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Il concetto di natura all’interno del sistema spinoziano, rapportato alle critiche storiche mosse dai maggiori autori del filosofo olandese riesce a sopravvivere al suo stesso autore, oppure è irragionevole assumerne ad oggi le implicazioni essenziali non incorrendo in grossolane incongruenze?
1. Evidenza Naturale
Decisamente più spesso di quanto intendiamo renderci conto, concetti oramai percepiti come elementari dalla maggior parte degli individui hanno il brutto vizio di risultare ben più sfuggenti se sottoposti ad un’analisi critica che tenti di cogliere gli elementi costitutivi del loro significato.
Ancora più frequenti sono quei casi, piuttosto perniciosi, in cui questo concetto sia soggetto ad un curioso fenomeno, preso in prestito dalla vulgata contemporanea, che potremo anche qui nominare “analfabetismo di ritorno”; ciò a causa di abitudini oramai cristallizzatesi in posizioni che reputano evidenti, se non superflue, determinati aspetti del concepire umano, quest’ultimo inteso nella più ampia delle accezioni possibili.
Cosi gli oggetti della ricerca passata non trovano più una progenie florida nella contemporaneità, venendo repentinamente annoverati fra le fila delle chimere, delle aporie, dei flogisti e degli eteri.
Non rimane che la storia delle idee a farne menzione, a volte per solo beneficio di archivio ma non cosi raramente anche in occasione di vere e proprie imprese che portano il passato della ricerca filosofica dinanzi al suo presente, proponendo dunque un confronto fra: le conclusioni, gli assunti, le trattazioni ed i problemi che hanno interessato la disciplina lungo i secoli, in modo da mettere in evidenza i traguardi come i regressi degli studi contemporanei.
Proprio in una simile prospettiva intenderei muovermi, seppur conscio che né il tempo né le mie attuali conoscenze mi permettono di procedere in questo lavoro nel modo e con i risultati che in principio ho auspicato, proprio a tal ragione ho preferito limitarmi a una sola delle tinte[1] che compongono lo spettro del panorama concettuale proprio della filosofia, andando a considerare i cambiamenti che una nozione come quella di Natura attraversa nelle interpretazioni del filosofo olandese B. Spinoza e dei suoi critici principali.
2. Natura e Assoluto
2.1 Assunti Principali
Senza dubbio interessante è notare quanto poco il termine Natura venga utilizzato dall’autore olandese nelle sue opere più mature soprattutto se prendiamo in considerazione soltanto le evenienze in cui questo abbia ragione di sostantivo e non di aggettivo, una simile osservazione potrebbe portare durante una lettura superficiale dei testi, a conclusioni altrettanto acerbe che, sorprendentemente, prenderebbero in seria considerazione ipotesi errate soltanto in parte.
La sensazione che, infatti, ci investe durante la lettura delle proposizioni spinoziane[2], specialmente se queste sono relative a Dio ed alla Sostanza, è paragonabile ad uno smarrimento nei confronti di principi che ( Questo è comprensibile anche da studenti di filosofia e non solo dai profani della materia ) consideriamo spesso e volentieri come universalmente dati e definiti.
Il Dio e la Sostanza spinoziana, imbevuti di assoluto, trovano difficoltà e legarsi con la forma mentis più comune lasciando soltanto intuire, nelle prime battute, quella che poi sarà la categorica affermazione dell’autore:
Della Natura viene affermato assolutamente tutto e che la Natura consiste perciò di infiniti attributi, ciascuno dei quali è perfetto nel suo genere: il che concorda perfettamente con la definizione che si dà di Dio.[3]
La carica olistica di questa definizione non lascia scampo alla tradizione, la Natura come “sostanza delle cose che hanno un principio di movimento in sé stesse”[4]viene scossa da una nozione che è immanente all’esistenza stessa e non accetta le mediazioni proprie di un sistema in cui la sostanza naturale non è altro che uno fra i comprimari dell’uomo.
Nella filosofia spinoziana è possibile riconoscere il medesimo impulso positivo che guida un autore come Cartesio, eppure “si può forse osservare che lo scopo al quale Descartes e Spinoza dirigono tutte le scienze, sia divergente: nel primo esso sembrerebbe conseguibile attraverso il dominio dell’uomo sulla Natura; in Spinoza attraverso il dominio dell’uomo su se stesso o nella perfezione etica.”[5]
Ed è proprio in questa identità che Spinoza stabilisce fra Natura ed Assoluto che risieda la novità, non v’è più creatore e creatura, il rapporto di imperfezione che lega il creato al proprio trascendentale di riferimento viene annichilito dalla “conoscenza dell’unione che la mente stessa ha con tutta la Natura nella sua perfezione e universalità”[6].
