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Consigliamo – Percorso di Epistemologia
Abstract
L’internismo della giustificazione e della conoscenza è una delle principali posizioni teoriche all’interno dell’epistemologia analitica contemporanea. Gli internisti fondano la loro posizione sull’intuizione forte secondo cui ciò che va considerato come conoscenza e come giustificazione è qualcosa di interno al soggetto. Le due principali teorie interniste, accessibilismo e mentalismo, divengono sulla caratterizzazione del predicato fondamentale ʽessere internoʼ. Secondo gli accessibilisti, semplificando, un soggetto sa che p se il soggetto può avere accesso per riflessione alla base della conoscenza di p, mentre per i mentalisti S sa che p se sussiste un certo stato mentale interno ad S che valga come evidenza a favore di p. Questo articolo ripropone esclusivamente le linee generali delle posizioni, per fornire un quadro, assolutamente parziale, di una delle principali posizioni epistemologiche contemporanee.
L’internismo della giustificazione e della conoscenza rappresenta una delle due posizioni dominanti nell’epistemologia analitica individuale ed è, probabilmente, la posizione più inserita all’interno della tradizione storicofilosofica rispetto alle altre varianti possibili, offerte dal panorama contemporaneo. L’idea di base è che se un soggetto S sa che p allora la giustificazione di S in p è interna al soggetto. In secondo luogo, è idea condivisa dagli internisti che per sapere qualcosa sia necessario disporre di stati di evidenza che sostengano quella determinata conoscenza:
Conee and Feldman present an example of an internalist view. They have it that S’s belief that p is justified if and only if believing that p is the attitude towards p that best fits S’s evidence, where the latter is understood to depend only on S’s internal mental states. Conee and Feldman call their view ‘evidentialism’, and characterize this as the thesis that justification is wholly a matter of the subject’s evidence. Given their (not unsubstantial) assumption that what evidence a subject has is an internal matter, evidentialism implies internalism.[1]
Se Giovanna sa che c’è una casa in collina allora può sapere perché lo fa, almeno dentro di sé può avere a disposizione ciò che sostanzia la sua credenza e che la rende una conoscenza e non semplicemente una credenza vera.
I classici del pensiero moderno propendono tutti per forme variamente distinte di internismo, sia essa nella versione empirista (Hobbes [1641], Locke [1690], Berkeley [1710], Hume [1740]) che nella versione razionalista (Descartes [1641], Spinoza [1675]). Kant [1787] non è chiaro come debba essere considerato. Tutto considerato, in Kant non è evidente il fatto che se S sa che p allora la giustificazione di p deve essere accessibile ad S (anzi, il fatto che egli ipotizzi l’impossibilità di scoprire le ragioni psicologiche concrete alla base della conoscenza potrebbe essere un indizio della predisposizione esternista della teoria kantiana). Invece sono quasi tutti concordi (almeno Prichard [1950], Goldman [1986], Pappas [2005], laddove Pappas [2005] non smentisce la posizione di Prichard [1950], lasciando intendere che la tesi sia quantomeno accettabile per lui) nel considerare la filosofia epistemologica moderna di matrice cartesiana come internista.
L’internismo ha diverse sottocorrenti al suo interno, come ogni posizione filosofica che si sostanzia su alcune intuizioni irrinunciabili ma che prevede molteplici possibilità di interpretazione. Ma sembra che la condizione comune a tutte sia la seguente: “What makes an account of justification internalist is that it imposes a certain condition on those factors that determine whether a belief is justified… The condition requires [such factors] to be internal to the subject’s mind or, to put it differently, accessible on reflection“.[2] Steup [1996] riporta una delle caratterizzazioni generali più chiare dell’internismo, laddove appunto egli nel sunto riporta entrambe le possibili modulazioni dominanti dell’internismo: la base della conoscenza deve essere interna alla mente o accessibile mediante riflessione. Vedremo come, però, le due cose siano da tenere distinte, laddove oggi filosofi come Feldman e Conee [2004] si riconoscono come mentalisti (la giustificazione è uno stato mentale del soggetto) ma non accessibilisti (il soggetto deve poter accesso alla base della conoscenza), mentre altri sembrano riconoscere solo l’accessibilità della giustificazione ma non il fatto che questa debba essere ipso facto uno stato mentale del soggetto.
