavano a tutt’andare buttando le gambe in aria e facendole arrivare fino al naso del proprio compagno.

Le femmine ancheggiando schizzavano di qua e di là, fra un turbinio di gonnelle che metteva in mostra la loro biancheria. I loro piedi arrivavano con sorprendente facilità più su della testa; e dondolavano le pance, sculettavano, scuotevano i seni, spandendo intorno un forte odore di sudore femminile.

I maschi s’accoccolavano come rospi, con gesti osceni, si contorcevano, smorfiosi e orrendi, facevan la ruota poggiando le mani a terra, oppure, cercando di esser buffi, cercavano di imitare gli atteggiamenti femminili con ridicola grazia.

Maupassant G., de, Novelle, Garzanti, Milano, 1988, p. 138.

Medoro di Chio. Filosofia. Presocratici.

« Nessuno di noi sa nulla, neppure se noi sappiamo o non sappiamo ».

F.S.

Melisso. Filosofia. Eleati.

« Sempre era ciò che sempre sarà, perché se fosse nato, sarebbe necessario che prima di nascere non fosse nulla; ma se non era nulla, dal nulla non sarebbe potuto nascere nulla in alcun modo ».

F.S.

Maimonide. Filosofia. Medioevali.

« La profezia è un’emanazione di Dio che si effonde grazie alla mediazione dell’intelletto agente dapprima sulla facoltà razionale, poi su quella immaginativa ».

F.S.

Miller. Letteratura Americana.

Basta che lui dica “il mio libro” ed improvvisamente il mondo si rattrae alle dimensioni personali di Van Norden e C. Il libro dev’essere assolutamente originale, assolutamente perfetto. Ecco perché, fra le altre cose, è impossibile che lui lo attacchi. Appena gli viene un’idea, comincia a discuterla. Gli viene in mente che l’ha usata Dostoevskij, o Hamsum, o qulcun altro. “Non dico che voglio essere migliore di loro, ma voglio esser diverso,” spiega. E così, invece di affrontare il suo libro, legge un autore dopo l’altro, per essere assolutamente certo di non calpestare la loro proprietà privata. E quanto più legge e tanto più diventa spregioso. Nessuno di quegli autori lo soddisfa; nessuno giunge a quel grado di perfezione che egli si è imposto. E assolutamente dimentico del fatto che non è arrivato a scrivere un capitolo solo, parla di loro con aria sufficiente, quasi che ci fosse uno scaffale intero pieno di libri col nome suo, libri noti a tutti, di cui perciò non occorre nemmeno menzionare i titoli.

Miller, Tropico del cancro, Mondadori, 1962, p.125.

Miller. Letteratura Americana. Un ritratto della contemporaneità, composta nel 1934…

Debbo dire subito che non ho ragione alcuna per lamentarmi. E’ come trovarsi in una casa di pazzi, con il permesso di masturbarti fino alla fine dei tuoi giorni. Mi mettono il mondo sotto il naso e tutto quel che mi chiedono è di mettere la punteggiatura alle disgrazie. Non c’è nulla in cui quei drittoni del piano di sopra non mettano le mani: non c’è gioia, né tristezza che passi loro inosservata. Campano in mezzo ai crudi fatti della vita, alla realtà, come si suo dire. E’ la realtà di una palude ed essi son come ranocchi che non abbiano niente di meglio da fare, soltanto gracidare. Quanto più gracidano, tanto più reale diventa la vita. Avvocato, prete, medico, politico, giornalista, ecco i ciarlatani che mettono le dita sul polso del mondo. Atmosfera continua di sciagura. Meraviglioso. Come se il barometro non mutasse mai, come se la bandiera fosse sempre a mezz’asta. Ora si capisce come l’idea del paradiso conquisti la coscienza degli uomini, come guadagni terreno, anche quando se ne è buttato già ogni puntello. Dev’esserci un altro mondo, al di là di questa palude in cui tutto è buttato alla rinfusa. Difficile immaginare come possa esser fatto, questo paradiso di cui sognano gli uomini. Un paradiso di ranocchi, certo. Miasma, feccia, ninfee e acqua stagnante. Sedersi sopra un cespo di ninfee, indisturbato, e gracidante tutto il giorno. Una cosa così, immagino.