Un simile assunto non poteva che scatenare le ire di quelle autorità religiose che al tempo ancora stentavano a digerire quel libro della natura scritto in lingua matematica[7] (Non a caso Spinoza pubblica con il proprio nome soltanto i Renati DesCartes Principia Philosophia seguiti dai Cogitata Metaphysica), ma quello che potrebbe sorprendere di più è l’avversione che numerosi intellettuali, del suo tempo e successivi, hanno mostrato per le conclusioni date dal sistema Spinoziano.
Alcune fra le più numerose testimonianze ci vengono dall’epistolario dell’autore in cui interlocutori suoi contemporanei gli muovono critiche, più o meno fondate, riguardanti gli aspetti più ostici delle teorie avanzate in opere come l’Ethica o il Trattato Teologico Politico, in esse perdurano i dubbi che affliggono gran parte dei lettori del filosofo olandese e non si registrano dunque incomprensioni macroscopiche, almeno sino a quando l’autore non si confronta con interlocutori animati da particolari fervori religiosi, sono proprio quest’ultimi ad essere scaturigine delle accuse più fatalistiche e magniloquenti.
Essi ravvedono già nel Dio Spinoziano – quindi nella sua Natura – il riflesso di un ateismo che abbandona l’alveo della mera contestazione[8] per accomodarsi in una formalizzazione che riflette l’impulso della temperie culturale moderna.
A queste accuse Spinoza si sottrae sempre con stile e singolare misura ma sono le critiche di Stensen[9] e Van Blyenberg[10]a rendere celebri due argomenti che segneranno le future interpretazioni che altri autori daranno dell’opera spinoziana.
Il primo par ravvedere nella fisica esposta nell’Ethica “ una religione di corpi, e non di anime”e accusa il filosofo olandese di contemplare nella propria definizione di morale “le azioni necessarie alla conservazione della specie” senza curarsi assolutamente di quanto concerne la conoscenza e l’amore del creatore.
Quanto una simile affermazione tange il precetto naturale in Spinoza? La Natura in esso è assoluta si, ma può esserlo nella misura in cui può arrivare a coinvolgere la morale ?
2.2 Una Natura Morale
Ciò parrebbe sostenibile almeno se si assumono come valide le conclusioni spinoziane che prendono piede dalla definizione VI della seconda parte dell’Ethica ovvero:
Per realtà e perfezione intendo la stessa cosa.
La realtà dunque in cui si trovano a muoversi le più comuni norme morali, altro non è che la perfezione dell’ordine necessitato, silloge dell’unica sostanza divina .
Una simile norma metaetica può però considerarsi come riconducibile ad un potenziale panorama materialistico[11], pur prendendo atto della relazione sussistente fra virtù e necessità ?
Inutile aggiungere quanto una simile conclusione possa essere estranea all’autore in oggetto visto che le maggiori correnti materialistiche andranno a formarsi con almeno un secolo di distanza, ma volendosi far fregio di argomentazioni più articolate, si potrebbe obiettare che: una morale sostanzialmente materialistica oppure utilitarista[12] articolerebbe il proprio calcolo sempre tenendo bene presente la perfettibilità e la finitezza dell’ambito in cui si trova ad agire, senza rimandare nulla a principi di trascendenza che possono essere annoverati fra i problemi classici della Metafisica.
La Natura spinoziana è invece morale nella misura in cui è la morale a far parte del suo ordine necessario[13], essa non trova dimensione diacronica, non crea il mondo grazie ad un’emanazione continua che procede tramite gradi di degradazione, come nel quadro neoplatonico dipinto da Plotino; nel caso spinoziano la sostanza divina dà il mondo in sincronia con la propria esistenza ma non è essa stessa a formare la condotta etica dei singoli.
Questi saranno immersi nella perfezione della realtà naturale, ma starà a loro concentrare la loro potenza tramite la comprensione razionale della propria essenza, questa sarà detta l’unica ed accettabile virtù.
