Abstract
Guerra senza limiti è un testo che intende proporre una nuova visione allargata del concetto di arma e, con esso, della generale concezione della guerra. In questa sede, cercheremo di fornire una definizione plausibile di ʽarmaʼ, in modo che possa tener conto di tutti i concetti che ricadono in essa. Considereremo successivamente come la definizione di arma considerata possa mostrare i limiti e i pregi del lavoro di Qiao Liang e Wang Xiangsui.
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Guerra senza limiti è un’analisi di strategia di due ufficiali dell’esercito cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui. In realtà, più che di analisi di strategia, si tratta di un saggio di ripensamento globale sulla guerra contemporanea. Per non far confusione, utilizzerò qui il termine ʽguerra complessaʼ per intendere i conflitti armati dell’era post prima guerra del golfo. Il termine ʽguerra complessaʼ mi sembra molto più calzante rispetto a ʽguerra postmodernaʼ che, in tutta onestà, mi sembra una dicitura imprecisa e insoddisfacente.
Il fine del saggio è quello di fornire una caratterizzazione di quello che Liang e Xiangsui definiscono come “guerra senza limiti”:
La guerra, nell’epoca dell’integrazione e della globalizzazione, ha privato le armi del diritto di caratterizzare la guerra e, introducendo un nuovo punto di partenza, ha riallineato il rapporto tra armi e guerra, mentre la comparsa di armi di nuova concezione e, in particolare, la comparsa di nuovi concetti di armi, ha gradualmente reso indistinto il volto della guerra. […] Nel momento in cui ci rendiamo conto che tutte queste azioni di non guerra possono essere i nuovi fattori costitutivi dello scenario di guerra del futuro, dobbiamo inevitabilmente trovare un nuovo nome per questa forma di guerra, uno scenario che trascende qualsiasi confine e limite. In poche parole: una guerra senza limiti.[1]
Lo slittamento del concetto di guerra nel concetto di “guerra senza limiti” non ha la pretesa di ridefinire la guerra ma di includere in essa mezzi che in tempi precedenti al 1991 non erano considerati (o considerabili) idonei per portare avanti un’azione di guerra (non necessariamente militare). Infatti, a nostro modesto avviso, il lavoro di Liang e Xiangsui non è realmente un libro che riflette sulla natura della guerra, come anche il titolo lascerebbe intendere. Esso è molto più impegnato sulla riflessione della natura dell’arma.
La differenza è, in realtà, notevole. Perché in un caso si prende il problema teorico o operativo di comprendere come agire in un teatro di guerra, ma si dà per buona l’adozione di un concetto di armamento che sia sufficientemente chiara allo stratega per poter procedere nella sua pianificazione. Ma è esattamente ciò che Liang e Xiangsui mettono in evidenza durante tutto il saggio, vale a dire il fatto che il concetto di arma sia da estendere anche ad elementi di natura non ʽclassicamente militareʼ. Nel saggio la riflessione sulla guerra risulta ridefinita nei termini della riflessione sulla nuova tipologia di armi: (1) la varietà delle armi è aumentata in modo considerevole in virtù dell’attività tecnologica (specialmente occidentale): “Tuttavia, quante più armi si inventano, tanto più ristretto diventa il ruolo di una singola arma nella guerra, e questo è un paradosso intrinseco nel rapporto tra armi e guerra”.[2] (2) La possibilità di riuscire ad ottenere vittorie militari senza azioni militari è tale da dover prendere in considerazione una molteplicità di cause (eventi) capaci di modificare la volontà del nemico come se quegli eventi fossero azioni militari in senso stretto. In termini leggermente più tecnici, se la guerra è stata storicamente combattuta come mezzi la cui natura causale aveva degli effetti tecnicamente distruttivi in senso materiale, mezzi la cui natura era essenzialmente simile a ciò contro cui andavano a scontrarsi per ottenere un certo risultato; oggi si assiste all’inversione di tendenza dove mezzi estremamente eterogenei conseguono il medesimo risultato (l’abbattimento della capacità di combattimento del nemico o la sconfitta della sua volontà di combattere) se non con il medesimo grado di efficienza comunque con mezzi altrettanto sicuri. Se un cannone della guerra civile americana sparava contro una fortezza per abbatterla, oggi potrebbero esserci sistemi non militari per conseguire lo stesso risultato.
