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Mercato ed economia – Un’analisi sul pensiero Hayek

DickClarkMises di Wikipedia in inglese -https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9473860

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 Andrea Zeppi – Chalmers e la teoria della coscienza


Introduzione

Non possiamo iniziare la disamina di una struttura teorica senza chiarirne i punti cardine. Hayek ha sempre dimostrato profondo eclettismo nel condurre i suo studi, a partire dal suo periodo di formazione[1] sino a giungere alla sua autobiografia intellettuale[2]. Tuttavia è innegabile che parallelamente a questo impulso eclettico abbia corso un  istinto sintetico altrettanto forte, se non fondamentale per poter comprendere la portata delle soluzioni avanzate dall’economista austriaco all’interno dei campi più disparati. L’apparente disordine che si presenta innanzi a chi si avvicina per la prima volta alla sua opera può disorientare proprio per la vastità dei problemi su cui l’economista austriaco si è concentrato nella sua vita. Il pericolo sta nell’accettare supinamente la questione senza coglierne il potente valore teorico. Come infatti Hayek ci espone i problemi che la cosiddetta “illusione sinottica” solleva in ambito economico, avvertendoci dei pericoli a cui una tale forma mentis può condurre, cosi noi dobbiamo produrci in uno sforzo interpretativo volto a scoprire il valore sintetico dell’intera impalcatura hayekiana. Il presente testo deve essere visto come un esercizio critico volto alla comprensione di un paradigma intellettuale. Non sarà determinante tanto il valore prettamente speculativo delle conclusioni, quanto il risultato “didattico” ottenuto tramite l’esercizio di un’attività filosofico-critica. Avendo concluso di reclamizzare le ragioni del mio lavoro torno rapidamente indietro. Riprendo dunque da dove eravamo partiti ovvero dall’importanza di avviare la nostra trattazione dalla definizione dei punti fondamentali del pensiero di Hayek. Questi inizia a muoversi dall’economia e dal mercato, dunque non ci rimane poi cosi tanta scelta. Il primo passo di questo breve articolo dovrà partire necessariamente dai medesimi temi. Ultima avvertenza ai lettori. Il testo si articolerà lungo tre macrosezioni a loro volta suddivisi in due parti. Ogni sezione si accorderà con le precedenti nella volontà di ottenere, il più possibile, un andamento deduttivo dell’argomentazioni. Tenterò quindi quanto più possibile, nel corso della prima porzione del testo, di mantenere un andamento analitico, limitando al minimo indispensabile i riferimenti storici concentrandomi sugli aspetti eminentemente teorici dell’argomento. La sezione successiva coinvolgerà invece una riflessione di più ampio respiro, tesa a valutare anche alcuni aspetti storiografici dell’argomento in questione. A questa succederà una discussione dei concetti di ‘ordine spontaneo’ e ‘catallassi’, volta ad accordare questi ultimi con le considerazioni svolte nel corso del testo. I paragrafi a carattere più speculativo si apriranno con una suggestione, un’ipotesi, oppure una semplice citazione, tratta da una delle opere dell’autore preso in considerazione. Seguirà una disamina delle implicazioni che da tale premessa seguono. Mi riservo il diritto di deviare perlomeno temporaneamente da questa, rigida, metodologia di procedere, specialmente in quei paragrafi che coinvolgeranno una argomentazione meno legata ai caratteri filosofici dell’articolo. In conclusione si darà al lettore, ovviamente, una interpretazione critica riguardo alle riflessioni sino ad allora condotte.

Mercato ed Economia

­­­Il titolo del paragrafo non è ovviamente casuale. Personalmente ritendo che distinguere infatti ,attentamente, questi due termini, assieme con le implicazioni che si portano dietro, ci sarà di grande utilità nel comprendere a pieno la portata delle soluzioni proposte da Hayek in campo economico, etico e metaetico. Naturalmente in questo caso il giudizio personale è corroborato delle idee dell’autore.  Questo metodo contribuirà a dissolvere , inoltre, anche un luogo comune, piuttosto virulento, che suole associare i termini ‘economia’ e ‘mercato’ come sinonimi, travisando la corretta dislocazione teorica di questi ultimi, e pregiudicando la corretta interpretazione di qualsivoglia approccio economico[3]. L’ordine scelto rispecchia inoltre una precisa gerarchia deduttiva che terrà fede all’importante ruolo che proprio il filosofo ed economista austriaco tendeva ad affidare alle fondamenta filosofico-concettuali di una teoria economica.

Il Mercato

Con il termine ‘mercato’[4] intendiamo indicare quello spazio, sia esso  reale oppure soltanto ipotetico, deputato allo “scambio” di “beni” fra “acquirente” e “venditore”. Questo è uno spazio dell’attività umana dedicato all’attività di contratto. Tipicamente si usa distinguere fra due accezioni del termine: un Mercato omnicomprensivo di tutte le operazioni di umana compravendita ed un mercato specifico dedicato ad una particolare tipologia di merci[5], oppure limitato da vincoli geo-politici. Al fine della nostra riflessione ci interesseremo in primis del Mercato con la emme maiuscola, riservandoci la possibilità di trascurare le problematiche sollevate dai mercati specifici[6]. Innanzitutto occorre approfondire cosa il termine ‘Mercato’ implichi e quali problematiche ci suggerisca, soprattutto in riferimento alla cornice teorica cui ci siamo riferiti nell’introduzione. Due domande sorgono spontanee data la definizione “ingenua” di mercato a cui abbiamo riferimento poche righe fa:

A chi ci riferiamo con i termini “acquirente” e “venditore” ?

Ed inoltre;

Cosa si intende per “scambio” ?

Alla prima domanda possiamo replicare rapidamente riducendo tali operatori al rango di “individui”, persone fisiche o giuridiche capaci di agire in un determinato spazio di possibilità e predicabili delle singole e precipue attività riscontrabili  nell’attività di mercato. Tali individui dunque contribuiscono al mercato, tuttavia nell’ordine di completarne la definizione tali operatori debbono necessariamente effettuare uno scambio di beni. Un bene per essere tale: deve essere disponibile in quantità limitata, deve essere reperibile ed appetibile[7]. Lo scambio, manifestazione dell’esigenza da parte degli individui di sopperire a dei bisogni, necessita, persino nelle sue versioni più rudimentali, della capacità di poter attribuire un valore ai beni. Il valore di un bene può sussistere sia in relazione ad un altro bene, oppure in relazione ad un medium, la moneta, che sostituisce l’operazione di stima, altrimenti da svolgere in corrispondenza di ogni operazione di scambio,  con un valore assoluto stabilito convenzionalmente oppure tramite metodi più complessi di definizione del prezzo. Il valore di un bene deve in ogni caso riferirsi ai tre parametri ossia: scarsità, reperibilità ed appetibilità[8]. Il Mercato, ora ridefinibile in funzione dell’ulteriore grado di approfondimento, si presenta come :

Lo spazio in cui “individui” si scambiano “beni”, disponibili in una quantità finita, facendo uso di “stime di valore” [9], in funzione di soddisfare i propri bisogni;

Individuare però il mercato con una nozione spaziale non ne cattura però l’intero grado di complessità, preferisco quindi operare un ulteriore passo:

Quell’insieme finito[10] formato da “individui” e “beni” in cui i primi si scambiano i secondi, apprezzati secondo una stima di valore, in funzione di soddisfare i propri bisogni.

Ottenuta quest’ultima definizione tutto sommato soddisfacente, visti i nostri scopi, mi preme evidenziare una nuova serie di problematiche cui da essa seguono. Data l’inclusione all’interno della definizione di nuovi elementi, ora ci è, infatti, possibile supporre la prospettiva di avere condizioni tali per cui all’interno dello spazio di possibilità, implicito nella definizione di mercato come insieme, non si possano ottenere, per ognuno dei fattori coinvolti, risultati riconducibili ad un ottimo ideale. L’apprezzamento dei beni potrà subire fluttuazioni non soltanto derivanti dal semplice equilibrio fra gli altri operatori di scambio. La reperibilità dei beni potrà essere compromessa da problematiche aliene alla semplice scarsità di risorse, ma potrà essere imputata anche ad un’insufficienza di “informazione” presente nel sistema mercantile. Qualsiasi elemento già incontrato e manipolato sino ad ora dovrà essere declinato nel concreto dell’attività di scambio, causando una decisa complicazione del sistema prima tanto concisamente delineato. Dobbiamo dunque operare una scelta fra una soluzione “ideale” di mercato, ovvero un modello teorico semplificato non direttamente riconducibile a situazioni reali ma euristicamente proficuo, oppure un modello di mercato più realistico che fa proprie assunzioni quali, ad esempio, uno stato di “concorrenza imperfetta” [11]. Il mercato assume sempre più cosi la forma di una realtà sistemica complessa cui sarà necessario un ricco insieme di strumenti utili a poterne rendere possibile l’interpretazione. Il mercato riveste dunque un ruolo molto a simile a quello che il mondo[12] esterno riveste per le scienze rigorose[13], seppur con una differenza sostanziale; il mondo della scienza sarà indipendente da quest’ultima mentre il mercato a cui l’economia farà riferimento è, in misura non trascurabile, dipendente dalla riflessione economica che viene su di esso praticata. Impostazioni teoriche differenti dovranno presumere un modello di mercato più o meno idealizzato, stabilendo sin da subito i criteri su cui ancorare gli sviluppi teorici della prospettiva in questione, mantenendo però opportuna cautela visto che l’ancoraggio non potrà affidarsi su di un sostrato di fatti empirici “duri”. Hayek, come suggerivo nel breve trafiletto introduttivo a questo paragrafo, ci suggerisce quanto questi principi, posti a fondamenti dei vari approcci economici al mercato, comportino una serie di conseguenze difficilmente trascurabili. Le ragioni di ciò vanno riscontrare in problematiche epistemologiche che sorgono non appena si approcciano in modo critico certe teorie economiche, problematiche che trovano spesso e volentieri evidenti risvolti pratici. Considerando infatti quanto sino ad ora detto rimane sempre da scoprire come gli operatori all’interno del mercato riescano a dirimere scambi vantaggiosi da scambi svantaggiosi e, se l’indicatore di questi dati è il prezzo, come possano ottenere le informazioni necessarie a realizzare l’apprezzamento di un bene. Questi problemi rientrano ineluttabilmente nel dominio di una riflessione teorica rivolta al mercato ma da esso distinta. Vedremo nel paragrafo successivo quale possa essere un tentativo ingenuo di risolvere questi problemi e come possano sorgere, a partire da questo, tutta una serie di problematiche di sicuro interesse speculativo.

L’Economia

Avendo raggiunto una prima definizione di mercato, soddisfacente per i nostri scopi[14], ed avendo poi condotto una prima serie di  riflessioni su di essa, passiamo ora alla naturale sua conseguenza. Dato l’oggetto di una teoria non resta infatti che tentare di trattare la teoria in questione. Dando per scontato che chiunque possa associare l’economia come del tutto complementare al mercato, possiamo dunque definire quest’ultima come:

Quella riflessione teorica che si riferisce al mercato e che dunque ha il compito di interpretarne sistematicamente gli elementi sulla base delle ipotesi costruite a partire da un modello.