Non rimane dunque che da rispondere alla domanda posta nel paragrafo precedente: la Natura spinoziana non può essere definita morale proprio in quanto la propria costituzione ontologica ne limita ogni predicazione, è però del tutto plausibile che la teoria ideata da Spinoza possa sussumere una pratica morale coerente, specialmente se viene presa in considerazione la teoria degli affetti e la loro commisurazione che, alla luce delle moderne teorie etiche individualiste, non costituiscono se non uno dei possibili panorami possibili.
Inoltre rivedere gli assunti morali determinanti nelle definizioni asettiche dell’Ethica potrebbe essere fuorviante, visti anche i limiti espressivi che un metodo come quello geometrico impone, più pregnante potrebbe risultare dunque l’analisi delle appendici e degli scolii dove sovente viene ricordato quando l’esistenza debba si costituire in una meditazione sulla vita e come sia proprio l’amore [14]– sebbene quello intellettuale – la chiave di volta fra il trascendentale ed il contingente, fra Dio e l’Uomo.
2.3 Una Natura razionale, oppure religiosa?
Non rimane quindi che considerare l’ulteriore critica avanzata da Van Blyenberg, filosofo interlocutore di Spinoza in numerose epistole, che interpreta il ferreo determinismo spinoziano in una chiave dicotomica.
Van Blyemberg ravvede con estrema chiarezza quelli che erano e sono tutt’oggi alcuni dei punti più controversi del paradigma spinoziano, egli difatti distingue all’interno di questo i due modi d’essere che contraddistinguono il filosofo e l’essere umano[15], vi si trova dunque combattuto nella scelta dell’uno o dell’altro soprattutto se rapportato alle differenti fasi che l’interpretazione di un sistema fortemente inclusivo, come quello spinoziano, richiede.
Le stesse parole dell’epistola a cui mi riferisco confermano ciò:
Se io giudicassi la vostra lettera sulla sola base della mia prima regola, escludendo la seconda come se io non me la imponessi o essa non sussistesse, molte cose dovrei ammettervi, come infatti vi ammetto, e i vostri sottili concetti si imporrebbero alla mia approvazione. Ma la seconda regola mi obbliga a dissentire maggiormente da voi.[16]
Il filosofo approva in prima istanza le conclusioni offertegli dal pensiero spinoziano, non può però esimersi dal lasciare inascoltata quella parte di lui interessata a rivolgere la propria attenzione nei riguardi della consolazione cristiana egli ,infatti, ammette :
A questo, appunto, sembrano condurmi le vostre opinioni, per le quali cessando io di esistere quaggiù, cesserò di esistere anche in eterno; mentre quel verbo e la volontà di Dio mi consolano con l’interiore testimonianza che dopo questa vita godrò di uno stato più perfetto nella contemplazione della perfettissima Deità.
A nulla vale dunque lo sforzo del filosofo olandese quando alla ragione si preferisce la religione, del resto proprio quest’ultima all’interno del suo sistema altro non è che una contingenza che occorre all’interno degli infiniti modi relativi agli attributi infiniti della sostanza divina – Natura Naturante[17]-, in più questa deve essere quanto più limitata alle sue forme meno virulente, che possano quindi evitare all’uomo di soccombere alle affezioni[18] più deleterie per la propria essenza.
Come già menzionato in precedenza, simili affermazioni non possono che urtare la sensibilità religiosa degli intellettuali coevi all’autore oggetto di questo testo, il numero degli elogi è spesso ,infatti, pareggiato se non superato,
dalla quantità di spergiuri che buona parte degli intellettuali europei sprecavano al solo realizzare ove la sostanza spinoziana li avrebbe portati.
Abbiamo cosi la schietta accusa mossa da Van Velthuysen, secondo cui Spinoza “insegna con sottili e larvati argomenti uno schietto ateismo”[19]; seguita dalla lettura che Bayle dà di Spinoza nel celebre articolo che gli dedica all’interno del Dizionario Storico Critico, a ragione di questi l’ipotesi spinoziana non “è esposta a difficoltà minore dell’ipotesi cristiana” e per di più quest’ultima “ci si presenta con maggiore evidenza”.
