Table of Content
1.1 Introduzione
2.1 Arcadia
3.1 Gli Arcadi
3.2 I mercenari
4.1 Conclusioni
5.1 Bibliografia
1.1 Introduzione
L’Arcadia sembra essere una terra che si presta facilmente alla formazione di mercenari. Curioso è l’aspetto, notato da N. Fields sul come, a distanza di secoli, fra popolazioni con diverse collocazioni geografiche, possa presentarsi una stessa ragione di essere che accomuni due popoli. La ragion d’essere di cui sto parlando è l’arruolamento di mercenari: sia Svizzeri che Arcadi hanno venduto per anni la propria forza militare al miglior offerente. La Svizzera ha visto in età moderna nel mercenariato una via di fuga alla povertà dilagante, mentre la stessa povertà ha dato un enorme spinta al fenomeno. Così, numerosi gruppi di mercenari stipularono patti con governanti stranieri e capitani che avessero intenzione di negoziare e rinforzare le proprie truppe.
L’Arcadia, proprio come la Svizzera, è una terra molto povera, quasi del tutto costituita da montagne, tale da divenire la patria di mercenari al soldo dei miglior offerenti.
Licomede di Mantinea, il primo comandante degli Arcadi dopo la creazione della Lega Arcade nel 369-368 a.c., li descrisse come il popolo più forte fisicamente e il più coraggioso. Egli precisa anche che, a causa della loro povertà, molti Arcadi emigravano ad Atene e in altre polis per lavorare come commercianti e artigiani. Tuttavia, in questa circostanza gli artigiani di cui si parla sono artigiani della guerra[1].
Obbiettivo principale del mio lavoro sarà, quindi, quello di spiegare come gli Arcadi fossero la principale risorsa di guerrieri mercenari in età arcaica e classica nella Grecia antica.
2.1 Arcadia
Di vario tipo sono state le descrizioni fornite dalla letteratura greca riguardanti la popolazione dell’Arcadia. Per citarne alcune, Polibio, proveniente anch’egli dall’Arcadia, chiamava i propri compatrioti “primitivi”. Strabone, invece, che non era arcade, li definiva “in tutto e per tutto dei montanari”. Probabilmente, queste descrizioni non erano del tutto veritiere e non dovrebbero essere prese alla lettera[2], in altra direzione infatti vanno le parole di Omero, che nell’Iliade racconta che gli Arcadi erano combattenti valorosi ed esperti nell’arte della guerra, tanto che Agamennone, re di Micene, fece disporre delle navi per poterli trasportare a Troia, affinché non perdesse il loro apporto in battaglia[3].
Di qualunque fosse il tipo di popolo che avesse abitato questa terra, ciò che è certo è che l’Arcadia si presenta alquanto inabitabile. Posta al centro del Peloponneso, essa presenta ad ovest montagne ripide che lasciano poco spazio alle vallate, qui la vegetazione è lussureggiante, con alti alberi, fra cui numerose querce; unica eccezione al paesaggio è la pianura nella quale si trovava la polis di Megalopoli, nel sud-ovest della regione. Al contrario, molto meno monotona è la parte orientale, dominata da Mantinea, nella quale il paesaggio si presenta con un’ampia distesa ricca di alberi da frutto e fiumi, contornati da ripide montagne.
Ad ogni modo, le principali polis erano situate al nord dell’Arcadia: Tegea, Mantinea, Orcomeno, Feneo e Stinfalo. Il paesaggio montuoso ebbe, così, una duplice funzione nella storia di queste polis, da una parte evitava possibili incursioni esterne alla regione, dall’altra non consentiva che una città potesse avere dominio su un’altra, questo almeno fino alla fondazione di Megalopoli, nel 369-368 a.c., dopo questa data la storia delle polis Arcadi non corrispose più alla storia dei singoli villaggi o città.
Le varie polis entrarono a far parte della Lega del Peloponneso con a capo Sparta, sebbene non furono mai completamente assoggettate al suo volere. Mantinea e Tegea, che stabilirono la loro egemonia sui più piccoli insediamenti, minacciarono più volte la sopravvivenza della stessa Lega. Soprattutto Mantinea svolse il ruolo di ago della bilancia, trovandosi spesso ad oscillare fra la fazione a favore e quella contro Sparta.