Un filosofo internista, dunque, deve fornire una caratterizzazione del predicato ʽinternoʼ rispetto alla conoscenza e, in particolare, alla giustificazione. Come abbiamo già accennato, proprio rispetto a questo problema si presenta il doppio snodo. Consideriamo una certa credenza p di un soggetto S al tempo t. S conosce che p sotto la prospettiva internista a condizione che ciò che costituisce la giustificazione j di p sia interna al soggetto: allora la giustificazione j di p deve essere interna ad S e, allora, essa o è uno stato mentale (che, ipso facto, non può che essere interno alla mente del soggetto S) oppure è accessibile alla coscienza di S mediante un atto introspettivo, cioè per mezzo della riflessione. Le due posizioni, dunque, non si implicano a vicenda e conducono a teorie distinte: infatti, in un caso, è possibile che uno stato mentale che costituisce la base della conoscenza di p non sia accessibile ad S al tempo t. Se mi ricordo che Napoleone era un grande generale ma non ricordo né quando né dove ho imparato questa nozione, ma che è presumibile che prima o poi possa ricordarlo (e quindi dispongo effettivamente di uno stato mentale che sostiene la mia credenza), non significa che io non conosca quel fatto. Questo potrebbe soddisfare un mentalista. Ma potrebbe non soddisfare chi, invece, ritiene imprescindibile, per dire di sapere qualcosa, la condizione di accessibilità. D’altra parte, è pure possibile che ciò che garantisce la giustificazione j della credenza di S al tempo t non sia uno stato mentale, anche se può essere accessibile al soggetto: se Giovanna vede una casa in collina e si forma la credenza “C’è una casa sopra la collina” è evidente che una parte di ciò che costituisce uno stato di evidenza per credere in quella credenza non sia propriamente uno stato mentale di Giovanna: la visione non è uno stato mentale, come non lo è di per sé la condizione ambientale favorevole per la visione, ma ciò nondimeno entrambe sono condizioni che vanno incluse all’interno del corpus di evidenza a disposizione di Giovanna. Giovanna mediante riflessione, però, può concludere di sapere che c’è una casa sopra la collina proprio perché l’ha vista. Un internista accessibilista rivendica questa condizione: che l’evidenza di Giovanna per credere che ci sia una casa in collina sia accessibile alla stessa Giovanna, altrimenti Giovanna semplicemente crede al più veracemente di vedere una casa in collina, ma non lo sa.
L’internismo accessibilista si fonda proprio sull’intuizione che per sapere qualcosa sia indispensabile poter avere accesso all’evidenza che sostiene quella particolare credenza:
Much more plausible, and also much more likely to be the actual view internalists have in mind, is Accessibility knowledge internalism. It requires only that one can become aware of the knowledge basis, either by easy and quick reflection in some cases, or by more difficult and lengthy reflection in others.[3]
Anche all’interno dell’internismo accessibilista è possibile distinguere due diversi atteggiamenti che fanno capo a due diverse richieste. Abbiamo già visto come l’intuizione di fondo di questa versione dell’internismo sia proprio quella di poter aver accesso al corpus di evidenza di un una credenza per un certo soggetto in un certo momento. Si danno, dunque, due possibilità: la prima, è richiedere che il soggetto sia consapevole del suo stato di evidenza; la seconda è richiedere che il soggetto possa divenire consapevole del suo stato di evidenza. Le due condizioni sono differenti, laddove la prima è più forte della seconda semplicemente perché richiede che S sa che p solo a condizione che sappia perché sa che p. La seconda, invece, richiede che S sappia che p solo se può divenire consapevole del perché sa che p. Pappas [2005] correttamente distingue le sue posizioni:
Accesso attuale KI:
Se qualcuno sa una proposizione p, allora quel qualcuno è anche consapevole della base della conoscenza di p.
