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Consigliamo – La finestra sul vuoto di R. Chandler – a cura di Giangiuseppe Pili e La Fuga
Tutto inizia da un’amicizia casuale: Terry Lennox e Marlowe si incontrano in modo inusuale, quando Terry viene abbandonato da una bionda vistosa e Marlowe si prende cura di lui. Vanno a prendere qualche drink assieme, e l’amicizia iniziale prende una piega inaspettata quando Terry chiede a Marlowe di accompagnarlo a prendere un aereo per andare oltre confine: egli dice di essere stato il responsabile della morte della moglie, una donna viziosa, totalmente prona alla lussuria ma dotata di una cospicua quantità di denaro, per via del padre, un potente uomo del quarto potere, il quale tiene in mano giornali e soldi… e quindi tutto. Marlowe riceve a casa una lettera di confessione di Lennox e un ritratto di Madison (una banconota da cinquemila dollari), come compenso del suo aiuto. Ma Marlowe non riesce ad usarlo e la sua depressione per la perdita di un amico non si risolleva, anche grazie alla sua reclusione in prigione per via dell’aiuto che aveva dato a Lennox per scappare. Rilasciato, viene ingaggiato dalla bellissima Eileen Wade per aiutare il marito, uno scrittore di mediocri libri erotici, alcolista e violento. Ma c’è una connessione tra i Wade e Lennox? Perché tutto sembra non filare liscio? E Marlowe che ruolo ha all’interno di questo quadro a tinte fosche, in mondo ricco e decadente, nel quale nessuno è felice e nessuno fa lo sforzo per sembrarlo?
Il lungo addio è un romanzo che sarebbe potuto essere scritto qualche giorno fa, se non fosse che il noir oggi è diventato qualcosa di totalmente macabro e deviante, che non ha più il coraggio di guardare in faccia la realtà, e preferisce studiare le sistematiche devianze di un pubblico in cerca di un genere gotico aggiornato, senza nessun pregio, senza nessun’estetica. Ne Il lungo addio abbiamo l’archetipo del noir con i suoi pregi e con i suoi difetti, dunque, non il Capolavoro, ma un esempio del suo genere.
Il primo punto interessante è la stessa figura di Marlowe, ormai pienamente matura nella sua costruzione. Egli si delinea come un “romantico”, ma sarebbe più corretto dire “idealista”, se non fosse che negli Stati Uniti già allora la parola “idealista” doveva avere quell’aria negativa ed astratta che ha per noi oggi in Italia. Così, l’autodefinizione di “romanticismo” è connessa all’idea che gli interessi materiali non siano ciò che c’è di più importante, anzi, forse l’interesse materiale rappresenta esattamente ciò che c’è di puramente malvagio e traviato, la base della perversione di un mondo pienamente urbanizzato. Non a caso Marlowe è un uomo del sottobosco urbano, che esplicitamente dice di preferire il corrotto mondo della metropoli alla vita sicura e tranquilla, ma del tutto insignificante, del paese di provincia. C’è, in lui, la consapevolezza del rifiuto dei valori tradizionali (religione, libertà, il sogno americano…) senza avere ben chiaro cosa, invece, c’è di più valevole di quegli stessi valori che sembrano così inattuali. L’amicizia, forse. Un tema, quello dell’amicizia, che ritorna in tutto il romanzo e lo intesse, così, di un’aura melanconica perché Marlowe fa tutto per amicizia, non si fa mai pagare ma paga lui il conto di quelli che, prima si professano amici, e poi non saldano il conto umano, cercando sempre di pagare in contanti piuttosto che in sentimenti. E così sono tutte frustrate le relazioni umane che Marlowe prova ad intessere con gli altri, così è con la signora Loring, così è con i coniugi Wade e con lo stesso Terry Lennox. La solitudine. E’ questa la condanna di tutti gli uomini del sottobosco urbano di cui Marlowe, in fondo, è solo un buon rappresentate. Egli non ha amici e quando prova ad averne si rivelano tutti incapaci di fede, di stima: “La maggior parte della gente vive consumando metà della sua energia nel tentativo di proteggere una dignità che non ha mai posseduto…”[1]. Non si tratta di incomunicabilità, scavata tra le persone per le reciproche visioni del mondo sin troppo diverse per un tentativo di mediazione, si tratta, più verosimilmente, della