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Consigliamo – Storia Romana Parte II – a cura di Francesco W. Pili
VITA
Publio Virgilio Marone nacque il 15 Ottobre del 70 a.C. in una località vicino a Mantova, sebbene il luogo di origine rimanga controverso. La sua era una famiglia di piccoli proprietari terrieri, ma non per questo gli mancò una buona formazione letteraria: questa si dovrebbe essere svolta fra Roma e Napoli, i maggiori centri di cultura nella penisola italica, ricchi di circoli letterari e scuole importanti, spesso gestite da filosofi greci. In un frammento del Catalepton, Virgilio scrive di aver frequentato una scuola epicurea presso a Napoli, il cui maestro era Silone, un filosofo epicureo. Nelle Bucoliche, la prima opera di Virgilio, egli fa accenno ai fatti accaduti nel 41 a.C., quando nelle campagne del mantovano ci furono confische di terreni destinate a ricompensare i veterani della guerra di Filippi. Altre fonti ci dicono anche che Virgilio stesso avesse perso nelle confische il suo podere di famiglia e poi fosse riuscito a riacquistarlo, probabilmente anche grazie all’aiuto di Ottaviano, suo grande estimatore.
Tutta la vita di Virgilio che conosciamo è comunque straordinariamente povera di eventi rilevanti e la maggior parte delle informazioni su di lui ci sono giunti dalle Bucoliche. Le testimonianze sulla vita di Virgilio sono ricavabili, oltre che dai suoi testi autentici, anche da un serie di Vitae tardo antiche e medievali, in cui all’interno ci sono citazioni dalle opere di Svetonio: la più importante e veritiera opera scritta sulla vita di Virgilio sembrerebbe quella di Elio Donato, il grande grammatico del IV secolo d.C..
OPERE
Le Bucolica sono dieci componimenti brevi, scritti in esametri, per un totale di 829 versi. È un opera composta fra il 42 e il 39 a.C.. malgrado la datazione di quest’opera sia da ritenersi controversa. Scrisse le Georgica, un poema didascalico in quattro libri di esametri per un totale di 2188 versi completati nel 29 a.C.; scrisse l’Aenèis, l’Eneide, un poema epico di dodici libri, ancora una volta in esametri. I testi poetici che fanno parte dell’Appendix Vergiliana sono in gran parte spuri e fra questi ne fa parte il Catalepton.
LE BUCOLICHE
Prima di parlare dell’opera principale di Virgilio è doveroso spendere qualche parola sul modello a cui si ispirò, vale a dire Teocrito. Teocrito molto probabilmente è stato il maggior poeta di epoca ellenistica, erede del genere bucolico inventato da Stesicoro, ma anche poeta capace di scrivere versi d’amore raffinati ed eleganti. Si espresse per mezzo di inni, elegie, liriche, giambi, epigrammi, anche se fu famoso fin dall’antichità per la freschezza del suo genere bucolico. Tuttavia la cultura romana, perlopiù urbana, si rivolgeva più volentieri ad altri modelli. Gli scenari principali delle opere di Teocrito erano la Sicilia e l’Isola di Cos dove i protagonisti dell’azione erano i pastori e, insieme a questi, il paesaggio, ricco ma statico, e arido allo stesso tempo. Virgilio incontra questo genere e lo assimila compiutamente: egli, attraverso le opere di Teocrito, filtrava la sua esperienza giovanile, quando ancora viveva nel podere familiare. Virgilio era una persona assai sensibile e incline ad un delicato sentimentalismo. Tocchi di realismo e slanci di nostalgia costituivano una le risorse del suo piccolo gioiello letterario giovanile.
Virgilio però non si limitò a conoscere a fondo il corpus teocriteo, ma inscrisse la propria poetica all’interno di quella di Teocrito. Il risultato non fu una semplice imitazione ma di assimilazione personale in quanto non esiste una singola egloga che sia uguale all’altra.
Le Bucoliche sono il primo testo di epoca augustea. Il titolo, Bucoliche, significa “canti dei bovari” e rievoca già da subito lo sfondo pastorale in cui i pastori stessi, come in Teocrito, sono gli attori e i creatori di una poesia sopraffina.
VI 1-2: «La mia Musa fu la prima a non disdegnare il verso siracusano, e accettò di abitare nei boschi»
Nessun libro antico precedente, ma anche successivo, dimostra una complessità architettonica così attenta e studiata. Il libro lo si può suddividere in capitoli:
– Dialogo fra due pastori, Titiro e Melibeo.
– Lamento d’amore del pastore Coridone.
– Tenzone poetica fra due pastori.
