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Introduzione
Lo scenario negli anni successivi alla prima guerra mondiale vedeva la Russia zarista ridotta in miseria, alla fame e in uno stato di impoverimento generale, causato dagli imponenti sforzi bellici che gli Stati avevano dovuto compiere per Grande Guerra. Per quanto concerne la Russia, nel 1917, anno in cui si ritirò dalla guerra, le perdite ammontavano fra morti, feriti e prigionieri a più di sei milioni di persone. Inoltre, con il trattato di pace firmato a Brest-Litovsk, cittadina della Bielorussia, nel 1918 si sancì che Estonia, Lituania, Lettonia, Finlandia e Polonia potessero avviare un processo di indipendenza statale, cercando la forma migliore di autogoverno senza dipendere più dalla monarchia centrale zarista, punto che verrà ratificato anche nel trattato di Versailles nel 1919. È Rispetto a tutti gli avvenimenti causati dalla rivoluzione, quest’incipit è del tutto modesto[i] se paragonato a tutti gli eventi successivi che scossero la Russia. Questa fu la più importante rivoluzione verificatasi in uno stato fin dai tempi della rivoluzione francese, non solo per la quantità di vittime, ma proprio per il totale sconvolgimento degli apparati di governo che essa comportò. Analizziamo adesso qui di seguito i sanguinosi anni della rivolta dalla caduta della monarchia zarista all’insediamento di un governo bolscevico.
1917
Le gravi perdite della prima guerra mondiale, sia dal punto di vista territoriale, ma soprattutto dal punto di vista delle perdite umane, costituirono la scintilla che scatenò l’incendio nella Russia, già pronta a prendere fuoco. Il 23 febbraio del 1917 circa 80.000 operai si riversarono nelle strade di Pietrogrado, la capitale dell’impero zarista, protestando per l’imponente tributo di morti e di fame per la prima guerra mondiale, una guerra combattuta per ragioni di politica di potenza e fatta pagare interamente sulla popolazione: in pochi giorni i manifestanti riuscirono a trovare l’appoggio delle forze armate zariste che si schierarono dalla loro parte. Lo zar tentò di sedare la manifestazione con il pugno di ferro, comandando ai suoi soldati di ristabilire l’ordine. Ma questi si ammutinarono ed è così che Nicola II fu costretto ad abdicare e ad accettare la formazione di un governo provvisorio presieduto da commissioni popolari.
La rivoluzione incombeva e con il crollo del regime zarista seguì il tracollo dell’apparato militare russo: molti reggimenti si autogestirono, rifiutando l’autorità dei generali. Quello stesso anno la Russia si trovò a dover ridurre gli sforzi bellici esteri per necessità interne e gestire i rivolgimenti politici interni. Tuttavia ciò comportò lo stravolgimenti eccessivo dei confini ebbe modo di condurre impotenti attacchi contro l’esercito austro-tedesco, come vedremo.
Il governo provvisorio fu presieduto dal liberale Georgij L’vov per iniziativa dei membri della Duma. Obiettivo dichiarato di questo governo, sostenuto oltre che dai gruppi di liberaldemocratici, dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, era quello di rientrare in guerra al fianco dell’Intesa per riprendersi i territori perduti e, nel contempo, promuovere un occidentalizzazione delle strutture di governo. Inoltre il governo riconosceva l’importanza di una riforma agraria che non fosse più basata su uno stampo di tipo feudale.
Il partito dei socialisti rivoluzionari era diviso in più gruppi dalle correnti molto eterogenee formate da democratici radicali, come Aleksandr Kerenskij, ma anche da figure di stampo anarchico che promuovevano gli attentati terroristici: entrambi gli schieramenti auspicavano, prima di un governo di loro piacimento, il passaggio intermedio ad una forma di governo di tipo democratico-borghese.
Così si andò a formare nel maggio del 1917 il secondo governo presieduto da L’vov. Gli unici che rifiutarono questo governo furono i bolscevichi, convinti che solo la classe operaia unita in alleanza con gli strati sociali più bassi della massa rurale russa, potesse assumersi la responsabilità della guida del paese. Tuttavia colti di sorpresa dalla rivoluzione in cui versava il paese, dovettero assumere una posizione attendista. L’ideologia politica bolscevica traeva le sue ragioni nel marxismo.