Prima di procedere oltre ritengo necessaria una breve parentesi che possa chiarire alcuni aspetti di quest’ultima formulazione, ricorrendo ad alcune elementari nozioni di filosofia della scienza. Il modello, innanzitutto,  costituisce una prima idealizzazione dell’oggetto della teoria, il mercato, sostituendo quest’ultimo con un suo omologo teorico nell’ordine di costruirvi una serie di proposizioni. Un buon modello deve ovviamente essere il più possibile aderente alla realtà dei fatti, pur nella consapevolezza che non si possa mai eliminarne del tutto l’incongruenza con la realtà, contenendo cosi il minimo indispensabile di contenuti arbitrari. In più il modello, costituente il nucleo della teoria, deve essere composto da proposizioni, attestanti di fatto quale sia il contesto operativo della teoria, altamente corroborate, che abbiano perciò resistito a numerose prove di falsificazione[15]. Le ipotesi desunte da questo costrutto fondativo debbono essere in grado di produrre spiegazioni a partire dalle evidenze che l’empiria ci propone, mettendole poi a confronto, e costruendo quindi una falsificazione potenziale sotto forma di esperimento cruciale, con il nucleo teorico già citato. Ciò detto possiamo procedere adesso con ulteriori osservazioni, che infine ci ricondurranno all’argomento prefissoci in apertura. Dobbiamo innanzitutto notare come all’interno di una teoria[16] non vi sia in realtà nulla di assodato, o analiticamente vero, se non quegli assiomi, accompagnati dai loro corollari, privi di qualsivoglia valore positivo, ma semplicemente veri grazie alla loro coerenza a priori. Ogni assunzione che costituisce il nocciolo duro della teoria in questione si porterà sempre dietro un certo carico di arbitrarietà, dovendo quindi attestare già in partenza la possibilità che le previsioni costruite a partire dal proprio modello possano essere errate, oppure semplicemente corrotte sin da subito. Dato ciò rimane superfluo affermare che quanto accennato nel paragrafo precedente riguardo all’importanza della nozione di mercato in economia comporti pesanti ripercussioni sull’efficacia della teoria economica stessa.

Esiste però un fattore che rende questa dipendenza più marcata per le teorie economiche, invece che per le teorie scientifiche ?

Hayek ci offre, proprio a  questo proposito, una sua riflessione. Questi ci suggerisce che per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto prestare particolare attenzione a quali siano le caratteristiche dei fenomeni a cui queste due aree disciplinari si riferiscono.

A differenza di quel che avviene nelle scienze fisiche, in economia ed in altre discipline che si occupano di fenomeni sostanzialmente complessi , gli aspetti degli avvenimenti di cui tener conto , sui quali possiamo avere dei dati quantitativi, sono necessariamente limitati e possono non comprendere quelli importanti.[17]

In prima analisi, nota Hayek, dobbiamo distinguere tali fenomeni utilizzando come discrimine il loro grado di complessità interna. La fisica, assieme alle altre materie scientifiche una volta dette “esatte”:

Tende a scoprire quelli che talvolta sono chiamati “i fatti generali”, che sono regolarità di eventi. La scienza si occupa di fatti unici, particolari, solo nella misura in cui essi contribuiscono a confermare o a confutare le teorie.

La scienza gode dunque del fatto che, relativamente agli scopi che essa persegue, il processo induttivo possa rimanere fondamentalmente valido. Ciò però non può tradursi, simmetricamente, per l’economia. Questa non potrà avere come materia prima delle sue teorie le singole occorrenze dei fatti ma dei fenomeni per loro natura complessi[18], ovvero formati da processi non necessariamente correlati fra loro semplicemente messi in relazione da vincoli di contingenza. Procedere induttivamente diviene rischioso, dato che componenti fondamentali per il fenomeno oggetto di ricerca potrebbero venire escluse dalla generalizzazione, senza che vi sia alcun filtro d’allarme[19]. In più in economia ci sarà impossibile affidarci ad un criterio di misurabilità per poter “irrigidire” lo status scientifico della ricerca economica. Imporre ad un fenomeno complesso una serie di misurazioni comporta una scelta che difficilmente potrà eludere le difficoltà derivate dalla sua arbitrarietà. Assumere a cuor leggero l’uguaglianza fra fatti misurabili e fatti rilevanti porterebbe in economia ad attribuire importanza soltanto quei dati che sono passibili di valutazione quantitativa. Proprio Hayek vuole inoltre metterci in guardia dal pregiudizio che l’ossessione per la misurabilità lascia sorgere, basti questa citazione per fugare ogni dubbio:

È più facile che esista una evidenza “scientifica” per una teoria falsa, che sarà accettata perché più “scientifica”, che per una spiegazione valida, che viene respinta perché non è corroborata da prove quantitativamente sufficienti.[20]

L’insieme dei fattori, come avevamo già accennto, di cui si può avere una misurazione difficilmente potrà esaurire la complessità del fenomeno in oggetto, portando inevitabilmente ad una teoria non solo insoddisfacente ma anche foriera di errate interpretazioni sul mercato e del mercato. Dovremmo adesso possedere tutti le componenti necessarie per rispondere affermativamente alla domanda che poc’anzi ci eravamo posti. Nel momento in cui si intenda formulare una teoria economica adeguata è necessario tenere a mente quanto il nucleo teorico e soprattutto il modello di mercato, a cui la teoria fa riferimento, possano inficiare il risultato finale e, quindi, le previsioni ed interpretazioni che una teoria è tenuta prima o poi a produrre. L’economia non può permettersi il “lusso” di una generalizzazione indiscriminata, oppure anche solo induttiva come accade nelle scienze rigorose. L’atteggiamento filosofico-concettuale[21]’ con cui una sua teoria verrà formulata è di importanza cruciale per il suo corretto sviluppo e, proprio a tal ragione, sarà opportuno evitare di farsi affascinare da soluzioni euristiche vittoriose, in altri campi, e latrici di un prestigio intellettuale che non necessariamente concorda con i requisiti di serietà ed onestà che ogni ricerca intellettuale dovrebbe rispettare[22]. L’economia, cosi come è stata definita in apertura, è una teoria ed in quanto tale dovrà tassativamente far riferimento ad un oggetto della sua riflessione, dovrà riferirsi ad un mondo, in parte di sua stessa creazione, senza pregiudicarne la ricchezza dei fenomeni che coinvolge. Sottovalutando l’importanza di questi aspetti si corre il serio pericolo di non tener fede agli obiettivi prefissi o, cosa ben peggiore, di creare un costrutto teorico in grado di auto-sostentarsi, ovvero in grado di produrre in proprio verificazioni capaci di corroborare la teoria ed i suoi conseguenti. Il risultato sarebbe dunque un’ economia capace di crearsi ad hoc un proprio mercato , un’ economia che manipola gli strumenti a sua disposizione in modo tale da poter costruire un mondo, fortemente idealizzato[23], che risponda unicamente dei propri criteri ed in cui le sue previsioni non potranno che essere necessariamente vere. In più tutto ciò diventa ancor più importante se consideriamo come in economia non si possa mai contare su quelle ‘genuine’ evidenze[24] ,di cui la scienza fa uso per sostenere le proprie congetture e che le consentono di evitare una controproducente proliferazione speculativa, ma soltanto su delle prove a posteriori degli effetti che gli interventi economici[25] hanno portato nel mercato. L’economia non può cosi assumere, acriticamente, nessuno dei metodi di uso comune nelle scienze naturali. Hayek riassume efficacemente questo problema porgendo una semplice domanda:

Ma perché dobbiamo, in economia, addurre a pretesto la nostra ignoranza del tipo di fatti su cui, nel caso di una teoria fisica, si presume che uno studio dia informazioni precise ?[26]

Ciò rende superfluo qualsiasi ulteriore commento che coinvolga una criterio di ‘precisione’ e la sua applicabilità alle teorie economiche. Tuttavia una problematica simile si tradurrà anche nel momento in cui si intenda prendere in considerazione il tipo di previsioni che una teoria economica sarà chiamata a produrre. Se infatti non ci sarà possibile rifarsi a dati di partenza “definiti” e “misurabili” sarà ragionevole supporre che le previsioni, essendo queste un risultato naturalmente conseguente dall’intero impianto teorico, non potranno essere, a loro volta, né precise né misurabili.

Dovremmo però veramente considerare questo come una conseguenza negativa delle riflessioni condotte ?

Hayek dal canto suo non ha mai inteso proporre una crociata contro l’uso di modelli matematici complessi in economia. Lungi dall’essere cosi ottuso egli infatti si concentra sulle problematiche che anche questi modelli debbono affrontare, una volta che li si raffronta con l’interpretazione umana dei dati cosi ottenuti. Le previsioni che sarà possibile ottenere, ad esempio, sulla correlazione fra domanda complessiva ed occupazione totale abbisognerebbero di un criterio univoco e preciso di determinazione dei prezzi e dei salari che permettesse di equilibrare l’intera equivalenza del sistema economico. Ciò è ovviamente impossibile a causa della moltitudine di dati che compongono il fenomeno e che, per ragioni sistematiche[27], non possono entrare nel computo finale. Affidarsi allo strumento matematico è in questo caso opportuno fino a che la sua stessa applicazione non è dovuta alla semplice volontà arbitraria, del teorico come del tecnico, di ottenere a tutti i costi risultati sotto forma di misurazioni e quantità. Forzare oltremodo l’applicazione di un modello insufficiente per la complessità del fenomeni in analisi comporta la necessità di “interpolare” i dati accessibili in modo da poter cosi saturare apparentemente gli spazi altrimenti vuoti dell’operazione. Il dato inaccessibile viene sostituito artificiosamente, innalzando a dismisura la possibilità di errore e dando cosi la stura a previsioni inesatte foriere, infine,  di conseguenze ben peggiori una volta che si tenterà di tradurre quei risultati al di fuori di un contesto prettamente speculativo[28]. Le previsioni, specie in materia di “macroeconomia”[29], non potranno che assumere forma molto generale, senza far riferimento a precipue indicazioni di quantità, ma contenendo invece indicazioni riguardo il tipo di eventi cui sarà probabile la realizzazione in un dato frangente[30]. Tutto ciò per evitare, nuovamente, che la teoria prevarichi il buon senso dell’intellettuale, sostituendosi di prepotenza al suo oggetto, il mercato. L’intero impianto teorico proposto da Hayek poggia su questo principio. Se, come avevamo definito nelle prime battute di questo paragrafo, l’economia altro non è che la teoria incaricata di interpretazione le forme ed i fenomeni del mercato, allora, dato Hayek, la prima delle nostre necessità dovrà essere tutelare questo stato di cose; rendere il mercato neutro rispetto alla teoria economica. Per ottenere questo risultato dovremo analizzare criticamente, non solo le conseguenze e gli strumenti utilizzati nella teoria per ottenerle, ma soprattutto i presupposti logico-filosofici che costituiscono il nucleo di premesse della teoria economica. Abbiamo già incontrato alcuni degli errori tipici in cui si può incappare. Tutti appartengono alla categoria già presentata, costituiscono casi specifici di misinterpretazione del ruolo dell’economia nei confronti del mercato e degli elementi che compongono i fenomeni in esso attivi. Tutte ci ricondurranno infine alla soluzione che Hayek ci propone in merito e che, sua peculiarità, pur proponendosi di risolvere i problemi dell’economia non fa ricorso alle teorie che l’economia propone. Tuttavia, prima di arrivare a scoprire la conclusione, ci sarà utile affrontare una breve carrellata dei casi che Hayek ci propone a supporto del proprio punto di vista.