– Canto profetico per la nascita di un fanciullo che vedrà l’avvento di una nuova stagione cosmica.
– Lamento per la morte di Dafni, eroe pastorale divinizzato.
– Canto del vecchio Sileno, catturato da due giovani, con il quale Virgilio vuole consacrare il grande poeta elegiaco Cornelio Gallo.
– Melibeo racconta una gara fra due poeti arcadi, i pastori Tirsi e Coridone.
– Una gara di canto divisa in due lunghe storie d’amore infelice.
– Dialogo fra due pastori-poeti. Qui sono presenti parecchi richiami autobiografici per le faccende della divisione della terra e delle guerre civili.
– Conforto del poeta bucolico Virgilio alle sofferenze d’amore del poeta elegiaco Cornelio Gallo.
Virgilio, per essere veramente aderente al suo modello e genere letterario, doveva abbandonare in qualche punto in confini del mondo pastorale: Virgilio sfruttò al massimo queste intromissioni letterarie per far spazio al paesaggio italico familiare e a un altro paesaggio ideale, quello dell’Arcadia, un luogo utopico idealizzato dal mantovano. L’altro contributo di Virgilio alla poesia bucolica è l’introduzione del libero uso di spunti autobiografici, caratteristica non presente nel modello alessandrino teocriteo.
LE GEORGICHE
Nel 38 a.C. le Bucoliche sono ormai completate e Virgilio proprio in questi anni si garantì la stima e l’affetto di Mecenate. Orazio diventa un suo amico intimo ed entra a far parte di una cerchia di amici letterati che aderiscono allo stesso tipo di tematiche e influenze letterarie. È probabilmente dal 37 a.C. che Virgilio cominciò a scrivere le Georgiche, un’opera che prese molti spunti dal trattato sull’agricoltura di Varrone. Nel 29 a.C. sappiamo per certo che l’opera era terminata ed era sottoposta alla lettura di Augusto, appena tornato vittorioso dalle campagne contro Antonio e Cleopatra in Egitto. Il periodo in cui Virgilio compose le Georgiche è piuttosto lungo: è un’opera che lascia intendere una scrittura meditata, che presuppone una determinata serie di letture educative preliminari: Omero, gli Alessandrini, Lucrezio, Catullo e altri, ma anche trattati filosofici e studi di tecniche di prosa. Inoltre, Virgilio compose l’opera in più anni e ciò si evince dal fatto che tratta diversi momenti cronologici.
Come per le Bucoliche, Virgilio si collegava fortemente anche in quest’opera alla poesia greca ellenistica, sebbene in maniera meno diretta. Questo inoltre è un diverso genere letterario. Si tratta di un poema didascalico: nei poemi didascalici potevamo trovare inseriti allo stesso tempo carmi sulla geografia astronomica, sulle fasi lunari, così come carmi tecnici e precisi sul veleno dei serpenti o su certi tipi di caccia. Rispetto alle Bucoliche qui vengono trattati temi meno poetici e propriamente didattici. Tuttavia la pianezza dell’opera è invisibile per via della saggia alternanza di cataloghi, descrizioni e digressioni narrative.
Virgilio si sforzò comunque, in un’opera di difficile realizzazione, fondere il gusto neoterico con l’attenzione per le cose tenui e si sforzò di trasformare in poesia dettagli fisici e realtà minute, che in apparenza sarebbero state estranei alla poesia.
Si misurò col suo modello Lucrezio sul messaggio di salvezza e saggezza che riportava il De rerum naturae. Vi sono chiare analogie tra i due: la saggezza del contadino che riesce a trovare la felicità per lo sforzo del lavorare la terra e la “spontanea” generosità di quest’ultima, che porta ad un’autosufficienza materiale e spirituale: “lo stare bene con se stessi”, tema caro agli epicurei. Le differenze fra i due le ritroviamo, per esempio, nel fatto che Virgilio accoglie molto di più la religione tradizionale romana, che anzi diventa un tutt’uno con la poesia didascalica virgiliana, tesa a liberare dall’angoscia del vivere. Abbiamo visto che Lucrezio si distaccava invece totalmente dalla visione salvifica della religione; Lucrezio guarda alle cause naturali come aggregazione e disgregazione di atomi e complessi di atomi. Dalla contrapposizione a quest’ultima concezione nasce gran parte della poesia delle Georgiche.