vacuità stessa della comunicazione a renderla totalmente inutile: nessuno comunica perché sono tutti fin troppo simili, alla ricerca degli stessi vantaggi e comodità, così che tutto perde di senso, perché nessuno ha niente da costruire, da proporre e da difendere. E quando le persone non hanno nulla da dirsi, ma si ritrovano disgraziatamente tutti uniti in un unico posto, ecco che l’unico rimedio diventa cercare di fingere di stare insieme nella condivisione dell’oblio attraverso l’alcool, un destino che l’America degli anni cinquanta sembra aver consegnato alla società europea attuale. Tra le due società ci sono molti punti di contatto: negli anni cinquanta l’America viveva il pieno sviluppo politico della sua potenza economica e, ormai, anche militare; non aveva vissuto i traumi della guerra, quei traumi che avrebbero portato alla necessità di nuovi stili di vita e pensiero in Europa. Ma oggi l’Europa ha appreso che quegli stessi stili di vita e di pensiero non erano niente e che la logica della incomunicabilità, della vacuità e dell’interesse a breve termine è l’unica possibile. E così queste parole non possono sembrare, poi, così lontane dal lettore contemporaneo:
Sorrise ed entrai. Era uno dei soliti ricevimenti in cui tutti parlano a voce troppo alta, nessuno ascolta, e ognuno si avvinghia alla zattera di salvataggio del bicchiere, con gli occhi molto lucidi e le guance accese, o pallide, o sudate, a seconda del quantitativo di alcool consumato e della capacità individuale di tollerarlo.[2]
Preziosa la scelta delle parole: “soliti ricevimenti”, “nessuno ascolta e ognuno si avvinghia alla zattera di salvataggio del bicchiere…”. Non ci può essere dubbio che questa fosse la normalità di chi se lo poteva permettere allora. E oggi chi può dire di essere stato così fortunato da non aver partecipato a qualcosa di simile? Solitudine, solo solitudine, nient’altro che la solitudine. Chandler in questo romanzo sembra come attonito di fronte alla scoperta che un ideale, un sogno di vita, sia del tutto sconfessato dalla realtà: la realtà che tutto ciò che ci rende parte di uno stesso mondo è ciò che ci condanna a vivere senza nessuno. Simbolico, in questo senso, è il rapporto frustrato tra Marlowe e la signora Loring. Un inciso: nei noir di Chandler si riflette una certa visione frustrante del rapporto uomo/donna, giacché tutti i rapporti che Marlowe intrattiene con le donne sono sempre destinati al fallimento, per le più diverse ragioni ma, sostanzialmente, perché lui non riesce a possedere nessun interesse e attrattiva verso un rapporto duraturo (come in La finestra sul vuoto e, soprattutto, ne Addio, mia amata): anche in questo c’è molto di interessante, per noi lettori europei. Per fare un parallelo, si può notare tutta la differenza tra Marlowe e Maigret proprio da questi particolari: Marlowe è un single e non potrà mai essere nient’altro, Maigret è un tranquillo uomo sposato, felice di vivere la sua vita coniugale. Ma il mondo di Maigret era ancora fortemente attaccato alla tradizione, ai “vecchi valori” della tradizione contadina europea, che la borghesia e la rivoluzione sessuale e femminista hanno sostanzialmente cancellato, fino a determinare uno stato di disorganicità sistematica per via dell’assenza di nuovi approcci riconosciuti condivisi e comuni dalle persone. Anche questo era già una realtà nell’America degli anni cinquanta, almeno per la parte urbana dell’America che Chandler ci racconta. Bene inteso, che qui non si sta difendendo il vecchio modo di vivere, ormai impensabile per ragioni di struttura sociale ed economica, ma si evidenzia che anche nella letteratura lo smarrimento che l’uomo-personaggio avverte non consiste nella assenza di una nuova forma di valori, ma nell’assenza di una serie di regole comuni che consentano di rendere l’uomo partecipe dell’altro uomo. Come la rivoluzione Russa aveva distrutto i legami con il vecchio mondo, senza riuscire a portarne uno migliore, ecco che in modo analogo è avvenuto per la rivoluzione sociale americana ed europea nel XX secolo, un processo che ha richiesto non solo il cambiamento dell’economia, ma pure due guerre mondiali.