Un ulteriore particolare fra gli aspetti dell’Arcadia è la sua temperatura decisamente bassa, più bassa che in altre regioni del nord della Grecia: i giorni di freddo potevano infatti arrivare fino al mese di Aprile. Così, nell’elenco di Tucidide sulle regioni più fertili, fra le quali incluse, appunto, anche il Peloponneso, l’Arcadia viene omessa.
Tradizionalmente, l’Arcadia è la terra del dio Pan, il cui culto era particolarmente diffuso, essendo la regione ricca di fonti, grotte, picchi e alberi, tutti sacri al dio. Molte delle statue di bronzo raffiguranti pastori erano poste nei templi del dio Pan, protettore delle greggi. Oltre ai templi dedicati a questa divinità, Ermes fu l’altro dio venerato in queste terre, essendo, secondo la tradizione, nato in Arcadia. Ermes era solitamente rappresentato nudo o altrimenti intento a portare un ariete, con le tipiche ali sulle scarpe e il suo copricapo[4].
3.1 Gli Arcadi
La difficile condizione ambientale non spinse, sempre o comunque, gli abitanti dell’Arcadia a emigrare. I coloni di Tegea fondarono nei territori vicino Creta la polis di Gartyn, altri Arcadi, secondo quanto menzionato da Erodoto, diventarono abitanti di Cipro, ma raramente essi pensarono di abbandonare la loro terra.
Un’ipotesi, di Christian Callmerr, ritiene che l’aumento della popolazione nel quinto secolo, in questa regione, impose a molti Arcadi di diventare mercenari e, conseguentemente, di fondare poche colonie, sebbene l’aumento demografico non sembra essere un evento che ha segnato la storia di questa regione proprio in questo secolo, seguendo lo sviluppo cronologico dell’Arcadia. Sembra piuttosto che il periodo dell’aumento della popolazione possa essere successivo.
L’aumento della popolazione è posteriore alla fondazione delle colonie, mentre la formazione di mercenari sembra essere presente già in età arcaica, se non prima. Tutto questo può farci pensare alla conclusione che gli abitanti fossero da sempre portati al mercenariato, per via della scarsità delle risorse.
Descrizioni, come nelle Elleniche di Senofonte, ci riportano un’Arcadia con le sue coltivazioni nei campi, lavorate giorno dopo giorno, mentre è difficile immaginare come fosse la vita nella regione nel periodo arcaico, mancando le fonti. Dalle statue di bronzo, provenienti da questo periodo, sembra lecito supporre, però, che in molti si dedicassero alla pastorizia, un gran numero di queste opere rappresentano uomini con alti cappelli di feltro o conici cappelli di pelle, corti mantelli o una tunica e un paio di scarponi da passeggio. Inoltre, si può pensare che oltre al gran numero di pastori vi fossero anche contadini, intenti ad arare i campi, e cacciatori.
Ma oltre alla scarsità dei mezzi di sussistenza non deve essere scordato che la Grecia doveva affrontare ciclicamente una crisi alimentare, o meglio tipi diversi della stessa. Questo perché il mondo Mediterraneo era soggetto a carenza di cibo, a causa di un cattivo raccolto, o per via della guerra o per la diffusione di malattie. La mancanza di cibo poteva spingere le persone a dirigersi verso nuove terre nelle quali fondare colonie, anche se il motivo poteva anche essere la diffusione di una malattia o una siccità. Un esempio fra quest’ultimi tipi è Siracusa dove, secondo un aneddoto di Plutarco, i coloni sfuggirono a questo genere di minacce dalla madrepatria Corinto.
Le strategie di sopravvivenza potevano, però, essere anche di altro genere, oltre all’abbandono delle terre natie: la diversificazione del raccolto e la creazione di scorte potevano essere possibili soluzioni. A queste si aggiungevano alcune scelte forzate da mantenere nella dieta giornaliera di una famiglia di coltivatori, come la scelta di cibarsi di noci o frutti di bosco, anche se questo poteva diminuire l’apporto di calorie necessarie allo svolgimento delle attività giornaliere. Alcune famiglie, secondo Isocrate, scelsero addirittura la via del vagabondaggio in bande alla ricerca di lavoretti per poter sopravvivere. In casi estremi, si poteva ricorrere al licenziamento di servitori nella propria casa o, se questo non fosse bastato, al mandare i propri figli a vivere con parenti in situazioni meno critiche, e perfino alla scelta dell’ipotecare la loro stessa vita.
