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La grande storia della prima guerra mondiale (The firs world war) tratta degli avvenimenti iniziati nel 1914 con l’occupazione della Serbia da parte dell’impero Asburgico a seguito dell’assassinio dell’erede al trono degli Asburgo, per mano dell’anarchico Gavrilo Princip “nel giorno del’anniversario della sconfitta che i turchi avevano inflitto ai servi nel 1349 nella battaglia del Kosovo”[1]. Dalla spedizione punitiva dell’impero segue, per reazione a catena, l’entrata in guerra delle principali potenze europee, Germania, Russia, Impero Britannico e Francia, tutte animate e convinte dalla necessità di una guerra che sarebbe stata rapida e vantaggiosa. La narrazione si conclude alla fine delle trattative di pace che, come viene sottolineato, saranno la base dell’insoddisfazione della Germania e dei popoli sconfitti; la causa dei rivolgimenti politici che approderanno alla seconda e più terribile guerra.
Un’opera monumentale, quella di Gilbert, che è stata scritta con l’intento di riportare quanto più possibile testimonianza delle atrocità dei campi di battaglia, in relazione all’atteggiamento cinico dei comandanti. Per fare un esempio:
Il 12 agosto [1914] l’esercito austriaco invase la Serbia. Nella città di Sebak, sulla sponda serba del fiume Sava, violenza atroci furono perpetrate sulla popolazione civile: gli uomini vennero rastrellati e fucilati in massa, i bambini massacrati e le donne stuprate. Anche l’avanzata tedesca in Belgio fu accompagnata da episodi di brutalità selvaggia che sconvolsero e inasprirono l’opinione pubblica inglese e francese. Il 10 agosto vennero presi e fucilati 11 uomini nel villaggio di Linsmeau. (…) Sui muri di Liegi il 22 agosto venne affisso il seguente proclama, firmato dal generale von Bulow: la popolazione di Andenne, dopo aver manifestato intenzioni pacifiche nei confronti delle nostre truppe, le ha attaccate nel modo più proditorio. Con la mia autorizzazione il generale comandante ha ridotto in cenere la città e fatto fucilare 110 persone.[2]
Si tratta, in fondo, della prima guerra democratica dell’Europa Occidentale, democratica perché combattuta da tutti, perché tutti appianati dalle nuove armi e dalle nuove gerarchie e, per questo, tanto più devastante sia nei numeri che nelle esperienze. Gilbert riporta la testimonianza diretta di moltissimi soldati, siano essi ufficiali o semplice truppa. Gli avvenimenti vengono narrati con grande densità e attenzione per i singoli fatti su ogni fronte della guerra, dal fronte turco a quello occidentale, compresa la guerra marina (affondamento del Lusitania, battaglia dello Jutland e la guerra totale sottomarina).
L’attenzione per le vicende umane, che costituisce la costante e la principale attenzione dello storico, svia l’interesse del lettore dal fatto storico al fatto umano, spostando, di fatto, la centralità della storia dall’avvenimento all’individuo. Per chiarire questo punto fondamentale per il Gilbert, sarà opportuno leggere direttamente la fonte. Prima di tutto dall’Introduzione: “In questo libro ho cercato di dare alla sofferenza individuale tutta la parte che le spetta nel quadro generale della prima guerra mondiale”.[3] E poi per fare un esempio concreto del “metodo” gilbertiano:
Per essere solo punitiva la spedizione [in Serbia] era costata assai cara: l’Austria aveva lasciato sul terreno almeno 6000 uomini, i feriti erano 30.000 e i prigionieri 4000. Anche i serbi avevano subito perdite elevate: 3000 morti e 15.000 feriti. Dire che in totale ci furono 9000 morti significa soltanto fornire un dato che, come sempre accade in guerra, non rivela nulla delle 9000 sofferenze individuali, né del terrore in battaglia o appena prima di morire, né del dolore di migliaia di padri e madri, di fratelli e sorelle, di vedove e orfani.[4]
Le spiegazioni delle cause della guerra sono trattate in modo piuttosto rapido, ricondotte esclusivamente alla “reazione a catena” a livello diplomatico. Poco discussa è l’analisi delle cause sociali (militarismo diffuso), delle cause economiche (la necessità di imporre un mercato dominante e “unito” in Europa), delle cause storiche (le rivalità specifiche tra i vari stati e i motivi di queste). Assente è l’analisi della guerra a livello di storia militare, assente la descrizione delle armi, delle ricerche scientifiche e delle gerarchie militari. Assenti le descrizioni delle singole battaglie. Sembra quasi che Gilbert si sia dimenticato, tra i lamenti e le poesie dei soldati al fronte, di