Ottaviano ebbe un ruolo molto importante all’interno delle Georgiche in cui viene visto come il salvatore e il restauratore della pace: è colui che vigilia sul mondo e con la sua “divinità” protegge la vita dei campi. Questo tipo di pensiero impone la considerazione che le Georgiche siano la prima opera di ‘propaganda’ dell’età augustea: l’illustre Ottaviano, e il suo braccio destro, Mecenate, sono accolti nell’opera come dedicatari e come ispiratori. Il destinatario didattico dell’opera è, invece, il mondo degli agricola. Propriamente scritto per dare consigli sulla vita contadina, il poema arriva indirettamente anche a trattare i problemi della vita urbana e, più in generale, i problemi del vivere.
Il poema è suddiviso in quattro libri e i temi sono appunto quattro: nell’ordine la vita nei campi, l’arboricoltura, l’allevamento del bestiame e l’apicultura. Rispetto alla già citata opera varroniana, Virgilio selezionò non tutte le attività contadine, ma quelle ritenute da lui più importanti. Per quanto riguarda l’apicoltura, l’importanza era data dal fatto che all’epoca (e fino al 1492 con la scoperta dell’America) lo zucchero non era presente nel continente europeo e, per questo, il miele, un prodotto allora assai costoso, lo sostituiva, rendendolo fondamentale peraddolcire il vino amaro romano e greco. Inoltre il microcosmo dell’alveare viene utilizzato con fine analogico da Virgilio, come immagine ideale della connessione tra natura e cultura.
Nelle Georgiche compaiono digressioni narrative che sono, nel primo libro, le guerre civili; nel secondo le lodi alla vita agreste; nel terzo la peste degli animali nel Norico e nel quarto libro la storia di Aristeo e delle sue api. Questa polarità fra vita e morte che intravediamo nelle digressioni finali di ogni libro, danno un senso all’architettura formale che si tramuta in un chiaroscuro di pensieri che conduce e invita il lettore alla riflessione.
Dobbiamo soffermarci sulla digressione finale del quarto libro, che segna dunque anche la chiusura di questo prezioso poema didascalico. La digressione ha un carattere narrativo e in esso si toccano con mano tutta l’influenza della poesia neoterica di Virgilio, specialmente nell’emulazione del carme 64 di Catullo: qui Virgilio spiega il principio della bugonia, la credenza nella generazione spontanea della vita, credenza che rimarrà salda sino al XVII secolo in tutta l’Europa. Virgilio racconta della bugonia con l’episodio del bue morto dal quale sono nati dei gruppi di api. Questo episodio apre all’introduzione della sfortunata storia d’amore fra Orfeo ed Euridice, quest’ultima morta a causa di Aristeo, un apicoltore, che aveva perso tutte le sue api per colpa di un’epidemia. Un veggente racconterà ad Aristeo di come Orfeo, con la forza del suo canto, riuscì a riportare in vita la sposa ma che poi riperse per un fatale errore; segue a ciò la sconsolata morte del poeta Orfeo. Aristeo trae un insegnamento prezioso e decide di sacrificare dei buoi, ponendo fine, così, alla maledizione. Dalle vittime del sacrificio si sviluppò di nuovo la vita delle api.
Virgilio nel suo poema didascalico è riuscito a collegare opere narrative diverse, disponendo miti e narrazioni in una cornice perfetta. In questo ultimo tratto ritroviamo il forte richiamo alla poesia neoterica.
L’ENEIDE
La nuova epica, che andava profilandosi in età augustea, ricordava per certi versi l’epica enniana, coniugata con una visione generale della letteratura che adempisse al compito celebrativo per le imprese contemporanee. La nuova epica si proponeva, sì, di riprendere la poetica di Ennio, ma anche di sostituirla. L’Eneide si proponeva di riprendere il gusto verso l’epica tradizionale latina, ma prima di tutto di ritornare verso il modello assoluto del genere, Omero.
L’opera è suddivisa in dodici libri, concepiti come una semplificazione dei quarantotto libri dell’Iliade e dell’Odissea di Omero.
– Nei primi sei libri Virgilio racconta il travagliato viaggio di Enea da Cartagine alle sponde del Lazio, con una piccola digressione per raccontare di come Enea, ultimo discendente di Troia, arrivò proprio da quest’ultima a Cartagine.
– Negli ultimi sei libri Virgilio narra lo sbarco dei troiani giunti vicino alla foce del Tevere, il luogo assegnato dal Destino, e da qui l’inizio di una lunga guerra che si concluderà con la morte di Turno, l’antagonista di Enea.