Miller, Tropico del cancro, Mondadori, 1962, pp.137-139.

Miller. Letteratura Americana. Il ritratto dell’esule e dell’uomo che lascia la propria casa per un nuovo paese, qualunque esso sia.

Fino ad allora non m’era successo nulla di tremendo, pur avendo già perduto tutti i miei beni mondani e pur sapendo che si trattava di battere il marciapiede, affamato e con la paura della polizia. Fino ad allora non un amico avevo trovato a Parigi, circostanza che, piuttosto che deprimermi, mi sbalordiva, perché, qualunque parte del mondo io abbia battuto, la cosa più facile è stata scoprire un amico. Ma in sostanza non m’era successo nulla di tremendo. Si può vivere senza amici, come si può vivere senza amore, o anche senza danaro, che tutti reputano un sine qua non. A Parigi si può vivere – questo avevo scoperto – di dolore e di pena. Amaro nutrimento, forse il migliore che ci si per certe persone. In ogni modo non ero ancora giunto a capo della fune. Civettavo con la catastrofe, ecco. Avevo tempo e sentimento da spendere per cacciare la testa nelle vite altrui, per amoreggiare con la morta materia del romanzesco, per quanto possa essere morbosa; quando è chiusa nella copertina di un libro, pare deliziosamente lontana e anonima.

Miller, Tropico del cancro, Mondadori, 1962, p. 168.

Miller. Letteratura Americana. Sentimenti da esule.

Ciascuno veniva da un posto diverso, ma avevamo qualcosa in comune – parecchie cose direi. Stavamo per commuoverci, come fanno gli americano quando viene l’ora dell’addio. Parlavamo come sciocchi di vacche e di pecore e dei grandi spazi aperti dove l’uomo è l’uomo e altre stronzate. Se fosse passata una nave invece del treno, saremmo saltati a bordo dicendo addio a tutto. (…) L’America è meglio tenerla così, sempre sullo sfondo, una specie di cartolina postale a cui guardare nei momenti di debolezza. Così, tu immagini che sia sempre là ad attenderti, immutata, intatta, un grande spazio aperto patriottico con vacche, pecore e uomini dal cuore buono, pronti a fottersi tutto quello che vedono, uomo donna o bestia. Non esiste l’America. E’ un nome che si dà a un’idea astratta.

Miller, Tropico del cancro, Mondadori, 1962, p. 192.

Miller. Letteratura Americana.

Vedo nei muscoli gonfi delle loro liriche gole la fatica che occorre per volgere la ruota, per riprendere il passo dove uno ha ceduto. Vedo che dietro i fastidi e le intrusioni quotidiane, dietro la meschina scintillante cattiveria dei deboli e degli inerti, c’è il simbolo del potere delusivo della vita, e che colui il quale crei l’ordine, colui il quale semini lotta e discordia, giacché è pieno di volontà, quell’uomo sempre dovrà andare alla gogna e al patibolo. Vedo che dietro la nobiltà dei suoi gesti si nasconde lo spettro della ridicolezza totale – che egli non è solamente sublime, ma assurdo.

Miller, Tropico del cancro, Mondadori, 1962, p. 232.

Miller. Letteratura Americana. Stare al passo con la contemporaneità!

Dappertutto la stessa storia. Se volevi un tozzo di pane dovevi metterti alla stanga, stare al passo. Per tutta la terra un deserto grigio, un tappeto di acciaio e cemento. Produzione! Più dadi e bulloni, più filo spinato, più biscotti pei cani, più falciatrici d’erba, più cuscinetti a sfere, più esplosivi, più carri armati, più gas asfissianti, più sapone, più dentifricio, più giornali, più istruzione, più chiese, più biblioteche, più musei. Avanti! Il tempo incalza. L’embrione preme alla bocca dell’utero, e non c’è nemmeno uno scaracchio che agevoli l’uscita. Una nascita secca, asfissiante. Non un gemito, non un cinguettìo. Salut au monde! Una salve di ventun cannoni che sparacchiano da retto. “Porto il cappello come mi pare, dentro e fuori,” diceva Walt. Ma quella era un’epoca in cui trovavi ancora il cappello per la testa tua. Ma il tempo passa. Per trovare il cappello che ti va bene, oggi bisogna arrivare alla sedia elettrica. Lì ti danno un bel casco. Un po’ stretto, vero? Ma non importa! Sta bene.

