Ti interessa leggere un libro sulla filosofia della guerra e gli scacchi? L’eterna battaglia della mente!
Abstract
Gli scacchi sono uno dei wargame (gioco di guerra) più antichi della storia. Essi si sono imposti nel panorama occidentale come il gioco per eccellenza, perché esso ha delle evidenti affinità con l’attività militare. Si tratta solo di una metafora oppure c’è qualcosa di più profondo che lega gli scacchi e la guerra?
Gli scacchi sono tra i più antichi wargame della storia, cioè dei giochi che hanno a che fare esplicitamente con la guerra o con uno dei suoi molteplici aspetti. Già nella loro simbologia gli scacchi incorporano elementi propriamente bellici: il re, l’alfiere, il cavallo, la torre sono tutti dei componenti degli eserciti “classici”. D’altra parte, i pedoni rappresentano la fanteria leggera e la donna il consigliere del re. Addirittura l’arrocco mima l’edificazione di un castrum dal quale la protezione del re-generale viene aumentata.
La simbologia è solo uno degli aspetti in cui gli scacchi e la guerra trovano delle comunanze e delle convergenze. Sono anche da segnalare anche altri aspetti: la formazione di masse combattenti, le loro proprietà, la strategia, la tattica, le operazioni di intelligence e il gergo scacchistico.
Le masse combattenti sono l’unità fondamentale degli eserciti e si distinguono per tipologia, qualità, quantità, velocità e mobilità, capacità di controllo diretto e controllo indiretto. Negli eserciti le combinazioni di unità costituiscono uno dei problemi canonici di ogni esercito sia sul piano strategico che tattico e quindi poi operativo. Così è anche negli scacchi. Negli scacchi sussistono proprio delle formazioni classiche a cui si dà, ancora una volta, il nome militareggiante di “batteria”. Le composizioni possibili di masse combattenti negli scacchi è un numero che si aggira attorno al 1296, considerando solamente le masse combattenti ottenibili da i pezzi posizionati all’inizio della scacchiera e non anche le eventuali possibili promozioni, che complicano ulteriormente le possibilità.
La strategia è l’arte della pianificazione, ovvero riguarda l’analisi della razionalità finale. Detto in altre parole, è la scienza dei fini razionali. Il problema di stabilire quale sia la pianificazione migliore attiene, appunto, alla strategia. Così come la selezione di due varianti alternative dipende sempre da principi strategici anche quando ci sia guadagno di materiale perché il calcolo non dice di se stesso quando è buono o cattivo, ma ci serve una valutazione superiore alla computazione stessa: questa è la strategia nella tattica. Alcune leggi strategiche generali che valgono tanto in guerra che negli scacchi: Leggi pure della strategia delle discipline ad ambito di conflitto: (St) Ogni scopo strategico deve essere ragionevole, cioè deve essere realizzabile nel tempo, nello spazio e con i mezzi a propria disposizione. (St2) Ogni scopo strategico parziale, rispetto ad un piano strategico globale, deve a sua volta essere ragionevole, cioè raggiungibile nel tempo, nello spazio e con i mezzi disponibili. (St3) In presenza di piani strategici alternativi bisogna scegliere il piano più ragionevole e scartare gli altri. Ci sono altre leggi strategiche che valgono solo per gli scacchi.
La tattica è l’arte del giusto ordinamento dei mezzi rispetto al fine preposto in sede strategica. La strategia, infatti, è in grado di valutare due varianti, ma non è in grado di produrle. Sicché per questo scopo c’è bisogno della tattica, che è la parte della programmazione dei mezzi. In questo senso, la tattica domina negli scacchi proprio perché l’aspetto combinatorio è centrale anche se non può fare a meno della valutazione successiva in sede strategica. Uno dei principi aurei della tattica è il principio di economia generalizzato, che sancisce che per ogni obiettivo deve esserci un numero minimo di mezzi ottimale per realizzare quello scopo.