Ma l’abbandono della propria casa poteva avvenire proprio per evitare il “sacrificio” di innocenti, un adulto andava allora alla ricerca di un salario per non mettere ulteriormente a rischio i proventi familiari. Se un uomo decideva di lasciare la propria abitazione, spesso poteva cercare un paga come rematore. Demostene, in uno dei suoi discorsi, accenna a come un gruppo di rematori si fosse adirato con il proprio capitano, presso il porto di Atene, perché questi non aveva denaro per pagarli, mentre i suoi lavoratori si erano infuriati in quanto il denaro serviva loro per sfamare le proprie famiglie. In Arcadia, terra di montagne, non vi fu una grande quantità di rematori, tuttavia la mancanza di una politica di ampio respiro non permise ai suoi abitanti la necessaria sussistenza e la salute minima per sopravvivere, così da divenire comunque necessaria la pratica di vendere la propria manodopera. Non potendo vendere la propria forza lavoro sulle navi, i braccianti che, trovandosi al limite fra l’estinzione e la sopravvivenza, cercavano di che sfamarsi, scelsero la strada del servire come mercenari[5]. Essendo poi preponderante l’allevamento rispetto all’agricoltura, molti uomini lasciavano per certi periodi di tempo la cura degli animali a donne giovani o anziane, per andare a prestare servizio come soldati mercenari[6].
3.2 I mercenari
Il servizio di mercenario poteva essere svolto in due modi. Nel primo caso, per un mercenario tenersi lontano da casa permetteva di diminuire le bocche da sfamare e consentiva di tornare alla propria abitazione, dopo un certo periodo di tempo, con qualcosa in tasca, che senz’altro sarebbe stato qualcosa in più rispetto al rimanere a patire la fame. Nel secondo caso, invece, poteva succedere che non vi fossero famiglie a cui fare ritorno, e allora si poteva parlare di mercenari a tempo indeterminato. Ciononostante, la stessa sopravvivenza dei braccianti in Arcadia poteva avvenire grazie alla scelta del momento giusto in cui prendere le armi e posare l’aratro, così da diventare mercenari proprio quando più ve ne fosse stato bisogno. Nel quarto secolo, questo stile di vita fu sottolineato dal famoso modo di dire “farò come gli Arcadi”, perché gli Arcadi scendevano in guerra come mercenari per vincere le battaglie degli altri.
I primi mercenari Arcadi, di cui si ha memoria, sembra fossero presenti alla battaglia delle Termopili e che avessero scelto di offrire il proprio servizio alla corte di re Serse, proprio perché si trattava, secondo le parole di Erodoto, di “poveri uomini in cerca di un impiego”. Inizialmente, Erodoto conta circa 500 uomini da Tegea, 500 da Mantinea, 120 da Orcomeno e 1000 opliti dalle restanti parti dell’Arcadia, presenti in quella battaglia, anche se in seguito, nella narrazione, le cifre verranno cambiate.
Addirittura, sembra che vi fossero casi precedenti nei quali entrarono in scena mercenari Arcadi. Pausania racconta di un migliaio di epìkouroi provenienti dall’insediamento di Oresthasium pronti ad aiutare gli abitanti di Phigaleia, nel tentativo di liberare il proprio territorio dagli Spartani, durante la seconda guerra messenica (660-640 a.c.). Pausania non si riferisce a loro come mercenari, quanto a volontari che hanno scelto di partecipare alla missione, tanto che gli stessi abitanti di Phigaleia fecero di loro degli eroi, dedicando tombe nell’agorà.
La presenza di possibili mercenari nelle guerre messeniche sembra alquanto misteriosa, Pausania utilizza appunto il termine epìkouroi lasciando senza indicazione il tipo particolare di soldati, sebbene il riconoscimento dell’aiuto fu talmente grande che Phigaleia regalò una statua in bronzo ad Orestasium, per il servizio reso.
Altre testimonianze sembrano portare all’utilizzo di truppe mercenarie anche da parte della fazione ateniese degli Alcmeonidi. C.T. Seltman suppone che se tali mercenari fossero stati ingaggiati nel tentativo, che poi ebbe successo, di far deporre il potere del tiranno Ippia, allora quasi sicuramente fra di essi debbono esservi state truppe provenienti dall’Arcadia.
