Di Corona A. www.scuolafilosofica.com
Pag. 23: La scoperta del petrolio sintetico.
Strap.
Pag.24: Il Condotto di Scarico Extra-atmosferico.
Strap.
Destino bizzarro di pagina 24, finire anzitempo all’interno del meccanismo che essa stessa descrive così accuratamente. Destino bizzarro, sparire in quel …tunnel sotterraneo in cui qualsiasi rifiuto viene disgregato tramite l’azione di enzimi sintetici, per essere in seguito utilizzato come materia seconda nei centri d’assemblaggio. La materia di scarto, per ora inevitabile, viene espulsa a velocità supersonica al di fuori dell’atmosfera terrestre, tramite uno dei C.S.E. propriamente detti. La tecnologia che permette la funzione dell’impianto è assai modern… e via di seguito, uno sproloquio in linguaggio tecnico scritto a piccoli caratteri neri. Nella pagina non si parlava di come poi i rifiuti in orbita, a lungo andare, potessero modificare la quantità di radiazione solare ricevuta dal pianeta, causando seri problemi al clima, senza parlare delle complicanze causabili alle comunicazioni con le società stanziate sulle colonie volanti. Buffo davvero, lo spettacolo offerto dalla pagina che cadeva all’interno del portento che essa stessa descriveva; che essa stessa elogiava.
Sobbalzo.
Furono gli inequivocabili rumori provenienti dalla sinergia tra chiave e chiavistello, il click-clack che la mamma aveva dovuto provvisoriamente predisporre per un guasto all’apertura centralizzata,a dare una scrollata, come lo sparo alle olimpiadi di atletica, uno sprint, al rituale. Fu così che l’intero volume cadde nel condotto, senza la poesia di quella lunga sequenza di strap, destinato a perdere la propria forma senza addii o cerimonie di sorta. In tempo record, medaglia d’oro. Rimpianto da nessuno, in fondo non ne avrebbe sofferto.
Medaglia all’onore.
La mamma di Anita, quella giovane ragazza con rosse efelidi sul naso e sulle guance, spettinata zazzera rossa oltre che segretamente sezionatrice di testi scolastici, non doveva sapere di questo bizzarro hobby. Un funzionario del Governo Centrale non avrebbe certo tollerato che sua figlia esercitasse attività ragionevolmente considerabili eversive, o quantomeno insolite… eversive, insolite : sinonimi, per i Governi Centrali.
Proprio mentre pag. 23 terminava la sua esistenza in quanto tale, i Dissidenti occupavano in massa i laboratori di ricerca animale del Governo Centrale del Nord. Un tempo situato in una cornice di rara bellezza naturale, ora gli edifici si erano ampliati tanto da ricoprire di bianco, cemento e intonaco candidamente tinteggiati, tutta la zona. Negli asettici e immacolati corridoi la tensione era palpabile: solida. Un nutrito commando si era rapidamente impossessato della struttura e aveva radunato i funzionari che vi lavoravano lungo il corridoio principale. L’aria era carica di aspettativa e odorava di paura. Puzzava di terrore. I funzionari, anticamente detti scienziati, attendevano la loro sorte con le schiene poggiate ai muri bianchi. L’assenza di contrasto con i lunghi camici creava l’illusione di tante teste sospese per aria, e i loro pensieri, in armonia, ripassavano all’unisono le atrocità che la storia aveva legato, indissolubili, al nome dei Dissidenti. Eppure, quando uno di loro si fece avanti, semplicemente li squadrò uno per uno, infisse i propri occhi nei loro senza una parola, senza insulti o violenze: senza tortura alcuna. Quando fu davanti ad un uomo, dalla carnagione talmente bianca da eludere l’effetto testa levitante – preferendone forse uno camaleontico – si fermò: guardò fisso dentro quei punti neri, che stavano a un metro e sessantacinque da terra. Un battito di ciglia, un cenno, e mentre l’uomo/pupille tendeva dimesso i polsi, due uomini ubbidivano al silenzioso comando di quello che così si identificava come il capo. Incatenarono i polsi con una catena leggermente ossidata, antica, e la chiusero con un antidiluviano lucchetto a chiave semplice. Il capo si sistemò la chiave con un laccio al polso sinistro. Bizzarro bracciale.