Sembra, dunque, che il saggio di Liang e Xiangsui sia principalmente una riflessione sulle conseguenze dell’uso di nuovi tipi di armamenti non militari ma con altrettanta efficacia sul piano militare. Essi, infatti, dedicano un intero capitolo sul considerare l’elemento tecnologico dell’armamento come una dimensione tipicamente cangiante e, in definitiva, non determinante. Come ci si aspetta da una sensibilità orientale, l’idea che la razionalità si risolva nella capacità di avere armi “intelligenti” è chiaramente rifiutata. Non tanto perché le armi continuano a modificare la loro forma (rendendo così continuamente discutibile la loro stessa efficacia) quanto perché è notevolmente mutata la stessa definizione di arma. Infatti, invece che Guerra senza limiti il saggio si sarebbe potuto intitolare Armi senza confini. Infatti, i due strateghi cinesi spendono molte più pagine nell’analizzare i nuovi tipi di guerra in relazione all’uso di nuovi sistemi d’arma rispetto alla loro caratterizzazione della “guerra senza confini”. Che passa comunque da una rivoluzione della qualità e tipologia delle armi: “La rivoluzione delle armi precede inevitabilmente di un passo la rivoluzione della concezione militare e, dopo l’introduzione di un’arma rivoluzionaria, l’arrivo della rivoluzione militare è solo una questione di tempo. La storia della guerra costantemente ci fornisce questa prova…”[3]
Per creare una rivoluzione nel warfare è condizione necessaria avere una rivoluzione negli armamenti. Ma non è una condizione sufficiente. Per avere una rivoluzione generale del warfare è altrettanto indispensabile avere una variazione della mentalità dei generali e degli uomini d’arme in virtù di un nuovo tipo di armamento. In altre parole, non sussiste una rivoluzione radicale del warfare se non cambiano i sistemi d’arma e i modi attraverso cui pensare alla loro applicazione. In fondo, Liang e Xiangsui mettono in mostra la loro predilezione applicativa del pensiero rispetto alla teoria rigorosa proprio in queste considerazioni.
Per degli uomini d’arme è facile pensare alla parola ʽarmaʼ come a qualcosa di fisico il cui utilizzo si traduce immediatamente in morte o danno per il nemico. Questo è vero anche nel senso comune, laddove ogni persona utilizza la parola ʽarmaʼ come qualcosa di fisicamente determinato. Tuttavia, la domanda chiave è: “Qual’è la definizione di arma?”
Una risposta sensata potrebbe essere la seguente: “Un’arma è qualsiasi oggetto che è capace di uccidere o ferire un persona”. Questa definizione è chiaramente limitata, ma sicuramente sarebbe sottoscritta da molti. E’ limitata perché anche un sistema di puntamento è un’arma. Senza il sistema di puntamento un missile sarebbe sostanzialmente inutile. Proviamo a vedere cosa succede se cerchiamo di fornire una definizione più significativa di ʽarmaʼ. Ciò che noi vogliamo da tale definizione è che conservi alcune caratteristiche dell’intuizione ma vogliamo che sia anche valida in generale. Intanto, non avendo di meglio, partiamo da qui:
(A) Un’arma è un qualsiasi oggetto fisico capace di uccidere o ferire una persona.
Questa definizione è inadeguata per molti motivi. Innanzi tutto, (A) esclude alcune sofisticate tipologie di armi e non considera adeguatamente i problemi della pressione psicologica diretta e indiretta. Per quanto un’arma sia effettivamente qualcosa di fisicamente determinato non significa che sia un oggetto o, per essere più chiari, una singola entità materiale. In secondo luogo, non è necessario che l’arma sia qualcosa capace di uccidere o ferire una persona. Può anche paralizzarla o limitarne la capacità cognitiva oppure potrebbe non essere indirizzata verso un singolo individuo ma su un sistema informatico. Per tanto, bisogna rivedere anche quella parte della definizione. Quello che risulta chiaro è che un’arma è una catena causale capace di avere certi effetti, diretti o indiretti, contro la volontà del nemico. Per tanto vediamo di fornire una definizione globalmente più soddisfacente:
(A)* Un’arma è una qualunque catena causale capace di avere effetti diretti o indiretti sulla volontà del nemico.
Questa definizione di “arma” sembra essere molto più soddisfacente. Si può apprezzare tutta la differenza tra la (A) e la (A)* proprio perché in (A)* si considerano anche i sistemi di puntamento dei missili come armi o parte di armi perché essi fanno sicuramente parte della catena causale dalla quale partono determinati effetti che hanno un chiaro impatto sulla volontà del nemico.