Lo stesso Pisistrato, comunque, padre di Ippia e Ipparco, cambiò la propria guardia personale, dopo il suo secondo ritorno dall’esilio, con soldati mercenari.
Numerosi fatti storici riportano una larga presenza di mercenari al servizio di Gelone, l’aristocratico tiranno di Gela e signore di Siracusa. Uno degli aneddoti che si raccontano, narra che egli cercò di far confluire a Siracusa più abitanti possibili dalle colonie greche presenti in Sicilia, proprio per poter ampliare la sua polis. Inoltre, sembra che al suo comando, Gelone avesse un’armata di 10.000 mercenari stranieri. Erodoto dice, addirittura, che egli avesse comandato un corpo estremamente ampio di opliti, all’incirca 20.000, e che li avesse offerti alla Lega Ellenica nel 480 a.c. in cambio del ruolo di comandante in capo. Fra questi 20.000 vi furono sicuramente dei mercenari e, molto probabilmente, provenienti anche dall’Arcadia, sappiamo che alcuni diventarono amici stretti dello stesso Gelone e, con la sua fiducia, occuparono un ruolo prominente all’interno della corte siracusana.
Di questi mercenari citerò alcuni nomi. Hagesias di Siracusa, per esempio, è noto da un’ode che Pindaro dedicò a Gelone. Egli proveniva dalla polis di Stinfalo in Arcadia e fu vincitore, nel 472 a.c., di una gara olimpica di carri trainati da muli. Sebbene non fosse propriamente un soldato, Hagesias era un componente dell’armata militare che apparteneva agli Iamidi, una famiglia sacerdotale, i cui membri erano presenti in tutte le parti della Grecia.
Tra coloro che si arricchirono alla corte di Gelone, vi fu anche un certo Phormis di Mainalos, che si distinse nelle campagne di Gelone e successivamente in quelle del fratello Ierone. Phormis riuscì ad ammassare una discreta somma, così da permettersi di realizzare delle dediche non solo ad Olimpia, ma anche a Delfi. Pausania descrive le offerte presso Olimpia
come una serie di statue, dove compare sempre il nome di Phormis ed altri nomi di mercenari Arcadi a lui vicini.
Più o meno nella seconda metà del quinto secolo i mercenari Arcadi divennero molto conosciuti. Ermippo, un poeta Attico, ne parla nel suo poema satirico Phormophoroi, un catalogo sulla provenienza delle importazioni ad Atene nel 425 a.c., ricordando come Nicia avesse preso nella propria armata un numero di 250 soldati di Mantinea e altri mercenari, che si presume provenissero da altre parti dell’Arcadia.
Più tardi, nello stesso scenario di guerra, l’esercito di Corinto assunse, sotto il comando di un generale della stessa polis, un numero di mercenari Arcadi per proteggere la polis di Siracusa, sotto assedio. Sul loro comportamento sono rivolte le attenzioni di Tucidide, che descrive la campagna in Sicilia, mettendo in risalto due aspetti fondamentali delle compagini militari che sono l’essenza stessa dell’essere mercenari: il primo, riguarda la professionalità dei soldati Arcadi, essi combattevano come se fossero abituati da tempo all’arte della guerra e al servire come mercenari; il secondo, precisa la loro volontà di combattere solo per il desiderio di guadagnare, senza fare distinzione sul nemico che si parasse loro davanti, pronti a cambiare bandiera nel caso in cui si fosse presentato un miglior offerente[7].
Decisamente, il lavoro del mercenario divenne ben presto un mestiere da esportare, nonché una carriera permanente. Nella letteratura classica, la fonte principale nella quale viene mostrata questa specializzazione è l’Anabasi di Senofonte. Senofonte racconta che all’incirca metà dei soldati al seguito di Ciro provenissero dall’Arcadia e dall’Acaia, quest’ultima una piccola regione vicina all’Arcadia, e che essi fossero mercenari[8]. Sembra che l’Arcadia, soprattutto, abbia contribuito a fornire la maggior parte dei mercenari, essendo in proporzione una terra molto più estesa rispetto all’Acaia. Le proporzioni, per quanto incerte, fornite da Senofonte, sembrano attestarsi però su 4000 Arcadi e 2000 Achei, anche se probabilmente i numeri sono esagerati (in questa caso si tratterebbe, infatti, di ben più della metà dei soldati di Ciro).