Il partito dei bolscevichi fondò i soviet, istituzione creata durante la rivoluzione del 1905, che consisteva in consigli di operai, una delle prime assemblee elettive istituita già ai tempi della Russia imperiale. L’iniziativa della formazione del soviet di Pietrogrado venne dai membri del gruppo operaio centrale, liberati dalla prigionia. Sotto la direzione di Gvozdev, il gruppo fondò al palazzo di Tauride (uno dei più grandi e importanti palazzi di Pietrogrado sede di grandi avvenimenti storici), un comitato esecutivo provvisorio del Consiglio dei deputati degli operai. Il comitato invitò i lavoratori delle fabbriche ad eleggere un deputato ogni mille operai e uno ogni reparto.
Il soviet decise di inviare commissari nei quartieri per creare dei comitati rivoluzionari e una milizia operaia, nello stesso tempo riconobbe nell’esecutivo la presenza dei partiti socialisti. Furono create commissioni con diverse competenze, tra cui una per gli approvvigionamenti, una per le finanze, una per la stampa. I soviet si organizzarono su questa solida base.
Questa era la situazione nell’aprile del 1917, quando Lenin fece ritorno in patria dopo un viaggio in treno dalla Svizzera, sua terra d’esilio: il suo viaggio fu possibile grazie all’aiuto delle autorità tedesche che auspicavano che, una volta tornato in Russia, Lenin scoraggiasse un nuovo intervento bellico nel grande conflitto mondiale. Appena giunto a Pietrogrado, Lenin divulgò delle tesi, chiamate in seguito dagli storici “tesi di aprile”, in un documento redatto in dieci punti in cui rifiutava la possibilità di un governo di matrice borghese, per la preferenza di un governo diretto dalle masse operaie: questa visione politica rovesciava nettamente quella che era la visione della rivoluzione marxista ortodossa, che nei decenni aveva sviluppato un pensiero secondo cui la rivoluzione operaia sarebbe avvenuta prima nei paesi più sviluppati come risultato delle contraddizioni del sistema capitalistico. Invece fu proprio la Russia il terreno fertile in cui ci furono le condizioni favorevoli per mettere in crisi il sistema politico.
Nei mesi successivi ci furono aspri scontri fra le fazioni politiche opposte, fra le truppe ancora fedeli al governo provvisorio e i bolscevichi, e proprio questi ultimi all’inizio ebbero la peggio, tanto che molti, fra cui lo stesso Lenin, furono costretti a fuggire. Ma per il governo provvisorio di L’vov fu l’ultimo successo: infatti ad agosto L’vov si dimise per dare spazio a Kerenskij. Il preludio del fallimento fu la sconfitta in campo di battaglia dell’offensiva contro gli austro-tedeschi. Ora l’esercito auspicava che il potere passasse nelle mani del generale Kornilov e fu proprio quest’ultimo in settembre a chiedere che il potere del governo passasse nelle mani dell’esercito e, di fatto, nelle sue mani. Kerenskij fu costretto a chiedere l’aiuto di tutti quelli che potessero portare in mano un fucile, compresi i bolscevichi, nuovamente capeggiati da Lenin tornato in patria clandestinamente. Grazie a questa comprensiva alleanza momentanea delle forze politiche interne, Kerenskij riuscì a stroncare il colpo di stato militare del generale Kornilov. Ma da questa situazione uscì rafforzato il partito bolscevico, che conquistò la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca. Siamo così giunti al mese di ottobre e per questo consigliamo il celebre, straordinario film del meastro Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Ottobre, i dieci giorni che sconvolsero il mondo.