Non solo. La (A) è ancora legata all’idea che l’arma sia qualcosa di fisicamente determinato in un oggetto o, perlomeno, in un sistema di oggetti che ha un effetto omogeneo con quanto esso va a impattare: per distruggere un muro abbiamo bisogno di qualcosa di simile nell’impatto. La (A)* è molto più sfumata. Ad esempio, un assedio è un’arma piuttosto complessa. Infatti, l’essenza del sistema d’assedio è quello di affamare la città, non di distruggerla. Eppure è chiaro che l’assedio è un sistema d’arma: “Nel contesto della moderna tecnologia, le armi dominanti non sono più armi individuali, ma – sistemi d’arma – che sono anche componenti di più sistemi”.[4]
Eppure anche la (A)* ha un chiaro problema che, invece, non ha la (A). Un’onda anomala creata da un terremoto in mezzo al pacifico potrebbe essere concomitante con una guerra nell’area colpita dall’onda. L’onda sarebbe o non sarebbe un’arma? Se stiamo alla (A)* si! Infatti:
(A)* Un’arma è una qualunque catena causale capace di avere effetti diretti o indiretti sulla volontà del nemico.
E’ evidente che un’onda anomala rientra nell’insieme degli eventi definibili come “qualunque catena causale” che ha un chiaro “effetto sulla volontà del nemico”, secondo la definizione (A)*. Non per niente, in alcuni punti particolarmente pessimistici, si direbbe quasi apocalittici, Liang e Xiangsui prendono in considerazione la possibilità che disastri naturali indotti possano diventare particolari tipologie di armamento. Ma il punto è questo: che un’arma, sia essa elementare o complessa, deve il suo funzionamento all’intenzionalità di un agente. In altre parole, un’arma non è tale se la catena causale non inizia nell’intenzione d’uso di un agente. Per questo lo tsunami non è considerabile di per sé un’arma ma solo un evento casuale favorevole ad un certo nostro scopo. In altre parole, un’arma non ha degli effetti positivi nel warfare per pura casualità, ma per la sua stessa natura. Ma la (A)* non riesce a discriminare eventi casuali favorevoli di natura causale rispetto a eventi causali intenzionalmente indotti dalla volontà di un agente. Perciò dobbiamo riformulare ancora la nostra definizione:
(A)** Un’arma è una qualunque catena causale che inizia nell’intenzionalità di un agente ed è capace di avere effetti diretti o indiretti sulla volontà del nemico.
Questa nuova definizione di arma sembra avere tutti i pregi della prima e della seconda, senza avere delle chiare controindicazioni. Tuttavia, potremmo non essere soddisfatti dalla caratterizzazione degli effetti: cosa sono gli effetti diretti o indiretti? Inoltre, sembra emergere una considerazione. Gli ʽeffetti direttiʼ o ʽindirettiʼ del sistema d’arma rientrano nell’intenzionalità dell’agente nemico. In altre parole, un’arma x viene fatta funzionare in virtù di un’intenzione i di un agente a in base al fatto che a sa che x avrà una conseguenza c sulla volontà v del nemico n. Il punto è sottile. Un’arma deve la sua esistenza al fatto che un agente sa che l’arma avrà un’influenza sulla volontà del nemico. Quindi, l’arma inizia e finisce su un campo di intenzionalità collettiva. Perché un’arma sia sensata bisogna supporre che l’agente a1 intenda manifestare o esercitare un controllo diretto o indiretto sulla volontà di un agente a2 attraverso una catena causale x tale che a2 non potrà ignorarne le conseguenze c1…cn. Senza questa assunzione preliminare, gran parte delle armi non avrebbe ragion d’essere e il motivo principale è che l’obiettivo fondamentale non è l’eliminazione del nemico ma la dissoluzione della sua volontà di combattere. Solo nei casi estremi (per quanto importanti) un’arma è distruttiva nel senso che cancella l’intenzionalità dell’agente nemico uccidendolo o rendendolo incapace di agire o pensare.
Quindi potremmo esigere una nuova definizione di arma che incorpori nella nozione di “arma” proprio il fatto che la sua efficacia è tale a condizione che essa abbia una reale influenza sulla volontà del nemico:
(A)*** Un’arma è una qualunque catena causale che inizia nell’intenzionalità di un agente per avere effetti diretti o indiretti che vincolino la volontà del nemico o la sua capacità di azione.
