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Storia Romana (III) – L’impero romano: da Augusto a Costantino


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Nel 31 a.C. Ottaviano, grazie alla vittoria conseguita ad Azio a discapito di Antonio, si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato Romano. La conclusione delle guerre civili, però, lasciva dubbio il futuro: a chi deve andare il potere? E come? I romani pur continuando a credere nei valori repubblicani e continuando a percepire la monarchia assoluta come una negazione delle proprie libertà, erano disposti ad affidare il potere ad una persona sola, confidando nel fatto che avrebbe potuto mantenere quella pace duratura interna che, ormai, mancava da quasi un secolo. In questo particolare momento, Ottaviano capì bene che per arrivare ad avere il potere assoluto doveva mantenere e rispettare le istituzioni politiche, almeno a livello formale: convenzionalmente con il 31 a.C. si fa iniziare il Principato, ovvero il regime istituzionale incentrato sulla figura di un reggitore unico chiamato princeps.

Il ritorno di Ottaviano in Italia nel 29 a.C. segnò la celebrazione di tre trionfi: la vittoria nelle campagne dalmatiche, la vittoria di Azio e la vittoria sull’Egitto. Nel 27 a.C. Ottaviano accettò un imperium per dieci anni, propostogli dal senato sulle province non pacificate della Spagna, Gallia, Siria, Cilicia, Cipro e Egitto. Nello stesso anno il senato lo proclamò augustus, un epiteto che lo traslava da una concezione meramente politica ad una posizione sacrale: essere Augusto era sinonimo di virtù, clemenza, giustizia e pietà verso gli dei e la patria. In quei dieci anni Augusto passò tre anni nelle province da pacificare e due anni a Roma, in modo da poter mantenere rapporti costanti sia nei territori da domare, sia nell’Urbe maxima.

Negli anni a seguire, fino al 23 a.C., ci fu un susseguirsi di vittorie in Gallia e poi nella Spagna settentrionale contro Asturi e Cantabri che non si erano ancora sottomessi all’impero romano. Nel 23 a.C. tuttavia si verificò una grave crisi: in Spagna Augusto si era ammalato seriamente e si riteneva fosse in fin di vita. Uno dei problemi più delicati del principato, come avremo modo di vedere, era la successione al governo. La mancanza di precedenti creava i presupposti per un vuoto di potere. Augusto depose il consolato e ottenne un imperium proconsolare che gli consentiva di stare al potere sulle province come magistrato; per restare attivo nella vita politica di Roma fu eletto tribuno della plebe ogni anno. Nel 22 a.C., in un periodo di crisi, non accettò la dittatura propostagli ma si prese l’incarico della cura annonae, cioè l’incarico di provvedere all’approvvigionamento di Roma.

Augusto comunque si riprese del tutto e, di fatto, seppur aiutato dal cognato Agrippa, il potere era interamente nelle sue mani. Tra il 22 a.C. e il 19 a.C. dovette sistemare la questione partica e armena. Tornato a Roma Augusto, adottò i figli della figlia nel 17 a.C. . Nel 2 a.C. Augusto fu insignito dell’appellativo di pater patriae.

La politica di Augusto era volta, come detto, in primo luogo al mantenimento della pace e dell’ordine interni. Le principali riforme varate da Augusto riguardarono: la prefettura, ove le qualifiche dei prefetti vengono rese molto più specifiche tanto da creare l’istituzione del prefetto dei vigili; il prefetto urbano, che sovrintendeva l’ordine della città; il prefetto dell’annona, dedito alle distribuzioni di grano e ai rifornimenti di cibo; il prefetto del pretorio, comandante delle “guardie del corpo” del princeps. Furono aggiunte figure riguardanti la questura, il quaestor urbanus era una sorta di tesoriere dello stato, il quaestor propraetore provinciae era incaricato dell’amministrazione finanziaria delle province, del senato e del popolo romano, il quaestor principis era il portavoce dell’Imperatore al senato ed infine il quaestor consulis era il portavoce del console al senato. Per quanto riguarda la pretura, oltre le figure dei pretori già nominati all’interno di questa trattazione, viene aggiunta la figura del praetor aerarii, incaricato della sovrintendenza dell’aerarium, ovvero la cassa dello Stato. Gli ex pretori o gli ex consoli potevano diventare legatus legionis, comandanti in capo alle legioni, governatori di una delle province imperiali di minore importanza oppure proconsul, governatori di una delle province del senato e del popolo romano.

