Scopri Intelligence & Interview di Scuola Filosofica!
Iscriviti alla Newsletter!
Tutti ci ricordiamo del muro di Berlino, della definitiva caduta di un simbolo d’illibertà, oppressione e intolleranza. Senza dubbio un grande evento, forse ingigantito in Occidente dal rumore degli scricchiolii dell’ormai fatiscente Unione Sovietica, nemico storico da sempre dei regimi liberali. L’URSS era destinata a seguire al crollo del suo muro di lì a qualche anno.
A distanza di vent’anni da quel 1989, molti si saranno dimenticati di altri avvenimenti molto importanti. Una certa signora birmana, insignita del premio Nobel per la pace, fu costretta agli arresti domiciliari. Un tizio di nome Tenzin Gyatso si oppose all’invasione cinese della sua terra natale, il Tibet, e fu costretto all’esilio in India. In una piazza di Pechino migliaia di ragazzi manifestavano contro il governo cinese per l’assenza di dialogo democratico, per l’immobilismo istituzionale e per il controllo culturale di regime. Una sonda spaziale, Voyager, inseguiva il grande pianeta blu, Nettuno. La signora era Aung San Suu Kyi, Tenzin Gyatso era il Dalai Lama e la piazza era quella di Tienanmen.
Aung San Suu Kyi fu costretta all’esilio dalla Birmania, dopo l’assassinio del padre. Nonostante la sua lontananza, rimase sempre molto legata al paese, conscia delle terribili condizioni di illibertà in cui versava la popolazione. Un governo militare dispotico imponeva alla popolazione il suo comando. Aung San Suu Kyi ritornò in patria, dopo aver conseguito una grande notorietà, per lottare contro il regime. Non si trattò di lotta armata, ma di uno scontro non-violento. Fondato un partito per la diffusione dei diritti umani e della democrazia, Aung San Suu Kyi vinse le elezioni con l’ottanta percento delle preferenze. Una vittoria schiacciante. Tuttavia, non venne accettata dal regime che costrinse la lider agli arresti domiciliari. Era il 1989.
Il quattordicesimo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, si ribellò all’invasione della Cina senza sparare un solo colpo di pistola. Anch’egli trovò la forza interiore per respingere la violenza senza spargere sangue. Dovette lasciare il suo Paese, costretto, ormai, ad esilio permanente ed ad una esistenza errabonda, alla ricerca di una comprensione internazionale, irraggiungibile da chi ha dovuto, per ragioni economiche, abbracciare la Cina come ottimo partner commerciale. Nonostante questo il Dalai Lama non incitò alla violenza e costrinse a ricordare al mondo che i diritti umani non esistono solo in Occidente o dove la forza li può difendere. Come sosteneva un grande filosofo inglese, i diritti umani sono inalienabili dalla singola persona e il diritto del più forte non li può cancellare, sebbene li ignori sistematicamente in virtù della propria potenza: “Ma bisogna tener presente che la condotta dei forti e dei potenti, per quanto universale, è di rado il criterio del diritto, anche se fa parte della soggezione in cui sono tenuti i vinti il non discutere le condizioni imposte loro dalla spada del vincitore”. La spada costringe, uccide, non elimina il diritto, non elimina l’ingiustizia.
In Cina, un governo dispotico. Non si parla di uno. Non si parla di dieci. Si parla di migliaia di studenti scesi in piazza a Pechino, non per rivendicare la cessazione di una riforma, non per dire che un ministro è inabile per principio o per rivendicare il diritto al riscaldamento uniforme. Gli studenti di piazza Tienanmen erano lì per rivendicare i principi fondamentali della libertà dell’uomo, contro l’oppressione e contro il controllo di ogni tipo. Il 20 maggio del 1989 il regime cinese assume una linea dura, dettata dall’urgenza di “sbrigare la pratica” a causa dell’arrivo di Gorbaciov, allora presidente dell’Unione Sovietica. Il 6 giugno aprono il fuoco. Non è possibile esprimere in poche parole il significato di quanti sono morti per la libertà e la morte, con l’ignoranza, è il primo fattore dell’oblio. Gli studenti di piazza Tienanmen non sono morti combattendo, se per “combattere” s’intende una lotta armata. Sono morti senza muoversi, come quel ragazzo della celebre foto, destinato alla terribile morte, schiacciato dai cingoli del carro armato. Il governo cinese non consente l’accesso ai giornalisti e dirige la stampa locale in modo diretto, riduce ad un’unica voce silenziosa in grande frastuono. Dopo la morte, doveva seguire l’ignoranza. Ma il sacrificio in nome della libertà non è facile da far dimenticare. Il tempo “presente” è d’obbligo. Non dobbiamo pensare a quei ragazzi come al “passato”: sono parte della storia dell’umanità.
Il muro di Berlino, la reclusione della Aung San Suu Kyi, il premio nobel per la pace al Dalai Lama, il sacrificio dei ragazzi in piazza Teinanmen. Di tutto ciò abbiamo accennato, per non lasciarli nell’oblio. Ma anche la sonda “Voyager” è importante. La sonda spaziale non è un puro oggetto, ma è l’estensione della curiosità dell’uomo nello spazio che non è vuoto come sembra. Come l’ignoranza dei diritti umani anche l’ignoranza della natura va eliminata. Solo la conoscenza porta a tolleranza, ad altra conoscenza, ad una speranza per la felicità. Voyager è un simbolo di grande libertà come lo è stato il crollo del muro di Berlino. Ogni cessazione dell’ignoranza deve essere vissuta come una grande conquista dell’umanità intera.
Questi i fatti. Tutti accomunati da qualcosa che non piace a molti. L’idea che la libertà sia importante è qualcosa che accomuna tutti. Ma, spesso, chi sta bene tende a credere che la libertà sia una conquista facile, ovvia e che chi non ce l’ha, meriti l’oppressione. Se sei uno schiavo, evidentemente non hai voglia di liberarti dalle tue catene. Però a pochi piace osservare che sono assai rari i personaggi che lottano contro la mafia e chi si ribella allo stato di ignoranza che i mass media impongono alle vere minoranze. Dov’è la libertà, adesso? Crediamo di vederla ovunque. Non possiamo essere sicuri che essa ci sia perché nell’ovvio non c’è libertà.
La libertà è ovvia. Questo il primo pregiudizio dell’uomo comodo. Il secondo è che la libertà debba essere figlia del sangue. Non si può essere liberi senza distruggere colui che prova ad opprimerti. Ciò nasconde questa grande verità: che chi uccide per essere libero, opprime. Il coltello non è diverso per la mano che l’impugna e le pistole sparano lo stesso, che dietro ci sia un cinese o un italiano. Teinanmen, il Dalai Lama e la Aung San Suu Kyi, il muro di Berlino sono esempi di libertà non-violenta, di una vittoria dell’uomo sulla brutalità stupida dell’altro, di chi non riconosce ed opprime. Là dove trionfa la non violenza, là trionfa la libertà. Questo il grande insegnamento del 1989, al di là di tutto.
Be First to Comment