Accessibilità AKI
Se qualcuno sa una certa proposizione p, allora uno può diventare consapevole per riflessione della base di conoscenza di p.[4]
Tuttavia solo la seconda delle due posizioni sembra essere accettabile. Chiamiamo la prima tesi AAKI e la seconda AKI. La AAKI richiede che un soggetto S sa che p solo se già al tempo t S ha a disposizione l’accesso immediato del corpus di evidenza e (o, almeno, ha accesso immediato agli elementi i che costituiscono la base della giustificazione per la credenza p di S) sulla base del quale S sa che p. Ma questo non è sempre possibile. Giovanna sa che Parigi è la capitale della Francia, ma potrebbe non ricordarsi attraverso quale modo ha imparato questa verità. Potrebbe essere che gliel’abbia detto qualcuno, ma potrebbe anche averlo visto su un atlante, o entrambe le cose. Ma in questo caso Giovanna, secondo AAKI, non saprebbe che Parigi è la capitale della Francia.
C’è anche da dubitare del fatto che AAKI possa tener conto di conoscenze acquisite mediante la conoscenza inferenziale, nonostante ciò non sia stato osservato da Pappas [2005]. Prendiamo il seguente caso: (1) “a implica b, b implica c e c implica d“. Poniamo il fatto che Giovanna sa che c ma ignora sia a che b: Giovanna può tranquillamente dedurre che d, ma può dire di saperla? Secondo AAKI Giovanna non sa che d perché non ha accesso immediato a a e b, come detto. Per fare un esempio, posto che quanto detto per AAKI, se (1) fosse “Se il sole è una stella allora brilla di luce propria, se il sole brilla di luce propria allora è un corpo celeste molto più caldo di un pianeta, se il sole è un corpo celeste molto più caldo di un pianeta allora non è un pianeta” se Giovanna sa che il sole è un corpo molto più caldo di un pianeta e deduce la frase “Il sole non è un pianeta”, secondo AAKI Giovanna non sa che il sole è un pianeta perché non sa che il sole è una stella e una stella brilla di luce propria (condizione identica di (1) mediante sostituzione delle variabili proposizionali), il che è palesemente troppo restrittivo. E’ chiaro che Giovanna sa che il sole non è un pianeta, anche se non sapesse che è una stella (le due cose, infatti, non si implicano reciprocamente).
Questa restrittività di AAKI può avere degli effetti molto sgradevoli per una teoria filosofica della conoscenza: si ha un potenziale regresso all’infinito nei casi di conoscenze inferenziali o, comunque, un regresso anche non all’infinito ma sufficiente a negare ogni possibilità di accesso immediato del soggetto al corpus di credenze che ne sostengono un’altra. Per poter dire di sapere il teorema di completezza della logica del primo ordine un logico dovrebbe poter disporre di una massa di credenze spropositata. Il che è evidentemente conduce a sostenere la tesi implausibile che la maggior parte dei logici non conosce la maggioranza dei teoremi perché non dispongono in ogni momento della basi che valgono come giustificazione (stati di evidenza) delle loro credenze e, a fortiori, non sanno perché sanno quel teorema.
Mentre AKI riesce a trattare sia i problemi relativi alla memoria che quelli della conoscenza inferenziale, proprio perché la richiesta è molto più modesta. In un caso, infatti, basta che almeno in linea di massima Giovanna sappia ripercorrere a ritroso i modi attraverso cui è giunta a formarsi quella certa credenza, richiesta che potrebbe non sussistere. Ma, se sussistesse, mediante riflessione, Giovanna può soddisfare AKI. Allo stesso modo, un logico per dimostrare di sapere un certo teorema basterebbe che lo dimostrasse a ritroso, cioè potesse ripercorrere tutti i passi che lo hanno formato. In fine, è da osservare che AKI implica AAKI ma non viceversa: infatti nel caso in cui il soggetto disponesse dell’accessibilità immediata delle basi della giustificazione ipso facto avrebbe un accessibilità potenziale di quelle stesse basi.