Miller, Tropico del cancro, Mondadori, 1962, p. 244.

Miller. Letteratura Americana. L’idea dell’uomo economico che ispira tanti amanti della giusta razionalizzazione… coloro che, naturalmente, non ne pagano il prezzo!

Tutto era diluito o gonfiato. Calorie, non cucina. Responsabile di tutto M. L’Encome. Così dicevano. Ma io non ci credo. Lo pagavano apposta per tenerci appena sul filo dell’acqua. Non ci chiedeva se avevamo le emorroidi o i foruncoli; non si curava se avevamo palati delicati o budella da lupo. E perché poi? Lo pagavano perché, a tanti grammi il piatto, producesse tante chilovatte di energia. Tutto sul metro dei cavalli vapore. Tutto marcato con cura nei registroni che gli impiegati visi pallidi scarabocchiavano mattino pomeriggio e sera. Dare e avere con un rigo rosso in mezzo alla pagina.

Miller, Tropico del cancro, Mondadori, 1962, p. 252.

Montanari M.. Storia. Medioevo. La politica pontificia.

« La politica pontificia era infatti sempre stata attenta a far sì che il nascente dominio territoriale della chiesa non rimanesse schiacciato da un potere politico coerente nella penisola italiana ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 198.

Montanari M. Storia. Medioevo. Politica pontificia.

« Come le monarchie europee e i comuni italiani, anche il papato romano cominciò fra il XI e il XII secolo a riorganizzarsi dal punto di vista territoriale e amministrativo, giungendo, già nel corso del ‘200 a esercitare il suo potere su soggetti politici sin a quel momento dotati di autonomia e indipendenza ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 199.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Politica pontificia.

« Per i pontefici romani affermarsi come il vertice supremo della cristianità significò riscuotere tasse da tutta Europa e intervenire attivamente in molte sfere di competenza dei vescovi e dei signori ecclesiastici; sul piano ideologico ciò colle dire consolidare la propria regalità ed elaborare una figura di sovrano assoluto che nei secoli successivi sarebbe stata presa a modello anche dai poteri laici ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 223.

Montanari M.: Storia. Medioevo. Politica pontificia.

« Dal punto di vista finanziario al papa spettavano sia i tributi che i sudditi gli dovevano come sovrano ( per esempio quelli previsti per il mantenimento della corte, che per molta parte dell’anno non risiedeva a Roma, ma era itinerante in vari centri del Lazio e delle zone limitrofe ), sia quelli che riscuoteva in quanto signore territoriale ( censi, affitti dei terreni del patrimonio di San Pietro, diritto di commercio entro lo Stato ). A questi si aggiungevano le decime locali, cioè i versamenti obbligatori ( teoricamente pari alla decima parte dei prodotti della terra e dell’attività pastorale ) che proprietari e coltivatori dovevano versare alla chiese locali e di monasteri, e le decime ecclesiastiche, dovute al papato dai titolari dei benefici. (…)

Tutti questi introiti confluivano nella “camera apostolica” il cui capo, detto camerlengo, si occupava di registrarli, custodirli e reimpiegarli, talvolta investendoli per il mantenimento della curia pontificia e per la promozione di attività politiche e militari ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 224.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Politica Pontificia.

« I pontefici acquisirono sempre più potere anche nel controllo dei benefici (…). Il raggio d’azione dei pontefici si estese anche nell’ambito più strettamente spirituale, mediante una più stretta disciplina dei fenomeni di religiosità spontanea (…) e del culto della santità, che a partire dal XIII secolo fu sottoposta a un controllo più rigoroso ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 224.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Politica pontificia nei confronti dei movimenti religiosi spontanei.