Per quanto riguarda la città di Roma, che probabilmente contava più di un milione di abitanti già all’epoca, l’azione di Augusto si rivelò duplice: attuò un forte piano di ricostruzione monumentale e di razionalizzazione dei servizi. Augusto fece costruire un tempio per Cesare divinizzato, di fronte al quale venne edificato una tribuna per gli oratori, addobbata con i rostri delle navi battute ad Azio, e, accanto, fu costruito l’arco partico su cui erano raffigurate le insegne delle legioni battute di Crasso e Antonio. Venne edificato un nuovo foro, il Forum Augusti, con al centro Marte Ultore, nei cui rilievi si celebrava la famiglia Giulia e i suoi discendenti. Costruì nel campo Marzio un pantheon e un mausoleo autocelebrativo. Furono costruiti, inoltre, molti edifici pubblici, acquedotti, terme, teatri e arene e tutte queste strutture erano gestite razionalmente e gli approvvigionamenti utili alla loro funzionalità erano sempre costanti.

Dopo aver congedato molti veterani di guerra ebbe inizia la riorganizzazione dell’esercito. Augusto introdusse il reclutamento volontario, offrendo ai soldati la possibilità di rimanere arruolati per vent’anni, con la paga di 235 denari all’anno. Si costituì una forza permanente che contava 25 legioni. Creò inoltre un corpo speciale di novemila uomini, chiamati pretoriani, per la sua difesa personale. La flotta stazionava nei porti di Ravenna e Misano ed era sottoposta al comando di un prefetto equestre.

Il clima di consenso, che Augusto riuscì a creare attorno a sé, derivava certamente dalla riconoscenza che aveva la popolazione per aver riportato la pace dopo tanti anni di lotte interne ed esterne ai confini di Roma.

La morte di Augusto – La dinastia Giulio Claudia (14 d.C. – 68 d.C.)

TIBERIO (14 – 37 d.C.)

La morte di Augusto avvenne in Campania nel 14 d.C. e il suo corpo fu portato a Roma dove fu seppellito nel monumentale mausoleo, costruito appositamente qualche anno prima. Nonostante il titolo di princeps non fosse ereditario, ma previa designazione, questo passò in mano a Tiberio, figlio adottivo di Augusto, che, seppure al principio titubante di fronte all’incarico affidatogli dal senato, acconsentì, con l’augurio e speranza che fosse un incarico temporaneo. La politica di Tiberio, imperatore dal 14 al 37 d.C., fu inizialmente abile e prudente, volta a proteggere i confini dello Stato, senza tentare nuove espansioni. La svolta nel regno di Tiberio la si ebbe nel 23 d.C. quando il pretore Seiano iniziò a crearsi un forte potere personale: ottenuta la fiducia di Tiberio che, allontanatosi da Roma verso la famosa villa Iovis a Capri, lasciò di fatto Roma nelle mani di Seiano, che dominò la vita politica dell’urbe, facendo credere a Tiberio di essere semplicemente un portavoce delle idee di Tiberio stesso. Ma dopo la richiesta di ottenere in sposa Lavilla, vedova di un figlio di Tiberio, Druso, l’imperatore s’insospettitosi e lo fece arrestare e condannare a morte. Gli ultimi anni del regno di Tiberio non furono certamente felici: scoppiò una crisi finanziaria e si acuirono i contrasti con il senato. Ci furono, inoltre, parecchi scontri tra filoseiani e tiberiani. Alla morte di Tiberio nel 37 d.C. gli succedette Gaio, detto Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico, marito di Agrippina.

 

CALIGOLA (37 – 41 d.C.)