Sembra che (A)*** sia la definizione appropriata di arma. Qualcuno potrebbe rimanere perplesso. In fondo, (A)*** considera armi allo stesso modo una pistola e un’azione di pirataggio informatico. Secondo Liang e Xiangsui le cose stanno esattamente così. Allora il presunto critico sarebbe contrario alla definizione (A)*** e alla posizione di Liang e Xiangsui. Vorrei proporre il seguente problema per mostrare come la (A)*** sia ben fondata e così il concetto di ʽarmaʼ vada considerato come qualcosa di eminentemente complesso. Per renderla filosoficamente ancora più precisa, ma conservando la medesima sostanza:
(A)**** Un’arma x è una qualunque catena causale c di lunghezza finita che inizia nell’intenzionalità di un agente a1 per avere effetti diretti o indiretti e che vincolino la volontà dell’agente nemico a2.
In (A)****, per quanto sostanzialmente identica a (A)***, emerge con chiarezza il fatto che un’arma è un ʽmezzoʼ proprio in un senso forte: sta nel mezzo tra a1 e a2 e ha le influenze desiderate da a1 rispetto ad a2. In secondo luogo, emerge la natura finita della catena causale laddove, se fosse infinita, allora sarebbe ipso facto inutile. Un’arma che agisse in un tempo infinito sarebbe di per sé qualcosa di insensato: è proprio la natura dell’effetto nella dimensione temporale a caratterizzare in modo significativo una certa tipologia di arma. Inoltre, l’arma funziona in virtù dei suoi effetti, che è esattamente ciò che caratterizza la natura del mezzo. In base alla discriminazione degli effetti e della loro portata sulla volontà del nemico possiamo discriminare e categorizzare le varie armi e i vari “sistemi di armamento”.
C’è chi immagina con ʽarmaʼ qualcosa di simile ad una clava. Anzi, si può dire che l’arma bianca non da lancio (vedremo subito perché) sia da considerarsi come l’unica arma che dovrebbe ricadere all’interno di una nozione ristretta di “arma”, cioè come di un singolo oggetto che, di per sé, è in grado di produrre effetti devastanti sulla volontà del nemico o sulla sua possibilità di agire. Tuttavia, sin dall’antichità si conoscono almeno due altri tipi di armi: le armi a mano da lancio (asce, giavellotti, coltelli) e le armi da lancio mediante un mezzo. Un giavellotto deve la sua efficacia al fatto che è in grado di potersi muovere nell’aria per un tempo sufficiente. Esso è come un missile, con la sola differenza che esso trae la sua energia per via cinetica. La fionda, poi, è un caso elementare di arma, ma ha un funzionamento abbastanza complesso. Sfrutta l’elasticità della corda, l’energia cinetica che ci vuole per tenderla. La sua efficacia dipende essenzialmente dai passi meccanici necessari per rendere il lancio di pietra efficace. Ma allora quale è la differenza con un obice della prima guerra mondiale? Ci sono molte differenze, ma a livello concettuale balza immediatamente agli occhi la seguente constatazione: nei sistemi d’arma ciò che varia è il numero di passi meccanici o mentali per utilizzo corretto ed efficace dello strumento. Ma alla fine, quello strumento rientra nel concetto di “arma” non in quanto fa parte degli oggetti di uso quotidiano nell’ambito militare, quanto per il fatto che esso è un meccanismo tale per cui dopo un certo numero di passi determina un effetto desiderato sulla volontà di combattimento del nemico.
Quel che volevamo mostrare con questa analisi è la seguente considerazione. Ciò che Liang e Xiangsui vorrebbero scoprire è, in realtà, qualcosa che era già presente nella nozione stessa di “arma”. La (A)*** e l’equivalente (A)**** dipendono esclusivamente da un’analisi concettuale che prende in considerazione le cause e gli effetti di un’arma in relazione all’intenzionalità degli agenti che agiscono o subiscono l’azione. Per tale ragione, ciò che Liang e Xiangsui fanno, è semplicemente far emergere il fatto che un’arma può essere un qualsiasi strumento che sia in grado di avere determinati tipi di effetti e che tali effetti siano determinati al principio dall’intenzionalità di chi usa l’arma.
