La neuroetica, intesa come studio neuroscientifico dell’intuizione e del senso morale, è una disciplina ormai affermata nel vasto panorama della ricerca neuroscientifica. Nata, cresciuta e coltivata per lo più all’estero (USA in testa), la neuroetica inizia a trovare spazio anche in Italia. A garantirlo, autorevoli studiosi, fra i quali Alberto Priori e Manuela Fumagalli del Policlinico di Milano.
Il Prof. Alberto Priori, neurologo e neurofisiologo, è direttore del Centro Clinico per la Neurostimolazione, le Neurotecnologie e i Disordini del Movimento della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dell’Università degli Studi di Milano, presso cui la Dr. Manuela Fumagalli, neuropsicologa, svolge attività di ricerca. Li abbiamo intervistati.
E’ proprio vero che la neuroetica, nel senso inteso, trova spazio anche in Italia?
Priori: Negli ultimi cinque anni sono nati anche in Italia alcuni centri di ricerca interessati allo studio del giudizio morale e di come ci comportiamo in situazioni connotate moralmente. A livello internazionale, è ormai da più di dieci anni che la letteratura sta studiando come il cervello elabora le emozioni morali e decide in situazioni morali. Le ultime tendenze sono lo studio della morale in ambito clinico, ovvero quali sono le caratteristiche del giudizio morale nei pazienti con disturbi psichiatrici e con comportamenti violenti in relazione all’attivazione di certe aree cerebrali.
Quali temi affronta la vostra ricerca neuroetica?
Priori: Il nostro interesse scientifico è rivolto alle aree cerebrali che sono implicate nel giudizio morale. Nel nostro laboratorio abbiamo utilizzato metodiche di stimolazione sia invasive che non invasive per studiare il ruolo di aree corticali e sottocorticali nelle decisioni morali. Ci stiamo inoltre occupando delle differenze di genere e delle differenze nel giudizio morale di pazienti con patologie neurologiche quali la malattia di Parkinson e la sindrome di Tourette.
Fumagalli: In particolare, abbiamo stimolato la corteccia prefrontale, che è risultata essere modulata in modo diverso negli uomini e nelle donne, e nei pazienti con malattia di Parkinson abbiamo indagato l’attività di una piccola struttura situata nelle profondità del cervello, il subtalamo, durante la lettura di frasi a contenuto morale.
“Gender-related differences in moral judgments” è uno studio da voi pubblicato nel 2009 su Cognitive Processing ed ha il merito di essere uno degli studi italiani più citati in letteratura quando si voglia argomentare in favore della necessità di una ricerca scientifica sulla morale che tenga conto delle differenze di genere. Potete esporci brevemente il punto dello studio e provare a spiegare le ragioni del suo successo?
Priori: Questo è il primo studio in ambito neuroetico svolto nel nostro laboratorio di ricerca. Credo che il suo merito sia quello di essere uno studio metodologicamente lineare e semplice, uno studio comportamentale in cui ad un gruppo di soggetti sani venivano presentati dei dilemmi morali. Il risultato è stato che indipendentemente dal percorso di studi (scientifico piuttosto che umanistico) e dagli anni di studio il campione femminile risultava essere propenso ad un comportamento altruistico anche a scapito dei propri interessi, mentre il campione maschile risultava essere più “egoista”.
Fumagalli: Il successo di questa ricerca è in parte dovuto all’interesse sempre presente nella ricerca verso le differenze tra uomini e donne. La diversità del comportamento tra maschi e femmine soprattutto in situazioni socialmente ed emotivamente rilevanti suscita grande curiosità poiché sono chiamate in causa non una ma molteplici possibilità di spiegazione, dalle cause biologiche alle cause socio-ambientali.
“Brain Switches Utilitarian Behavior: Does Gender Make the Difference?” è il primo studio sul giudizio morale che impiega la neurostimolazione cerebrale. Di che cosa si tratta e quali risultati sono emersi?
Priori: Abbiamo utilizzato una tecnica di neurostimolazione non invasiva, la stimolazione transcranica a correnti dirette (tDCS), che consiste nell’applicazione di un elettrodo sulla testa in corrispondenza dell’area cerebrale che si vuole stimolare e che consente, tramite il passaggio di una lieve corrente, di modulare per un periodo limitato di tempo (nell’ordine di decine di minuti) l’attività cerebrale dell’area interessata. In questo studio abbiamo stimolato la corteccia prefrontale, un’area coinvolta nel controllo del comportamento. Pazienti che hanno una lesione in questa porzione del cervello possono infatti presentare difficoltà di decision-making e scarso controllo del comportamento, che può diventare irascibile e aggressivo.
