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Arcàdij Kirsanov è un neolaureato. Egli torna a casa, dove l’aspettano il padre Nikolaj Petrovic e lo zio Pavel. Ma non è solo. Arcàdij è accompagnato dal suo amico e mentore Evgénij Vasìl’ev Bazàrov. Costui è un “nichilista”, com’egli stesso si definisce. Il romanzo narra la storia di un’amicizia, quella tra Arcàdij e Bazàrov, ma anche i rapporti intimi e familiari tra “Padri e figli”, tra una generazione e un’altra.
La trama è assai esile, se si vuole. Turgenev utilizza uno stile realista avvinto al mondo come un guanto, ma non in senso puramente naturalista, cioè annullando ogni descrizione sentimentale. L’oggetto di narrazione è l’intimità della famiglia, l’intimità di un’amicizia e di diverse storie d’amore, tutte vicende umane studiate dal didentro e mostrate con uno stile sempre molto misurato e mai troppo melenso, troppo lungo o che ricada nel “romanticismo”.
Uno dei temi del romanzo è senz’altro il rapporto tra due generazioni, tra due stili di vita, sintetizzati dai due personaggi maggiormente ricchi di personalità: Pavel Petrovic e Evgenij Bazarov. Uno è un gentiluomo all’antica, decadente e leggermente romantico nel suo dolce far nulla, l’altro è uno spirito energico sebbene del tutto privo di principi. Tuttavia entrambi sono due personaggi affatto piani ma ricchi di contraddizioni: Bazarov, nonostante si dichiari nemico del romanticismo, cade vittima non solo della sua stessa filosofia nichilista ma anche dell’amore inappagato, così ricco di pregnanza romantica che egli stesso non riesce a godere appieno per via dei suoi pregiudizi. Pavel Petrovic è un uomo dal contegno misurato per principio, incapace di riuscire ad avere una vita appagante per via delle sue convinzioni antiche, fatti di precetti inviolabili, di ragioni tramandate dalla tradizione e, per ciò stesse, sacre e indiscutibili. Il duello tra Bazarov e Petrovic è un momento straordinario dove le due figure si misurano e si dimostrano, in fondo, molto più vicine di quanto essi stessi non vogliano ammettere.
La tensione tra il progresso, tra la nuova civiltà della rivoluzione industriale, della massificazione degli ideali, dell’incomprensibilità dei vecchi principi e i vecchi ideali, pur nella loro rigidità, capaci di dar “senso” al mondo si vive durante tutta la narrazione.
Turgenev dice di aver coniato la parola “nichilismo”, concetto assai denso e così diffuso tutt’oggi, non solo nella filosofia. In realtà ciò non è vero, ma è indubbio il fatto che egli lo usi e lo faccia vivere in modo piuttosto consapevole, tutto ciò prima di quel grande finto cantore del “nichilismo” che è stato Nietzsche.
Il libro è considerato uno dei grandi capolavori della narrativa di questo grande genio russo, per la sua acutezza nel raccontare la vita quotidiana della Russia della metà dell’ottocento. Ma possiamo dire che la lettura “storica” di questo romanzo è troppo limitante. Esso valorizza diversi aspetti eterni della vita umana: il contrasto dei figli, sempre impegnati a distinguersi dai padri; il bisogno di amare e di sentirsi amati; l’inutilità di negare i valori estetici della vita quotidiana, anche quella più semplice e umile, capace di riscattare l’aridità dei discorsi della vita vissuta in nome della pura e semplice comodità. Il tutto narrato con eleganza e gentilezza, con una grande partecipazione dell’autore che rimane sempre sullo sfondo ma così genuinamente presente: fossero tutti così presenti e misurati gli scrittori di ogni tempo! E’ un libro che parla per tutti, è un’opera che parla di tutti.
Ivan S. Turgenev
Padri e Figli
Frassinelli
Euro: 8,28.
Pagine: 272.
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