Chiari sono gli influssi narrativi che Virgilio recepisce dall’Iliade e dall’Odissea: dall’Iliade riprende il tema della distruzione di una città mentre nell’Odissea si narra del viaggio di Ulisse per il Mediterraneo, prima di tornare (o trovare) il patio natio. Tuttavia il viaggio di Enea era privo di un approdo finale chiaro, a differenza di quello di Ulisse, che aveva una meta e uno scopo preciso: senza destinazione e verso l’ignoto Enea è guidato solo dalla “divinità Destino”, che lo condurrà fino alla foce del Tevere.
La sintesi fra dimensione omerica e realtà augustea era giunta a Virgilio attraverso una leggenda secolare che riguardava il mito della fondazione di Roma, collegato alla guerra di Troia. Infatti eroi di parte greca e di parte troiana sarebbero stati i colonizzatori delle località italiche attorno a Roma. La leggenda di Enea fu quella che senza dubbio le masse recepirono con più ampiezza e durevolezza, e fu quella che si tramandò più diffusamente sin dall’inizio. In realtà, non sembra che Enea abbia mai avuto collegamenti con la fondazione di Roma (come pure alcuni storici romani sapevano o congetturavano), sebbene questa leggenda venga difesa già dal IV secolo a.C., come attestano studi archeologici rinvenuti dalla località di Lavinium, a sud di Roma. Inoltre i romani ricollegavano alla discendenza con il greco Enea, imparentato per via genealogica a Romolo, il fondatore della città, e rivendicavano una sorta di parità genealogica coi Greci proprio per questa credenza sulle loro origini. E quando divennero egemoni del Mediterraneo, dopo la terza guerra punica voluta da Catone il censore, legittimarono storicamente (secondo le loro leggende) il loro nuovo potere.
I libri dell’Eneide sono dodici e riportiamo qui di sotto la breve trama di ognuno:
– I LIBRO. Giunone che non dimentica l’odio nei confronti dei Troiani, manda una tempesta che provoca la distruzione della flotta di Enea che lo costringe ad approdare in piena emergenza a Cartagine. Qui favorito dalla madre divina Venere, trovò buona accoglienza presso la regina Didone che chiede al suo ospite di narrare la fine di Troia (digressione virgiliana).
– II LIBRO. Enea racconta ad Enea i dettagli della guerra di Troia e la distruzione della città. Racconta inoltre di come riuscì a scappare col padre Anchise, col figlio e con i Penati, che segnavano la continuazione della stirpe. Creùsa la moglie gli fu però portata via dalla morte-
– III LIBRO. Una volta partiti da Troia, Enea si rende conto che sta fuggendo dal mondo orientale per sbarcare in un nuovo mondo occidentale. Il racconto si conclude con la morte del vecchio Anchise.
– IV LIBRO. Dopo la partenza di Enea da Cartagine, Didone, strutta dal dolore si toglie la vita sottolineando l’eterno odio fra Cartagine e i troiani e in un certo senso quindi fra Cartagine e Roma.
– V LIBRO. I troiani fanno scalo in Sicilia dove verranno svolti dei giochi funebri in onore di Anchise.
– VI LIBRO. Enea giunge a Cuma, in Campania, dove consulta la Sibilla ed entra in contatto col mondo dei morti: incontra Deìfobo caduto a Troia, Didone morta per causa sua, Palinuro e soprattutto il padre Anchise che gli mostra la discendenza eroica della sua stirpe che però non risulta vittoriosa sulla morte.
– VII LIBRO. Arrivato lungo le foce del Tevere, riconosce in esse le terre profetizzate dal padre come luogo di fondazione della nuova città e fa subito un patto con il re Latino per sposare la figlia Lavinia. Giunone, l’eterna nemica dei nemici, contrariata da ciò lancia contro il patto un demone della discordia chiamato Aletto che fa scaturire una guerra guidata da Turno e da Amata (la moglie di Latino).
– VIII LIBRO. Enea per consiglio divino risale il Tevere e trova l’appoggio di Evandro, re di una piccola nazione di Ὰrcadi. Insieme a Pallante, il figlio di Evandro, trova un altro alleato molto potente composto da una coalizione etrusca all’epoca impegnata in una guerra contro Mezenzio, un alleato di Turno. Enea grazie all’aiuto divino ha in dono una completa armatura vulcania.
– IX LIBRO. Il campo di battaglia troiano, assente di Enea, si trova in una situazione critica. Turno ottiene parziali successi.
– X LIBRO. Enea entra in scena e uccide Mezenzio. Turno invece in una singolar tenzone uccide il giovane Pallante e lo spoglia del balteo, la cintura di cuoio, pendente dalla spalla destra verso il fianco sinistro, alla quale i soldati romani appendevano la spada.
– XI LIBRO. Enea piange il suo amico e protetto Pallante. Dopo un tentativo di pace fallito, Turno continua a sfidare la sorte con la guerra.