La decisione di rovesciare il governo di Kerenskij fu presa il 23 ottobre del 1917 dal partito bolscevico in una drammatica riunione di partito in cui Lenin dovette fronteggiare le varie opposizioni presenti all’interno dello stesso. Era presente alla riunione anche il compagno a lui fedele, Trotzkij, che proveniva dalla sinistra menscevica, ma che si unì in seguito ai compagni bolscevichi, diventando il presidente dei soviet di Pietrogrado: fu proprio lui la mente dell’insurrezione d’ottobre. Dopo circa due giorni di scontri e, soprattutto, dopo che le truppe smisero di essere fedeli al presidente Kerenskij, i soldati rivoluzionari e le guardie rosse composte di milizie operaie armate, cinsero in assedio il Palazzo d’inverno, sede prima degli zar ora del governo provvisorio, e se ne impadronirono la sera del 25 ottobre. L’assalto al palazzo è stato l’evento simbolo della rivoluzione, equiparabile alla presa della Bastiglia da parte dei rivoluzionari francesi nella rivoluzione francese. Al contrario della rivoluzione francese, negli scontri d’ottobre che portarono alla presa del potere furono pochissime le vittime, cadute per lo più in momenti di confusione. Il motivo principale per l’assenza di grandi spargimenti di sangue era dovuta allo scarso appoggio popolare al governo Kerenskij.
Nel momento stesso in cui cadde il governo, venne subito convocato un Congresso generale dei soviet presso Pietrogrado, l’assemblea di tutti i delegati dei soviet e di tutte le provincie dell’ex impero Russo. Da subito vennero approvati due decreti: nel primo si faceva appello a tutti i paesi belligeranti affinché si tornasse ad avere in Europa uno stato di pace giusta e democratica, come disse Lenin, senza annessioni e senza indennità (affermazione smentita successivamente dal trattato di Versailles). Il secondo decreto stabiliva invece che la grande proprietà privata terriera dovesse essere abolita immediatamente e senza alcun indennizzo: era chiaro che il nuovo governo mirava ad avere il totale consenso delle masse contadine, sfruttate con un sistema ancora vincolato dal rapporto di natura feudale tra il proprietario terriero nobile e i lavoratori. Nel frattempo le forze dell’opposizione, come i menscevichi, ebbero un tracollo nella considerazione popolare: alle elezioni sull’Assemblea costituente i menscevichi ottennero solo 175 su 707 disponibili. I veri vincitori delle elezioni furono i socialisti democratici rivoluzionari, ma i bolscevichi non intenzionati a perdere il potere acquisito con un colpo di forza sciolsero la Costituente socialista, grazie all’intervento di reggimenti militari bolscevichi. Lenin rimase infatti coerente alle sue linee di pensiero, che non includevano forme di democrazia borghese e riconosceva solo nel proletariato il diritto di guidare il processo rivoluzionario attraverso i soviet, vale a dire i gruppi di operai riconosciuti e, attraverso il partito, quell’organizzazione di cui proprio Lenin andava fiero.
1918-1920
Se fu relativamente facile la conquista del potere da parte dei Bolscevichi, malgrado i mezzi adottati, fu particolarmente difficile invece riuscire a mantenere saldo il controllo su di un paese di così grandi dimensioni e diversità etniche e necessità. E fu complesso governare una società arretrata come quella russa, lasciata in una condizione di indigenza e ignoranza dal regime zarista. Inoltre i bolscevichi non poterono contare su altre forze politiche, se non su loro stessi. Lenin scrisse in quell’anno il saggio intitolato Stato e rivoluzione, nel quale riprendeva le sue teorie dello stato marxista, che prevedeva la presa del potere solo attraverso la prevaricazione di una componente politica su di un’altra: la classe operaia su quella borghese. Credeva soprattutto che non ci fosse bisogno di parlamenti e uomini che rappresentassero lo stato: infatti, grazie alla presenza dei soviet, questo si sarebbe potuto (dovuto) autogovernare.
Inoltre dopo il trattato di Brest-Litovsk del marzo 1918, i bolscevichi persero un’altra partita, perché dovettero trattare in condizioni di grave inferiorità, stante la vittoria completa della Germania, che aveva acquisito buona parte dei territori di confine russi: i bolscevichi perdevano i loro unici alleati, i socialrivoluzionari di sinistra fedeli a Lenin, ciò grazie alla scelta di scendere a trattare per la pace. Questo trattato fu deleterio sia in campo internazionale che nazionale: infatti, gli stati che facevano parte dell’Intesa avevano paura che la rivoluzione bolscevica potesse espandersi a macchia di leopardo sul resto del continente europeo e, così, segretamente, cominciarono a sostenere le forze antibolsceviche in Russia.