Consumato il pasto di metà giornata, la madre fece ritorno ai suoi compiti di funzionaria mentre la ragazzina si trasferì, con la valigetta alleggerita dal precedente rituale, al Centro per la Formazione. Intanto che l’Enciclopedia Virtuale ripercorreva cantilenante gli avvenimenti storici degli ultimi cento anni, la ragazza rievocava la sensazione di giustizia e appagamento che aveva accompagnato le sue mani, mentre traghettavano il libro verso una nuova esistenza, uno strap dopo l’altro. Nessuna attenzione per la lezione. Quel leggero risucchio dell’ aspirazione, requiem per quel supporto cartaceo della propaganda del progresso. Al suo interno non veniva spiegato come misteriosamente il libro era sopravvissuto alla tecnologia. Era certo un dato di fatto, e nessuno se ne dava pensiero. Sicuramente la carta, quella propriamente detta almeno, soccombette all’evoluzione tecnologica, al progressivo sostituirsi di materiali sempre più efficienti. La fibra attualmente ottenuta in labofabbrica era molto simile a quella che ancora si osservava nelle biblioteche sopravvissute ai moti del 2053. Forse il fruscio, dicevano i vecchi[G1] . Forse il fruscio di un foglio sull’altro, mentre i polpastrelli scivolavano sui margini… Forse, il fruscio.
L’aula dei congressi veniva intanto allestita a tribunale: opera di un noto architetto la sala era modellata ad esempio degli antichi e scomparsi anfiteatri dell’età classica, e poteva vantare una capacità di 5813 posti a sedere. Il modello antico e originale si mormorava, stava in un sito segreto non lontano da là. Neanche i più nonni ricordavano dove fosse di preciso. Non ricordavano. Gli invasori aprirono le porte a tutti quelli che avessero desiderato assistere, e l’aula fu gremita come mai prima. La gente si accalcava, si sedeva per terra, si appoggiava ai muri. I più bassi facevano capolino tra teste di giganti, in bilico sulle punte dei piedi, come se stessero saltellando, su e giù, sbucando dietro spalle più elevate. Prima giù, poi su, ma si tornava sempre giù. E si parlava, tanto e di tante cose. Il chiacchiericcio in crescendo si spense però d’un tratto, quando dall’ingresso centrale fecero il loro maestoso e solenne ingresso due giacche verdi, che conducevano l’uomo dalla pesante catena ai polsi. Ci sarebbe voluta una colonna sonora, maestosa anch’essa. Pareva portare un enorme peso, l’imputato, un masso invisibile legato a quelle catene; tuttavia, aveva acquisito un colorito più umano; il camice bianco gli era stato strappato di dosso, e pendeva, uno straccio ormai, dalla spalla di uno dei due che l’accompagnavano. L’uomo pareva così abbigliato, un civile, con un comune abbigliamento, da civile appunto: polo nera e comodi pantaloni blu. Lo schermo olografico improvvisamente dissipò a gran voce e nitide immagini il mistero sulla sua identità, che serpeggiava da tempo, tra ridondanti punti interrogativi, nelle menti dei presenti. La voce, leggermente metallica, recitò:
Alexander Guard
Funzionario del Governo Centrale del Nord GRADO: S3
Ideatore del progetto di riproduzione in vitro delle specie.
Supervisore della campagna di caccia agli animali infetti dal virus H – 1123
Scopritore del vaccino al virus H – 1123
Appena la voce recitò quest’ultima frase, tutti capirono.
Fuori dal Centro di Formazione, anche detto Centro d’Indottrinamento e Formazione, Anita vide aggirarsi due pseudogatti, attorno ad una pianta luminescente. Rimaneggiata geneticamente per emanare un bagliore, così da eliminare la classica illuminazione dei lampioni elettrici. Uno dei primi sani e significativi risultati ottenuti nel campo. C’era perfino chi teneva un bonsai sul comò, invece che un’ abat-jour. Gli pseudogatti: uno nero, l’altro grigio, si muovevano intorno all’albero. Due amici che passeggiando a vuoto, in vuote chiacchiere si perdono. Di bianchi, non se n’erano più visti dopo l’epidemia di H – 1123 che aveva costretto l’uomo allo sterminio sistematico e organizzato di molte altre specie, in particolare dei mammiferi, come raccontava chissà quale pagina ormai andata del libro di Anita. Con il tempo, sarebbero stati sostituiti dalle pseudorazze e migliorati. Infame menzogna, si sorprese a pensare Anita. Ne era certa, di menzogna si trattava; eppure, non ne sapeva il perché.
Non sapeva certo che il principale ideatore di quella truffa infame era in attesa[G2] di un verdetto. Su di lui pendeva l’accusa di aver nascosto al mondo l’esistenza del vaccino così da permettere che i Governi Centrali assumessero il controllo della produzione di pseudoanimali. Ma chi avrebbe osato giudicarlo? Tutti ne avevano tratto vantaggi, e tutta l’umanità era colpevole verso la Natura. Avevano accettato di perderla in cambio di una vita di agi, della fine delle guerre, della piena occupazione. Di separarsene e di farne una nuova. Aspettava che la corte, composta solo dall’uomo con il bizzarro bracciale, si identificasse, legittimasse il suo potere, la sua pretesa di dettar legge. Avrebbe saputo come difendersi. L’uomo dal bizzarro bracciale però proseguiva il suo muto scrutare frugando nella coscienza dell’imputato, a piene mani. Aveva un’ aria triste, un’ aria da vittima. La situazione non si sbloccava, il tempo pareva dilatarsi.
