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Ce n’è per tutti in questa sorta di storia contemporanea della antropologia (e filosofia) postcoloniale che è il libro del famoso e autorevole professore francese Jean-Loup Amselle “Il distacco dall’Occidente”, pubblicato in Italia dalla “specialista” (e in questo benemerita) Meltemi, che si distingue per battere il ferro sui temi della colonizzazione, della immigrazione, dell’identità, delle culture “altre” e di quelli che una volta erano chiamati i paesi del “terzo mondo” o “sottosviluppati”. Chi, che cosa e come deve distaccarsi dall’Occidente, oppure ha ancora senso farlo oggi, oppure è proprio corretta una prospettiva di rivendicazione di identità pre-coloniale o di autostima postcoloniale? A queste domande cerca di dare risposta il libro del professor Amselle, la cui cultura è certamente superiore alla media, spaziando con assoluta padronanza da Platone a Heidegger, al primo dei… Mohicani, il sardo Gramsci (ancora una volta, secondo Arselle, citato ma non capito), agli archeologi postmoderni africani. Nel mezzo non risparmia nessuno decostruendo – con grande garbo e talora con ironia e tenerezza – i “decostruttori” che, come lo stesso Sartre o il mitico Frantz Fanon, interpretano la storia e la antroposofia come chi ha ricevuto un’infezione che ormai fa parte integrante del suo essere: un po’ come diceva Croce per gli italiani (e anche per gli europei) che non possono non sentirsi cristiani così tutti quegli intellettuali e studiosi africani o antillani o indiani o asiatici non possono non sentirsi in qualche modo “anche” occidentali. Anche una disciplina come l’archeologia – che sembra tetragona a qualsiasi corrosione ideologica – può servire ai rivendicatori ostinati della identità a recuperare le proprie “vere” radici culturali, a “riscoprire” (o far orgogliosamente conoscere) i “saperi endogeni” consentendo di raggiungere una pari dignità culturale che la colonizzazione e la post-colonizzazione hanno misconosciuto o, partendo dal presupposto “primitivista” e “antimodernista” di Heidegger, hanno addirittura messo in discussione persino dall’interno: l’Africa – per rimanere nel Continente più martoriato socialmente dalle bastonate della storia e dalle armi degli europei – è un’invenzione (come sembra dire ad esempio Valentin Mudimbe nel testo intitolato appunto “L’invenzione dell’Africa” e pubblicato sempre da Meltemi) e la cultura degli africani e dei “subalterni” non può che essere quella che parla francese o inglese, molto meno italiana che, in questo, nel fare pratica di osmosi culturale, gli italiani non sono stati capaci, gente brava, sì, ma soltanto a manganellare, a sparare, a impiccare, a predare. “L’imperialismo culturale” italiano non è preso in considerazione da Amselle. Il quale sembra voler concludere – tra le righe, senza dirlo esplicitamente – che “decostruire” da parte di chi è un occidentale o da parte di chi, come la maggioranza degli intellettuali africani o indiani o di altri paesi che hanno subito la colonizzazione, o un ex colonizzato culturalmente meticcio, è impossibile: ormai la cultura attuale africana (o di altri paesi) – così come la lingua – è un meticciato col quale occorre fare i conti. Talora irride, Amselle, a chi pensa il contrario, come quando cita il ministro della salute di Thabo Mbeki, una donna che per sconfiggere l’Aids propagandava il ritorno agli sciamani vale a dire alla “vera cultura e tradizione” indigena.. Un lavoro di grande rilievo e spessore nel quale spicca la grande “autonomia” intellettuale dell’autore che fa di tutto per trovare – anche attraverso i passaggi storici – lui, più degli studiosi che cita, una identità precoloniale non eurocentrica nella grande parte dei paesi che sono stati “toccati”, come il fuoco un bosco, dalla colonizzazione. Tutte le teorie sono analizzate e prese in considerazione, partendo – e uno non se lo aspetta ma poi ciò è molto chiaro e coerente – dall’ebraismo e attraversando tutto il pianeta “subalterno”. Esistono e sono in atto forme che “distaccano” questi paesi dall’Occidente ma i pericoli, dice Amselle, sono dietro l’angolo perché alla fine come per la cultura – ad esempio – della Sardegna, pure “originale” e “autonoma” e quindi “indigena”, non è possibile negare che tutti i colonizzatori (sino all’avvento della democrazia) abbiano lasciato indelebili segni – positivi o negativi – della loro. Uno studio rimarchevole per documentazione a non finire, visitazione dei background filosofici, illustrazione delle diverse teorie, addirittura brevi note biografiche dei pensatori, e infine per la grande onestà intellettuale che vale lo sforzo editoriale e i “pesanti” ventiquattro euro. Pur non essendo un testo “facile” è certo da consigliare perché la conclusione riguarda proprio la trasformazione delle relazioni sociali ed etniche il cui dibattito è in corso spesso con esiti ancora “antichi” e “colonialisti”.
JEAN-LOUP AMSELLE
IL DISTACCO DALL’OCCIDENTE BIBLIOTECA
MELTEMI
PAG. 252
EURO 24,00
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