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Consigliamo I veda – Capitolo 1
Sempre dal Rg-veda (X,90), uno dei passi più interessanti incontrati fin’ora, riguardante l’Uomo Cosmico e la creazione dell’universo per mezzo del sacrificio di esso. Il Purusa o Uomo Cosmico è sia il concetto di uomo esteso all’intero cosmo esistente e agli dei, sia il concetto del cosmo, o in generale della totalità dell’esistente, inteso con le categorie proprie dell’uomo. Forse è più semplice definire l’Uomo Cosmico attraverso la chiarificazione del suo ruolo all’interno del processo creativo della realtà. Egli, attraverso il sacrificio di se stesso, dà la possibilità alla realtà di essere e divenire; il suo corpo è smembrato e dilaniato di modo che la molteplicità degli esseri possa sussistere – e questo significa, per converso, che la molteplicità degli esseri partecipa di un solo Essere, appunto l’Uomo Cosmico. Ma vediamo cosa ci dice con esattezza il passo X,90 del Rg-veda.
Mille teste ha l’Uomo / mille occhi, mille piedi; / cingendo la Terra da ogni lato, / la superò per l’ampiezza di dieci dita.
Questo significa che Purusa è sia la molteplicità (le mille o infinite membra viventi, che indicano mille e infinite esistenze, umane o animali, ancora non è detto), ovvero che esso è costitutivo di questa molteplicità, sia il tutto globale, esso è la terra nella sua totalità spaziale e temporale, nella sua parte visibile come nella sua parte invisibile o trascendente o di dominio divino (L’Uomo, invero, è questo Tutto, / ciò che è stato e ciò che sarà, / il Signore delle sfere immortali …). Egli è composto per un quarto da tutti gli esseri viventi terrestri e visibili, e per tre quarti dagli esseri immortali celesti immateriali e invisibili, ovvero dagli dei che abitano il cielo. Pertanto l’Uomo Cosmico è presente in tutto ciò che è, visibile e invisibile, terrestre e divino.
Dall’Uomo Cosmico stesso fu generata la Splendente (virāj; termine variamente tradotto con «acque cosmiche», «uovo cosmico», «principio materno»), ovvero un qualcosa capace a sua volta di generare, di essere fecondato e di generare (un utero, dunque). Dall’utero fu generato ancora un Uomo Cosmico, sicché egli poté nascere. Una volta nato prese possesso di tutto quanto, creandolo. È così che nasce anche l’uomo. Qualche verso prima viene detto: tre quarti dell’Uomo salirono in alto, un quarto rinacque quaggiù. Ora, questa formulazione mi sembra molto interessante e legata alla strana concezione della doppia nascita dell’Uomo Cosmico. Essa fa pensare che la vita della Terra, quella materiale e visibile, quella dell’uomo ad esempio, per sussistere abbia bisogno di legittimazione, da parte della divinità e ottenuta per mezzo di un sacrificio. Sembra che il testo volesse dirci che non si può dare la possibilità di una nascita autonoma, di una generazione spontanea, della vita terrestre (umana). Prima infatti si dice che il quarto relativo alla vita visibile sulla terra dovette rinascere, ovvero nascere dopo che gli dei erano nati, di modo da stabilire una gerarchia e un ordine sia di priorità temporale sia logico, e poi si dice che lo stesso Uomo Cosmico, prima di accingersi a creare la terra e i suoi abitanti fisici dovette passare per un’unione con una forma generatrice certamente divina, e comunque nascere una seconda volta. Quest’ipotesi mi sembra supportata anche da quanto detto poco dopo nel testo: usando l’uomo come loro oblazione, / gli Dei compirono il sacrificio. Qui l’Uomo Cosmico non è propriamente auto-sacrificantesi, piuttosto è sacrificato dagli dei. Ovvero, c’è una mediazione nell’operazione di smembramento dell’Uomo Cosmico nel molteplice vivente, e questa mediazione è divina.
Per i Veda, sembra di poter dire, dove c’è trasformazione, generazione o sublimazione c’è un sacrificio. Dove c’è sacrificio c’è fuoco, l’elemento che abbiamo già detto essere strettamente connesso all’idea del mutare e del divenire. Dai versi seguenti a quelli per ultimi citati si viene a conoscenza della probabile sostanza usata per le oblazioni dagli uomini del Veda: è il burro, che viene fatto sciogliere dalla fiamma del fuoco. Si approfondirà questo punto più avanti.
Sono gli dei, dunque, nel ruolo di sacerdoti preposti al sacrificio, a sacrificare questo primo nato, o, in altre parole, a disperderlo nella molteplicità delle esistenze. È da questo sacrificio iniziale che vennero tutte le creature, gli uccelli come gli animali in generale, umani e non umani. Da esso venne anche la parola, dunque gli inni, le poesie e le formule sacrificali o rituali. L’Uomo Cosmico fu fatto a pezzi e ogni sua parte divenne parte della realtà vivente. Ad esempio, la sua bocca diventò l’uomo che conosce il mistero del cosmo, presumibilmente il sacerdote; le sue braccia il guerriero; le sue gambe l’uomo comune lavoratore; i suoi piedi il servo (questa è una prima divisione in caste). Anche i pianeti che circondano la Terra, e il Sole, e gli elementi naturali, il Cielo e la Terra stessi, lo spazio e il tempo, nacquero dal suo sacrificio. Questo fu il primo e il totale sacrificio, con esso si stabilì lo stesso rito sacrificale. Con il sacrificio, gli Dei sacrificarono al sacrificio; ovvero, e questo è perfettamente coerente alla logica del sacrificio esposta nel capitolo precedente, gli Dei sacrificano ciò che desiderano, sacrificano l’Uomo Cosmico, ovvero la vita, per ottenere, sulla Terra, di ritorno, la vita dell’essere e l’uomo, e fanno questa richiesta al sacrificio stesso (da intendersi forse come Prajāpati, dio sopra gli dei, e sacrificante e sacrificato primordiale), come massima potenza generatrice e trasformatrice, dal momento che essi stessi sono Dei, e che quindi non possono rivolgersi a se stessi nella richiesta e di doni e di doni legittimi. Questa è anche la storia della nascita dell’uomo. L’aspetto di questo auto-sacrificio, non della comunità degli dei, ma del dio primo, Prajāpati, verrà esaurito meglio nella prossima pubblicazione.
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