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I modi di attacco col fuoco sono cinque: il fuoco diretto contro persone, contro le provviste, contro gli equipaggiamenti, contro gli arsenali, contro i magazzini. Bisogna trovare una misura nelle proprie azioni tale che sia commisurata all’evento che sta accadendo.
Il capitolo tratta di ciò che può essere distrutto e, per tanto, che costituisce un vantaggio e uno svantaggio. E’ di vantaggio saper cosa colpire, è di svantaggio essere colpiti dove fa più male. Il fuoco è da intendersi come principio distruttore generale, come arma in grado di determinare la capitolazione di una forza nemica:
In breve, ci sono cinque modi di attaccare col fuoco –
Il primo è detto “dar fuoco alle persone”.
Il secondo è detto “dar fuoco alle provviste”.
Il terzo è detto “dar fuoco agli equipaggiamenti”.
Il quarto è detto “dar fuoco agli arsenali”.
Il quinto è detto “dar fuoco ai magazzini”.[1]
Sun Tzu individua cinque elementi coinvolti nel conflitto che possono essere distrutti in modo da arrecare vantaggio. Come sempre, da un insieme di istruzioni possiamo trarre importanti informazioni sulla natura del generale applicato al particolare. Ogni istruzione individua un elemento preciso che può essere distrutto con vantaggio o che costituisce, per noi, un pericolo se lo perdessimo. Con la sua consueta concisione, Sun Tzu non ci indica la duplicità degli elementi considerati come vitali, ma, giunti al dodicesimo capitolo, dovremmo essere in grado di comprendere la bipolarità compenetrata degli opposti senza necessitare di enunciazioni più specifiche.
In questa concisione risalta tutta la potenza didattica del Maestro. Egli ci sprona a utilizzare i suoi concetti con la nostra mente, egli ci indica quella strada che solo noi possiamo seguire, in modo che ciascun allievo possa diventare un abile generale diverso da ogni altro pur essendo “idoneo” allo stesso modo di ogni altro. Solo attraverso questo esercizio individuale, non passivo, il testo L’arte della guerra dischiude tutto il suo significato potente e straordinario. Ma se siamo lettori passivi, se non seguiamo la strada personalmente, questo testo così denso e ricco si trasforma in una sequenza piuttosto noiosa e sterile di istruzioni senza un senso profondo. Sun Tzu è un vero Maestro, un filosofo nel senso di ‘mentore’: egli impartisce lezioni severe e, talvolta, brutali, ma sta all’allievo saper cogliere il profondità il suo metodo e i suoi pensieri ripercorrendoli come colui che “sale la scala e la butta via, una volta salitoci sopra”.
Tener presente tutti i fattori è indispensabile sia al sovrano che al generale, ma su di un piano diverso. Il sovrano deve occuparsi del piano politico e strategico della guerra, il generale della logistica e dell’esecuzione tattica degli ordini della strategia politica. Così, il sovrano non deve scegliere obbiettivi senza senso e il generale non deve cedere alle sue emozioni o essere motivato da interessi materiali. Entrambi devono svolgere il proprio ruolo esercitando il pieno dominio di sé e dell’altro, ciascuno al proprio livello. Solo attraverso l’esecuzione virtuosa dei propri compiti sui propri domini si può determinare la vittoria totale. L’intromissione del sovrano nelle decisioni tattiche implica la confusione dell’esercito e determina azioni viziose da parte del generale e dei soldati. Se il generale prende decisioni politiche può comportare il collasso della strategia globale, rendendo inutili i suoi sforzi. Il risultato può essere il seguente:
La rabbia può trasformarsi in gioia,
Il rancore può trasformarsi in delizia,
Ma uno Stato estinto non può tornare a vivere,
Né un morto può tornare in vita.
Perciò il sovrano illuminato pondera tutto ciò,
E il buon generale agisce cautamente.
Questo è il Tao che mantiene lo Stato sicuro e l’esercito integro.[2]
Ritornando agli elementi chiave da tener presente in attacco e in difesa, Sun Tzu ne elenca cinque (si noti la ricorrenza di tale numero). Le “persone” rappresentano la forza materiale capace di agire e compiere azioni militari. Esse sono lo strumento del generale e la loro distruzione implica il disfacimento della forza materiale capace di agire contro di noi.