Fumagalli: Abbiamo proposto ad un campione di soggetti sani dei dilemmi morali prima e dopo tDCS della corteccia prefrontale. I risultati hanno confermato la differenza nelle risposte altruistiche tra uomini e donne già evidenziata nel nostro lavoro del 2009, e per quanto riguarda l’effetto della stimolazione cerebrale, essa ha mostrato di essere capace di modulare le risposte del campione femminile rendendole più razionali ed egoiste. Sebbene l’effetto sia stato rilevato dopo una decina di minuti dalla fine della stimolazione (ma non sappiamo la reale durata dell’effetto perché non abbiamo fatto studi con tempi più lunghi), il risultato è molto interessante da un punto di vista della pura ricerca sulla neuroetica perché mostra che il cervello maschile e quello femminile funzionano in modo differente. Abbiamo inoltre confermato che la corteccia prefrontale, che veniva stimolata in questo studio, ha un ruolo cruciale nell’orientare il nostro comportamento in situazioni sociali ed emotive complesse, con importanti implicazioni a livello clinico, sempre ovviamente nel rispetto dell’etica.
In che misura la mente morale della donna è diversa da quella dell’uomo?
Priori: Nel nostro studio del 2009 abbiamo rilevato una differenza a livello comportamentale, in cui le donne risultano orientate a comportamenti altruistici, guidati dall’empatia e dalle emozioni, mentre gli uomini sono guidati nelle loro scelte morali dal rispetto per la legge e dal calcolo razionale. Sebbene le cause di tale differenza non siano ancora state del tutto chiarite, quello che è certo è che essa è il risultato dell’intervento di diversi fattori e non di una sola causa.
Fumagalli: Vi sono infatti differenze biologiche tra uomini e donne a livello degli ormoni, dei sistemi neurotrasmettitoriali, nella struttura di alcune aree del cervello e nel diverso modo in cui specifiche aree cerebrali si attivano durante diversi compiti cognitivi. Tra le cause socio-ambientali invece si annoverano i ruoli sociali che uomini e donne hanno nella società, il tipo di educazione ricevuta e gli studi, scientifici piuttosto che umanistici. Un discorso a parte andrebbe infine fatto in merito alla cultura: gli studi scientifici su cui si basano tali conoscenze sono relativi alla società occidentale, è possibile che in altre culture uomini e donne abbiamo comportamenti morali diversi dai nostri.
“Functional and clinical neuroanatomy of morality” è invece una vostra revisione della letteratura neuroetica pubblicata su Brain l’anno scorso. Quale taglio espositivo e interpretativo avete deciso di dare alla materia sottoposta a revisione?
Priori: Abbiamo deciso di dare a questo lavoro un taglio clinico, con l’intento di sollecitare l’interesse di neurologi e psichiatri verso questi argomenti e sottolineare la rilevanza clinica e non solo sperimentale degli studi sulla morale. Gli studi che abbiamo inserito nella review sono molti e variano per il tipo di soggetti / pazienti studiati, la metodica utilizzata, il tipo di “test morale” impiegato: abbiamo deciso così di organizzare la review per lobi cerebrali, e per ogni porzione del cervello sono riportati gli studi in ambito morale condotti in campioni di soggetti sani, in pazienti neurologici (tumori cerebrali, malattie neurodegenerative come la malattia di Parkinson e la demenza frontotemporale) e pazienti psichiatrici (pazienti con disturbo antisociale di personalità e con comportamento violento).
Alla luce di quanto emerso dalla vostra analisi, quali sono i percorsi di ricerca più sviluppati e quali quelli che andrebbero sviluppati poiché promettenti ma attualmente marginalizzati?
Priori: Gli studi sui soggetti sani con risonanza magnetica funzionale sono sicuramente quelli più numerosi e che meglio hanno indagato come le persone decidono di fronte ad una scelta morale, quali emozioni sono coinvolte, quali variabili entrano in gioco. Recentemente sono in aumento gli studi sia di neuroimaging sia studi morfologici strutturali in pazienti psichiatrici, in particolare in patologie come la schizofrenia, l’autismo, il disturbo antisociale. Promettenti sono anche gli studi su pazienti pedofili, ancora poco indagati.