« Le vicende religiose e politiche che dall’XI secolo videro protagonista la chiesa di Roma furono decisive per l’affermarsi di un coerente dominio temporale soggetto al papato, ma causarono forti disagi all’interno della cristianità che all’azione dei pontefici vedeva dimenticati gli ideali evangelici. La risposta del potere ecclesiastico alle correnti religiose originate spontaneamente da tali disagi fu duplice: alcuni movimenti, anche di radicale contestazione, furono ricondotti nel seno della chiesa; altri furono condannati sia sul piano teologico che sul piano giudiziario come “eresie”. Essi avevano un immediato riflesso politico, non solo perché sovvertivano l’ordine ecclesiastico con la creazione di chiese parallele e, in alcuni casi, minacciavano la pace sociale, ma anche perché, con la loro stessa esistenza, intaccavano l’autorità della chiesa di Roma mettendole in discussione il primato ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 228.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Interpretazione degli eretici da parte dell’ortodossia cattolica.

« Uno scoppio improvviso di predicazioni eterodosse scosse la Francia meridionale all’inizio del secolo XI. Gli uomini di chiesa che ne lasciarono memoria non avevano strumenti per comprendere questi fenomeni e le relegarono nel mondo della follia, dell’influenza demoniaca, della marginalità ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 228.

Montanari M.: Storia. Medioevo. Sulle dottrine degli “eretici”.

« Molti movimenti evangelici, definiti più tardi ereticali dalla chiesa romana, non avevano in realtà elaborato alcuna dottrina estranea ai dettami cristiani ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 229.

Montanari M.: Storia. Medioevo. Un “trattamento esemplare”.

« Il peccato che costò a Valdo una condanna nel 1184. e poi la scomunica ufficiale nel 1215 non fu una scelta di vivere in povertà, ma la presunzione di predicare nonostante il divieto delle autorità ecclesiastiche ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 229.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Contro gli eretici.

« Inutilmente i pontefici ordinarono pene sempre più severe: nel 1184 la bollaAd abolendam di Luccio III prevedeva il bando per gli eretici in specie i catari e patarini; successive decretali di Innocenzo III equiparavano gli eretici ai rei di lesa maestà condannandoli per tanto alla pena capitale. Nel 1208 venne bandita dal pontefice una vera e propria crociata contro i catari di Albi e della contea di Tolosa, nella Francia meridionale, che provocò un massacro della popolazione nel 1215 nel corso del VI concilio lateranense si ribadirà l’anatema per gli eretici e i loro fautori. Anche Federico II eletto imperatore, condannò l’eresia come reato capitale nelle leggi del 1220 in pieno accordo con Papa Onorio III ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. Pp. 230-231. Per citare, ricontrollare il manuale stesso.

Montanari M.. Storia. Medioevo. La risposta della chiesa ai movimenti ereticali.

« La nascita e l’approvazione degli ordini mendicanti si rivelarono un evento decisivo nella lotta contro l’eresia. Francescani e domenicani dovevano combattere gli eretici sul piano dottrinale, attraverso un’opera di capillare predicazione e sottraendo consensi con l’esempio di una vita “mendicante” ma pienamente ortodossa. Agli stessi ordini fu affidata la “santa inquisizione”, un tribunale dipendente dal papa, con poteri giurisdizionali speciali in materia di fede ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 233.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Il ciclo maltusiano.

« [ Malthus ] il problema che lo tormentava era quello della prolificità dei ceti più bassi, verso i qual, a suo avviso, non bisognava avere alcun atteggiamento caritativo. In un suo celebre scritto ( Saggio sul principio di popolazione ) egli mise in risalto come la popolazione tenda ad aumentare in progressione geometrica ( 1, 2, 4, 8, 16… ) mentre i mezzi di sostentamento crescono in progressione aritmetica ( 1, 2, 3, 4… ) perciò l’aumento ciclico della miseria –ciò che noi chiamiamo crisi- a suo avviso sarebbe salutare perché, impedendo ai poveri di far figli e alzando il loro livello di mortalità, provoca un riequilibrio del rapporto popolazione/risorse tramutandosi in un vantaggio collettivo ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 240.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Conquista mongola della Cina.