Le “provviste” sono la riserva energetica e materiale di un esercito. Non si dà guerra senza provviste e non c’è conflitto durante il quale i belligeranti non debbano poter avere accesso alle loro risorse di riserva. Esse sono essenziali e vitali perché la loro distruzione implica la perdita di forza e la progressiva dissipazione progressiva e definitiva, perché irrecuperabile, delle energie delle persone, sia nello spirito che nel corpo.
Gli “equipaggiamenti” sono gli strumenti di offesa e difesa delle persone. Senza la spada il fante è reso inoffensivo, senza lo scudo è reso vulnerabile. Distruggere la spada e lo scudo costituisce l’annullamento delle possibilità di agire delle persone. Un soldato privo di armi e di difese è semplicemente una canna che pensa. Un esercito composto da uomini senza equipaggiamenti è facile da colpire. Distruggere gli equipaggiamenti, dunque, costituisce un indubbio vantaggio. Eppure, nel caso di vittoria, è pur sempre meglio conquistare intero e intatto l’equipaggiamento del nemico. Per tanto, bisogna ricordarsi sempre che la tecnologia nemica può diventare nostra e, questo, deve costituire un freno, qualora si voglia distruggere per il solo cedimento all’ira.
Gli “arsenali” sono i centri propulsori della tecnologia avversaria. In essi si forgiano equipaggiamenti e si concentra la manodopera specializzata. Eliminare gli arsenali nemici significa rendere impotente un esercito, perché lo si priva delle armi e delle difese, così che tutto ciò che rimane è ciò che possiede il singolo soldato. Ma gli archi abbisognano di frecce e le spade di strumenti per levigare la lama. Senza di essi, il soldato può anche avere il suo equipaggiamento, ma l’usura lo renderà inutile. Allo stesso tempo, gli arsenali sono il centro della forza degli equipaggiamenti del nemico: conquistarli intatti potrebbe essere straordinariamente utile, perché potremmo riusare noi quella stessa manodopera e quella stessa tecnologia in modo da armare nuovi eserciti o sostentare il nostro.
I “magazzini” sono i centri di raccolta delle provviste. In essi si conserva l’intera quantità di risorse materiali capaci di tradursi in energia fisica. Essa costituisce la base dell’alimentazione di un esercito. Distruggerla può comportare l’indiretta distruzione delle risorse di un esercito. Perderla significa essere esposti ad un nemico ben sfamato con il nostro esercito esausto.
Ma Sun Tzu può essere riportato sul piano individuale, mostrando in modo molto più concreto tutta la brutalità del suo insegnamento, brutalità che va intesa in senso morale, non nel senso che egli è un insegnante brutale. Sun Tzu non insegna una buona novella, egli non è un moralista. Sun Tzu è l’espressione di un logico e freddo calcolo sull’arte del conflitto in tutte le sue forme e, adesso, vedremo in che modo la lezione di questo capitolo può generare riflessioni giustificate sul piano del conflitto ma ingiustificabili sul piano etico.
Un individuo può essere inserito nell’analisi di Sun Tzu, se opportunamente definito: egli è dotato di una forza che si fonda sulle sue capacità fisiche di resistere allo sforzo; egli dispone anche di armi con cui offendere. Così, per colpire una persona, puoi individuare i seguenti punti deboli: il centro della persona (la volontà), le sue risorse fisiche, le sue armi e gli strumenti con cui protegge le sue risorse e le sue armi. Colpire i nodi della rete individuale di una persona implica che egli sia costretto a porvi riparo e, conseguentemente, lascia sguarnito un altro punto, così che quel punto ora può essere attaccato. Saper colpire al massimo le sue riserve implica fiaccarlo prima nel fisico e poi nell’animo. Colpire le sue armi significa renderlo incapace di colpirti ed è, così, ridotto alla tua mercé. Di conseguenza bisogna sempre colpire un nodo della sua rete per abbattere l’intera rete. Un individuo è, dunque, vulnerabile, è debole ed è facile da atterrire, basta sapere dove colpirlo, come farlo e farlo ed egli cadrà tramortito preferendo la morte alla vita.
[1] Ivi., Cit., p. 56.
[2] Ivi., Cit., p. 58.
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