Tuttavia, qualunque fosse stato il loro reale numero, si tratta sempre di circa 4000 Arcadi all’interno di un’armata di 10.000 uomini, che dal numero dei soldati del Peloponneso sono andati a servire al comando di Ciro. Oltre a questo fatto, secondo J. Roy, è possibile che prima dell’ascesa al trono, Ciro disponesse di 10.000 opliti mercenari che già si trovavano in Asia Minore: 4000 opliti furono inviati ad Aristippo di Larissa per una campagna in Tessaglia contro i suoi rivali politici; 4000 opliti furono portati da Xenia di Parrhasia presso Sardi; 300 opliti Pasione di Megara li portò a Mileto e poi a Sardi; e, infine, i rimanenti soldati del Peloponneso furono lasciati nelle città della Ionia durante la marcia di Ciro verso il cuore dell’impero. Secondo le parole di J. Roy, “mercenari o potenziali mercenari devono essere stati numerosi nella Ionia”.
Inoltre, secondo uno dei medici alla corte del re Artaserse, Ctesia di Cnido, molti sono stati i mercenari dell’Arcadia che cercarono lavoro permanente durante la guerra del Peloponneso all’interno dei confini dell’impero, e infatti l’Arcadia subì molte meno devastazioni rispetto a quelle che vide l’Attica. Lo stesso Ciro diede, poi, il comando ad un Arcade, il precedentemente citato Xenia di Parrhasia, che era a capo di 300 opliti, costituenti il corpo scelto da Ciro per la propria difesa personale.
Effettivamente, numerosi furono i mercenari che formarono le varie guardie imperiali, comprese quelle appartenenti ai satrapi. Nel 428 a.c. Pissouthnes, il satrapo di Sardi, per esempio, inviò mercenari sia Arcadi, che barbari in aiuto di una delle fazioni in Notion. Prima di allora, nel 440 a.c., lo stesso Pissouthnes spedì un battaglione di 700 mercenari, con molta probabilità Arcadi, alla fazione anti-ateniese presente a Samo. Qui, le loro forze furono mantenute dal figlio illegittimo di Pissouthnes, Amorges. Amorges si distinse, poi, nel 412 a.c., in una campagna per sedare una rivolta in Caria, che ebbe successo grazie al lavoro esperto degli opliti mercenari, molti dei quali provenienti dal Peloponneso.
Sedata la ribellione, i suoi mercenari trovarono il loro successivo impiego nell’accampamento nemico, fra le fila delle truppe spartiate. La ragione della scelta di prediligere proprio questi mercenari fu, a quanto racconta Tucidide, proprio perché anche fra questi vi erano soldati provenienti dal Peloponneso. In altre parole, si trattava di Arcadi, che si erano diretti ad Est con l’intento di rimanervi.
Poteva succedere, appunto, che chi decidesse di trasferirsi in terra straniera, poi non volesse più tornare indietro o, se non altro, volesse fare della terra nella quale stipulava i propri contratti una seconda patria. Per riportare giusto qualche esempio, è stata ritrovata una tomba in Egitto, datata quinto secolo a.c., di un uomo greco che aveva preso il nome di Si-Amun (“uomo di Amun”). Nella tomba viene raffigurato in una posa egiziana, insieme al proprio figlio, ma con la barba, mentre il figlio indossa vestiti con forme greche. Vi è, inoltre, un riferimento di Erodoto nel quale si parla di un gruppo di abitanti di Samo che, nel 525 a.c. circa, sono andati a vivere nella così detta “isola dei benedetti”: questi uomini erano probabilmente mercenari veterani che avevano infine deciso di optare per una vita tranquilla.
Ritornando per un momento alle parole di Senofonte, egli parla dei mercenari che prestarono servizio sotto Ciro ma, quasi sicuramente, egli si riferisce solo ad un piccolo numero fra questi, in quanto viene accennato al fatto che essi faranno ritorno in Grecia dopo il loro servizio. Come abbiamo visto, tuttavia, i mercenari presenti fra i 10.000 erano già al servizio di Ciro prima che salisse al trono, questo anche perché rappresentavano una forza su cui da tempo egli poteva fare affidamento e, soprattutto, il loro legame rimane indiscusso, visto che in seguito tutto il gruppo di mercenari presterà servizio sotto Agesilao, rimanendo unito e decidendo di fare della loro vocazione una professione a tempo pieno.