« La notevole crescita economica sotto la dinastia sung ebbe fine con la conquista da parte dei mongoli e con i circa trentamilioni di morti che questi causarono ».

Articolo Age of Empires II. I Cinesi.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Sulle invenzioni dei cinesi.

« Tra le invenzioni [ cinesi ] più importanti è possibile annoverare il compasso, la carriola, l’abaco, la bardatura per I cavalla, la staffa, l’orologio, la fusione del ferro, l’acciaio, la carte, I caratteri mobile da stampa, la carta moneta, la polvere da sparo e il timone di poppa ».

Articolo Age of Empires II. I Cinesi.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Il peso di tutto era sui contadini.

« Il medioevo fu un susseguirsi di guerre civili in cui gli sconfitti erano i solo i contadini ».

Articolo Age of Empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Motivazioni dei tornei medioevali.

« L’evento principale [ del torneo ] era costituito da coppie che giostravano, caricandosi a vicenda con le lance allo scopo di ottenere il premio, il prestigio e l’ammirazione del public femminile seduto in tribuna, non molto diversamente da quanto accade nelle moderne gare atletiche ».

Articolo Age of Empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Il problema dei tornei medioevali e dell’utilizzo positivo di capitale umano.

« Nel XIII secolo le vittime dei tornei divennero talmente numerose da allarmare le autorità e la santa sede: nel 1240 in una competizione tenuta a Colonia perirono sessanta cavalieri. Il pontefice avrebbe preferito inviare quei valorosi a combattere nelle crociate in terra santa, anziché vederli cadere in quel modo. Malgrado il ricorso a nuove regole e armi spuntate per ridurre gli incidenti, le ferite erano ancora gravi e spesso mortali. Enrico II di Francia perse la vita in una giostra in occasione del matrimonio della figlia ».

Articolo Age of Empries II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Usanze della cavalleria sopravissute fino ad oggi.

« L’equitazione era una delle abilità che distinguevano I cavalieri di alto rango da quelle comuni. Veniva praticata durante la caccia ed era un’attività di intrattenimento molto popolare tra i nobili, sopravvissuta al giorno d’oggi nella tradizionale caccia alla volpe.

Articolo Age of Empires II. Armi e cavalleria.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Esistenzialismo medioevale.

« A quel tempo l’esistenza era terribile, violenta e breve, con un’aspettativa di vita che si aggirava sui trent’anni e una mortalità infantile e delle donne partorienti elevatissima ».

Articolo Age of Empries II. Politics.

Articolo Age. Storia. Medioevo. La condizione dei servi della gleba: non liberi e non schiavi.

« I servi non erano in condizioni di schiavitù ma non erano comunque uomini liberi: non era permesso loro di sposarsi, cambiare mansione o abbandonare il feudo senza il permesso del signore. A differenza degli schiavi, godevano tuttavia di qualche limitato diritto: la posizione di un servo era ereditaria e veniva tramandata ai suoi discendenti; la terra che possedeva non poteva essergli sottratta a condizione che adempisse a tutti i suoi obblighi ».

Articolo Age of Empries II. The Mayor.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Motivi e modalità delle crociate.

« I massicci cavalieri franchi e la fanteria non avevano alcuna esperienza nel combattimento contro la cavalleria leggera e contro gli arcieri arabi e viceversa. La resistenza e la forza dei cavalieri ebbe la meglio e determinò la vittoria nella campagna dopo una serie di serrate vittorie da parte di entrambi i fronti. Antiochia venne vinta con il tradimento nel 1098 e Gerusalemme fu conquistata da nel 1099 con un massiccio assalto ai danni di una debole guarnigione di soldati. A seguito di queste due importanti vittorie, i soldati cristiani commisero orrendi massacri, uccidendo selvaggiamente moltissimi “infedeli” indipendentemente dall’età, dalla fede religiosa e dal sesso. La maggior parte dei crociati fece ritorno a casa, ma un manipolo di soldati più forti e coraggiosi rimase per fondare regni feudali sul modello di quelli esistenti in Europa ».