La conclusione di Mignini proprio riguardo a quest’ultimo aspetto è, a mio parer mio, decisamente efficace: egli prende atto della pari difficoltà che entrambe queste teorie debbono affrontare e ne conclude che “se le difficoltà sono pari, come può Bayle affermare che l’ipotesi comune è al tempo stesso più vera e più comoda ? Più comoda forse, ma non certo più vera, per la stessa premessa posta ”[20].
Bayle non si accontenta però della mera analisi, egli indaga a fondo nella vita del filosofo di suo interesse, lasciando cosi che siano proprio le sue notazioni all’ articolo a rendere giustizia dei toni particolarmente sprezzanti utilizzati nel testo principale.
All’interno delle note Spinoza viene disegnato si come un ateo ma lo stupore di Bayle è nel constatare quanto costui sia persino virtuoso a causa di questo, in più comincia a sorgere l’immagine di uno Spinoza come eroe della ragione.
Eroe che se inizialmente viene adulato da Leibniz, si trova infine aggredito da questi parimenti ad altri, il filosofo di Lipsia si troverà infatti a dichiarare:
“Egli (Spinoza) è veramente ateo, cioè non ammetteva l’idea di una Provvidenza dispensatrice di beni e di mali secondo giustizia, e credeva di averne dato dimostrazione”.[21]
Pare dunque che oramai la critica si sia acquietata sull’ateismo del filosofo olandese, lasciando però temporaneamente da parte l’interpretazione di matrice hegeliana, concentriamoci verso una rivalutazione dei giudizi fino ad ora elencati, prendendo però atto degli sviluppi più che gli studi sul fenomeno religioso hanno avuto.
Assumendo dunque come valide le premesse di una religione come effetto di un fenomeno “numinoso”, si possono avanzare numerose ipotesi su quello che il sistema spinoziano potrebbe venire a rappresentare alla luce di queste.
Innanzitutto è impossibile negare la carica di fascino che l’intera costruzione geometrica suscita, riportando ogni elemento costituente l’esistere generico all’interno di una sostanza divina che rappresenta l’oggetto verso cui “l’istanza filosofica, pur senza rinunciare a un movimento di natura eminentemente razionale, trae valore e significato esclusivamente dall’oggetto a cui tende che è divino”.[22]
Questo corrisponderebbe con una definizione facilmente accostabile ad un modello di Filosofia Religiosa, tuttavia non risulta soddisfacente, specialmente se si considerano le radici del pensiero spinoziano, che affondano nella filosofia ebraica e nella teologia omonima.
I rapporti fra teologia e religione si risolvono in Spinoza con una netta propensione per la prima, soprattutto se si prende atto della ricerca filologica portata avanti nel Trattato Teologico Politico, dove la scrittura viene ridotta una rappresentazione allegorica di dottrine morali individuate in un contesto cronologico e sociale circostanziato[23].
Non v’è dunque spazio per una fiducia incondizionata nelle verità scritturali rivelate? Rimane ancora difficile ammettere che il pensiero spinoziano sia del tutto scevro di elementi religiosi, rimangono ,infatti, emblematiche quelle ultime parole dell’ etica cosi rivolte verso l’amore divino, amore divino che avanzando un’ipotesi audace, potrebbe essere l’unica rivelazione ammessa da un Dio immanente all’universo stesso.
3. Il Rapporto Uomo – Natura
Avendo affrontato quegli argomenti che hanno costituito il cardine della critica a Spinoza lungo i decenni, è opportuno sublimare le considerazioni fatte in merito ai principali connotati riscontrabili nell’interpretazione spinoziana della Natura procedendo verso quella sintesi che rappresenti l’intero contingente, investito dalle proprietà che regolano il panorama filosofico ideato dal filosofo olandese.
Non può ,infatti, sfuggire quanto la Natura Naturata, definita da Spinoza come “tutto ciò che deriva dalla necessità della natura di Dio, o di ciascuno dei suoi attributi, in quanto considerati come cose che sono in Dio e che non possono essere né esser concepite senza Dio”, appaia come definita e messa meglio in evidenza dalle proprietà che la interessano che dai presupposti che la rendono tale.
Inoltre è possibile dire lo stesso dei singoli esseri umani che paiono trovare una forma ben più calcata, se messi a confronto con i sentimenti, i desideri e le volizioni che li interessano.