In forza di questa analisi, siamo in grado di mostrare perché la posizione di Liang e Xiangsui è molto più legata alla nozione stessa di arma e armamento che non di guerra. Innanzi tutto, perché la loro analisi di “guerra senza limiti” trae la sua ragion d’essere dalla nozione di “armamento senza limiti”. Questo si vede in modo abbastanza chiaro proprio dal capitolo sull’impiego dei metodi. Essi prendono in considerazione varie tipologie di “sistemi di combattimento”, come la guerra economica, la guerra terroristica, la guerra informatica etc., e considerano l’opportunità di sfruttare le varie combinazioni possibili in particolari teatri di guerra.
Anche la nozione stessa di “teatro di guerra” varia all’interno dell’interpretazione di Liang e Xiangsui. Infatti, il teatro di guerra in una guerra senza limiti dipende intrinsecamente dalle tipologie di armamenti coinvolte. Se si utilizzano sistemi economici o informatici, il mercato di una nazione o lo spazio cirbernetico fanno parte integralmente del complessivo “teatro di guerra”. Questo, ancora una volta, non è dovuto al mutamento della natura della guerra, quanto alla differenziazione di qualità e tipologia degli “armamenti”.
Si diceva, sopra, che Liang e Xiangsui mostravano in modo sufficiente il fatto che per avere una rivoluzione nel warfare è necessario avere una rivoluzione nel sistema culturale dei generali, oltre al fatto di avere una revisione nel sistema d’armamento. Questo vale anche per la nuova tipologia di guerra senza limiti. Oggi, infatti, ormai si devono considerare una molteplicità di fattori che un semplice militare non può dominare eppure dovrebbe continuamente tenere in debito conto. In realtà, già Sun Tzu osservava questo fatto, ma Liang e Xiangsui lo ribadiscono perché vorrebbero proporre la loro visione di “guerra senza limiti” da un punto di vista applicativo.
In generale, sembra che il libro Guerra senza limiti abbia dei pregi ed alcuni difetti. Senza dubbio, è un lavoro interessante per le riflessioni indirette che esso induce. Prima di tutto la riflessione sulla natura e definizione di “arma”. Inoltre, esso rende evidente un fatto abbastanza chiaro. Oggi i tempi di reazione e interazione e densità delle masse sociali sono tali per cui è difficile poter procedere per momenti sequenziali nell’azione militare. La difficoltà nel prendere previsioni nasce dalla velocità dei riflessi dell’efficacia della catena causale che parte da noi per avere un impatto quasi immediato sul resto della società. In altre parole, è resa estremamente difficoltosa (se non impossibile) quello che era una delle fondamentali attività della prassi militare: la gestione del controllo di un territorio a seguito di una certa azione militare. La rapidità, infatti, determina un feedback immediato e, soprattutto, aleatorio. Risulta molto complesso riuscire a capire quale è la vera causa di un fenomeno proprio perché i fenomeni si moltiplicano e si ampliano in modo talmente veloce da risultare difficilmente discernibili nelle ricostruzioni causali imprescindibili per prendere decisioni.
Guerra senza limiti riesce nel mettere in mostra alcuni aspetti salienti del warfare nell’era della complessità. Tuttavia risulta anche non pienamente soddisfacente nel grado di dettaglio delle analisi o nella formulazione delle tesi. Lo stesso concetto d’arma sembra essere il nodo gordiano del libro, come abbiamo cercato di mostrare. Eppure l’analisi non sembra essere filosoficamente sufficiente a soddisfare un lettore che richieda un alto grado di rigore. Nonostante tutto, si tratta di un lavoro di due tecnici militari cinesi che si rendono conto che ʽla guerra complessaʼ nello scenario geostrategico contemporaneo sfugge dalle mani della loro classe di appartenenza. Anche dalla controversa esposizione delle loro idee, mediate da due traduzioni (dal cinese all’inglese e dall’inglese all’italiano) è abbastanza evidente che Liang e Xiangsui tentano una sorta di psicanalisi delle paure dell’uomo d’arme di fronte alla sfida lanciata loro dall’era della complessità. Essi, quindi, cercano di esorcizzare le paure insite nella visione della guerra nell’era della complessità, piuttosto che riuscire ad investigare la natura pura della guerra senza limiti. Che, in fondo, non ne ha mai avuto.
[1] Liang, Xiangsui (1999), Guerra senza limiti, LEG, Gorizia, p. 47.
[2] Ivi., Cit., p. 50.
[3] Ivi., Cit., p. 49.
[4] Ivi., Cit., p. 147.
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