Articolo Age of Empires II. Le crociate.

Articolo Age. Storia. Medioevo. I crociati riuscirono a mantenere i possedimenti mettendo le tribù arabe l’una contro l’altra.

« I regni crociati sopravvissero per qualche tempo in parte perché avevano imparato a negoziare, a cercare il compromesso e in parte perché avevano condotto le fazioni arabe l’una contro l’altra ».

Articolo Age of Empires II. Le crociate.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Necessità dei difensori di castelli: l’espulsione dalle rocche dei più deboli.

« Quando si prevedeva un assedio di lunga durata, ai contadini non in grado di combattere, poteva venire negata la possibilità di accedere nelle mura per risparmiare cibo. Esistono molti esempi di persone respinte dalle città assediate proprio per questo motivo. Quando il re, Enrico V assediò la città di Rioven?, i difensori espulsero gli abitanti più deboli e poveri. Gli inglesi si rifiutarono di ammettere questi sfortunati tra le loro linee, cosicché gli anziani, le donne e i bambini si accalcarono tra città e l’esercito inglese per mesi, cercando affannosamente cibo tra i rifiuti per non morire di fame ».

I Difensori del castello. Articolo Age of Empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Attività durante gli assedi.

« Un grande assedio era anche un evento sociale. L’assedio di Neuss del XV secolo durò alcuni mesi, ma gli aggressori costruirono un enorme accampamento comprendente perfino taverne e campi sportivi. I nobili che partecipavano agli assedi cercavano di ricreare un ambiente confortevole, spesso portavano con sé mogli e famiglie, mentre mercanti e artigiani delle città vicine giungevano immediatamente per aprire negozi e servizi ».

Gli assedianti? Articolo Age of Empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Logiche della guerra ( medioevale? ).

« Re Enrico V di Inghilterra conquistò la città di Caen dopo un lungo assedio nel 1417.  Permise quindi al suo esercito di saccheggiare la città da un capo all’altro per punire la fiera resistenza esercitata dai difensori e ogni volto della città, esclusi i religiosi, fu ucciso ».

? Articolo Age of Empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Krak des Chevaller: roccaforte crociata.

« Krak des Chevaller, il più famoso dei castelli delle crociate medioevali, costiuisce tuttora un edificio impressionante della moderna Siria. Fu difeso dai cavalieri ospedalieri durante il periodo delle crociate e resistette oltre una dozzina di assedi e di attacchi per più di centrotrant’anni prima di cadere nelle mani degli arabi egiziani ».

Castello Assedio. ? Articolo Age of empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Rimedi contro gli arieti.

« Durante l’assedio di Tiro nell’inverno tra il 1111 e il 1112 gli arabi trovarono un espediente ingegnoso per difendersi dall’ariete: gettando ganci, afferravano l’ariete e lo trascinavano lontano dal muro. In questo modo furono ripetutamente in grado di ostacolare l’utilizzo dell’ariete ».

Castello Assedio?. Articolo Age of empires II.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Conseguenze delle cattive interpretazioni.

« la compiutezza estetica delle sue realizzazioni –per esempio i restauri del castello di Pierrefonds e della cittadina di Carcassone, rispettivamente nel nord e nel sud della Francia- offre l’immagine idealizzata di un passato niente affatto semplice che diventa facilmente comprensibile perché ricreato attraverso una interpretazione coerente e unitaria ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 275.

Montanari M.. Storia. Medioevo. Sull’impegno degli storici e contro pregiudizi nella storiografia.

