Ma chi è, che cosa è, “Amalgrab”? Forse un anagramma o una sciarada nella lingua di Bela Lugosi o comunque balcanica, una crittografia transilvanica che fa sudacchiare sangue grasso e appiccicoso anche ai lettori più che abili che guardano le figure – un libro con le figure, come una fiaba antica, di mezza stagione, un cappuccetto rosso che pasteggia insieme col lupo e poi gli massaggia le gengive doloranti, quadri di Francis Bacon e di Dalì, la memoria persistente, o di Lucien Freud, ogni segno un sogno o un incubo, masturbazioni perversioni pedofile di Balthus – affascinati, i lettori, intontiti, ammaliati dal linguaggio stregonesco: volevano o non volevano, specialmente i più che abili, sentire live la vera “voce” di una strega, o forse è una bella donna dai canini eburnei ingordi di sangue o una seducente adolescente che sa tutto quello che c’è oltre uno specchio o in mezzo alle coltri di un piumino caldo?
Una strega, una jana sardesca, una maga, che, tra l’idioma della città che cammina e parla – in una padronanza di vernacolo-vernacoliere sorprendente in una scrittrice “migrante” – e la gamma straordinaria di sfumature italiane, fa uso di una scrittura colta, originale e fantastica.
Chi è, da dove viene Guergana Radeva, nel cui nome trace, come trace era Spartacus, c’è un presagio di alchimie, di misture di liquidi mestruali e seminali, di metamorfosi, di bene, di male e, specialmente, di quello che sta in mezzo, al bene e al male?
Una nuova scrittrice, “alternativa” (e non è uno slogan elettorale vetero: lo è davvero), elettronica come ingegnera (ma si vede che domina il linguaggio del computer), sa fare le pizze e l’irish coffee e anche il letto come nessuna colf ha mai saputo fare: leggere attentamente per credere.
E se al lettore “alternativo”, perché ad un libro tale e ad una scrittrice tale si addice chi ama davvero la sfumatura rouge et noire della parola che gronda succhi gastrici e/o di fiori d’arancio, viene l’irrefrenabile voglia di conoscere la scrittrice italo-bulgara – che vive mentalmente tra Livorno (e il suo spirito trasgressivo mediceo-popolare) e Sofia (per definizione sede della sapienza) –, faccia una gita fuori porta alle pendici dell’anarchico monte Amiata e non scansi nemmeno per sbaglio Scansano, immerso nel verde e nella storia di secoli, dove l’abbaio dei cani e il miagolio dei gatti faranno da presentazione a una signora, che è tutto fuorché una strega, dal sorriso intrigante come il suo romanzo d’esordio. Ma si capisce che ha già scritto e che la parola la sa lavorare come nelle sue poesie erotiche dove, come in molte pagine del libro opera prima narrativa, la mente si illumina di nuove eccitazioni e il cuore freme e batte come quello di un ragazzino in estasi di una donna sublime, “il dono infantile della meraviglia”.
Il tempo “raffermo” di Amalgrab porta il lettore da tutte le parti e da nessuna parte, certo viaggia in mezzo a strane figure di carnevale, in una città che si muove e si chiude, popolata dai personaggi più bizzarri e forse da una saga fantasy-horror: forse non è la quotidianità, nel tempo raffermo e malfermo, incastonata di divinità con la coda, di luce, di vita, di figli-nipoti incestuosi, di “in principio erat Verbum”, di bambini eterni, tutta gente che è e che non è, che fa e che non fa, che dice e che non dice…? Non è forse questa la vita, è forse questa Amalgrab?
Nonostante la quasi ovvietà di queste ostinate considerazioni, “deve” essere così, altrimenti come?, il lettore non finirà di stupirsi sino all’ultima pagina. Si sentirà attorcigliato alle parole “di morte e di amore, di passioni e abbandoni, di fughe e ritorni” della scrittrice che voleva essere alternativa e, diversamente dagli slogan fedifraghi di certi politici, lo è davvero.
Come lo è la sua città senza nome – ed è inutile e dannoso individuarne una, una Livorno abitata dal vento, dalle maschere, dalla polvere di negozi di bambole antiche e di rigattieri… è proprio inutile e dannoso – che ha un odore, che odore?, ha un rumore di jazz, ha un colore, una scacchiera e tutte quelle cose dark-pink-aracnofobiche-cabalistiche che dimostrano la maestria della scrittrice nel dominare un groviglio apparentemente inestricabile.
Uscire dal labirinto non è certo facile, non deve esserlo stato nemmeno per Guergana Radeva. Inserirsi in sentieri che tuttora la moralità comune, una volta si sarebbe detto “borghese”, evita come – si direbbe in Sardegna – il corno della forca, non era nemmeno di questi tempi “malfermi e raffermi” una scelta facile. Uscirne con la verginità intatta era anche più difficile. Ma la scrittrice ci riesce perché non può interessarle un dettaglio così “per bene” e così scatena la sua fantasia nella sua scrittura onirico-dark-transilvanica che ha tutti i crismi della onestà intellettuale, così poco up-to-date nei giorni mesti del conformismo, e del coraggio che non abundat in ore stultorum ma solo nella penna delle fate o delle streghe. O delle femmine vere.
DI SALVO MICHELE
GUERGANA RADEVA
MANGROVIE
PAGINE: 248
EURO: 14,00
Be First to Comment