Fumagalli: Poco studiato è anche il coinvolgimento delle strutture sottocorticali, le così dette aree “antiche” del cervello, situate in profondità, che hanno ancora molto da dirci sul loro ruolo nel giudizio morale. Con la collaborazione dei neurochirurghi dell’IRCCS Galeazzi e dell’Istituto Neurologico IRCCS Carlo Besta di Milano, abbiamo iniziato a studiare una struttura profonda, il nucleo subtalamico, registrando la sua attività elettrica in pazienti con malattia di Parkinson che si sottoponevano ad intervento chirurgico per la Stimolazione Cerebrale Profonda (Deep Brain Stimulation, DBS) che consiste nell’inserimento di elettrodi all’interno del cranio in corrispondenza di questa piccola struttura. I pazienti venivano invitati a leggere delle frasi sullo schermo di un computer e ad esprimere il loro giudizio in merito. Le frasi riguardavano temi rilevanti da un punto di vista socio-morale, quali la pena di morte, l’aborto, l’omosessualità… I risultati di questo studio hanno evidenziato che il nucleo subtalamico rispondeva in modo specifico a quelle frasi il cui contenuto sociale era più “scottante” e su cui vi era meno accordo nella società. Questo dato dimostra che una piccola e profonda struttura del cervello sembra avere un ruolo importante nell’elaborare in modo specifico informazioni “conflittuali”.
Che idea vi siete fatti circa le questioni morali poste all’attenzione di filosofi e scienziati dalle prospettive fanta-neuroscientifiche ad esempio di un controllo del comportamento morale attraverso la stimolazione del cervello, oppure della possibilità di sviluppare una valutazione della capacità e intelligenza morale dell’individuo attraverso l’analisi funzionale del cervello? Sono questioni che oggi meritano di essere poste?
Priori: Sono questioni importanti e che i ricercatori hanno il dovere di considerare e tenere presente nel progettare la ricerca futura. La nostra revisione della letteratura è stata infatti discussa proprio su questo tema, forse perché per primi abbiamo intravisto la possibilità di modulare l’attività cerebrale ai fini di modificare il comportamento morale del soggetto. Tuttavia, continuiamo strenuamente a sostenere che, sebbene nel futuro si prospetti questa possibilità, la ricerca in tale ambito debba essere quanto prima regolamentata da delle linee guida che orientino il ricercatore e gli permettano di studiare il comportamento umano senza superare certi confini che la comunità scientifica internazionale dovrebbe definire al più presto. Al momento attuale, questo è solo un pericolo che riguarda il futuro, ma oggi la ricerca procede veloce e soprattutto nell’ambito delle neuroscienze morali gli studi stanno aumentando rapidamente.
In che misura la neuroscienza è attualmente entrata nelle aule di tribunale? Quanto lavoro di aggiornamento sarà doveroso fare?
Priori: Le neuroscienze si stanno gradualmente affacciando al mondo forense. Il ricorso a prove neuroscientifiche soprattutto in merito al giudizio circa la capacità di intendere e di volere degli imputati è in Italia un evento raro che finisce sulle pagine dei giornali. Le prove neuroscientifiche attualmente più utilizzate sono quelle ottenute dalla risonanza magnetica funzionale, che fornisce informazioni sulla funzionalità cerebrale durante una specifica attività cognitiva, e dalle analisi del patrimonio genetico. In Italia ci sono almeno due processi in cui le prove neuroscientifiche sono state cruciali nell’orientare la decisione del giudice. Queste nuove applicazioni sicuramente richiedono a chi si occupa di neuroscienze e vuole entrare nel mondo forense una formazione specifica.
Fumagalli: Sebbene le prove neuroscientifiche e la loro applicazione allo studio e alla comprensione del comportamento umano siano ormai riconosciute a livello scientifico, e nonostante una certa resistenza nel campo forense nell’accettare queste prove come valide, il nuovo approccio forense alle tecniche neuroscientifiche è oggi più aperto, viene riconosciuto in alcuni casi il loro valore dirimente nel decidere dell’imputabilità e la loro capacità di completare le tradizionali visite psichiatriche e neurologiche fornendo una maggiore oggettività nei risultati.
Concludiamo. La neuroetica: fenomeno di passaggio o inizio di qualcosa destinato a rimanere?
Priori: Gli anni che stiamo vivendo sono dominati in ambito scientifico dalle scoperte sul cervello e sul suo ruolo chiave nel determinare il comportamento. Questo ha cambiato il modo di pensare e di leggere la realtà non solo per gli scienziati ma anche per l’uomo comune. In particolare, lo studio di come il nostro cervello funziona mentre prendiamo decisioni importanti o risolviamo una situazione moralmente complicata (pensiamo ad esempio al medico, che prende decisioni in cui si decide della vita di una persona) è rilevante per spiegare e comprendere sempre di più il comportamento umano nelle diverse situazioni. L’applicazione di tali conoscenze in ambito medico e in ambito forense ci fa pensare che non si tratti di una semplice moda ma di un filone di ricerca che andrà sempre più sviluppandosi negli anni a venire.
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