Se è abbastanza chiaro che AKI sia la posizione assunta dagli internisti accessibilisti, rimane aperta la questione di cosa si debba intendere con il predicato ʽpuò diventare consapevole per riflessioneʼ. Se fosse una condizione temporale, allora si porrebbero alcuni problemi: se il soggetto potesse avere accesso alla base della conoscenza di p ma non ne avesse il tempo materiale, potrebbe dire di sapere che p? Imporre restrizioni temporali simili potrebbe voler dire che S al tempo t dispone dell’evidenza e ma non sa che p perché non avrebbe il tempo materiale per scoprirlo, ma lo saprebbe al tempo t1per aver conseguito la consapevolezza di e mediante riflessione.
La discriminante temporale sembra inaccettabile per questa ragione, illustrabile con un esempio: Giovanna e Luigi sono sposati e vivono nella stessa casa. Entrambi dormono. Giovanna si alza dal letto e va in cucina. Giovanna sa che Luigi dorme? E’ implausibile dire che lo saprebbe solo quando Giovanna si ricorda di Luigi che dorme e non anche prima. Per tanto, bisogna concludere che la condizione non deve essere temporale, ma deve richiedere che la riflessione possa essere condotta a prescindere dalla dimensione temporale: se richiesto, Giovanna deve poter avere accesso all’evidenza per cui sa che Luigi dorme. A questo punto la richiesta deve essere esclusivamente nei termini di una condizione di riflessività atemporale: se sussiste la possibilità che il soggetto possa avere accesso alla base della conoscenza allora conosce effettivamente la proposizione in questione, altrimenti non la conosce.
A questo punto abbiamo due possibili formulazioni di AKI, una posizione forte e una debole.
AKI debole (AKID):
Se qualcuno sa qualche proposizione p, allora può diventare consapevole per riflessione di ciò che di fatto è la base della conoscenza per p.
AKI forte (AKIF):
Se qualcuno sa qualche proposizione p, allora può diventare consapevole per riflessione che qualche elemento è la base della conoscenza per p.[5]
Per esemplificare la differenza tra AKID e AKIF prendiamo uno scenario immaginario. Giovanna vede delle api e Giorgia gli dice che le api producono miele. Per AKIF Giovanna sa che le api producono miele non soltanto sulla base della testimonianza di Giorgia per riflessione, ma, sempre mediante riflessione, se è in grado di diventare consapevole del fatto che la testimonianza di per sé è una base della conoscenza di cui dispone. Per tanto, AKIF richiede non soltanto che Giovanna possa diventare consapevole del fatto che dispone una certa base per credere in quella credenza, ma anche che quella base supporta conoscenza. Per AKID, invece, perché Giovanna sappia che le api producono miele è sufficiente che possa divenire cosciente del fatto che la base della sua conoscenza è la testimonianza di Giorgia, il che non esclude che possa anche divenire consapevole del fatto che la testimonianza vale come base della conoscenza, ma ciò non è richiesto per sapere che le api producono miele. Da questo esempio sembra, dunque, chiara la differenza tra AKID e AKIF.
Tuttavia si potrebbe obiettare che AKID e AKIF sono entrambe problematiche perché una conoscenza potrebbe essere molto complessa. Per questa ragione, potrebbe disporre di una base di conoscenza costituita da una grande mole di elementi. A questo punto, come considerare questa pluralità di elementi in relazione al fatto che un soggetto S sa qualche proposizione p? Il caso del logico è esemplificativo: quante premesse deve conoscere un logico per sapere che l’enunciato gödeliano è indecidibile? Non potendo, ovviamente, incorporare un numero preciso, è plausibile supporre che esistano alcune premesse più importanti di altre, alcune imprescindibili e altre prescindibili. Per estensione, è legittimo pensare che in casi di conoscenza complessa un soggetto S sappia che p a condizione che possa divenire consapevole della base essenziale della conoscenza di p. Per questo sia la posizione forte che debole devono essere riscritte per considerare questo problema:
AKID
Se qualcuno sa qualche proposizione p, allora può divenire consapevole per riflessione di ciò che di fatto è una parte essenziale della conoscenza di p.