Fra la primavera e l’estate del 1919 si ebbero diversi sbarchi, prima nel settentrione e poi sul Mar Nero, di truppe inglesi e francesi per contrastare i bolscevichi. L’arrivo degli stranieri antibolscevichi rafforzò le fazioni politiche conservatrici, le cosiddette armate bianche, e questo fu il preludio alla guerra civile. Da subito l’ammiraglio zarista Kolciak assunse il controllo di vasti territori della Siberia, arrivando nell’estate del 1918, nella zona fra gli Urali e il Volga. Altre truppe, sempre nella Russia settentrionale, combattevano comandate dal generale Denikin al fianco dell’Intesa, dove tra l’altro era presente anche un gruppo di guerriglia contadina ostile sia ai bianchi che ai rossi: molte popolazioni della Russia infatti, è importante sottolinearlo, vissero in terre estreme spesso dimenticate e ignorate da tutti gli zar; terre ancora in cui l’informazione non arrivava e si viveva pressoché di sussistenza in uno stato di perenne miseria. Ecco spiegato perché in certe zone della Russia non vi fu schieramento né per i bianchi né per i rossi, ma solo per se stessi.
Nel frattempo il governo dei bolscevichi si avviava verso una dittatura rivoluzionaria, ove andavano accentuandosi i suoi caratteri autoritari, lasciando da parte le utopie antimilitariste: la forza armata era necessaria più che mai. Venne istituita la Ceka, una polizia politica, e parallelamente a questa venne istituito un Tribunale rivoluzionario centrale, col compito di processare chiunque non ubbidisse al governo rosso. Inoltre nel 1918 vennero dichiarati illegali tutti i partiti e i bolscevichi si riorganizzarono in un esercito che denominarono Armata rossa degli operai e dei contadini. Trozkij fu il principale artefice di questa operazione e trasformò una potente milizia popolare in una macchina da guerra fondata su una ferrea disciplina. Il film dei fratelli Vassiliev del 1934 Ciapaiev narra con precisione gli avvenimenti della rivoluzione bolscevica di questi anni. La creazione di un esercito così potente consentì ai bolscevichi di difendere il loro stato di interessi e la loro posizione politica. Le truppe controrivoluzionarie, malgrado l’aiuto delle forze dell’Intesa, erano divise e mal coordinate, per motivi soprattutto di distanza geografica.
Dopo un anno di terribili lotte e sanguinosi scontri, nell’estate del 1919 si giunse alla fine della guerra civile e i bianchi persero l’appoggio delle truppe occidentali, stremate anch’esse dalla guerra mondiale, e furono così sconfitte. Seppure sembravano finite le tragedie umane e militari, tuttavia la Russia dovette affrontare una nuova guerra contro il neostato polacco, previsto dagli accordi di Versailles. Nel 1920, dopo che i russi si lanciarono in una potente controffensiva, erano riusciti ad arrivare alle porte di Varsavia, i polacchi mossero un attacco decisivo che costrinse i russi a una precipitosa ritirata: nel dicembre del 1920 venne firmato un armistizio e poi la definitiva pace nel marzo 1921. La Polonia accorpò nel suo territorio i territori della Bielorussia e dell’Ucraina, ma per la Polonia meno di vent’anni dopo ci sarebbe arrivato un futuro molto meno roseo di quello che si prospettava in quegli anni.
IL DOCUMENTO DELLE DIECI TESI DI APRILE DI LENIN[ii]
1. Nel nostro atteggiamento verso la guerra, che, da parte della Russia, anche sotto il nuovo governo di L’vov e soci, rimane incontestabilmente una guerra imperialistica di brigantaggio, in forza del carattere capitalistico di questo governo, non è ammissibile la benché minima concessione al “difensivismo rivoluzionario”.