ricordare che la Prima Guerra Mondiale è stato anche un avvenimento storicamente rilevante, che va concepito e pensato indipendentemente dai singoli che l’hanno vissuto. La rilevanza storica, infatti, si misura nei termini delle cause e degli effetti che hanno determinato l’avvenimento stesso. D’altra parte, ci sono state anche altre guerre prima e la vita dei soldati non fu meno dura o meno importante, come se le truppe romane di Metello abbiano fatto di meglio che distruggere e stuprare gli abitanti delle città favorevoli a Giugurta. Gilbert traccia un bosco senza saperlo, disegnando solo un albero per volta, perdendo così la rilevanza dell’insieme. Ovvero, la narrazione storicamente rilevante della Prima Guerra Mondiale può e deve tener presente i problemi della vita dei singoli che l’hanno composta, ma non può né deve riassumersi in essa. Anche perché ci sono sistemi più idonei di quelli di un libro di storia per questo: basti pensare ai primi capitoli de Viaggio al termine della notte, le poesie di Ungaretti (che Gilbert non cita neppure per sbaglio, con il suo usuale anglofonocentrismo). D’altra parte, perché la morte di un uomo lontano nel tempo e nel passato deve interessare qualcuno? Essa è rilevante se mostra un aspetto storico, una realtà passata da conservare per essere capita e non solo per essere presentata. Rari sono i casi contrari, che avrebbero meritato ben più considerazione, un caso come questo:
Alle dure regole del campo di battaglia corrispondeva in patria un crescente senso di sacrificio e di severità nei costumi. Il 19 settembre se ne fece portavoce il cancelliere dello Scacchiere David Lloyd George, rivolgendosi al Queen’s Hall di Londra a un folto uditorio: “La grande marea di lusso e mollezza che aveva inondato la nostra terra si sta ritirando per lasciare il posto ad una nuova Gran Bretagna. Per la prima volta riusciamo a scorgere le cose fondamentali della vita, che erano state sommerse dalla vegetazione tropicale della prosperità”[5]
Non c’è analisi causale, non c’è analisi dei macroeventi, c’è solo una ripetizione incessante della brutalità della guerra che, dopo un po’, diventa totalmente priva di interesse, se non per chi, lettore ingenuo di storia, si stupisca per tutte le settecento pagine del libro.
Naturalmente, per quanto manchevole sotto ogni punto di vista storicamente rilevante, il libro riesce, comunque, a trasmettere l’idea della Prima Guerra Mondiale, a patto che il lettore si vada a documentare sulla gran parte delle cose che nel libro non vengono dette. La densità informativa è alta, soprattutto per quanto riguarda le cifre dei militi ignoti dei cimiteri sparsi per tutta Europa, curati, come giardini, dalle amorevoli cure dei vari governi che vi hanno partecipato.
Stando, poi, alla lettura del libro di Gilbert sembra che gli unici a combattere siano stati gli inglesi, francesi, turchi, russi e tedeschi e gli austroungarici e solo sul fronte occidentale, orientale e mesopotamico. Per esempio, della guerra italiana Gilbert parla per una decina di pagine al massimo (dieci su settecento -698-, cioè una su settanta) e così per le altre nazioni minori. Le atrocità sono sempre compiute dai tedeschi (strano caso) perché l’unico paese che ha invaso (il Belgio e la Russia). Delle due l’una: o i tedeschi sono più cattivi degli altri, o gli inglesi e i francesi sono più buoni degli altri, cosa che la storia fa dubitare. Ma, se i tedeschi sono stati più brutali (i più brutali di tutti, però, furono i turchi con il genocidio degli Armeni di cui non si è ancora capita la necessità -o forse, Gilbert non consente di farla capire – e la terribile marcia dei prigionieri inglesi in mesopotamia che, come dice il Gilbert, fu il precedente illustre delle camminate degli ebrei nella seconda guerra mondiale) rimane da spiegare il perché.
Ma, evidentemente, i perché interessano poco il corpulento lavoro di Gilbert che, d’altronde, sembra una raccolta di stralci di giornale dei tempi che furono e che furono buttati laddove furono comprati, quindi dimenticati assai presto. Non ci si aspetterebbe un lavoro così poco generale, per un libro che si intitola “The first world war“.
MARTIN GILBERT
LA GRANDE STORIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
MONDADORI
PAGINE: 698.
EURO: 12.00
[1] Gilbert M. (1994), La grande storia della prima guerra mondiale, Mondadori, Milano, 2011, p. 31.
[2] Ivi., Cit., p. 60.
[3] Ivi., Cit., p. 11.
[4] Ivi., Cit., p. 70-71.
[5] Ivi., Cit., p. 110.
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