L’Illusione Sinottica

Hayek sebbene sia stato senza dubbio un economista fuori dagli schemi, soprattutto date le sue conclusioni riguardo le teorie economiche più in voga nel corso del secondo novecento, si avvicina all’economia a partire da una tradizione, quella che si riconduce alla scuola neoclassica o marginalista[31], consolidatisi nel tempo in europa. Il problema principe cui questa impostazione si era fatta carico di risolvere era l’equilibrio economico generale[32], dunque non sorprende che i primi saggi d’un “giovane”[33] si occupino proprio di questo tema. Tuttavia, pur proponendo in seguito quella che Donzelli descriverà come “una teoria microeconomica del ciclo”[34], Hayek sposterà rapidamente la propria attenzione su problemi che lo porteranno ad allontanarsi sempre più dall’alveo della ricerca economica classica e neoclassica. Il contatto con il mondo anglosassone, avvenuto in verità durante i propri studi accademici[35], e specialmente con la  realtà americana, contribuirà a onvincerlo a prediligere questioni metodologiche e teoriche rispetto a problematiche tecniche[36]. Egli si pone in posizione di netta critica rispetto agli approcci fortemente induttivi e behavioristici tanto diffusi oltreoceano[37]. In seguito il seme del tradimento si potrà ravvisare anche negli ultimi tentativi di voler render conto del problema delle fluttuazioni economiche. In Monetary Theory an the Trade Cycle del 1933, si fa riferimento all’importanza che una teoria astratta può avere nel dirimere i rapporti esistenti fra i differenti fenomeni ciclici. Il confronto infine con la General Theory di Keynes e con il suo successo lo allontanerà quasi definitivamente dall’equilibrio economico generale e dai suoi problemi derivati. A ciò contribuirono anche i problemi a cui la struttura teorica dell’equilibrio stazionario doveva far fronte, una volta che ci si proponesse, come del resto Hayek aveva fatto, di concentrarsi sull’analisi di fenomeni dinamici. Hayek avrebbe dovuto abbandonare la sua teoria del ciclo economico, oramai divenuta insufficiente per far fronte ai nuovi problemi, e riversarsi interamente sui nuovi problemi di suo interesse[38]. Invece si prende una apparente pausa dalle frontiere teoriche dedicandosi alla critica della pianificazione economica collettivistica. Tuttavia la svolta è solo apparente. Il cambiamento di interessi non pregiudica la riflessione teorica dell’austriaco, anzi la sviluppa, portandola cosi alla completa comprensione dei problemi già ravvisati nel precedente paragrafo e sviluppati nella parte conclusiva di quest’ultimo. Hayek rivede le sue priorità e riconosce l’importanza degli individui, componenti il mercato, e delle scelte che essi si trovano a dover praticare nell’ordine di soddisfare i propri bisogni. La domanda non coinvolgerà più dunque l’equilibrio economico e le fluttuazioni cicliche in quanto tali, ma piuttosto gli elementi relazionionali operanti che danno luogo a situazioni di equilibrio e fluttuazione nel mercato. La freccia dell’analisi si inverte ed il mercato diviene cosi una collezione di evidenze sulle quali sarà necessario costruire ipotesi e previsioni realistiche, magari non precise ma realistiche e valide. Vediamo dunque come proprio dalla critica di Hayek ai sistemi economici pianificati, al dirigismo economico ed a tutti gli interventi invasivi questi riprenderà il filo della propria riflessione teorica, sviluppandola nella definizione del mercato come ordine spontaneo. Hayek supera cosi la sua personale “illusione sinottica”. Il primo esempio che incontreremo sarà il socialismo; ne enunceremo rapidamente le caratteristiche e riporteremo poi l’interpretazione che Hayek ci consegna recuperandovi i concetti per noi importanti. Seguirà una differente declinazione dell’errore dirigista, ovvero l’infelice connubio fra teorie dell’inflazione, Welfare State e ‘giustizia sociale’; anche in questo caso seguiremo la medesima strategia vedendo come questi fenomeni risultino intimamente legati fra loro. Riporteremo poi i risultati in una breve conclusione che ci ricolleghi con le riflessioni condotte nei due paragrafi precedenti.

Il Socialismo e la via per la schiavitù

Il primo passo verso una critica sistematica dei sistemi economici pianificati non potrà che passare per quella sua versione che ne ha costituito l’esempio principe per buona parte del ventesimo secolo attraverso la sua, solo parziale in verità, realizzazione nel programma politico sovietico. Nella sua prima formulazione marxista il socialismo già si contraddistingue dalle teorie economiche classiche, basate sul sovrappiù ricardiano e sui primi abbozzi d’un sistema economico basato sul consumo. Sebbene infatti ambedue si trovino a mutuare le premesse delle proprie interpretazione, Marx intravede una stretta correlazione fra la lotta di classe, condotta dal proletariato nei confronti di una borghesia tirannica, e la ricorrenza delle fluttuazioni economiche che contraddistinguono il mercato. La divisione del lavoro, derivataci da Smith ed elaborata da Ricardo, non viene più ad essere un naturale e positivo elemento di sviluppo del sistema produttivo , ma piuttosto, pur essendo la base della ricchezza di una nazione, la realizzazione in vivo di una volontà classista che tende a nascondere il profitto ai lavoratori e non a rendere equamente più efficiente il rapporto fra produzione e saggio di profitto[39]. L’analogia fra società e sistema economico ovviamente non rimane fine a se stessa ma trova un elegante connubio con una filosofia della storia che ravvede nella successione ciclica di rivoluzioni, scaturite dal basso, il motore della civiltà e, quindi, di tutto il progresso umano[40]. All’interno della società dicotomia il proletariato sarà eletto a elemento fondante di un ordine sovvertito in quanto costituisce il fondamentale elemento dinamico della società. Quest’ultimo non è tale in virtù della propria condotta, ma è questa ad essere caratteristica immanente dell’essere proletario[41] ed elemento produttivo del corpo sociale. L’altra fazione della società suddivisa per classi: la proprietà, ovvero la borghesia, non può non essere l’iniziale alveo in cui la reale forza produttiva si muove, tuttavia essa si compone di una staticità e tendenza alla conservazione che non può che entrare in netto conflitto con il proletariato ed il suo impulso riformatore. La rivoluzione, attraverso la sovversione dei poteri costituiti[42], creerà un nuovo ordine, una sovrastruttura[43],  che dovrà costituirsi non in base ai principi, derivati dalla continua giurisprudenza e dalla tradizione borghese di un primo liberalismo, ma secondo la gerarchia deduttiva che porta dal proletario, alla singola unità, fino alla massima espressione del molteplice dinamico, ovvero il partito. L’obiettivo sarà sfuggire al mercantilismo capitalista, alla divisione del lavoro che porta al ‘feticcio delle merci’[44], alla dottrina del sovrappiù capace di creare null’altro che profitto al borghese a discapito del lavoratore[45] e, forse cosa per noi più interessante, di proporre un modello economico di “riproduzione allargata” che permetta di ottenere un tasso di crescita indefinito a fronte del relativo annullamento dei pericoli derivati dalle cicliche crisi di sovrapproduzione a cui il capitalismo pare dover periodicamente far fronte. La realizzazione del programma economico e politico di Marx comporta una fondamentale premessa. Gli investimenti, ovvero l’inoculazione di capitale all’interno del mercato, non debbono essere decentrati, ma deve esistere uno strumento di controllo onniscente, il partito unico degli ex paesi sovietici, che sia in grado di controllare ogni momento dell’attività economica attuale e futura. La centralizzazione deve coinvolgere ogni aspetto dell’apparato economico e sociale, [46]dato che il sistema marxista considera tali componenti reciprocamente implicite. Il tessuto sociale dovrà corrispondere ad una sola determinazione di classe, il proletariato, eliminando cosi la proprietà del singolo e lo sfruttamento derivato dal saggio di profitto di cui questo si arroga. Se la proprietà appartiene a tutti, allora non vi sarà più alcuna lotta di classe che porti alla competizione per la conquista delle risorse, già disponibili e ripartite dal governo centrale. Avremmo cosi un sistema del tutto cogente e consistente, teoricamente in grado di auto sostentarsi pur a fronte di perdite minime e ciclicità che non consentono una pesante ricaduta su di una classe svantaggiata. Proprio qui giunge, una volta suggestionati dalla sua presunta cogenza del programma socialista, l’analisi di Hayek, proponendo una chiave di lettura che esula dalla teoria stessa e presuppone un approccio più ampio, dalla materia economica all’epistemologia. Il socialismo, come il comunismo sovietico, sono frutto di una “illusione sinottica”. Si crogiolano in una fallacia, desunta dall’idealismo e dalla filosofia della storia Marxista[47], che non tiene conto di limiti che esulano dalla mera coerenza logica interna di un modello dato. Il problema fondamentale non si deve infatti ravvisare in una insufficienza della teoria a risolvere i problemi di cui di era predicata, ma piuttosto nel fatto che questa affida a se stessa una potenzialità cognitiva infinita e pervasiva. La domanda che l’economista austriaco si pone sarà dunque questa:

È realmente possibile che un solo agente possa sostituire attraverso la sua attività di pianificazione l’intera attività conoscitiva svolta dal mercato ?[48]

Hayek sostiene che ciò sia impossibile anche soltanto sul piano intellettuale ed afferma:

Il motivo principale per cui non possiamo sperare di raggiungere con la direzione centralizzata, niente che somigli all’efficienza nell’uso di risorse resa possibile dal mercato, è che l’ordinamento economico di qualsiasi grande società riposa su un’utilizzazione della conoscenza di circostanze particolari dispersa qua e là tra le migliaia o milioni di individui.[49]

Supporre la sua possibilità su di un piano prettamente stipulativo, ci presenterà forse la possibilità di poter soltanto ipotizzare una più efficiente comunicazione, dell’informazione, dal singolo agente all’autorità dirigente, ma anche in quel caso non avremo per risultato che un conseguente di ciò che la precedente affermazione implica, ovvero:

Il mercato e la determinazione concorrenziale del prezzi hanno fornito un procedimento con il quale è possibile trasmettere ai singoli manager di attività produttive tante informazioni in forma condensata quante occorrono loro per adattare i loro pian i all’ordine del resto del sistema. L’alternativa secondo la quale tutti i singoli manager dovrebbero trasmettere ad una autorità centrale di pianificazione la conoscenza di fatti particolari in loro possesso è chiaramente impossibile, semplicemente perché essi non possono mai sapere in anticipo quali delle numerose circostanze concrete di cui sono a conoscenza o che potrebbero scoprire potrebbero rivestire una certa importanza per l’autorità centrale di pianificazione.[50]

Una soluzione potrebbe essere certo ricercata in un atteggiamento deflazionistico nei rispetti dei poteri affidati a questa autorità centrale. Tuttavia ciò minerebbe profondamente la consistenza dell’intero sistema. Rilevando, dunque, l’impossibilità di un socialismo senza autorità centralizzata e  una volta attaccato il cuore della teoria Marxista, ovvero la sua presunta cogenza interna ottenuta sintatticamente in virtù del significato logico di cui le sue parti si compongono, l’intero impianto socialista e comunista rimane indifeso rispetto ad ulteriori critiche di natura più tecnica e che, per ragioni di spazio, non riporteremo qui[51]. Tuttavia ci è più caro è rilevare lo sviluppo, rispetto alle ultime teorie del ciclo economico, condotto da Hayek nella sua formulazione di un sistema teorico di massima che possa coadiuvare l’attività economia specifica. L’economia di mercato non viene identificata acriticamente come migliore rispetto alla sua alternativa dirigista. Questa viene assunta come cogente in virtù della propria capacità di poter aderire in modo più stretto al mercato ed alle dinamiche che la merce, o il bene, in esso segue. Se l’economia deve proporre una interpretazione teorica del mercato, ed il mercato è l’insieme di tutti i fatti particolari in esso occorrenti, allora la teoria economia dovrà necessariamente rendere conto del fatto che l’informazione contenuta nel mercato sarà distribuita fra i suoi agenti e che l’unico medium percorribile, con l’obiettivo di ottenere una soddisfacente “sintesi” dell’informazione[52], ossia il meccanismo della determinazione dei prezzi per bene secondo il meccanismo della concorrenza[53]. L’unico sistema economico percorribile che possa aderire a questa premessa è il capitalismo liberale con la sua economia di mercato, purchè nella sua istituzione vengano rispettate le clausole già identificate nella riflessione teoretica condotta nel primo paragrafo di questo articolo. Ciò serva da suggestione per quanto seguirà nella parte conclusiva dell’articolo, dato che il successivo paragrafo tratterà ancora un argomento intermedio e non risolutivo.