Alla morte di Tiberio, succedette Caligola, in un periodo di fortissime tensioni dinastiche e senatoriali. Caligola riuscì ad accaparrarsi il consenso sia dei pretoriani che della popolazione, inaugurando una politica stravagante e rischiosa, fatta di donazioni, grandi spettacoli e imponenti piani edilizi. Tutti questi svaghi e lasciti portarono presto al collasso le casse statali. Inoltre, l’ideale di Caligola era quello di instaurare una monarchia assoluta e di divenire un sovrano sul modello orientale. Nel 41 d.C. in seguito a diversi tentativi, fu, in fine, ucciso da una congiura dei pretoriani che consegnarono il potere allo zio di Caligola, Claudio.

 

CLAUDIO (41 – 54 d.C.)

Claudio fu il primo imperatore ad essere nominato e acclamato dai militari e questo è un fatto cruciale per la fase imperiale del dominio Romano: l’esercito era diventato il centro di comando politico principale, il cui consenso superava, in importanza, senato e popolo, un fatto, fino a questa data, che non si era ancora realizzato. Le continue lotte intestine, la pace rafforzata all’interno dell’urbe avevano condotto la popolazione romana ad un’assenza di una politica unita intorno a dei progetti a lungo termine, com’era stato durante la Repubblica e, prima, durante la monarchia. La popolazione si poteva tenere sotto controllo mediante i giochi e l’edificazione delle opere pubbliche, appagando i bisogni spiccioli delle persone; mentre il senato, costituito da persone già soddisfatte in termini individuali, non costituiva più il centro decisionale aristocratico, ma solo un’assemblea consultiva. L’esercito, invece, era costituito da persone disposte a tutto, pur di migliorare la propria condizione. Ciò era impensabile in periodo Repubblicano, specie prima che Mario arruolasse i nullatenenti, giacché l’esercito era costituito dagli stessi cittadini della Repubblica e, dunque, non costituivano una forza politica ulteriore a quelle già presenti in Roma. Le varie riforme dell’esercito, attuate per consentire un arruolamento di soldati professionisti in grande quantità, sempre pronti ad entrare in azione, diventano il centro di interesse di quanti vogliono avere un riscatto dalla vita, fosse anche solo in termini di ricchezze offerte dalla guerra. Ma dopo la formazione di questi eserciti professionisti, non legati direttamente al potere statuale se non dalla paga, il generale diventa l’uomo nel quale grava l’intera fiducia e forza delle sue stesse truppe, e, così, diventa egli stesso un capo politico, oltre che militare. Inoltre, com’era ben chiaro alla mente dei Repubblicani, l’esercito, di per sé, è una forza politica e storica che consente di fare pressioni dirette sul centro esecutivo del potere, come avevano dimostrato le azioni di Cesare e di Augusto.

Le fonti antiche ci presentano il personaggio di Claudio come di uno sciocco, di un inetto. Tuttavia Claudio si impegnò attivamente sia in politica estera che interna, razionalizzando i servizi. Costruì il porto di Ostia per consentire l’attracco di grandi navi granarie ad ampio tonnellaggio, che prima approdavano in un porto più distante a Pozzuoli. Costruì un nuovo acquedotto e bonificò la piana del Fucino, per poter allargare gli ettari coltivabili.

Per quanto riguarda la politica estera, fu Claudio a portare a compimento la conquista della Britannia, iniziata ma non sistematizzata da Cesare, e affrontò la guerra in Mauritania, a cui pose fine con la divisione e l’organizzazione del regno in due province.

La sua successione fu caratterizzata da una serie di intrighi: Claudio aveva avuto dalla prima moglie Messalina un figlio, Britannico. Poi ebbe delle seconde nozze con Agrippina, una donna che aveva già un figlio chiamato Nerone. Agrippina fece di tutto per favorire la successione del trono al figlio, tanto che arrivò ad avvelenare il marito e a convincere il senato ad esautorare Britannico.

 

NERONE (54 – 68 d.C.)