Il re Satiro I del Bosforo Cimmerio assunse un comandante di origine greca per la sua armata. Suo figlio maggiore, Leukon, fu il più potente dominatore del regno del Bosforo Cimmerio. All’incirca fra il 387 e il 347 a.c., questi, secondo Enea Tattico, che fu a sua volta di origine Arcadica e probabilmente un mercenario per alcune parti della sua vita, iniziò a rubare fra gli uomini della propria guardia del corpo come punizione per il loro scellerato modo di contrarre debiti giocando con i dadi. Giungiamo, infine, al nipote di Leukon, Satiro II, ricordato per la sua scelleratezza, poiché salì sul trono dopo una sanguinosa battaglia contro i suoi fratelli. Secondo le parole di Diodoro, entrambi gli schieramenti si affidarono a opliti mercenari, Satiro stesso impiegò non meno di 2000 di loro, che a loro volta seguivano il comando di un mercenario. Il regno di Satiro durò solo nove mesi, rimanendo sconfitto in una battaglia dove i suoi mercenari ebbero un ruolo di primo piano.
Non tutti i mercenari scelsero di andare a combattere a Est per un impiego a tempo pieno. Il generale Corinto, Aristaio, nel 432 a.c., si diresse verso nord in direzione della polis Potidea, comandando un battaglione di opliti volontari e opliti provenienti dal Peloponneso, i quali, secondo Tucidide, furono “persuasi con il pagamento”. Sebbene Tucidide non specifichi se si trattassero di Arcadi o no, è ragionevole pensare che tutte le volte in cui egli si è riferito a dei mercenari come “Peloponnesiaci” essi fossero Arcadi o forse Achei. Nel Peloponneso il servizio a tempo pieno di mercenari era molto utile, soprattutto per raggiungere luoghi fuori dall’impero Ateniese, poiché per un oplita di una polis poteva diventare difficile affrontare il disagio e il pericolo di un lungo viaggio. Tutto questo senza contare che per molti stare lontani dalla propria patria significava anche non essere presenti durante i periodi di raccolta, creando notevoli problemi a coloro che si dedicavano all’agricoltura.
I mercenari ingaggiati da Corinto, comunque, furono considerati liberi dal loro vincolo, dopo il protratto assedio della città di Potidea. L’anno successivo gli stessi mercenari si trovarono a combattere, trovando impiego fra i Calcidiesi, nella battaglia di Spartolos.
Cinque anni dopo, quando gli Spartani condussero una campagna nella lontana Acarnaia, fra le forze di Euriloco vi era anche un contingente di opliti da Mantinea, che si suppone fosse composto dagli stessi mercenari delle precedenti imprese. È chiaro che questi mercenari furono ingaggiati proprio per il lungo viaggio che si prospettava e, durante uno scontro con gli Ateniesi e i loro alleati, dimostrarono la loro professionalità mantenendo la pressione contro il nemico e i ranghi serrati, mentre il resto degli opliti si disintegrava attorno ad Euriloco. Ironico, può sembrare ai nostri occhi, la successiva volontà di queste truppe mercenarie di abbandonare il loro datore di lavoro per passare allo schieramento opposto, quando fu offerto loro i mezzi per poter tornare a casa. Nonostante il fatto che gli Ateniesi ritenessero tendenzialmente malvagio avere fra le proprie fila soldati mercenari, questo contingente fu perdonato, in qualche modo, per le sue azioni dopo Potidea e rimase impunito, sebbene non fosse la prima volta in cui Atene avesse concesso una sorta di amnistia[9].
4.1 Conclusioni
Il motivo principale che ha condotto nei secoli gli abitanti dell’Arcadia a prendere le armi e a farsi mercenari resta quello della povertà, a causa, soprattutto, di una regione difficilmente coltivabile, nonché dalla divisione naturale fra le varie polis, visto che l’Arcadia è caratterizzata da un paesaggio montuoso.