Inflazione, Welfare State e Giustizia Sociale

Sebbene il confronto con un modello fortemente contrastante, rispetto alla posizione di liberista in cui Hayek si colloca, possa, alla luce della produzione saggistica di quest’ultimo, suggerirci una buona parte della “soluzione finale” a cui il filosofo ed economista austriaco approderà. Non è da sottovalutare quell’ambito critico specifico che ravvede anche all’interno del capitalismo, quindi dell’economia di mercato, tendenze più o meno ricorrenti a virare verso soluzioni intermedie di dirigismo economico e pianificazione. Alcune fra le prime soluzioni avversarie nel cui rispetto Hayek si scaglia sono, anche per ragioni cronologiche[54], le teorie dell’inflazione di stampo keynesiano esplose nella prima metà del ventesimo secolo. Nonostante l’avversità di scuola che senza dubbio ha animato l’idiosincrasia hayekiana verso certe impostazioni teoriche, sussistono una quantità di critiche mosse dall’economista austriaco nei confronti di chi si è affidato alle varie declinazioni del lavoro di Keynes. Queste ultime soffrono sostanzialmente di una versione meno evidente, ma altrettanto dannosa, della patologia che coinvolge le economia socialiste. Pur proponendosi di eliminare, o perlomeno alleviare, il problema dell’occupazione, le teorie dell’inflazione peccano già in nuce di una profonda arroganza nei rispetti delle loro potenzialità euristiche. Una volta riconosciuto il difetto fondamentale di certe proposte, ovvero:

La convinzione che ogni importante fenomeno di disoccupazione sia dovuto ad una domanda aggregata insufficiente e possa essere curato aumentando quella domanda;[55]

risulta piuttosto semplice rilevare gli errori che da esso sono seguiti. Innanzitutto l’intero processo secondo cui sia possibile risolvere il problema della domanda aggregata “inoculando” moneta all’interno di un dato mercato, tradisce, attraverso una coatta propensione per l’intervento pubblico in economia, l’inizio di un lento ma inesorabile processo che potrebbe portare ad reintrodurre, dalla porta di servizio[56], elementi di pianificazione economica all’interno dell’economia di mercato, quando quest’ultima dovrebbe esserne per definizione refrattaria. In più un aumento incontrollato dell’inflazione, cosi come è stato perseguito nella seconda metà del ventesimo secolo, ha portato ad una innaturale redistribuzione delle risorse lavorative[57], rendendo di fatto vana la loro applicazione in riferimento all’obiettivo iniziale, ed anzi producendo un quantum di disoccupazione difficilmente riassorbibile se non inoculando denaro in quantità ancora maggiore e, di conseguenza, sbilanciando ulteriormente il mercato[58]. Si raggiungono cosi sempre più spesso stati di “stagflazione”[59] che non possono essere risolti nell’ambito delle teorie che li hanno causati, ma a cui si deve necessariamente trovare rimedio data la loro pericolosità[60]. L’errore in questi casi non può essere attuale, e la soluzione proposta da Hayek non contiene nessun elemento miracoloso. Ciò perché, come ci ha già suggerito, anche un solo intervento invasivo sull’economia comporta un naturale sbilanciamento dell’intero sistema che porta, inesorabilmente, ad una innaturale determinazione dei prezzi[61]. La questione è ancora più grave se tali interventi si trovano ad essere la piastra di Petri su cui trovano poi terreno fertile tutti i “malcostumi” dell’economia già incontrati nei paragrafi precedenti. Basti pensare che se le teorie keynesiane dell’inflazione debbono prevedere, in nuce, una vasta gamma di interventi positivi sul mercato, allora da ciò non potrà che seguire una necessità a costruire tali interventi sulla base delle previsioni desunte da indicatori quantificabili e disponibili ad essere manipolati dagli strumenti della teoria in oggetto[62]. Trovo qui inutile continuare oltre con un’analisi precipua della questione, dato che la batteria di critiche che Hayek le riserva possono essere efficacemente riassunte citando l’autore stesso:

In altre parole, la disoccupazione è dovuta ad una deviazione dei prezzi e salari dalla loro posizione di equilibrio, che si stabilirebbe in condizioni di libero mercato e di moneta stabile. Ma non possiamo mai sapere [le tesi su di una “insufficienza cognitiva” richiamano le critiche alla pianificazione socialista] a quale sistema di prezzi e salari relativi un tale equilibrio si stabilirebbe. Non siamo quindi in grado di misurare la deviazione dei prezzi esistenti da quella posizione d’equilibrio che è la causa per cui è impossibile vendere una parte dell’offerta di lavoro; e neppure siamo in grado di dimostrare che esiste una correlazione statistica tra la distorsione dei prezzi relativi ed il volume della disoccupazione. Le cause, tuttavia, possono essere molto efficaci, anche se non sono misurabili, e la convinzione invalsa che può essere importante solo ciò che è misurabie ha contribuito molto a portarci fuori strada.[63]

Se sommiamo queste debolezze sistemiche delle teorie dell’inflazione con i pericoli, appena accennati in precedenza, dettati dal progressivo aumento dell’intervento sul mercato che queste richiedono. Si giungerà quindi alla consapevolezza del fatto che queste possono di fatto mettere in crisi l’intero sistema dell’economia di mercato e depotenziare, se non nullificare, l’intervento dell’unico elemento che permetta, secondo la dottrina hayekiana, di ottenere un efficace adattamento della teoria economica alla moltitudine di fenomeni che vanno a comporre il mercato, la concorrenza. Ciò rende impossibile una pacifica convivenza con il problema ed anzi suggerisce che una deflazione della sua importanza possa essere la principale causa dei pericoli già paventati. Proprio per questo l’importanza della critica a Keynes può essere ritrovata nel rilevare come questa possa surrettiziamente legittimare altre pratiche economiche dannose per il mercato e non mutuate esclusivamente dalla teoria economica. Prima fra tutte l’idea, piuttosto popolare invero, che lo stato debba intervenire sistematicamente sul mercato, per mettere ordine alla distribuzione dei redditi, secondo un principio di “giustizia sociale”. Innanzi tutto Hayek si concentra su di una valutazione etimologica del termine stesso, rilevando come riferendosi ad esso ci si abbandoni ad una confusione terminologica. L’uso dell’espressione “giustizia sociale” suggerisce, infatti, che questo si riferisca piuttosto ad una “giustizia distributiva”, dove la distribuzione diviene, a sua volta, piuttosto una redistribuzione del gettito fiscale di cui uno stato nazionale gode. In più l’uso del prefisso “giustizia” inserisce un elemento etico-morale che allarga ancora di più il divario semantico fra l’etichetta errata ed il suo reale riferimento. È opportuno segnalare come, nell’interpretazione consegnataci da Hayek, già il presupposto di una simile condotta sia del tutto contraddittorio all’interno di una economia di mercato. Egli può, a tal proposito, affermare in tutta tranquillità:

Il termine “giustizia sociale”[…] può non avere alcuna applicazione sui risultati di una economia di mercato: non  può esserci alcuna giustizia distributiva dove nessuno distribuisce.[64]

Da cui deriva di fatto l’affermazione secondo cui:

Pur all’interno di un mercato in cui viene operata, da un organo distributore, una distribuzione, allora questa distribuzione sarà giusta soltanto se l’organismo ad essa deputato seguirà dei giusti principi.

Notiamo per prima cosa che una proposizione simile, se utilizzata per definire un sistema predicatosi di una “giustizia sociale”, incorre inevitabilmente in un regresso all’infinito, una volta che si intendano giustificare le  susseguenti dipendenze del termine “giusto”. Tutto ciò concorre a rendere ancor più vacuo l’intero principio, specialmente se prendiamo in considerazione che:

Nessuno ha ancora trovato neppure una sola norma generale da cui potremmo dedurre che cosa sia “giusto” in tutti i casi particolari che rientrerebbero in quella data norma, fatta eccezione per la regola “salario uguale per uguale lavoro”[65]

In più dovremo fare inevitabilmente i conti con le conseguenze pratiche dell’applicazione della giustizia sociale e dei suoi derivati, ovvero l’abbandono, di fatto, di una economia di mercato tout court[66]. Il riferimento attuale delle pratiche a cui Hayek si riferisce può essere facilmente ravvisato nelle politiche di welfare state [67] applicate quasi universalmente, sebbene in maniera più o meno invasiva, da tutte le democrazie occidentali nel corso del secondo dopoguerra. Rimane infine da notare come il problema della giustizia sociale non sia isolato, ma sia strettamente correlato alle obiezioni già mosse contro le teorie dell’inflazione. La relazione è facilmente individuabile, dato che deriva quasi logicamente dagli elementi chiamati in gioco in queste ultime. Se, infatti, un governante si trova a dover seguire una certa politica di redistribuzione ed intervento sull’economia, secondo i dettami della “giustizia sociale”, cosi come l’abbiamo definita; allora egli troverà ancora più allettanti gli immediati vantaggi offerti dalle teorie già nominate, dato che, oltre a risolvere apparentemente un problema economico di distribuzione delle risorse, queste offrono al contempo una facile soluzione per i problemi di ordine pubblico derivati da un tasso di disoccupazione elevato e superiore al valore accettabile, sia dal governante che dall’opinione pubblica. Parimenti ad una simmetria delle obiezioni, Hayek ci propone quindi una sola opzione che possa comprendere, e risolvere, tutta la gamma  di problemi, sia teorici[68]che pratici[69], che viziano l’approccio al mercato attraverso l’economia. L’obiettivo non sarà però operare una nuova riflessione a partire dalle teorie disponibili per l’analisi economica. Priorità massima dovrà essere data ad una ridefinizione radicale del rapporto fra Economia e Mercato, cosi come li avevamo definiti nel corso dei primi due paragrafi. Alla rivisitazione teorica dovrà poi seguire la sua messa in relazione con le problematiche incontrate nel corso di questi due ultimi paragrafi, rappresentanti delle componenti pratiche dell’impianto tirato su dall’eclettico economista austriaco. La pianificazione economica incorre in insormontabili fallacie teoriche e, adesso possiamo dirlo, non ha trovato efficace realizzazione nel suo modello di massima espressione, ovvero il comunismo sovietico. In più anche forme surrettizie di pianificazione economica, ravvisate nelle tendente inflazionistiche appoggiate dalle teorie keynesiane e nel risultato delle politiche economiche supine al potere della “giustizia sociale”, non possono non portare a conseguenze spesso contraddittorie rispetto agli scenari che i loro sostenitori avevano previsto. La sfida consisterà dunque nell’ ottenere un sistema cogente in grado di:

  • Aderire in modo più minuzioso possibile alla realtà del Mercato;
  • Essere controllabile[70];
  • Rendere conto dell’insufficienza cognitiva che rende impossibili i sistemi pianificati;
  • Consentire una interpretazione etica, sebbene sui generis delle sue conseguenze pratiche;
  • Essere efficace.

