Di Giangiuseppe Pili www.scuolafilosofica.com
Stiamo assistendo ad un fenomeno vecchio e nuovo allo stesso tempo: contrapposizione radicale tra aziende e lavoratori. Due fenomeni distinti, uniti dalla medesima causa: il recente caso FIAT e lo sciopero dei calciatori.
Quanto siano importanti queste due vicende lo mostra il fatto che è pressoché impossibile farsi un’idea di esse attraverso la stampa in generale. E’ curioso che questo fatto sia stato segnalato da un articolo de La repubblica che, però, non contribuiva in alcun modo positivo alla chiarificazione della vicenda. Ma, allora, di che si tratta?
Possiamo limitarci solo ad alcune considerazioni generali in quanto i fatti non sono stati presentati da alcuno secondo un’ottica razionale o, almeno, non ideologica. Su alcuni punti abbiamo raggiunto una certa chiarezza. Sia la vicenda FIAT, quella degli scorsi mesi di Luglio-Agosto in cui alcuni operai sono stati prima licenziati e poi reintegrati, sia quella dello sciopero dei calciatori, ancora non terminata, mostrano chiaramente come la volontà delle aziende sia quella di eliminare o sorvolare i diritti dei lavoratori.
Si può ancora parlare di lavoratori nel 2010. Senza dubbio. L’incipit della Costituzione Italiana l’abbiamo imparato a memoria perché, a turno, tutti i governanti ce l’hanno ripetuto: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. (…)” (Art. 1). Una bella frase, di portata universale, incapace di chiarire chi sia il lavoratore o di che genere sia questo “lavoro”. In seguito (Art. 4) e negli articoli sui “Rapporti economici” si parla genericamente dei diritti dei lavoratori: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme” (Art. 35.) e, soprattutto gli articoli 36 e 37, in particolare parlano di durata della giornata lavorativa sancita per legge, dell’assistenza sanitaria e della tutela dei luoghi di lavoro e delle pari opportunità tra uomini e donne. Tuttavia, doveva essere assai chiaro chi fosse il soggetto giuridico di tutte queste leggi. Il punto è fondamentale: tutto ruota intorno a questo. Infatti, se la Costituzione ha dei termini ambigui, conseguentemente li avranno anche le leggi.
Qui è l’istinto filosofico che parla: non c’è chiarezza nelle fondamenta stessa della nostra Costituzione che rivendica la sua fondazione della Nostra Repubblica proprio sul lavoro sebbene non ne chiarisca assolutamente i confini.
Nel 1947, data di nascita della nostra Costituzione, probabilmente poteva essere abbastanza chiaro chi fosse il Lavoratore sebbene l’Articolo 35 cerca proprio di specificare come la tutela dei diritti sia indirizzata a chiunque eserciti una qualunque professione e, dunque, risolve il problema aggirandolo: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme”. In definitiva, nell’insieme degli assunti di base su cui si fonda la nostra Repubblica, non c’è chiarezza, univocità o criterio di demarcazione di chi deve essere tutelato e chi no.
La situazione attuale parte da lontano. Da un lato abbiamo attuato uno dei sogni della sinistra storica, cioè si è formato lo stato di welfare, forma massima della visione assistenzialista secondo cui lo Stato non è solo ciò che deve garantire la difesa, ma pure tutti i servizi che possano far prosperare la vita dei cittadini (salute, istruzione e pensioni). Da un altro lato, abbiamo pagato a caro prezzo alcuni eventi storici: lo stesso Stato assistenziale, la caduta dell’URSS, la crisi generale del capitalismo, la globalizzazione economica, l’aumento dell’aspettativa di vita e l’assenza di ideali collettivi. Queste cause hanno determinato un problema fondamentale alla base della struttura economico-sociale: il lavoratore deve essere tutelato ma questo costa troppo. In poche parole, non abbiamo risorse sufficienti a garantire sia lo Stato di assistenza, in questi termini, che uno sviluppo economico competitivo a livello globale.
Dal punto di vista economico, cioè delle aziende, ci troviamo di fronte al fatto che il capitale straniero (costo della manodopera e dei materiali) è molto più competitivo rispetto al nostro proprio perché in Cina o in India i diritti dei lavoratori non sono considerati e, conseguentemente, il costo di un operaio è decisamente minore.
Dunque, l’industria occidentale si trova di fronte al problema di rispettare le leggi ed essere competitiva a livello internazionale. In questo senso, non c’è solo la pura e semplice volontà da parte delle industrie di aggirare i diritti dei lavoratori, ma la vera e propria necessità.
Dal punto di vista dei lavoratori, d’altra parte, si assiste alla drammatica situazione di chi si è ritrovato ad avere certi diritti, senza poterli più esercitare. Ciò da un momento all’altro. Chi aveva lottato per averli, aveva speso gran parte delle energie per essi. Ma le stesse difficoltà si ripresentano oggi, solamente, adesso si crede di avere determinati diritti, senza per questo poterli realmente esercitare.
Una dimostrazione di questo è proprio ciò che è avvenuto nella FIAT dove alcuni operai iscritti alla FIOM sono stati prima licenziati e poi reintegrati. Tuttavia, per mostrare chi comandava, la FIAT li ha costretti a stare senza lavorare, pur pagati, segregati e costretti a non parlare con i loro colleghi e non comunicare con i mezzi di informazione in modo proficuo. Gli organi ufficiali di stampa hanno taciuto o distorto i fatti in modo tale che non ci si possa in alcun modo fare un’idea della situazione. Stessa sorte è toccata ai calciatori. Secondo le dichiarazioni assurde di alcuni dirigenti di società calcistiche si tratta di “uno sciopero dei ricchi”: quest’affermazione tradisce proprio il problema. Non è questione di essere “ricchi o poveri” perché, almeno questo è chiaro, nella Costituzione si parla di lavoro e lavoratori e non dei loro stipendi: come ha giustamente detto il calciatore Oddo, i diritti non sono in proporzione ai soldi. Il fatto che i calciatori siano strapagati è una questione di leggi economiche e di accettazione di varie assurdità; non di diritti. Che la situazione aberrante della FIAT e dei calciatori sia grave è dimostrato proprio dai fatti: il silenzio, la diffamazione, la segregazione per chi difende i propri diritti. Allarmante la disonestà di chi presenta la faccenda: non si può ridurre al silenzio, attraverso la creazione di un clima di riduzione al ridicolo della parte debole, chi si trova a difendersi.
Siamo nel pieno di un rivolgimento storico dove non abbiamo chiarezza di quali siano le forze in campo. Ci troviamo di fronte a dei macroproblemi (la crisi del capitalismo occidentale) e dei microproblemi (i casi FIAT e lo sciopero dei calciatori) in cui non sapendo che fare, ci si ritrova a dover lottare senza sapere. Siamo di fronte al parossistico caso in cui non c’è mai stata tanta informazione e, allo stesso tempo, tanta ignoranza e poche idee.
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