Licomede di Mantinea esaltò in un discorso, dopo la battaglia di Leuttra, la forza dei combattenti Arcadi rispetto a quella di altre parti della Grecia. In questo discorso, sebbene la fama dei mercenari Arcadi non venga taciuta, la parola mercenario non viene mai nominata e si preferisce il termine arcaico epìkouroi. Si cerca, poi, di far leva affinché gli Arcadi ritrovino la voglia di combattere per la propria patria, Licomede cercava infatti di spingere maggior numero di opliti possibile a combattere all’interno della Lega Arcade, piuttosto che a prestare servizio presso regioni straniere[10]. Sfortunatamente, il gruppo di mercenari scelti per la Lega ebbe vita breve, visto che ben presto la stessa Lega si ritrovò senza denaro nelle proprie casse per pagarli, nonostante l’iniziale volontà di coniare monete appositamente per i suoi soldati, e i mercenari decisero così di tornare alla loro vecchia vita nell’offrirsi al miglior offerente.
Alcune considerazioni finali meritano di essere tratte. Indipendentemente da quest’ultimo caso citato, la storia dei mercenari Arcadi è probabilmente la storia di un popolo che, a causa della scarsità di lavoro in patria, ha scelto nel tempo di vendersi a chiunque necessitasse di uomini per il proprio esercito. Questo, e ci riporta all’ultimo esempio, più che unire la popolazione, avrà probabilmente creato delle divisioni. Divisioni che si affermavano fra chi prestava servizio all’estero, fra chi preferiva combattere in altre parti della Grecia e chi decideva di rimanere a combattere nel Peloponneso. Tali scelte avranno quasi sicuramente separato il destino degli Arcadi che, in un campo di battaglia, potevano trovarsi a combattere in due fazioni opposte, proprio perché appartenenti a due diversi datori di lavoro.
Oltre a questo aspetto, le fonti non ci aiutano nel rintracciare un possibile centro di addestramento per gli opliti, all’interno di una qualche polis, oppure possibili addestratori intenti ad allenare le generazioni di mercenari. Penso sia lecito chiedersi come e dove i mercenari Arcadi si preparavano alla loro professione, visto che la loro fama era ben nota sin dai tempi di Omero, ma purtroppo non si fanno accenni al metodo con il quale si addestravano e chi fossero stati i loro maestri nell’arte di combattere.
Infine, e con questo chiuderei il mio lavoro, l’ultima osservazione che penso possa sorgere da quanto fin qui detto sugli Arcadi è che fosse presente una forte connotazione di volontà da parte dei mercenari Arcadi nell’essere dediti al mestiere del mercenario, mestiere e determinazione probabilmente tramandato da padre in figlio. Tutto questo perché parte dell’ottimo lavoro, a mio parere, poteva provenire da istruzioni o consigli forniti da coloro che avevano già fatto lo stesso lavoro nelle generazioni precedenti. Ecco che, allora, nei secoli è stato possibile trasmettere un bagaglio culturale che, di padre in figlio, ha sempre di più perfezionato lo stile di combattimento dei mercenari, così da rendere gli Arcadi un popolo unico nel suo genere. E, forse, possiamo azzardare anche questa ipotesi: i maestri in grado di allenare i mercenari non erano altro che i padri degli stessi, che di generazione in generazione cercavano di trasmettere il bagaglio di esperienze acquisite nei lunghi anni passati in battaglia.
5.1 Bibliografia
Marco Bettalli, I mercenari, il mestiere delle armi nel mondo greco, Carocci Editore, 2013;
N. Fields, “Et ex Arcadia ego” (articolo).
[1] N. Fields, Et ex Arcadia ego, pp. 1-2
[2] N. Fields, Et ex Arcadia ego, p. 2
[3] Marco Bettalli, I mercenari, il mestiere delle armi nel mondo greco antico, 2013, pp. 406-407
[4] N. Fields, Et ex Arcadia ego, pp. 3-6
[5] N. Fields, Et ex Arcadia ego, pp. 6-10
[6] Marco Bettalli, I mercenari, p. 408
[7] N. Fields, Et ex Arcadia ego, pp. 10-13
[8] Cfr. Marco Bettalli, I mercenari, p. 408
[9] N. Fields, Et ex Arcadia ego, pp. 13-17
[10] Marco Bettalli, I mercenari, pp. 407-408
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