« Ciò facendo, in fondo abbiamo scelto di fare a meno del medioevo. Della parola medioevo, troppo gravida di pregiudizi negativi o positivi, di immagini tenebrose o solari che riguardano la nostra percezione, piùche la realtà di quest’epoca. Si deplora spesso l’uso “distorto” che viene fatto del medioevo da certo giornalismo, da certi film, da certi romanzi, da certe feste o da presunte ricostruzioni storiche: “cose da medioevo” ogni volta che un nostro conto con la storia si riapre, o un comportamento irrazionale si fa strada; “il medioevo” di orrori, di paure, di incubi terribili ( quasi che il nostro tempo non ne avesse generato di peggiori ); e insieme, nostalgia di “un medioevo” fatto di gnomi e di fate, di eroi, di santità e di nobili sentimenti, di amori cortesi e di forti solidarietà.  In ogni caso, un medioevo lontano dagli uomini veri, un’isola che non c’è, in cui proiettare i nostri sogni o ricercare un alibi per sentirci migliori. Questo non è il medioevo degli storici, i quali pazientemente si applicano a ricostruire frammenti di quel mondo affidandosi alla faticosa lettura e alla ancora più faticosa interpretazione dei documenti. (…)

Ripulire la storia dai luoghi comuni è un’operazione difficile o forse impossibile, ma è questo uno dei compiti maggiori che spettano allo storico, quando voglia trasformare il suo lavoro da semplice erudito in un impegno civile. Mettere in discussione ciò che crediamo di capire è la prima forma per assumere un abito critico che ci servirà in ogni occasione della vita ».

Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. Pp. 278-279.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Sull’uso dell’artiglieria a polvere da sparo nel medioevo.

« I mercenari cristiani, ad esempio, erano in grado di far funzionare l’artiglieria impiegata dai turchi contro Costantinopoli ».

Articolo? Age of empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Le condizioni igieniche degli esercitimedioevali.

« Anche le condizioni igieniche rappresentavano un problema legato allo spostamento da un luogo all’altro. Un esercito medioevale portava con sé molti animali, oltre ai cavalli dei cavalieri, e i liquami diffondevano malattie e dissenteria. Frequentemente accadeva che un esercito si indebolisse a causa di pestilenze e diserzione. Nella campagna militare in Francia, Enrico V d’Inghilterra perse circa il 15% del proprio esercito a causa di malattie durante l’assedio di Harfleur e molti altri uomini perirono durante la marcia verso Agicourt, mentre le perdite registrate in battaglia corrispondevano solo al 5% nel corso di un altro assedio, lo stesso Enrico V morì di malattia per le cattive condizioni igieniche del luogo ».

Articolo Age of Empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Problemi di organizzazione negli eserciti medioevali.

« A battaglia le possibilità di fare dietrofront o riorganizzare la formazione erano scarse. Raramente, ad esempio, un drappello di cavalleria poteva essere utilizzato due volte, poiché dopo aver partecipato all’azione venivano solitamente affiancati da un rinforzo o fatti ritirare. La carica della cavalleria pesante comportava una tale confusione e un tale dispendio di equipaggiamento e cavalli che era pressoché impossibile ricostruire l’integrità originaria dell’unità da combattimento. I drappelli di cavalieri normanni ad Hastings furono riorganizzati per sferrare gli attacchi successivi ma non furono in grado di organizzare una carica vera e propria poiché non riuscirono a penetrare la difesa sassone ».

Articolo Age of Empires II.

Articolo Age. Storia. Medioevo. Modalità di riscatto dei prigionieri durante le guerre medioevali.

« La cattura dei cavalieri veniva annotate dagli araldi che tenevano il conto di quali soldati erano da considerarsi responsabili e dovevano conseguentemente accollarsi il peso del riscatto. Gli araldi davano la notiziola dell’accaduto alla famiglia del prigioniero, predisponevano il pagamento del riscatto e ottenevano il rilascio del prigioniero.

La diffusione del pagamento di riscatti potrebbe apparire un segno grande di civiltà, ma in realtà nascondeva infamie e crimini, come accadeva con i prigionieri di basso rango, uccisi all’istante in modo da evitare di doverli sorvegliare e nutrire ».

Articolo Age of Empires II.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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