Un’ulteriore conferma empirica della relazione tra stati sensoriali e valutazione morale è presentata da Eskine et al. su Plos One in un articolo titolato “The Bitter Truth about Morality: Virtue, not Vice, Makes a Bland Beverage Taste Nice”. Lo studio di Eskine et al. non solo corrobora l’ipotesi di una relazione, ma ne definisce per la prima volta il carattere bidirezionale.
Non sarebbe solo lo stato sensoriale ed emotivo a poter influire sulla presa di decisione morale ma sarebbe anche l’esposizione alla descrizione di situazioni morali a poterlo fare sulla percezione sensoriale. Che gli stati sensoriali ed emotivi abbiano un ruolo importante nel determinare il processo di presa di decisione morale è ormai, per la ricerca scientifica sulla morale, un fatto dimostrato. Non è ancora chiara invece l’estensione di questa importanza.
Diverse linee di ricerca, negli ultimi anni, sono converse nel dare evidenza empirica all’ipotesi di un’influenza dello stato emotivo e sensoriale sulla valutazione morale (per un approfondimento vedi, su BrainFactor, “Amaro calice … Sul disgusto e la morale”).
Eskine et al. introducono un elemento di novità controllando sperimentalmente se è il caso che processare diversi eventi connotati moralmente influisca in modo specifico e prevedibile sulla percezione del gusto. Gli autori dimostrano la bidirezionalità della relazione facendo giudicare una stessa bevanda insapore a soggetti esposti a diverse situazioni morali. Sembrerebbe proprio che leggere di eventi disapprovabili moralmente, approvabili moralmente o non moralmente giudicabili induca, rispettivamente, la percezione del disgusto, del piacere gustativo o dell’insipidezza.
Un’ulteriore punto rende degno di nota lo studio di Eskine et al. Come pochi altri studi fin’ora, esso è stato costruito in modo da studiare tanto l’influenza del processamento di situazioni negative quanto l’influenza del processamento di situazioni positive. Veramente un esiguo gruppo di autori si è occupato di includere la virtù morale nello studio della relazione tra morale e stati somatici. Eppure, non è forse evidente che il giudizio morale è (almeno nella prospettiva sentimentalista) formato sulla base di emozioni negative come positive? Non è forse evidente che il dominio morale è composto di virtù e vizio, di emozioni morali positive e negative, di approvazione e disapprovazione, e così via? E’ ogni volta più sorprendente notare come questo elementare ma fondamentale fatto venga per lo più ignorato dalla ricerca scientifica sulla morale.
Eskine et al., su questo punto, citano a loro sostegno la riflessione di Hume. Troviamo tuttavia senz’altro più appropriato ricordare il pensiero di Adam Smith, su questo più ricco e profondo di quello di Hume. Come non andare con la mente alle prime celebri righe della “Teoria dei sentimenti morali”: «Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono necessaria l’altrui felicità, nonostante che da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla.»
E ancora la sua denuncia, all’inizio della sezione terza della prima parte della “Teoria”: «La nostra simpatia per la sofferenza è stata maggiormente presa in considerazione della nostra simpatia per la gioia, nonostante non sia più reale di quest’ultima.» Smith se la prende con il filosofo Joseph Butler, il quale trova necessario dimostrare la realtà della simpatia per la gioia. Butler, nella visione di Smith, è sintomo evidente del fatto che ancora non si ha fiducia nell’autenticità del sentimento di simpatia per la gioia altrui; nessuno, infatti, ritiene parimenti necessario dimostrare la realtà della compassione. Oggi Smith, esaminando la letteratura neuroetica, rinverrebbe lo stesso vecchio pregiudizio.
E, tuttavia, sulla questione del perché si dia una preferenza e un’attenzione particolare al vizio piuttosto che alla virtù (basta considerare il vocabolario morale, come esso è ricco di termini negativi e povero di termini positivi) si potrebbe e si dovrebbe discutere a lungo. Andrebbero senz’altro prese in considerazione ragioni pratiche, concettuali, storiche, psicologiche e forse politiche (prendendo questo termine in senso ampio). Una storia di questo pregiudizio sarebbe un’operazione assai complicata, degna del valore di un Hegel, ma forse ancora nemmeno alla portata di un Hegel.
Lo studio, seppure volto ad indagare la relazione tra processamento e percezione sensoriale, suggerisce, in linea con l’evidenza empirica di molti altri studi, che le rappresentazioni concettuali astratte siano formate sulla base di informazioni sensoriali. E su cos’altro, direbbe il caro Hume! Certo. Quello che preme sottolineare in questo contesto è come si debba ancora fare molto sforzo per trarre anche le rappresentazioni della virtù (oltre che quelle del vizio) fuori dalla nebbia dell’incorporeo nella determinatezza della natura umana. Anche e soprattutto qui, per esprimersi con Nietzsche, la difficile ricetta è trasvalutazione, trasvalutazione, trasvalutazione.
References
- Eskine K., Kacinik N., Webster G. (2012) The Bitter Truth about Morality: Virtue, Not Vice, Makes a Bland Beverage Taste Nice. PLoS ONE 7(7): e41159. doi:10.1371/journal.pone.0041159
- Smith A., The Theory of Moral Sentiments or An Essay Towards an Analysis of the Principles by which Men Naturally Judge Concerning the Conduct and Character, first of their Neighbours, and Afterwards of Themselves, London, 1759 (2 voll.); trad. it. Teoria dei sentimenti morali, a cura di E. Lecaldano, Rizzoli, Milano 1995.
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