Di ciò posiamo avere evidenza se riprendiamo la definizione VII [24]della seconda parte dell’Ethica, siamo dunque giustificati a ripercorrere in senso opposto il criterio di identità che lega la Natura ai propri modi, criterio che può essere applicato, senza neppure forzare di troppo l’analogia, alle stesse circostanze che coinvolgono un singolo essere umano, il cui corpo “è composto da moltissimi individui assai composti”[25], e la natura intesa come “ un unico individuo, le cui parti, cioè tutti i corpi, variano in infiniti modi senza alcun mutamento dell’individuo nella sua totalità”[26].
L’argomento che sta creandosi vuole infine giungere alla figura ultima di quella manifestazione naturale che sussume contingenza e trascendenza; l’essere umano si ritrova cosi a dover sfuggire al proprio stato di natura attraverso la macchina politica, soluzione efficiente rispetto alla potenza ottenibile, in modo da poter permanere nel proprio essere.
Il conatus, lo sforzo che soggiace alla sussistenza dei singoli, opera attraverso l’ingegno umano, sviluppando nell’affresco del buon governo la silloge dell’ assoluto.
La natura non più soltanto come “l’insieme versatile e complesso delle singolarità”[27]ma bensì la presa di coscienza che il rapporto fra assoluto e l’individuato si è realizzato nell’identità.
La natura spinoziana racchiude l’uomo e tutte le caratterizzazioni dello stesso, essa intimorisce per non poter essere confutata se non assumendo un dominio ideale del tutto alieno ad essa.
Il libro stesso dell’Ethica assume i tratti monolitici di un’opera che appare priva di principio o conclusione, il metodo che la compone supera il vincolo delle pagine e si lega indissolubilmente alle sue premesse realizzando l’unità persino nella elementare forma della carta stampata.
4. Conclusioni
Preso atto delle implicazioni che la Natura intesa alla maniera spinoziana può avere negli aspetti: morale, religioso, sociale[28] ed in ultima battuta olistico.
Può sembrare oramai chiaro quanto un concetto cosi espresso e definito possa risultare alieno alla attuale percezione dello stesso da parte del sentire comune ma persino della stessa comunità intellettuale, che manifesta un evidente allineamento verso la percezione di una Natura disponibile all’essere umano e contrapposta ad esso nella misura in cui entrambi fanno parte di un kosmos storicamente ordinato e costituito.
Non pare esservi dunque spazio per una dottrina che fa dell’immanenza naturale il proprio baluardo e da cui non può che discendere una sostanziale “indisponibilità della Natura” [29]che renderebbe senza alcun dubbio difficoltoso, almeno concettualmente, perpetrare molte delle politiche odierne, fra cui anche quelle relative al cosi tanto pubblicizzato sviluppo sostenibile.
A ciò si potrebbe forse rispondere constatando che l’uomo abbia nell’ultimo secolo affermato la propria potenza d’azione sulle cause esterne, avendo formato un processo di espansione continua dell’idea di Natura che coinvolge strettamente l’esperienza che l’essere umano ha dell’universo, approderemmo cosi ad una soluzione che già a suo tempo affascinò Montaigne spingendolo a dire “come la nostra nascita comporta la nascita di tutte le cose , cosi la nostra morte comporterà la morte di tutte le cose”[30], supponendo dunque una natura sottoposta al medesimo processo di ontogenesi cui è soggetto il genere umano.
Da tutto ciò pare però difficile non ricavare soluzioni che non siano aporetiche, non resta dunque che ammettere che la Natura Spinoziana ci incute ancora il medesimo timore che Bayle provò, intuendo che questa filosofia potesse anche essere inattaccabile alle critiche della sola ragione[31].
Rimane forse questa il motivo per cui nella Storia della Filosofia, l’inconfutabile Natura spinoziana sia rimasta sconfitta dal tempo e dalla ricerca, spesso ripresa e valutata, assunta come principio del filosofare ma, spesso e volentieri, abbandonata per quelle passioni e quelle consolazioni che parrebbe tanto osteggiare.
BIBLIOGRAFIA
- Spinoza B., Etica e Trattato Teologico Politico a cura di Remo Cantoni e Franco Fergnani, UTET, Torino 2005.
- Mignini F., Introduzione a Spinoza, Laterza editore, Bari 2006.
- Negri A., Spinoza, Derive e Approdi editore, Roma 2006.
- Borges J.L., L’Aleph, Feltrinelli editore, Milano 2007.
- Brague R., La saggezza del mondo, storia dell’ esperienza umana dell’universo, Rubbettino editore, 2005.