Il proletariato cosciente può dare il suo consenso ad una guerra rivoluzionaria che giustifichi realmente il difensivismo rivoluzionario solo alle seguenti condizioni: a) passaggio del potere al proletariato e agli strati più poveri dei contadini che si schierano dalla sua parte; b) rinuncia effettiva, e non verbale, a qualsiasi annessione; c) rottura completa ed effettiva con tutti gli interessi del capitale.
Data l’innegabile buona fede di larghi strati dei rappresentanti delle masse favorevoli al difensivismo rivoluzionario, che accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista, e poiché essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna spiegar loro con particolare cura, ostinazione e pazienza, l’errore in cui cadono, svelando il capitale insolubile fra il capitale e la guerra imperialistica, dimostrando che è impossibile metter fine alla guerra con una pace veramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale.
Organizzare la propaganda più ampia di questa posizione nell’esercito combattente.
Fraternizzare.
2. L’originalità dell’attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima fase della rivoluzione, che ha dato il potere alla borghesia a causa dell’insufficiente grado di coscienza e di organizzazione del proletariato, alla sua seconda fase, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini.
Questo passaggio è caratterizzato, anzitutto, dal massimo di possibilità legali (fra tutti i paesi belligeranti la Russia è oggi il paese più libero del mondo), inoltre, dall’assenza di violenza contro le masse, e infine, dall’inconsapevole fiducia delle masse nel governo dei capitalisti, che sono i peggiori nemici della pace, e del socialismo.
Questa situazione originale ci impone di saperci adattare alle condizioni particolari del lavoro di partito tra le grandi masse proletarie, che si sono appena ridestate alla vita politica.
3. Non appoggiare in alcun modo il Governo provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo, invece di “rivendicare” – ciò che è inammissibile e semina illusioni – che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialistico.
4. Riconoscere che il nostro partito è in minoranza, e costituisce per ora un’esigua minoranza, nella maggior parte dei Soviet dei deputati operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunistici piccolo-borghesi, che sono soggetti all’influenza della borghesia e che estendono quest’influenza al proletariato: dai socialisti-popolari e dai socialisti-rivoluzionari fino al Comitato di organizzazione (Ckheidze, Tsereteli, ecc.), a Steklov, ecc. ecc.
Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono l’unica forma possibile di governo rivoluzionario e che, pertanto, fino a che questo governo sarà sottomesso all’influenza della borghesia, il nostro compito potrà consistere soltanto nello spiegare alle masse in modo paziente, sistematico, perseverante, conforme ai loro bisogni pratici, agli errori della loro tattica.
Fino a che saremo in minoranza, svolgeremo un’opera di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, perché le masse possano liberarsi dei loro errori sulla base dell’esperienza.
5. Niente repubblica parlamentare – ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro – ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto.
Sopprimere la polizia, l’esercito e il corpo dei funzionari.
Lo stipendio dei funzionari – tutti eleggibili e revocabili in qualsiasi momento – non deve superare il salario medio di un buon operaio.
6. Nel programma agrario spostare il centro di gravità sui Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
Confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie.
Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione di Soviet locali di deputati dei salariati agricoli e dei contadini. Costituire i Soviet dei deputati dei contadini poveri. Fare di ogni grande tenuta (da 100 a 300 desiatine circa, secondo le condizioni locali, ecc. e su decisione degli organismi locali) un’azienda modello coltivata per conto della comunità e sottoposto al controllo dei Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
7. Fusione immediata di tutte le banche del paese in un’unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai.
8. Il nostro compito immediato non è l'”instaurazione” del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai.
9. Compiti del partito:
convocare immediatamente il congresso del partito;
modificare il programma del partito, principalmente;
sull’imperialismo e sulla guerra imperialistica;
sull’atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello “Stato-Comune”;
emendare il programma minimo, ormai invecchiato;
cambiare il nome del partito.
10. Rinnovare l’Internazionale.
Prendere l’iniziativa della creazione di un’Internazionale rivoluzionaria contro i socialsciovinisti e contro il “centro”.