Come in guerra anche negli scacchi c’è bisogno di un’attività di intelligence. L’intelligence non è semplicemente la parte deteriore, cioè lo spionaggio. Esso riguarda lo studio del nemico mediante le informazioni che egli stesso rilascia volontariamente o involontariamente. Tutti i grandi campioni di oggi e del passato studiano meticolosamente il gioco dei loro potenziali avversari. Il caso canonico è quello del grande campione del mondo Alexander Alekhine che, consapevole del grande gioco di Capablanca nel finale, si specializzò proprio nell’ultima fase della partita per poter competere con il campione cubano. Oggi esistono sistemi molto più sofisticati per poter operare in tal senso: database, ricerche di partite e studi specifici sui giocatori mediante gli strumenti informatici. E’ così possibile migliorare continuamente il proprio gioco studiando quello degli avversari che si incontrano maggiormente.
In fine, gli scacchi sono intimamente legati all’evento bellico anche per altre ragioni: psicologiche, interpretative e culturali. Ci sono stati (pochi) lavori che hanno interpretato gli scacchi alla luce delle coeve attività militari (si veda Guicciardini, come esempio). E’ anche noto che negli Usa alcuni corsi di unità militari consiglino o prevedano l’apprendimento del gioco degli scacchi. Ma è invero innegabile che il gergo degli scacchi è imbevuto da parole e termini che sono mutuati dal gergo militare.
Una partita a scacchi può essere vista come una battaglia mentre un torneo può essere interpretato come una guerra. E’ naturale che, come ogni metafora, anche quella che vede gli scacchi come un’attività militare abbia le sue limitazioni. Ed è anzi importantissimo non scadere nella semplificazione e pensare che gli scacchi si riducano a questo. Gli scacchi non uccidono, gli scacchi non prevaricano, gli scacchi uniscono i popoli senza produrre effetti collaterali indesiderabili. Eppure, comunque rimane un’evidenza: che se gli Usa fecero pressioni a Fischer e, forse, lo pagarono pur di giocare contro Spasskij, c’è un motivo. E il motivo è che la sfida tra due uomini di due società diverse rievoca quella potente immagine che infiamma sempre il cuore di ogni uomo: quella della battaglia per la vita.
Bibliografia
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Vegezio P.F., L’arte della guerra, Rizzoli, Milano.
Sono uno scacchista di categoria Prima Nazionale (con l’Elo Fide), iscritto all’A.S.D. “Il Dragone” di Latina.
Insegno Matematica in un Istituto di Istruzione Superiore a Latina, e m’interesso anche di Filosofia (in particolare, di Epistemologia).
Sebbene una partita a scacchi, innegabilmente, possa costituire una rappresentazione simbolica di una battaglia militare, questa interpretazione non mi è mai piaciuta. Albert Einstein, ad esempio, essendo anche un convinto assertore del pacifismo radicale (perlomeno, prima che gli eventi precipitassero verso il secondo conflitto mondiale), non giocava a scacchi proprio a causa di questa interpretazione…
Personalmente, preferisco considerare gli Scacchi un gioco della mente – non privo di aspetti scientifici e artistici –, con importanti risvolti esistenziali e sociali per quanto concerne i giocatori.
Recentemente ho letto il libro “Un mistero in Bianco e Nero: La filosofia degli Scacchi” di Giangiuseppe Pili (Ed. Le Due Torri, 2012), apprezzando il punto di vista logico, filosofico e sociologico dal quale l’Autore analizza il Gioco. «Il vero errore consiste nel ritenere che sia la vittoria nel gioco lo scopo finale degli scacchi, quando, invece, esso è solo la scusa per stare meglio in mezzo agli altri e con gli altri» (ivi, p. 181); quante volte noi scacchisti non ne teniamo conto!