Nel successivo paragrafo enunceremo finalmente le riflessioni conclusive  a cui Hayek affida il compito di definire una volta per tutte il proprio sistema, considerandone poi criticamente le soluzioni e proponendone quindi una personale e conclusiva interpretazione.

Dal Kosmos alla Catallassi

Con la completa costituzione del sistema hayekiano si conclude il percorso di questa riflessione. I primi due paragrafi hanno voluto introdurre le tematiche eminentemente teoriche riferite al lavoro dell’autore su citato, mentre gli ultimi due hanno aggiunto a quell’interpretazione analitica una prospettiva storica senza dubbio imprescindibile. Questi due ultime riflessioni costituiscono la sintesi di quanto analizzato in precedenza. Nelle definizioni di mercato e catallassi ritroveremo, infatti, tutti gli elementi che contraddistinguono il lavoro di Hayek, più alcuni spunti che permettono all’intero sistema di non essere pericolosamente autoconclusivo.

Il Mercato come Ordine Spontaneo o Kosmos

Tutto nuovamente parte dal mercato. La coincidenza, vista la mole di pagine spese a costruirla, non è di certo casuale. Seguendo inoltre la batteria di criteri elenzati in precedenza ci sarà più facile seguire il tracciato delle argomentazioni. Inutile tergiversare. Onde evitare le tendenza performative cui le teorie economiche dell’equilibrio vanno incontro, è necessario, per prima cosa, ridefinire il Mercato affidando a questo delle proprietà che gli permettano di essere autonomo rispetto alla teoria che poi gli farà da sovrastruttura, pur mantenendone la flessibilità necessaria a garantire ovvie esigenze di realismo. Il Mercato deve dunque cessare di essere un mero sinonimo “povero” dell’Economia, ma un insieme di fenomeni a se stante e predicato di tutta la complessità che i fenomeni in esso contenuti suggeriscono. È necessario, per dirla con Hayek, sorpassare l’equilibrio economico giungendo cosi all’ordine spontaneo del Mercato. Che cosa però sia un ordine e se esso dia adito ad ambiguità è un problema tutt’altro che banale. Intuitivamente, afferma Tedesco (2004) un ordine è quell’insieme di regolarità e ricorrenze costanti che ci permette di indagare un dato insieme di fenomeni complessi. Questa soluzione rimane però troppo riduttiva, meglio dunque rifarsi direttamente all’autore austriaco:

Possiamo definire un ordine quello stato di cose in cui una molteplicità di elementi di vario genere sono in relazione tale, gli uni rispetto agli altri, che si può imparare, dalla conoscenza di qualche partizione spaziale o temporale dell’intero insieme, a formarsi aspettative corrette sulle altre parti dell’insieme, o almeno aspettative che hanno una buona possibilità di dimostrarsi corrette.[71]

L’ordine ha come discriminante dunque la sua riconoscibilità da parte di un soggetto cognitivo. Tuttavia è importante notare come, nella presente definizione, non si faccia menzione alcuna di una potenziale dipendenza inversa, ovvero dell’ordine rispetto all’osservatore. Il fatto che esso sia interpretabile è si condizione necessaria per esso, ma non è condizione sufficiente. Ciò risponde però solo in parte alle nostre esigenze, occorre anche che l’ordine a cui facciamo riferimento permetta che il Mercato assuma uno status autonomo rispetto allo sviluppo delle proprie dinamiche. I fenomeni che questo coinvolge debbono essere in grado di esistere e svilupparsi anche in assenza di una riflessione teorico-economica, dato che quest’ultima deve essere, in premessa, fondamentalmente disgiunta dalla fattiva esistenza del Mercato. Occorre dunque, per aiutarci in questa riflessione, operare una ulteriore distinzione che arrivi a districare il problema. Hayek, percependo il medesimo dilemma, ci propone cosi due versioni differenti del medesimo fenomeno percepito: l’una artificiale ed intenzionalmente costruita sulla base di una progetto (Taxis) e l’altra autogeneratasi e, seppur creata dalle azioni umane, sviluppatasi come “risultante involontaria della interazione di individui che agiscono per scopi personali utilizzando conoscenze frammentarie e parziali”[72](Kosmos). La domanda che segue, date le premesse, da questa dicotomia, è piuttosto ovvia:

Il Mercato può essere definito nei termini di un Kosmos, ovvero di un ordine spontaneo?

E da questa segue:

Se un ordine spontaneo viene generato dalla continua interazione di individui, tutti i generi di strategie comportamentali daranno luogo ad un ordine spontaneo? e se no, quali?

In riferimento ai fenomeni ed agli agenti che compongono il Mercato, ed alla definizione di ordine consegnataci da Hayek e riportata poco fa, possiamo innanzitutto affermare che soltanto quegli individui i cui  comportamenti seguono delle regole, sebbene necessariamente tacite[73], possono dal luogo a quelle condizioni che sono necessarie allo sviluppo di un ordine spontaneo. Tedesco (2004), facendo riferimento alla seconda legge della termodinamica[74], ci fa però notare però come non sia necessario che questi comportamenti siano i medesimi, dato che non v’è nessuna relazione fra l’uniformità di comportamento fra elementi che compongono un sistema e il tasso di ordine di quel sistema. Il comportamento dei singoli individui, nella potenzialità di creare un ordine spontaneo, dovrà persistere in una relazione soltanto in virtù di una astratta somiglianza. Si dovranno cosi individuare quei principi che regolano in formarsi di tali comportamenti. Vale in questo caso, dal punto di vista non soltanto euristico[75], un’analogia con quanto afferma la teoria dell’evoluzione naturale proposta da Darwin e poi divenuta paradigma in biologia. I singoli individui, operanti in questo caso all’interno del Mercato, rispondono agli stimoli che il sistema, ovvero l’insieme degli scambi fra i singoli individui, gli propone costruendo strategie comportamentali che gli permettano di adattarsi a quest’ultimo in maniera sempre più efficace. È da notare come l’autogenerazione delle regole astratte che permettono la formazione e lo sviluppo di un sistema di ordine spontaneo, rendano anche possibile l’autodeterminazione di quest’ultimo. In più, considerando più da presso la sua applicazione ad una nuova definizione di Mercato, risulterà possibile anche una integrazione degli elementi sociali, oltre che naturali, all’interno del modello. Tedesco infatti rileva:

Le regole in grado di produrre un simile ordine spontaneo sono tali per tre ordini di motivi: per ‘natura’, per ‘cultura’ e per ‘convenzione’. Gli individui infatti seguono delle regole in parte perché essi percepiscono l’ambiente circostante allo stesso modo; in parte spontaneamente, nel senso che quelle regole fanno parte della tradizione culturale; in parte perché consapevoli che, per il mantenimento dell’ordine, è necessario rispettare delle regole.[76]

Mettendo in relazione quest’ultima affermazione con il caso precipuo del Mercato, ne risulterà che la totalità delle strategie razionali versate all’ottenimento di un ottimo[77] all’interno dello scambio, porteranno alla formazione di un ordine spontaneo di cui quelle strategie costituiscono le regolarità, ovvero il contenuto astratto in regole. Rimane tuttavia da spiegare in virtù di quale principio i singoli individui riescano ad ottenere quell’ottimo, ovvero cosa comunichi loro che quegli scambi[78] sono effettivamente vantaggiosi. [79]

Come fanno ad ottenere l’adattamento se tutto ciò che esiste è l’ordine e non esistono decaloghi di regole in grado di guidarli fra le scelte disponibili ?

Sarà il sistema a contenere, in virtù della propria natura auto-generativa, quel tanto di informazioni utili a far si che i singoli individui possano interpretare gli stimoli, e raggiungere cosi la formazione di strategie comportamentali bene aderenti all’ordine spontaneo. Se a tutto ciò aggiungiamo la definizione di Mercato data poc’anzi, mettendola in relazione con le considerazioni fatte or ora a riguardo dell’informazione e la sua funzione all’interno di un sistema ordinato; possiamo notare come questo dia luogo ad un Kosmos in cui l’informazione a disposizione degli individui sia frammentata e distribuita nell’intero sistema. Si può cosi dire che, grazie a quell’informazione distribuita, gli individui agenti all’interno del Mercato possano essere in grado di raggiungere una conoscenza dello stesso. Questi ultimi raggiungono, ovvero, quello che Hayek definisce come:

Una capacità di scoprire circostanze particolari, capacità che diventa efficace solo se coloro che ne sono in possesso vengono informati dal mercato sui tipi di cose o servizi che sono richiesti, e con quanta urgenza lo sono.[80]

L’informazione tuttavia non può essere veicolarsi senza un canale che le permetta di essere comunicata  in direzione degli elementi interessano lo scambio. Possiamo certo ipotizzare una situazione in cui l’informazione possa essere diffusa da un singolo operatore che si faccia carico dell’intera operazione, pur rimanendo all’interno di un ordine spontaneo[81]. Tuttavia è opportuno notare che ciò costituirebbe uno dei metodi meno efficaci per raggiungere il fine di una adeguata distribuzione della conoscenza, dato che per distribuire l’informazione lasceremmo passare attraverso un canale unico la stessa informazione che già era presente nel sistema sotto forma distribuita[82]. Tanto vale dunque lasciare che questa mantenga la propria natura frammentata e venga comunicata dai singoli individui nel corso delle singole interrelazioni. Traducendo questo nel rispetto del nostro ambito diremmo che l’informazione verrà comunicata dagli individui proprio nell’atto dello scambio attraverso la deliberata scelta di quest’ultimo sulla base della sua convenienza. La convenienza di quest’ultimo[83]sarà stabilità secondo un indice che in questo caso non sarà altro che l’apprezzamento, ovvero la procedura di determinazione del prezzo. Proprio a sostegno di ciò Hayek afferma:

L’indicazione più importante che danno i prezzi riguarda non tanto il modo di agire, quanto cosa fare. In un mondo in continua trasformazione , anche il semplice mantenimento di un certo livello di ricchezza richiede continui cambiamenti nella direzione degli sforzi di alcuni, che si verificheranno solo se alcune attività diventeranno più remunerative ed altre lo saranno meno.[84]

Ciò indica, in parte quale sia l’ultimo passo necessario a completare la nostra ridefinizione del Mercato nei termini di un ordine spontaneo. Se i prezzi sono infatti un indicazione riguardo la migliore strategia di scelta possibile, il massimo di una scelta, allora il processo per cui si giunge alla determinazione dei prezzi sarà a sua volta quel meccanismo che rende possibile la diffusione dell’informazione, ovvero la conoscenza dei fatti particolari, presente in forma distribuita all’interno del sistema. In più questo processo dovrà non solo contenere l’informazione generata dagli scambi, ma anche tutta quella mole di conoscenza che si genera dagli scambi che non sono mai avvenuti.

