È recentemente apparso, su Ajob Neuroscience, “Moral Responsibility and Psychopathy: Why We Do Not Have Special Obligations to the Psychopath”. L’articolo, che argomenta in favore della piena responsabilità morale dell’agente psicopatico, ha toni risoluti, enuncia con scarna argomentazione, quasi che non si potesse fare violenza a questa delicata donna, la verità, si presenta con la chiara trasparenza di un modo giovane, vivace e veloce di porre e risolvere i problemi.
Vediamone i punti principali. Per Justin Caouette, autore dell’articolo, dottorando in filosofia presso l’Università di Calgary, la tesi della limitata responsabilità morale degli psicopatici è falsa. È conseguentemente scorretta la richiesta normativa di trattare in modo particolare gli agenti psicopatici, in relazione al fatto che il danno subito da essi entrerebbe nella catena causale che li porta ad agire in una maniera che, in casi normali, definiremo moralmente disapprovabile. La comunità non avrebbe nessun obbligo speciale nei confronti della popolazione psicopatica.
Non ci sarebbe differenza tra la responsabilità da attribuire ad un agente morale psicopatico e quella da attribuire ad un agente morale non psicopatico. La storia causale che porta all’azione è, formalmente, equivalente per entrambi, dal momento che entrambi sono, in parte, determinati da forze esterne, dall’ambiente, dalla propria storia personale e così via.
È vero che gli psicopatici falliscono nel controllare i propri impulsi, ma è altrettanto vero che non sono inabili nel controllarli. Lo psicopatico è perfettamente capace di ragionare, riconoscere e scegliere l’azione moralmente corretta. Il fatto che l’esperienza personale dello psicopatico sia costellata di relazioni e contesti negativi non costituisce un motivo sufficiente per mitigare od escludere del tutto la sua responsabilità morale. Anche le nostre vite, proprio come quelle degli psicopatici, sono formate, in buona parte, dalle nostre esperienze. E la qualità di esse ancora non decide nulla sulla nostra responsabilità morale.
Se noi siamo agenti moralmente responsabili allora lo devono essere anche gli psicopatici. Inoltre le nostre scelte personali giocano un ruolo significativo nello sviluppo personale. Accanto ai fatti esterni ci sono pur sempre i fatti interni, le scelte dell’agente da cui discendono le azioni dell’agente. Se questo è vero, il carattere dello psicopatico è determinato in parte da forze esterne ma in parte è autodeterminato. Ciò lo accomuna al carattere di un qualsiasi altro agente razionale non psicopatico. Queste ragioni sono addotte per sostenere che lo psicopatico è moralmente responsabile né più né meno di quanto lo siamo noi. Con le parole conclusive di Caouette:
«the fact that it may be more difficult for psychopaths to act morally does not mean that they cannot. Their desires to cause harm and act without regard for others does not mean that their cognitive apparatus is incapable of recognizing that other people have rights and interests and ought not be treated as they wish. The psychopath acts from an authentic psychological scheme just look you and I. They have been molded by their upbringing and the choices that they have made just like you and I. And, when they commit a crime they ought to be held to a standard similar to you and I. If this is true then we do not have any special obligations to the psychopath, at least no further obligations that we have toward each other.»
Per la critica, notiamo due cose. La prima è che non è discussa l’interessante conclusione per cui, dal fatto che, per suppositionem, gli psicopatici siano moralmente irresponsabili e, nonostante questo, fenomenologicamente simili, per quello che conta, ai soggetti razionali non psicopatici, seguirebbe che nessuno possa essere detto veramente moralmente responsabile. Con ciò cadrebbe qualsiasi legittimità, all’interno del discorso morale, dell’attribuzione di colpa o lode. Tuttavia le critiche sulle mancanze sono sempre meno interessanti delle critiche a ciò che, di fatto, viene affermato e argomentato.
Caouette sembra concepire solamente due stadi estremi ed opposti, la responsabilità morale e l’irresponsabilità morale. Questo ha perfettamente senso se si considera che egli vuole discutere la logicità della tesi dell’irresponsabilità morale dello psicopatico. Tuttavia se volessimo considerare la questione in profondità dovremmo essere consapevoli di ciò: che non esiste qualcosa come la responsabilità o l’irresponsabilità morale, il libero volere o il volere non libero, ma solamente gradi e approssimazioni di responsabilità o irresponsabilità, voleri forti e voleri deboli, guardare qui dove la catena causale si allunga oppure lì dove la catena causale consiste in qualche sparuto ed illusorio elemento.
In questo, lo si sarà capito, si è del tutto nietzschiani. Non esiste in nessun senso forte la responsabilità dell’azione poiché caso, società, eredità genetica, lo stesso pensiero e le stesse emozioni, tutto ciò che è uomo e tutto ciò che è natura, al contempo, contribuiscono a definire una lunga catena causale che porta all’azione… E quanto di essa possiamo definire e considerare senza utili semplificazioni? Posare l’attenzione su una certa parte della catena causale è ciò che generalmente si chiama “attribuire libertà al volere”, “fare in modo che quest’uomo sia responsabile delle sue azioni”. Lo ripetiamo, non si tratta, in sostanza, che il prevalere di un’interpretazione, falsa, su un’altra…
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