- Mori M., Storia della Filosofia Moderna, Laterza editore, Bari 2005.
- Ravera M., Introduzione alla filosofia della religione, Utet editore, Torino 2005.
- Fornero G., Bioetica Cattolica e Bioetica Laica, Bruno Mondadori editore, Milano 2005.
[1] Multicolore anch’essa come è mia intenzione mettere in evidenza.
[2] Nello specifico intendo riferirmi al secondo capitolo del Breve Trattato su dio l’uomo e il suo bene.
[3] Dal secondo capitolo del Breve Trattato su dio l’uomo e il suo bene si trae anche la definizione di Dio a cui l’autore si riferisce : “ Dopo aver dimostrato che dio esiste, sarà tempo, ora di dimostrare che cos’è. Egli, diciamo, è un essere del quale tutto viene affermato, cioè infiniti attributi, ciascuno dei quali , nel suo genere, è infinitamente perfetto.”
[4] In riferimento alla fisica aristotelica.
[5] Vedi F.Mignini, Introduzione a Spinoza p. 21
[6] Vedi F.Mignini, Introduzione a Spinoza p. 19
[7][7] Vedi G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.
[8] Questa affermazione potrebbe non risultare del tutto veritiera ad un esame più attento, specialmente se si prendono in considerazione le reazioni che la comunità ecclesiastica ha avuto dinanzi alla smentita della donazione costantinea operata da Lorenzo Valla e dai numerosi scritti che già nei secoli successivi a questo affollano le biblioteche veneziane, specialmente in riferimento ai movimenti scismatici avutisi all’epoca della controriforma.
[9] Epistola 67A
[10] Epistole 18 e 20
[11] Da intendere non nelle sue manifestazioni ontologico – metafisiche ma ,altresi, in quelle forme di materialismo etico che investono il panorama capitalistico odierno, specialmente in relazioni alle morali individualistiche e contrattualistiche più radicali.
[12] Prendo qui in considerazione questa ulteriore corrente di pensiero in quanto mantiene alcuni punti di contatto con la morale spinoziana, soprattutto se si considerano i meccanismi geometrici per il calcolo del piacere e del dolore nonché gli assunti fondamentali che rifiutano ogni principio normativo.
[13] Ciò detto è da segnalare il fatto che
[14] Questo non sconvolge il panorama affettivo delineato da Spinoza, difatti in questo i sentimenti sono riferiti alla mente umana e sono “idee confuse con cui questa afferma una forza di esistere del proprio corpo o di una sua parte, maggiore o minore di prima, data la quale, la mente stessa è determinata a pensare una cosa piuttosto che un’altra”.
[15] Da notare il fatto che nell’orizzonte di senso proprio di quella temperie culturale, l’essere umano non poteva non essere un animale religioso se non addirittura animale cristiano.
[16] Epistola 20 di Van Blyemberg
[17] per Natura naturans dobbiamo intendere ciò che è in sé e per sé è concepito, ossia quegli attributi della sostanza che esprimono un’essenza eterna e infinita, cioè (per il Cor. I della Prop. 14 e il Cor. 2 della Prop. 17) Dio, in quanto è considerato causa libera.
[18] A tal proposito è interessante osservare il ruolo che la religione, nel Trattato Teologico Politico, assume in seno alle differenti forme di governo.
[19] Ep. 42
[20] F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza Editore
[21] Discorsi di Metafisica, a cura di H.Lestienne, Paris1929.
[22] M.Ravera, Introduzione alla filosofia della religione.
[23] Ovvero quello ebraico antico.
[24] “Per cose singole intendo le cose che sono finite e hanno una determinata esistenza. Infatti se più individui concorrono in una medesima azione in modo da essere tutti contemporaneamente causa di un solo effetto, li considero come una singola cosa”.
[25] Scolio, Proposizione XV, Parte seconda dell’Ethica.
[26] Scolio, Lemma VII, Proposizione XII, Parte seconda dell’Ethica.
[27] A. Negri, Spinoza p.97
[28] Purtroppo ridotto più del voluto per ragioni di spazio.
[29] Traduzione del principio Bioetico relativo all’indisponibilità della vita proprio della Bioetica Cattolica.
[30] Montaigne, E, I, 20; t. I, p.166
[31] F. Mignini, Introduzione a Spinoza, p.185
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