Quale è quella peculiarità del mercato che consente di soddisfare tutte queste caratteristiche ?

Hayek riconosce la concorrenza, libera e naturale, come l’unico fenomeno interno al mercato che possa essere protagonista di questo ruolo. Essa non solo rende possibile la determinazione dei prezzi e la riallocazione progressiva, all’interno del Mercato, delle risorse, Ma contribuisce alla auto-generazione e determinazione del sistema. Non avendo fini prestabiliti da un progetto, questa “ha valore solo perché, e fino a che, i suoi risultati sono imprevedibili e, nel complesso, differenti da quelli ai quali ognuno ha o potrebbe aver mirato deliberatamente”[85]. In più “la peculiarità della concorrenza – peculiarità che essa ha in comune con il metodo scientifico – è che la sua efficacia non può essere controllata nei casi particolari in cui essa è significativa[86], ma è mostrata solo dal fatto che il mercato prevarrà rispetto a qualsiasi ordinamento alternativo”[87]. In più la concorrenza non rende in alcun modo impossibile presumere un apprendimento, da parte degli individui agenti del sistema, delle regole del mercato attraverso un meccanismo di prova, errore, controllo e corroborazione. Avendo cosi ottenuto l’ultimo tassello necessario a completare la nostra dissertazione, non ci resta che esplicitare la forma conclusiva della definizione di mercato come ordine spontaneo:

Il mercato è quel dato ordine spontaneo, dunque autogenerantesi e regolamentatosi, in cui individui agiscono secondo strategie, basate su regole astratte, costruite attraverso la diffusione e l’uso dell’informazione veicolata dalla concorrenza, intesa come mezzo di conoscenza.

Quest’ultima risponde ai criteri enumerati in apertura di questo paragrafo. Tuttavia propone soltanto una soluzione per metà del problema. Pur disponendo, infatti, una nuova definizione di mercato ciò non toglie che questo sia sempre oggetto di una riflessione teorica; di una macrointerpretazione che dovrà trovare un nuovo equilibrio nel rapportarsi con un mercato dal rinnovato status teorico. Hayek, fortunatamente, non si ferma alla definizione e ipotesi di un ordine spontaneo, ma si spinge oltre proponendo, parimenti a quanto fatto per il mercato, una profonda ridefinizione del concetto e dei ruoli dell’economia, in modo che che questa possa accordarsi efficacemente con l’intero impianto del suo sistema teorico.

Dall’Economia alla Catallassi

Nella necessità di dover rendere conto di un mercato in grado di subire sempre meno le pressioni di una teoria economica, Hayek è obbligato a rivedere quale siano le caratteristiche a cui la riflessione teorica ad esso corrispondente dovrà rispondere. Inizialmente ci sarà utile rispondere alla domanda:

In quale misura l’economia, cosi come viene classicamente concepita, non può essere applicata ad una versione in ordine spontaneo del mercato ?

Noi avevamo già definito l’economia nel secondo dei paragrafi che vanno a comporre la prima parte di questo testo. Ad una definizione di massima avevamo fatto seguire una serie di problemi ed esigenze a cui, quella particolare proposta doveva andare incontro. All’atto dei nostri rinnovati bisogni dovremo adesso fare affidamento su di una definizione più particolareggiata dell’economia, in modo da potervi poi costruire la nostra argomentazione. Hayek individua l’economia come “un arrangiamento deliberato dell’uso dei mezzi che sono conosciuti da un unico ente”[88]e questa definizione ci è particolarmente utile dato che l’autore ci consegna un suggerimento di non poco conto. L’uso dell’aggettivo “deliberato”, ci indica che le modalità della riflessione economica corrispondono, senza possibilità di errore, alle modalità di un ordine deliberatamente, per l’appunto, costituito sulla base di un progetto e, dunque, di un fine particolare. Questo mette in evidenza una ulteriore corrispondenza all’interno del sistema teorico hayekiano. L’economia viene avvicinata infatti ad una organizzazione che, cosi come  Hayek tecnicamente la intende, può essere definita come:

Quel particolare ordine sociale regolato da comandi che assegnano a ciascuno un posto determinato, indicando anche i fini da perseguire. [89]

L’economia è dunque una taxis, mentre l’ordine di mercato, cosi come è riuscito a ridefinirlo è un kosmos, quindi un ordine spontaneo. Rilevare questa fondamentale asimmetria gli permetterà di affermare:

Il kosmos del mercato non è e non potrebbe essere governato da questa unica scala di fini; esso serve gli scopi separati e incommensurabili di tutti i suoi singoli membri.[90]

Nell’ordine di superare il dilemma è necessario depotenziare le pretese dell’economia fino a renderla mera sovrastruttura dell’ordine spontaneo del mercato. L’economia deve dunque diventare ciò che Hayek chiama una ‘catallassi’. L’economista austriaco è cosi convinto della necessità di questa rivoluzione teorica, tanto da affiancarvi la proposta di una vera e propria rivoluzione terminologica. La catallassi[91]dovrà sostituire l’economia in ogni momento della prassi argomentativa, dato che trasporta con esso una serie di significati ben diversa da quelli comunemente associati al termine economia[92]. La catallassi comprende in se, oltre che l’implicita approvazione dell’ordine spontaneo del mercato, l’integrazione in esso della componente sociale umana e, quindi, la sua infinita complessità[93]. Questa è ateleologica, priva di fine come l’ordine di mercato a cui si riferisce. Non è una organizzazione deliberatamente costituita a partire da un progetto razionalmente circoscritto, ma partecipa della conoscenza di tutti i suoi membri e dall’irresistibile tendenza di questi ultimi a seguire le regole astratte della concorrenza. Non v’è dunque bisogno di quelle ipotesi accessorie che invece proliferano all’interno delle classiche proposte economiche basate sull’equilibrio di mercato.

Un tale sistema è fondato su regole di mera condotta che “servono a fornire una informazione per le decisioni degli individui. E cosi aiutano a ridurre l’incertezza; ma esse non possono determinare quale uso l’individuo può fare di questa informazione, e quindi non posso neanche eliminare tutta l’incertezza.[94]

Sempre lo stesso Tedesco (2004) circoscrive inoltre un’altra caratteristica della proposta catallattica.

La catallassi è un gioco a somma positiva, cioè un gioco generatore di ricchezza che aumenta il flusso dei beni e le prospettive di soddisfacimento dei bisogni dei giocatori, mantenendo però la caratteristica fondamentale di ogni gioco, cioè il rispetto delle regole.[95]

Quest’ultima peculiarità sostiene in parte la presunta efficienza del sistema catallatico, nei termini della teoria dei giochi. Rimane poi da notare come la catallassi si costituisca nella forma di una sovrastruttura e non di una teoria vera e propria. Il carico teorico è totalmente sostenuto dalla peculiare interpretazione del mercato. È quest’ultimo a far poi derivare nella catallassi tutta la complessità di cui si predica. inoltre la catallassi consentirebbe, come avevamo già accennato, l’integrazione, dell’elemento umano, manifestato necessariamente attraverso la sua componente sociale, all’interno dell’ordine catallattico. Questo permette, dunque, di sfuggire da un’etica economico-normativa, ovvero alla chimera del giusto[96], che affligge le proposte teoriche più ortodosse. Il mercato catallattico costituirebbe, di fatto, una naturale predisposizione verso la gratificazione del merito e dell’iniziativa produttiva, in esso non posso essere ravvisati elementi di ingiustizia se non inoculandovi coattamente delle norme che impongano una redistribuzione delle risorse sulla base di particolari privilegi. L’ordine catallattico riassume efficacemente l’etica hayekiana in tutta la sua potenza. L’imperativo categorico si riassumerà qui nella libertà di poter “perseguire il proprio fine scelto liberamente”[97]. Tale dovere primario costituisce poi di fatto l’intero leit motiv dell’opera promossa dall’eclettico intellettuale austriaco. Il mercato deve poter essere libero in ogni sua accezione. Nell’ordine di raggiungere ciò non è necessario ammassare norme e proiezioni, ma è invece tassativo rivedere il nostro approccio alla pratica ed alla teoria economia. Ristabilire un sano equilibrio fra le relazioni di dipendenza sussistenti fra mercato ed economia e, se necessario, trasformare la nostra visione del mondo ridefinendo il nostro punto di vista, in modo che una nuova soluzione ai nostri problemi ci si renda evidente.

 

Conclusioni

Già dalle prime righe abbiamo avvertito il lettore di come l’opera di hayek possa apparire fin troppo eclettica, quasi al limite del confusionario, soltanto ad un occhio poco allenato. La nostra rapida carrellata, delle idee propugnate da un lucidissimo Hayek, ci ha progressivamente illustrato una panorama costituito da una fitta interrelazione di elementi teorici destinati a confluire poi in una ben definita weltanschauung. Questa è proprio la caratteristica che lascia spiccare l’austriaco fra i suoi contemporanei. Riconoscere l’obiettivo del proprio lavoro in un progetto di ricerca inclusivo e non esclusivo, lo mette in seria competizione con altre soluzioni teoriche, forse più ortodosse, ma certamente meno audaci e suggestive della sua. Tutto ciò inoltre senza che in nessuna parte del suo sistema si possa mai tacciarlo di cadere in sofismi o evidenti paradossi[98]. Il merito dell’opera non è però soltanto da ravvisarsi nella sua coerenza interna o nella sua intraprendenza intellettuale. L’attenta ridefinizione dell’idea di mercato costituisce un motivo di serio interesse per chiunque sia, anche alla lontana, consapevole delle vicissitudini dell’economia contemporanea. I continui avvertimenti lanciati da Hayek riguardo le politiche economiche eccessivamente affezionate ad una inflazione galoppante, trovano adesso esempi concreti specialmente pensando alle precipue situazioni economiche di alcuni stati nazionali[99]. Non ci è poi difficile riscontrare altri casi in cui le “profezie” dell’austriaco premio nobel si sono avverate, in più non sarà neppure necessario dover viaggiare troppo con la fantasia. I casi limite in cui spesso arriviamo a trovarci, in Italia, corrispondono a tutte quelle complicazioni, affrontate nel testo solo in via teorica, che costituiscono una palese violazione del libero mercato ed una sopravvalutazione dell’utilità dell’intervento pubblico in economia. Una deviata distribuzione delle ricchezze, spesso ottenuta a colpi di incentivi alla domanda, ha comportato conseguenze quali:

  • La sopravvivenza di attività imprenditoriali destinate al fallimento;
  • Lo sviluppo “artificiale” di settori del mercato che spesso non hanno corrispondenza con lo sviluppo territoriale di una data area;
  • Una distribuzione dell’occupazione lavorativa spesso conseguenza di pratiche dirigiste;
  • Una innaturale dilatazione dell’attività creditizia da parte delle banche sino al punto di collasso;

Tutto ciò, essendo questi elementi fondamentali della concorrenza e del libero mercato non può che condurre all’incepparsi del meccanismo dei prezzi, non più stabiliti dalla concertazione mercantile, ma influenzati dall’intervento coatto di un legislatore.

Non rimane dunque che accettare in toto la soluzione hayekiana solo in virtù della sua cogenza ?