AKIF
Se qualcuno sa qualche proposizione p, allora può divenire consapevole per riflessione che qualche elemento k è la base essenziale della conoscenza per p.[6]
A questo punto, possiamo concludere con le parole di George Pappas [2005]:
The use of the term ‘essential’ in weak and strong AKI is important. Imagine that one’s knowledge basis for proposition p is quite complex, including a number of different elements. Perhaps one has amassed a good bit of evidence concerning p, and the cumulative effect is to make up one’s knowledge basis for p. It may be that some element in this evidence base is inessential, in the sense that even if one were to delete that element, the remaining evidence would still constitute a knowledge basis for p. A case like this might well arise when one has amassed an over-abundance of evidence, perhaps with the aim of being especially careful and diligent. Without the use of the term ‘essential’ in the above definitions, we would allow for cases in which a person was capable of becoming aware of what was in fact an inessential part of her knowledge basis for p. This would unfairly saddle the internalist with an unnecessarily implausible position, and the use of the term ‘essential’ is designed to avoid that consequence.[7]
La teoria internista della giustificazione ricalca in buona sostanza l’approccio internista alla conoscenza. Sia detto almeno di passaggio che, come gran parte dell’epistemologia contemporanea, anche per gli internisti la trattazione e la caratterizzazione della giustificazione eccede quella relativa alla conoscenza, come testimoniano Feldman and Conee [2004]. Williamson [1997], da una posizione evidenzialista, rivendica la necessità di riconsiderare il ruolo della conoscenza rispetto alla giustificazione che, secondo il suo avviso, ha assunto un ruolo tale da superare quello della conoscenza. In questo articolo noi riportiamo solo l’essenziale dell’approccio internista accessibilista alla giustificazione.
Come per la teoria della conoscenza si danno due possibili approcci, uno forte e uno debole. In entrambi viene richiesto che almeno una parte di ciò che costituisce la giustificazione sia accessibile al soggetto via riflessione. Come già previsto in sede dell’analisi della conoscenza in chiave internista, allo stesso modo ciò che deve essere accessibile della giustificazione è la sua componente essenziale, ciò per evitare nuovamente che la parte quasi irrilevante del corpus dell’evidenza a supporto di una certa credenza prevalga sulla parte rilevante.
Accessibilismo Internista della Giustificazione Debole (AIGD)
Se qualcuno ha una credenza giustificata che p, può divenire consapevole per riflessione di qualche giustificatore essenziale (essential justifier) che uno ha per p.
Accessibilismo Internista della Giustificazione Forte (AIGF)
Se qualcuno ha una giustificazione per credere che p, può divenire consapevole che qualche elemento j è un giustificatore essenziale che uno ha per p.
Terminiamo l’articolo riportando le tesi fondamentali del mentalismo. Il mentalismo della giustificazione, come detto al principio dell’articolo, riconsidera il termine ʽinternoʼ non nei termini di accessibilità del soggetto alla conoscenza o alla giustificazione, ma nei termini di ʽstati mentaliʼ.