– XII LIBRO. Turno, provato dagli insuccessi, accetta un duello decisivo con Eneo. Ma Giuturna, una ninfa di Giunone, fa decadere anche questo patto. Riprende la guerra e Turno soccombe spinto dalla forza di vendetta di Enea per l’uccisione di Pallante. Giunone e Giove si riconciliano e fanno sì che nel nuovo popolo dei romani non ci sia più nessun legame coi troiani.
L’Eneide che certamente è un’opera dal denso significato storico e politico, non è però un poema storico e, nonostante il titolo, l’opera non traccia un profilo biografico dell’eroe troiano.
Virgilio lavorò sul verso epico dell’esametro portandolo al massimo della regolarità e al massimo della flessibilità. Plasma il suo esametro come strumento di una narrazione lunga, articolata e continua. L’allitterazione, per esempio, diventa in Virgilio un uso regolato e motivato. Il linguaggio è per forza di cose, per tematiche toccate, molto elevato, colto e distante dalla lingua in uso. L’opera virgiliana è ricca di arcaismi e di poetismi, alcuni utilizzati per omaggiare Ennio. Ma c’è anche da dire che, allo stesso tempo, utilizza lessemi del livello medio, termini non marcatamente poetici, piuttosto la novità consiste nei nuovi collegamenti fra parole: ad esempio, ventis dare vela “dare vento alle vele” o ancora lux aena “luce di bronzo” sono nessi a noi familiari, questi collegamenti al limite dell’ossimoricità ebbero una forte influenza sulla tradizione letteraria occidentale successiva. Lo sperimentalismo virgiliano sa, però, mantenersi a livello di un lessico semplice e diretto. Virgilio introduce anche l’uso frequente degli epiteti che accompagnano oggetti e personaggi, quasi a fissarne un posto unico nel mondo. Tutto, infatti, deve essere catalogato con precisione (inutile, qui, non ricordare delle precedenti esperienze poetiche di Virgilio già descritte nel paragrafo sulle Georgiche). Gli epiteti avevano lo scopo di costituire elementi in grado di coinvolgere il lettore nella situazione e introdurlo agli aspetti psicologici dei personaggi.
L’attenzione alla soggettività è una caratteristica propria dell’epica di Virgilio, in particolare nella sua concentrazione nella maggiore iniziativa data al lettore negli spunti di riflessione che sono sempre comunque pacificati dalla funzione oggettivante garantita dal poeta. Il poeta è portavoce del romano che guarda alle sue origini e alla sua salvezza presente vista nella figura di Augusto.
FORTUNA DI VIRGILIO
La fortuna di Virgilio fu immediata e malgrado i suoi desideri, un personaggio celebre e molto popolare in Roma. Già dal 20 a.C. Epirota, un grammatico, teneva delle lezioni sui suoi versi. In particolare l’Eneide ebbe un’influenza inquantificabile sui poeti, letterati e sui critici. Una pleiade di poeti minori, ma prima ancora Seneca il Vecchio e Petronio, si misero a imitare i più vari aspetti della tecnica virgiliana. Ciò fu una costante almeno fino a I secolo d.C., quando fu redatta l’Appendix Vergiliana. Ancora nell’epoca successiva rimase Virgilio il poeta, il vate romano per eccellenza e persino in epoca cristiana Agostino e Girolamo ne tesserono le lodi. Nel medioevo l’epica cavalleresca e mitologica presero spunto dai codici virgiliani e più avanti si trovano i primi confronti e le prime distinzioni fra Omero e Virgilio. Persino in epoca contemporanea i regimi fascisti, nazisti e oggi neofascisti e neonazisti vedono in Virgilio un cultore del nazionalismo guerrafondaio a cui dover guardare come centro di interesse ideologico e culturale. Ma l’opera di Virgilio si è offerta anche a riletture meno lesive su un piano, per così dire, politico: nel 1982 Virgilio è stato insignito dell’effige di “poeta della pace”.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Conte G.B., Profilo storico della letteratura latina, Le Monnier università, Firenze, 2004.
http://www.classicitaliani.it/dante1/georgicon04.pdf
http://www.myetymology.com/encyclopedia/Bugonia.html
http://www.scuolafilosofica.com/2171/letteratura-latina-alla-fine-della-repubblica-romana
http://www.scuolafilosofica.com/1461/storia-romana-iii-la-fase-imperiale-da-augusto-a-costantino
http://www.scuolafilosofica.com/1440/storia-romana-parte-1-dalla-fondazione-alle-guerre-sociali
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