Nonostante l’analisi precedente la risposta deve ancora essere cautamente negativa. Rimane infatti da appurare come un sistema come quello presentato possa essere realmente applicato all’interno di una organizzazione democratica di stampo rappresentativo. La domanda che dobbiamo porci è se infatti il sistema sin qui elucidato possa essere semplicemente integrato, oppure sia tassativamente necessaria una fondazione ex novo dell’intero ordine nazionale [100]e, visti i tempi, internazione. Inoltre è dubbio che una simile onnipotenza del mercato possa essere socialmente accettabile. Se è pur vero che l’ethos hayekiano si rifà al liberismo classico ed alle più pure tradizioni dell’economia di mercato, rimane sempre ovvio che meccanismi di redistribuzione del reddito non sempre rispondono alla necessità di dover garantire dei privilegi ma anche all’esigenza di dover contenere il potenziale di un danno causato da coloro che alla contribuzione pubblica non vogliono aderire. Tuttavia la più grave debolezza della soluzione hayekiana è senza dubbio il non essere mai stata realmente applicata. Non ci sarà possibile controllarne efficacemente le sue conseguenze sino a quando non se ne realizzerà perlomeno una parte. Ciò non è ancora stato fatto e, dunque, siamo ancora costretti a rimandare il verdetto ai posteri. Il residuo di questa parziale delusione è la suggestione che l’impresa del premio nobel austriaco suscita e la sua incredibile capacità teorica, virtuosamente scevra dai tecnicismi e dalle tautologie dei più.


[1] La cui sintesi verrà con Hayek, 1931, 1935 (Versione inglese riedita).

[2]Hayek on Hayek: An Autobiographical Dialogue, University of Chicago Press, Chicago 1994.

[3] Il malcostume in oggetto pregiudicherebbe anche la corretta comprensione dell’intera opera hayekiana. Egli stesso, infatti, vi dedica più volte le proprie critiche, come vedremo in seguito.

[4] Termine proveniente dal latino “mercatus” il cui significato faceva riferimento ad un “luogo ove si traffica”, ove si trafficano specialmente prodotti alimentari.

[5] In questo caso è più comune, oltre che più semplice, parlare di “mercati”.

[6] Questi ci porterebbero forse troppo lontano dall’argomento che ci è di interesse. In iù, dato il grado di generalità in cui ci muoveremo, le situazioni particolari dei singoli mercati possono essere considerati, con un certo grado di tolleranza, come delle riduzioni in scala del Mercato a cui invece ci riferiremo per buona parte del testo.

[7]Spesso si preferisce indicare l’utilità di un bene piuttosto che la sua appetibilità. Ciò prendendo atto che un bene è utile soltanto se può soddisfare un bisogno umano Un soggetto può ritenere utile o meno un dato bene in funzione dei propri bisogni, reali o fittizi che siano, tuttavia proprio i bisogni di quest’ultimo rispondono sempre più spesso di criteri soggettivi più che oggettivi. Proprio a tal ragione è più opportuno sostituire questo criterio con una nozione di “appetibilità”.

[8] Questi ci sarà sufficiente ai fini del nostro lavoro

[9] Siano esse attive o passive, ovvero svolte sul momento dal compratore, oppure affidate alla mediazione di una moneta di scambio tramite la derivazione di un prezzo.

[10] Notare come abbiamo cosi passato una nostra personalissima rivoluzione marginalista. Siamo passati, utilizzando una famose metafora di Sraffa, da un mercato circolare ad un mercato lineare, che parte dai “fattori di produzione” e si conclude con i “beni di consumo”. Il valore di un bene è qui infatti stabilito soprattutto dalla sua utilità relativa ad un consumatore. È l’utente finale a definire il prezzo di una merce e non a subire quello impostogli dal produttore. Il produttore dovrà cosi mettere in moto il meccanismo di concorrenza che lo porterà a ricercare mezzi di produzione e materie prime sempre più economici, nel tentativo di assestare il proprio saggio di profitto nei riguardi del prezzo stabilità dal mercato.

[11] In economia  la concorrenza perfetta è una forma di mercato caratterizzata dall’impossibilità degli imprenditori di fissare il prezzo di vendita dei beni che producono, i quali prezzi derivano esclusivamente dall’incontro della domanda e dell’offerta, che a loro volta sono espressione dell’utilità e del costo(più precisamente del costo marginale). Uno stato di concorrenza imperfetta consisterà dunque nella possibilità da parte dei produttori di poter far collassare asintoticamente i prezzi verso il livello di costo.

[12]  Oggettivamente inteso come quell’ insieme di enti naturali retto da ordine e misura.

[13]  Vedremo proprio in seguito quanto questa analogia sia in verità piuttosto sibillina.

[14] Tutto sommato riconducibili ad una semplice delucidazione delle complicazioni a cui essa può facilmente condurre.

[15] Sto qui facendo uso di un lessico facilmente riconducibile al razionalismo critico popperiano.

[16] Genericamente intesa, scientifica o economica che sia.

[17] Hayek F. (1974), “La Presunzione di Conoscere”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.33.

[18] Per complessità del “dato” economico si intende il suo essere naturalmente composto da fenomeni sociali generati dall’interazione di più individui, ognuno con le proprie volizioni e necessità. Questo fa riflettere sull’applicabilità di un criterio di uniformità naturale per le materie economiche, considerando che persino il risultato ultimo di un’aggregazione sociale, ovvero il dato economico-politico, non può essere assunto come semplice sommatoria delle volontà dei singoli partecipanti. (Vedi a proposito Teorema dell’impossibilità dell’aggregazione sociale di Arrow).

[19] Possiamo ricondurre ciò alla distinzione, operata da Weaver e riportata da Popper, fra “fenomeni di complessità disorganizzata” e “fenomeni di complessità organizzata”. Parlando di “complessità organizzata” si intende dire che il fenomeno non è organico soltanto in virtù delle singole proprietà degli elementi chiamati a comporlo, ma anche grazie al modo in cui questi elementi sono collegati fra loro.

[20] Hayek F. (1974), “La Presunzione di Conoscere”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.34.

[21] Che poi non costituisce altro che il nucleo teorico, o assiomatico, di cui la teoria si compone.

[22] La premessa della teoria assumerà inoltre ancora più importanza se si fa riferimento a teorie economiche assiomatizzate come quelle proposte da Arrow (1951) e Debreu (1959). In questi ultimi casi, infatti, l’attenzione rivolta alla fase di costruzione del, complesso, modello matematico, porta il teorico a sottovalutare la componente concettuale che fa da prodromo all’intero processo. Proprio qui si annida il pericolo ravvisato anche nel testo e a poco vale la possibilità di un controllo formale del modello, dato che l’inconsistenza, anche se snidata, sarà comunque del tutto interna agli assiomi di cui le singole proposizioni del modello sono corollario.

[23] Essendo conseguenza della teoria stessa.

[24] Sono ben conscio che un filosofo della scienza ben avveduto sui problemi che derivano dall’assumere come cogente la mera osservazione sarebbe portato a scuotere la testa dinanzi ad una affermazione di questo genere, credo però che per rendere l’idea del problema che sto tentando di trattare non vi sia bisogno di introdurre nozioni che poi non troverebbero un valido utilizzo all’interno del testo.

[25] Dunque già “teorici”.

[26] Hayek F. (1974), “La Presunzione di Conoscere”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.35.

[27] Dall’irreperibilità degli stessi alla loro inintelligibilità. Quest’ultima dovuta alla complessità dei fenomeni a cui il dato dovrebbe riferirsi.

[28] Prendendo ad esempio l’indice macroeconomico per eccellenza, il PIL (Prodotto Interno Lordo, oppure detto anche GDP: Gross Domestic Product) non si può fare a meno di notare quanto, nonostante la sua fama e diffusione come strumento di analisi, esso sia riduttivo nei confronti dei fenomeni che esso stesso utilizza come fattori per il proprio calcolo. La necessità di ottenere un indice quantitativo ed univoco ha forse precluso la comprensione di quei fenomeni, comunque operanti nel mercato, ma trasparenti ad una analisi economica siffatta ?

[29] Disciplina che si occupa dello studio di fenomeni economici ampi come: inflazione, disoccupazione, crescita economica e via discorrendo…

[30] La ricerca di una risposta definita e “precisa” dalle previsione macroeconomiche incorre nella medesima difficoltà legata all’infatuazione per dati quantitativi e indicatori numerici.

[31] Senza dubbio la più influente di tutto il secondo novecento. Al suo interno possono esservi racchiuse tutte le tradizioni economiche europee di quel periodo: la scuola austriaca (a cui, del resto, fa lecitamente parte Hayek) o mengeriana, quella walrasiana e via discorrendo…

[32] Per una accurata definizione cito Tedesco (2004, p.8): “uno stato di equilibrio neoclassico di questo sistema può essere definito come una configurazione di piani ed eseguibili, laddove l’eseguibilità è data non solo dalla compatibilità reciproca di tali piani, ma anche dalla loro compatibilità con le circostanze esterne che caratterizzano un sistema economico dato.

[33] Alla pubblicazione inglese (1935) di Prices and Production l’economista austriaco ha infatti trentasei anni, tuttavia il testo viene scritto molto prima.

[34] F. Donzelli, 1988, p.61.

[35] Grazie alle proprie referenze Hayek riesce ad ottenere la possibilità di studiare economia a New York per un anno.

[36] L’intera esperienza maturerà poi in un saggio, scritto nel : The Monetary Policy of the United States after the Recovery from the 1920 Crisis.

[37] Tedesco (2004) fa qui notare come l’avversione per l’approccio americano all’economia sia effettivamente caratteristica della scuola austriaca.

[38] Hayek rafforzerà in seguito le sue convinzioni riguardo le teorie dell’equilibrio generale e la macroeconomia mainstream. La povertà euristica di questi due approcci, quindi la loro incapacità di produrre “ben definite e precise qualificazioni per quel che concerne il modo in cui la conoscenza viene acquisita e trasmessa”, le condanna inevitabilmente a non comprendere la reale forma del mercato ed a proporre soluzioni inefficaci rispetto ai problemi di quest’ultimo. Nello specifico le teorie dell’equilibrio generale hanno, a detta di Hayek, il grave limite di dover ricorrere ad ipotesi accessorie nell’ordine di poter essere specificate e chiarite. Altrimenti esse possono essere rivolte soltanto verso l’analisi delle azioni di un singolo soggetto. Per poter approcciare una studio più complesso, dunque di aggregati di individui, sarà necessario cambiare radicalmente l’impostazione teorica di partenza.

[39] Come Roncaglia (2003) ci ricorda, anche Smith si era soffermato su conseguenze negative della divisione del lavoro simili al concetto di alienazione del lavoratore ritrovabile in un primo Marx. Tuttavia permane la differenza rimane fra il netto rifiuto di Marx e la proporzionale valutazione di pregi e difetti sostenuta invece da Smith.