The other prominent view of internal states is that they are mental states. This view is known as mentalism (see Conee & Feldman 2004). Mentalism, like accessibilism, is a view about propositional justification, not doxastic justification. One’s mental states completely determine the justificatory status of one’s beliefs. Mentalism is connected to accessibilism since according to the Cartesian tradition one can determine which mental states one is in by reflection alone. To the extent that mentalism is distinct from accessibilism it allows that some non-reflectively accessible mental states can determine whether one’s belief is propositionally justified.[8]
Se S sa che p allora l’evidenza di S a supporto di p è un insieme al più singoletto di stati mentali e. Uno stato mentale e non è necessariamente accessibile al soggetto, ma può esserlo in alcuni casi. Per tale ragione, l’internismo mentalista non assume né un accessibilismo forte o debole (in stile AKID o AKIF per la conoscenza o in stile AIGD o AIGF per la giustificazione). Il nucleo centrale da tener presente per comprendere la posizione mentalista è quanto potrebbe esprimersi con le parole di Feldman and Conee [2001]: …is the view that a person’s beliefs are justified only by things that are…internal to the person’s mental life. We shall call this version of internalism “mentalism -“.[9] Il problema principale della teoria consiste nel fornire una caratterizzazione dello stato mentale che conta come stato di evidenza a supporto di una certa credenza disposizionale (non doxastica): non tutti gli stati mentali a disposizione di un soggetto ad un certo momento costituiscono un supporto di evidenza per una certa sua credenza.
In generale, la plausibilità della posizione mentalista è fondata sull’idea che tutto ciò che conta o può contare come giustificatore per una credenza è uno stato mentale interno al soggetto. Ciò significa che il soggetto dispone di giustificazione per una credenza a condizione che uno stato mentale che conti come giustificatore sia interno al soggetto. In questo senso, alcune condizioni che sono esterne al soggetto (come le condizioni ambientali in cui un soggetto cognitivo esercita i suoi sensi) possono valere come elementi di giustificazione a condizione che esse finiscano per rientrare all’interno del soggetto. L’esempio di Feldman and Conee [2001], che riportiamo nel concetto ma mutuiamo nella forma, è il seguente Bob e Ray sono in un albergo climatizzato ed entrambi si formano la credenza che la giornata sarà climaticamente temperata per averlo letto su un giornale. Bob esce dall’albergo e verifica che le cose stanno così. Feldman and Conee [2001] osservano che Bob ha una giustificazione più forte per credere nella stessa credenza in cui crede Ray perché ha uno stato mentale interno che conferma ciò che crede. Questo argomento non vuole essere una prova decisiva della validità del mentalista ma certamente fornisce un sostegno e un esempio di ciò in cui essa consiste.
Bibliografia
Berkeley G., [1710], Trattato sui principi della natura umana, UTET, Torino.
Descartes R., [1641], Meditazioni Metafisiche, Laterza, Roma-Bari.
Conee E. and Feldman R., [2001], “Internalism Defended.” In Kornblith H., Epistemology: Internalism and Externalism, Cambridge, MIT Press.
Conee E., Feldman R., [1998], “The Generality Problem for Reliabilism”, Philosophical Studies, 89, pp. 1–29.
Conee E., Feldman R., [2004], Evidentialism, Clarendon Press, Oxford.
Goldman [1986], Epistemology and Cognition, Harvard Press, Harvard.
Hobbes T., [1641], Leviatano, Laterza, Roma-Bari.
Hume D., [1740], Trattato sulla natura umana, Bompiani, Milano-
Kant I., [1787], Critica della ragion pura, Einaudi, Torino.
Locke J., [1690], Saggio sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari.
Prichard H.A., [1950] Knowledge and Perception, Clarendon Press, Oxford..
Spinoza B., [1675], Etica, UTET, Torino.
Steup M., [1996], p. 84 riportato in Dancy J., Sosa E., Steup M., (a cura di) [2010], A companion to epistemology, Blackwell, Oxford. Corsivo nostro.
Williamson T., [1997], “Knowledge as evidence”, Mind, Oxford, University Press.
[1] Steup M., Ichikawa J., [2012],” Analysis of Knowledge”, Stanford Encyclopedia of Philosophy, http://plato.stanford.edu/entries/knowledge-analysis/notes.html#6
[2] Steup M., [1996], p. 84 riportato in Dancy J., Sosa E., Steup M., (a cura di) [2010], A companion to epistemology, Blackwell, Oxford. Corsivo nostro.
[3] Pappas (2005).
[4] Ivi..
[5] Ivi..
[6] Ivi..
[7] Ivi..
[8] Poston [2008].
[9] Feldman and Conee [2001], in Kornblith [2001], p. 236.
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