Nerone salì al trono a soli diciassette anni. Per questo la madre Agrippina ritenne necessario affiancare al figlio la figure del pretorio Afranio Burro e il filosofo Seneca. Proprio quest’ultimo si impegnò particolarmente nell’educazione del giovane: nel De Clementia, una sorta di manifesto politico neroniano e di sunto dell’ideologia augustea, spiega come da Augusto in poi la res publicae fosse nelle mani di una sola persona ed il princeps deve porre virtus e clementia alla base delle proprie azioni. Inizialmente, Nerone seguì i precetti senechiani per poi distaccarsi verso un ideale meramente autocratico e, come primo gesto folle, fece uccidere il fratellastro e la madre Agrippina, troppo attiva nel tessere trame politiche non direttamente controllabili da Nerone. Il dispotismo di Nerone che culminò nel 64 d.C. col celebre incendio di Roma, della cui paternità è decisamente lecito dubitare, di cui furono incolpate le prime comunità cristiane, propiziò le condizioni per una sua eliminazione. Nerone, che aveva ereditato dagli imperatori precedenti la crisi finanziaria, fece un’importante riforma monetaria: ridusse il peso delle monete e, forse, a ciò è legato il grande piano edilizio che Nerone doveva finanziare, a cominciare dalla sua residenza, la domus aurea. Si trattava comunque di una grande riforma: mettendo in circolazione nuovi denarii della medesima capacità d’acquisto dei precedenti, con peso e titolo inferiore, Nerone aveva aiutato i soldati e la piccola “borghesia” industriale italica. Nel 65 d.C. fu minacciato da una grave congiura contro di lui, comandata da Calpurnio Pisone, ma che coinvolse vasti strati dell’elite aristocratica e senatoriale: vittime eccellenti di questa congiura furono Seneca e Fenio Rufo (prefetto del pretorio). In politica estera, Nerone ottenne qualche successo significativo sul fronte orientale, con la riannessione dell’Armenia grazie all’alleanza con il re Tiridate. Nerone aveva molti avversari anche nella classe militare e nel 68 d.C. le legioni spagnole si ammutinarono proclamando Galba imperatore: Nerone si suicidò.

 L’anno dei quattro imperatori e la dinastia dei Flavi

 I QUATTRO IMPERATORI (68 – 69 d.C.)

Dopo il suicidio di Nerone, ci fu una guerra civile e l’assenza di un sistema accettato per la successione del potere determinò un nuovo periodo di guerre intestine. Il potere era in mano, ormai, alle legioni, tanto che nel giro di due anni, si susseguirono quattro imperatori, tutti acclamati dall’esercito. Questi quattro imperatori, Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano, si combatterono l’uno con l’altro, ognuno a capo della propria legione: Galba, vecchio e poco energico (così ce lo descrive Tacito nelle Storie) fu presto spodestato da Otone, il quale fu costretto alla resa dalle truppe di Vitellio, che discese dalla Germania con le sue truppe e il cui scontro con Otone fu un vero e proprio bagno di sangue. Sia Otone che Vitellio vengono considerati da Tacito come due dissoluti ed inetti, la cui brama del potere non era sostenuta da una reale capacità politica. Vespasiano, generale delle truppe in Oriente, fu il primo imperatore di stirpe orientale, il sintomo del cambiamento di importanza della parte Orientale dell’Impero rispetto a quella Occidentale. Vespasiano viene descritto da Tacito come un uomo intelligente, saggio, sebbene un po’ avanti negli anni. Alla fine dei combattimenti, dunque, ne uscì vincitore Vespasiano nel 69 d.C. inaugurando la dinastia flavia.

VESPASIANO (69 – 79 d.C.)