[40] Teoria che dimostra la strettissima relazione che sussiste, ad ogni livello, fra le teorie marxiste e le precedenti tesi hegeliane. Innanzitutto primo elemento di comunanza è costituito dalla fitta interrelazione deduttiva di ogni elemento del sistema filosofico che, necessariamente, si trova ad assumere la forma di un sistema metafisico omnicomprensivo dell’intera complessità del reale. Se “tutto ciò che è reale è razionale” può essere parafrasato con l’implicazione profonda del mondo all’interno di tutto ciò che può essere visto con occhi umani. Allora possiamo senza dubbio riconoscere una parallelo con la massima marxista che comprende, attraverso il materialismo storico, il mondo in tutto ciò che l’umanità ha raggiunto tramite niente altro che la lotta di classe. Se, infine, tutto ciò che esiste non è che la lotta di classe abbiamo concluso l’equivalenza e realizzato una tautologia potente perlomeno come quella a cui Hegel si riferisce in ogni passo della ricerca filosofica.

[41] L’appartenenza di classe comporta una relazione necessaria ed inequivocabile con la materia, predisponendo l’uomo alla propria attività. Predestinazione a la Marx.

[42] Espressione di un privilegio giuridico.

[43] Contrapposta alla “struttura” borghese. La sovrastruttura costituisce soltanto una etichetta per una architettura sociale che già è consistente in virtù della propria logica coerenza con l’andamento dialettico-rivoluzionario della storia e l’assoluta conformazione della società.

[44] Naturale evoluzione della dottrina dell’alienazione del lavoratore. La divisione del lavoro, pur dovendo proporre una equo godimento del benessere promosso dal tempo di lavoro specifico dedicato alla produzione dagli operai, in realtà promuove una schiavitù rispetto al mercato, in cui le differenti potenzialità di scambio altro non sono dipendenti che dalla quantità di “merce” di cui un dato individuo può disporre. Il risultato ultimo sarà  dunque una dipendenza naturale del proletario, che dipende in tutto dal consumo di merce per la propria sussistenza, rispetto a coloro che detengono il potere rispetto all’attività produttiva, ovvero la borghesia padronale.

[45] Caricato invece da quella componente del tempo lavorativo che Marx identifica con il termine pluslavoro (pluslavoro=lavoro sociale complessivo – lavoro necessario). Il pluslavoro si traduce cosi in un saggio di sfruttamento corrispondente al rapporto fra lavoro non pagato, o pluslavoro, e lavoro pagato. L’unico modo per eliminare l’iniquità corrisponde nell’annullare il saggio di sfruttamento. Tuttavia, resta ovvio data la natura dell’operazione, ciò implica far coincidere le quantità di lavoro pagato pluslavoro e , dunque, presupporre già in nuce il rifiuto totale del sistema capitalistico.

[46] Per questa ragione le economie socialiste non possono essere disgiunte da un organismo politico socialista e comunista. Per la stessa ragione in certi sistemi di governo ritroviamo poi una esponenziale proliferazione dello strumento burocratico.

[47] A sua volta influenzato dal lavoro della sinistra hegeliana.

[48] La domanda presuppone già una presa di posizione piuttosto netta rispetto alle potenzialità cognitive di un singolo.

[49] Hayek F. (1976), “La Nuova Confusione sulla Pianificazione”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.257

 

[50] Ibidem.

[51] Tuttavia è interessante riportare come Hayek abbia sempre sostenuto che la ragione fondamentale dell’inconsistenza del sistema economico socialista sia la paradossale ignoranza imputabile proprio ai sostenitori del socialismo ed ai suoi interpreti in genere. Marx del resto si è sempre rifiutato di proporre un modello sistematico del funzionamento delle economie pianificate.

[52] Comunque impossibile da assimilare all’accentramento che invece suppone il socialismo dato che anche i singoli agenti portatori di informazione sono inconsapevoli di quanto sono in grado di comunicare nel mercato.

[53] Questo è il processo dinamico di diffusione del’informazione in cui Hayek rivede la metafora della “mano invisibile” di Smith.

[54] Essendosi questi scontrato di fatto con questa impostazione teorica.

[55] Hayek F. (1976), “La Campagna Contro l’Inflazione Keynesiana”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.213

[56] Per utilizzare una felice metafora Popperiana.

[57] Avendo reso artificialmente appetibili ambiti che altrimenti avrebbero seguito uno sviluppo vincolato alle preferenze espresse tramite la determinazione dei prezzi e la concorrenza.

[58] Hayek suggerisce che il protrarsi di questa pratica economica malsana potrebbe solo rendere peggiori le ripercussioni sul tasso di occupazione una volta abbandonatele. Gli effetti collaterali di un ritorno a politiche convenzionali, dunque la temporanea diminuzione dell’occupazione, sono comunque inevitabili. Tanto vale optare quindi per il male minore.

[59] La data situazione in cui il valore di inflazione accettato non è più sufficiente a garantire un certo valore di occupazione.

[60] Hayek intuisce sin da subito il potenziale distruttivo di certe aberrazioni economiche. La natura sempre più globale del mercato concede a quest’ultimo innegabili vantaggi ma, al contempo, permette anche una rapida diffusione di quegli agenti patogeno-economici fra le varie economie nazionali vincolate fra loro.

[61] Questi ultimi sono l’indicatore ultimo a cui i singoli operatori economici, gli individui, possono e devono far riferimento nell’operare le loro scelte.

[62] Quindi considerati efficaci da parte della stessa.

[63] Hayek F. (1976), “La Campagna Contro l’Inflazione Keynesiana”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.219

 

[64] Hayek F. (1976), “L’atavismo della Giustizia Sociale”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.69

 

[65] Ibidem.

[66] Notare che questa è l’unica soluzione a cui Hayek pare affidare una certa cogenza. Questa può essere l’unica sua vera debolezza, dato che rimane vago se essa debba essere pedissequamente realizzato, oppure vi si concedano alcune eccezioni in aree meno influenti per l’equilibrio del sistema economico. Tornerò comunque a parlare di questi temi in sede conclusiva, una volta che avremo tutti gli elementi per poter condurre una adeguata riflessione in merito.

[67] Letteralmente: stato di benessere.

[68] Trattati nel primo paragrafo del testo.

[69] Quelli sino ad ora trattati attraverso gli esempi di sistemi di pianificazione, palesi od occulti che siano.

[70] Dove “controllabile” fa riferimento ai principi di falsificabilità e corroborazione proposti dal razionalismo critico di matrice popperiana. L’obiettivo è di ridurre il contenuto non falsicabile, o metafisico, al minimo indispensabile per la sopravvivenza della teoria.

[71] Hayek F., Legge, Legislazione e Libertà, il Saggiatore, Milano 1994, p.49, (Corsivo mio).

[72] Tedesco F., Introduzione a Hayek, Editori Laterza, Bari 2004, p.74

[73] L’esplicitazione della norma porterebbe infatti alla formazione non di un Kosmos ma, bensi, di una Taxis.

[74] “Il movimento a velocità costante e in linea retta delle molecole di una gas produce uno stato di ‘disordine perfetto’”.

[75] Tedesco (2004) fa notare come l’analogia fra i due sistemi, hayekiano e darwinista non possa essere accettata alla leggera. Esistono infatti differenze fondamentali fra l’applicazione, nell’ambito delle scienze sociali, delle due teorie. Come lo stesso Tedesco (2004, p.70) afferma: “Molte sono le differenze tra il razionalismo evoluzionista e i darwinismo sociale. Il secondo utilizza nelle scienze sociali i concetti esplicativi di ‘lotta per la vita’ in senso stretto e di selezione degli individui, mentre il primo si basa sul concetto di evoluzione culturale, e quindi postula la selezione di gruppi, e non di individui”.

[76] Tedesco F., Introduzione a Hayek, Editori Laterza, Bari 2004, p.75

[77] Quella data condizione in cui si raggiunge il massimo grado di convenienza rispetto ad un particolare scambio.

[78] Rappresentanti il miglior adattamento possibile al sistema.

[79] Già in chiusura del primo paragrafo avevamo toccato questa tematica, lasciando però la risposta aperta.

[80] Hayek F. (1969), “La Concorrenza come Processo di Scoperta”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.200

[81] Sulla scorta di quanto proponeva un certo socialismo di mercato.

[82] In questo caso è interessante notare come l’ipotesi non sia in alcun modo implausibile. Questa è semplicemente viziata da una inefficienza di fondo dato nei due passagi di codifica e decodifica necessari si perderebbe buona parte dell’informazione disponibile all’inizio. Magari tutta quella utile e non ridondante.

[83] Qui richiamiamo quanto detto nel primo paragrafo a proposito della definizione di mercato.

[84] Hayek F. (1969), “La Concorrenza come Processo di Scoperta”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.205

[85] Hayek F. (1969), “La Concorrenza come Processo di Scoperta”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.198

[86] Ciò elimina definitivamente tutta quella serie di problematiche paventate dall’eccessiva tendenza delle teorie economiche classiche a considerare il mercato come diretta emanazione della teoria economica. L’impossibilità di controllare i fatti particolari dell’economia evita infine il pericolo di uno scientismo anche solo germinale, mantenendo coerenza con la natura complessa dei fenomeni trattati dalle scienze sociali.

[87] Hayek F. (1969), “La Concorrenza come Processo di Scoperta”, in Nuovi Studi di Filosofia, Politica, Economia e Storia delle Idee 1988, p.199

[88] Hayek F., Legge, Legislazione e Libertà ,il Saggiatore editore, Milano 1994, p.315

[89] Tedesco F., Introduzione a Hayek, Editori Laterza, Bari 2004, p.77

[90] Hayek F., Legge, Legislazione e Libertà ,il Saggiatore editore, Milano 1994, p.315

[91] Termine etimologicamente derivato dal greco katallein e riconducibile ai significati di “scambiare”, “ammettere nella comunità” e “diventare da nemici, amici”.

[92] Derivante dalla parola greca oikonomia, ovvero “amministrazione della casa”.

[93] Mutuata dalla infinita complessità potenziale raggiungibili dall’ordine spontaneo del mercato.

[94] Tedesco F., Introduzione a Hayek, Editori Laterza, Bari 2004, p.101

[95] Tedesco F., Introduzione a Hayek, Editori Laterza, Bari 2004, p.100

[96] Ravvisata senza dubbio da Hayek nelle varie strategie politico-economiche che si rifanno ai principi della ‘giustizia sociale’.

[97] Tedesco F., Introduzione a Hayek, Editori Laterza, Bari 2004, p.102

[98] Ed anzi si può quasi ravvisare nell’intera architettura della proposta hayekiana una decisa tendenza verso la deduzione delle conclusioni a partire da principi saldi e quasi mai arbitrari.

[99] La bancarotta dell’argentina costituisce già un valido esempio del pericolo che certe pratiche economiche possono far correre, ma se si ha l’intenzione di approfondire il problema sarà senza dubbio d’interesse analizzare l’attuale situazione dell’economia greca. Quest’ultima assume infatti particolare rilevanza proprio perché Hayek si era più volte trovato a considerare il caso di una economia con un tasso di inflazione eccessivo “immersa” all’interno di un mercato allargato, in questo caso non sarà difficile pensare all’unione europea.

[100] Ciò dato che il sistema hayekiano si impone come fortemente deduttivo e integrato. Non se ne può prevedere la suddivisione in moduli. Specialmente se si considera l’elemento etico-economico di cui si predica, interamente contenuto in nuce dell’intera teoria.


Andrea Zeppi

Andrea nasce a Siena nel 1985. E’ un appassionato sostenitore della filosofia analitica e ha curato un’elaborata tesi di filosofia della mente, tematica a lui cara e di cui è un esperto con la quale nel 2010 si è laureato all’università degli studi di Siena. Attualmente è dottorando in filosofia della mente.

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