Insopportabile.
Non potendo reggere oltre quella situazione, Guard prese l’iniziativa:
Ora basta.
-Chi siete voi? Con quale autorità pretendete di giudicarmi?
Silenzio in sala. Suspense. Una roca voce. Spannung.
– Craig Fist.
Rispose pacato il giudice in verde. Craig Fist. Due lacrime fuggirono al controllo del funzionario, entrambe dall’ occhio destro. Fremeva, tremava visibilmente ora. Craig Fist. Una leggenda dell’ epurazione, che con fervore incredibile si era, da solo, fatto carico dell’ annientamento di numerose specie. Un eroe dei tempi recenti. In realtà un carnefice[G3] , un burattino mosso da fili invisibili che lui e i Governi Centrali avevano intessuto con cura. E ora conosceva la verità su se stesso. La consapevolezza di tutto questo gli mozzò il fiato, gli chiuse la gola, bloccò ogni tentativo di parola. Lui, colpevole a sua volta, e anche vittima certo, Lui aveva il diritto di giudicarlo. Voleva fuggire, eppure un cemento lo aveva incollato al suolo, un filo invisibile legava gli occhi dei due uomini. Le teste non si chinavano, e le iridi fisse, immobili, congelate in un tempo lontano. Nella sala, si attendeva.
Anita non poté continuare ad interrogarsi sulle sue conoscenze inconsce. Svelto, un ago penetrò la sua nuca: una siringa in una mano guantata; una manica bianca; il volto di una funzionaria; il viso di sua madre. Tutto si fece vago. C’era una sala immensa, stipata di persone, nel vago. Un uomo che portava al polso una chiave conduceva sul palco una coppia di cervi. Cervi, chiaramente cervi. Incredibilmente, senza pseudo alcuno davanti. Il pubblico si agitava. Una deposizione convincente quella data quei due testimoni a sorpresa. Taceva, il pubblico. Anita era là, eppure non lo era, come all’ interno di un videogioco. Soltanto, l’audio andava e veniva, come se qualche bambino dispettoso premesse il tasto volume off su un videocomando nascosto. Eppure sapeva che tutto taceva, che si ascoltava quella tremenda testimonianza. Poi, on. Sentì chiaramente l’uomo in verde dire “ultima coppia”. Off. E di nuovo on, per sentire solo un grido di rabbia esploso tra la folla. Un funzionario alla sua sinistra buttò via il camice, seguito rapidamente da altri due, tre, dieci. Una piccola grandinata di divise bianche piovve intorno all’imputato. Sebbene non potesse vederlo in faccia, Anita immaginava senza margini d’errore l’espressione che assumeva il viso di quell’uomo. Era marmo, e come acqua sul marmo quelle voci urlavano senza avere effetto. Chi erano i suoi colleghi per giudicare? Nessuno, ma traditori della conoscenza quanto lui. E il giudizio si faceva per l’imputato giustizia. Adesso che la grandine era esaurita, l’audio in off rendeva la scena ancor più assurda. L’uomo in verde, si avvicinava al condannato. Giudice. Metteva le mani nelle sue, la chiave nel lucchetto. Non la girò. Cinque uomini armati si posero davanti a loro, i volti impassibili, scuri e duri. Un cenno al capo. Giudicati, e colpevoli. Anita si sforzò di guardare; doveva vedere. In quello strano abbraccio, l’audio fu di nuovo in on.
BANG.
La scena scomparve, Anita uscì dal videogioco e venne riportata alla realtà attuale. Giustizia. Si sentiva stordita, su un lettino bianco e con dei fari fluorescenti, di tanti colori, che le illuminavano il volto. Lentamente si voltò, e vide la funzionaria dai capelli rossi, i suoi stessi capelli rossi. Poi la sentì. Prima la vide, poi la sentì dire:
-Progetto Anita III fallito. Personalità pseudoumana con tendenze eversive. Problemi di trascendenza empatica in fase REM. Interrompiamo il progetto.
Anita sapeva quello che aveva detto, sapeva e capiva tutto, e ora sapeva perché capiva tutto. Creata. Una pseudoumana, ultimo baluardo delle pseudoscienze, qualcosa che non era previsto, che non doveva essere. Creata. La parola amara non comparve sulle sue labbra, ma fu nitidamente urlata nella sua mente. E ora sapeva cosa stava per succedere. E questo era giusto. Chissà, magari incontrerò l’uomo in verde… fu il suo ultimo pensiero; un pensiero felice.
Infine, la spensero.
Off.
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