Affinché il lettore capisca per quale motivo ho dovuto sottolineare come una rara eccezione il “caso” degli oppositori in buona fede, io invito a confrontare con queste tesi la seguente obiezione del signor Goldenberg: Lenin “ha issato la bandiera della guerra civile in seno alla socialdemocrazia rivoluzionaria” (citato nel n°5 dell’Edinstvo del signor Plekhanov).
Non è una perla?
Scrivo, leggo, ribadisco: “Data l’innegabile buona fede di larghi strati dei rappresentanti delle masse favorevoli al difensivismo rivoluzionario… e poiché essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna spiegar loro con particolare cura, ostinazione e pazienza, l’errore in cui cadono…”
Ma i signori della borghesia, che si dicono socialdemocratici e non sono né i larghi strati né i rappresentanti delle masse difensiviste, riferiscono imperturbabili le mie opinioni in questa forma: “Ha issato (!) la bandiera (!) della guerra civile” (di cui non ho fatto parola nelle tesi o nel rapporto) “in seno (!!) alla socialdemocrazia rivoluzionaria…”.
Che cos’è questa roba? Che differenza c’è tra questo e l’istigazione dei pogrom, tra questo e la Russkaia Volia?
Scrivo, leggo, ribadisco: “i Soviet dei deputati operai sono l’unica forma possibile di governo rivoluzionario e che, pertanto, fino a che questo governo sarà sottomesso all’influenza della borghesia, il nostro compito potrà consistere soltanto nello spiegare alle masse in modo paziente, sistematico, perseverante, conforme ai loro bisogni pratici, agli errori della loro tattica”.
Ma gli oppositori di un certo tipo presentano le mie opinioni come un appello alla “guerra civile in seno alla socialdemocrazia rivoluzionaria”!
Ho attaccato il Governo provvisorio perché non ha fissato un termine, né vicino né lontano, per la convocazione dell’Assemblea costituente, cavandosela con vuote promesse. Ho dimostrato che, senza i Soviet dei deputati degli operai e dei soldati, la convocazione dell’Assemblea costituente non è garantita e il suo complesso è impossibile.
E si pretende che io sia contrario alla più sollecita convocazione dell’Assemblea costituente!
Direi che queste affermazioni sono “deliranti”, se decenni di lotta politica non mi avessero insegnato a considerare la buona fede degli oppositori come una rara eccezione.
Il signor Plekhanov ha scritto nel suo giornale che il mio discorso è “delirante”. Benissimo, signor Plekhanov! Ma guardate quanto siete malaccorto, maldestro e poco perspicace nella vostra polemica. Se per due ore ho detto cose deliranti, come mai centinaia di ascoltatori hanno tollerato il mio “delirio”? E poi perché il vostro giornale consacra un’intera colonna a questo delirio? Tutto questo zoppica, zoppica molto.
Certo, è molto più facile gridare, ingiuriare, strepitare che tentar di esporre, chiarire, ricordare in che modo abbiano ragionato Marx ed Engels, nel 1871, nel 1872 e nel 1875, sull’esperienza della Comune di Parigi e sui caratteri dello Stato di cui il proletariato ha bisogno.
L’ex marxista signor Plekhanov, probabilmente, non vuole ricordarsi del marxismo.
Ho citato le parole di Rosa Luxemburg, che il 4 agosto 1914 definì la socialdemocrazia tedesca un “fetido cadavere”. I signori Plekhanov, Goldenberg e soci “si sono risentiti”, per conto di chi? Per conto degli sciovinisti tedeschi, che sono stati chiamati sciovinisti!
Eccoli in un bell’imbroglio, poveri social sciovinisti russi, socialisti a parole e sciovinisti nei fatti!
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Sabbatucci G., Vidotti V., Il mondo contemporaneo – Dal 1848 ad oggi, Laterza, 2004, Bari
http://www.primaguerramondiale.it/dopoguerra/rivoluzione-russa.htm
http://www.1917.org/1917t.html
http://www.instoria.it/home/RIVOLUZIONE_RUSSA.htm
http://www.marxists.org/italiano/lenin/1917/4/18-tesia.htm
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