Chandler, inoltre, riflette anche sul valore della legge, incapace di garantire giustizia, nonostante sia continuamente chiamata in causa per questo. Ma la legge è solo l’espediente della classe dirigente per mantenersi egemonica rispetto alle altre, un altro tema di triste attualità:
Reclamare i vostri diritti, appellarvi alla legge. Fin dove può arrivare l’ingenuità, Marlowe? Un uomo come voi, che dovrebbe sapere il fatto suo! La legge non è la giustizia. Si tratta di un meccanismo molto imperfetto. Se premete proprio i bottoni giusti e siete anche fortunato, potete ottenere giustizia. La legge non è mai stata altro, non ha mai voluto essere altro che un meccanismo…[3]
Così l’homo-burocraticus è venuto su nella formalizzazione e irrigimentazione classificatrice iniziata con l’illuminismo e attuata nel settecento, ma pienamente realizzata tra il XIX e il XX secolo. Ormai l’uomo è un ingranaggio formale, e si accetta come tale, come può accettare di essere inondato da un fiume in piena. L’uomo occidentale è condannato, sa di esserlo, sia da vivo che da morto. Non c’è scampo ed è questa assenza di possibilità di fuga che rende la coscienza turbata, frustrata e prona. E il tutto riconduce alla sola massima che tutti gli individui mediocri di questo mondo riescono a riconoscere: lascia perdere, qualunque cosa tu voglia fare, qualunque cosa tu desideri. Molla tutto: “Perfetto, signora Loring, perfetto. Così mi dicono gli uomini della legge, così mi dice la teppaglia, così mi dicono i ricchi. Le parole mutano, ma il significato è sempre quello: lascia perdere…”[4] Tutti, dunque, hanno un solo unico credo. Ma c’è chi questo credo non lo può accettare, perché accettarlo significherebbe la depressione, la morte spirituale.
Molto probabilmente, in questo romanzo, Chandler arriva anche a parlare di se stesso, mediante il personaggio dello scrittore alcolista Wade. Egli parla della vita di uno scrittore in crisi, costretto a rileggere i suoi vecchi libri per trovare ispirazione, come faceva lo stesso Chandler. Non solo l’assenza di ispirazione, ma la dipendenza dall’alcol sembrano suggerire che Wade sia proprio l’alter ego di Chandler, almeno sotto il profilo di Chandler uomo-scrittore. Anche il genere di romanzi che scrive Wade sembra richiamare a quello di Chandler: uno scrive romanzi erotici, l’altro noir, entrambi generi di consumo per le masse. Anche Wade, come Chandler, ha grande successo, ma non trae una ragione in più per scrivere il romanzo che non riesce a terminare. Implicitamente una riflessione amara sulla scrittura: incapace di creare nuovi valori, con la latente possibilità di inchiodare uno scrittore alle proprie manchevolezze, ma, in fondo, l’unica cosa per cui valga la pena di lottare.
Il romanzo ha dei limiti, tali che proprio per essi si può dire che si tratti di un esempio archetipico del genere noir, che non può assurgere ad essere un libro “assoluto”. La completa assenza di un elemento ideologico superiore, se non la continua ricerca di un’ideale di vita irraggiungibile, elemento ideologico superiore che renda più giustizia alla realtà umana nel suo complesso sembra essere ciò che manca al libro. Anche l’eccessivo calcare la mano nel rifiuto del denaro da parte di Marlowe conduce ad una percezione donchisciottesca del suo personaggio che finisce, così, per risultare troppo inverosimile per un romanzo che ha tutta l’aria di voler essere realista nello stile e nel contenuto. Scevro, infatti, dell’interesse politico, il romanzo noir sembra l’erede di quel naturalismo che gran parte della prosa ricercata del XX secolo aveva ripudiato.
Nonostante tutto, Il lungo addio rimane un libro straordinariamente attuale, che ha il coraggio di parlare apertamente ad un mondo corrotto dalla vacuità, capace di prendere sul serio che il nichilismo non è un gioco, anche quando lo si diventa per gioco. Dietro alla malinconia si può scorgere uno spirito triste, si, ma ancora capace di volare alto attraverso una letteratura che non consente nessuna evasione:
In lontananza si levava e si spegneva l’urlo sovrannaturale delle sirene della polizia o dei pompieri e né le une né le altre tacevano mai molto a lungo. Per ventiquattr’ore al giorno qualcuno fugge e qualcun altro tenta di raggiungerlo. Laggiù, nella notte intessuta di mille delitti, individui morivano, venivano mutilati, tagliuzzati da schegge di vetro, schiacciati contro i volanti delle automobili o sotto le ruote di pesanti veicoli. Altri individui venivano percossi, derubati, strangolati, violentati e assassinati. Altri individui ancora erano affamati, ammalati, annoiati, disperati, tormentati dalla solitudine, o dal rimorso o dal terrore, o dall’ira, erano crudeli, febbricitanti, squassati dai singhiozzi. Una città non peggiore delle altre, una città perduta e corrotta e colma di vacuità.[5]
RAYMOND CHANDLER
IL LUNGO ADDIO
FELTRINELLI
PAGINE: 313.
EURO: 8,00.
[1] Ivi., Cit., p. 157.
[2] Ivi., Cit., p. 145.
[3] Chandler R. (1953), Il lungo addio, Mondadori, Milano, 2009, p. 51.
[4] Ivi., Cit., p. 142.
[5] Ivi., Cit., p. 228.
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