Giorgio Della Rocca
(22 agosto, festività della B.V. Maria Regina)
Gentile Giorgio,
La metafora tra scacchi e guerra (per meglio dire, tra scacchi e battaglia campale) è indubbiamente una delle possibilità di chi vuole “interpretare” il gioco attraverso qualche modello simbolico. Sono d’accordo che possa lasciare anche sconcertati o insoddisfatti, e anche io non mi ritrovo in tutto e per tutto con questa metafora, la cui possibilità è comunque presente e, per tanto, bisogna pur prenderla in considerazione. Infatti, come anche diceva Kant, per quanto un argomento possa risultare spiacevole sotto tanti punti di vista, è un dovere epistemico quella di portare alla luce tutto quanto possa essere fatto sulla base di quell’argomento. Lui, naturalmente, parlava di scienza. Ma io credo che ogni onesto pensatore (quale che sia il suo ambito) debba fare proprio così. Ribadisco: per quanto neppure io creda che la metafora faccia emergere ogni lato e ogni aspetto degli scacchi, specialmente le innumerevoli virtù sociali, rimane il fatto che si tratta di qualcosa di simile ad un wargame o, comunque, può essere visto anche in questo modo. Anche io sono un pacifista, ma non mi sento in colpa, in fondo, per catturare un pedone o una torre al mio avversario!
La ringrazio, dunque, per il suo commento con il quale tendo a concordare nello spirito pienamente.
Nella partita riportata di seguito – giocata al 24° Festival Scacchistico Internazionale di Porto San Giorgio, Torneo B, agosto 2013 –, io ho il Nero (variante del Pedone Avvelenato della difesa Siciliana Najdorf):
1. e4, c5; 2. Cf3, d6; 3. d4, c:d4;
4. C:d4, Cf6; 5. Cc3, a6; 6. Ag5, e6;
7. f4, Db6; 8. Tb1, Cc6; 9. Cf3, Cg4;
10. De2, Ce3; 11. f5, Cg4; 12. h3, Cge5;
13. C:e5, d:e5; 14. Ae3, Cd4; 15. Df2, C:c2+;
16. D:c2, D:e3+; 17. Ae2, Ac5; 18. Tf1, Dg3+;
19. Rd1, 0 – 0; 20. Af3, Td8+; 21. Re2, Ad7;
22. Tbd1, Ad4; 23. a4, Tac8; 24. Td3, b5;
25. Rd1, b4; 26. f:e6, A:e6; 27. Ag4, A:g4+;
28. h:g4, A:c3; 29. Tf3, De1 Scacco matto.
(Al termine della partita il mio avversario, di categoria Candidato Maestro, mi ha stretto calorosamente la mano, dimostrando notevole spirito sportivo.)
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«La regina è quella che in questo gioco può dare maggior guerra al re, sia pure col concorso di tutti gli altri pezzi. Ebbene, non c’è regina che costringa il Re divino ad arrendersi come l’umiltà; essa lo fece scendere dal cielo nel seno della Vergine, e con il suo aiuto noi lo attireremo, come per un capello, nelle nostre anime» [Teresa d’Avila, “Cammino di perfezione” (Codice dell’Escorial, 1566), cap. 24, Ediz. Paoline 2012].
Teresa d’Avila, prendendo come modello il gioco degli Scacchi, si rivolgeva a monache carmelitane, nel VI secolo del II millennio.
Nondimeno, le sue riflessioni a proposito dell’atteggiamento di umiltà, da assumere anzitutto nei riguardi di Dio, sono valide anche per noi, uomini e donne, nel I secolo del III millennio.
Giorgio Della Rocca
Caro Giorgio, appena posso guarderò la partita! Nel frattempo direi che gli scacchi sono un gioco che trascende il tempo e lo spazio… e le idee che ciascuno ha su di essi. E così la donna che, negli scacchi è così potente, può essere duplicemente salvifica: per vincere a scacchi e per vincere altri spettri della vita.