Come detto Vespasiano fu l’iniziatore della dinastia dei Flavi. Come i suoi futuri successori, si contraddistinse per il rigido impegno nell’amministrazione imperiale. Cerca una razionalizzazione dei poteri e già dal 71 d.C., per evitare problemi dinastici, nominò il figlio Tito Cesare. Vespasiano dovette fronteggiare il grande deficit lasciato intatto da Nerone, ereditato da Caligola: i provvedimenti dovuti alla crisi economica lo resero noto come un tirchio, sebbene con questa serie di riforme finanziarie abbia rivelato la sua indiscutibile capacità di amministratore, rimpinguando le casse dello Stato: d’altra parte, il popolo giudica il benessere dello Stato esclusivamente sulla base del proprio personale interesse, così che lo scarso amore per le elargizioni pubbliche, che avevano costituito la base del consenso di altri imperatori, imposero l’immagine di Vespasiano come quella di un Imperatore avaro; inoltre, la capacità critica del popolo, impostata sulla considerazione del presente e non sul futuro e, così, dei loro beni, consente di sostenere la tesi di Huizinga, secondo cui le persone vedono solo malgoverno durante la propria vita. Nel 70 d.C. Vespasiano s’impadronì di Gerusalemme, e Tito distrusse il famoso tempio, di cui oggi rimane solo il muro del piano e fu l’inizio della diaspora. Così fu la conquista della Giudea. Con il denaro del bottino di guerra ricostruì il Campidoglio e finì di costruire il Colosseo e il Foro della Pace. Dal 70 d.C. si impegnò nei confini germanici ristabilendo l’ordine nelle comunità germaniche romane. Complessivamente Vespasiano godette di un certo consenso e alla sua morte nel 79 d.C. gli succedette il figlio Tito.

 

TITO (79 – 81 d.C.)

Tito regnò per un periodo molto breve, ma riuscì ugualmente a godere di una forte stima (era noto con l’appellativo “delizia del genere umano”). Portò a compimento la costruzione del Colosseo, ottenne vittorie importanti contro la sedizione degli ebrei ed ebbe modo di vivere durante la distruzione di Pompei ed Ercolano a causa dell’eruzione del Vesuvio come ci racconta Plinio il vecchio.

 

DOMIZIANO (81 – 96 d.C.)

Domiziano era il fratello di Tito. Nel 83 d.C. dopo una campagna vittoriosa combattuta contro i Chatti, sul medio Reno in Germania, iniziò la costruzione di grandi accampamenti militari nei limes; per aumentare maggiormente la difesa dei confini, Domiziano fece costruire delle mura che partivano da un accampamento e finivano in un altro. Nel 85 d.C. si andò profilando il problema della Dacia: dovette stipulare una pace con re Decebalo che era riuscito a unificare le varie tribù e rendersi sufficientemente potente da porre problemi concreti ai Romani. Lo stile autocratico della sua politica costò caro a Domiziano, che si faceva chiamare “signore e dio”. Nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura e il senato, dopo la sua morte, decretò la damnatio memoriae: l’abbattimento di tutte le sue statue e la cancellazione di tutte le sue iscrizioni, in modo che la sua memoria ne venisse per sempre cancellata.

Brevi cenni sulla nascita del Cristianesimo.[1]

Il cristianesimo nacque come ramo dell’ebraismo e si strutturò istituzionalmente nel I – II secolo d.C.

Il predicatore di questa nuova religione era Gesù di Nazareth, un ebreo. Gesù era un predicatore itinerante che raccolse attorno a sé un movimento composto dai più diversi strati della popolazione ebraica, con un nucleo di discepoli più ristretto. Gesù auspicava l’avvento del regno di Dio, un mondo in cui si doveva realizzare la volontà di Dio, in cui regnava l’amore fra gli uomini e la giustizia.

La prima zona di predicazione fu quella orientale e il principale predicatore dopo Gesù fu Paolo di Tarso (cittadina dell’attuale Turchia), amministratore romano convertitosi alla causa del cristianesimo. Questa “conversione” mostra tutta la commistione e partecipazione che il cristianesimo avrà con la cultura latina, da cui sarà parzialmente dominata. Basti pensare alla struttura istituzionale del papato e delle varie regioni, che ricalcheranno pienamente le province romane e la preminenza di determinate città sulle altre, che faranno da centri propulsivi per la nuova religione. Il cristianesimo, infatti, si configura quasi da subito come una religione “urbana”, che si costituisce attorno ad un centro politico-istituzionale e irradia la sua influenza solo indirettamente all’interno delle varie province. La diffusione del cristianesimo all’interno dell’Impero si impone molto lentamente sia perché non fu immediata la sostituzione degli innumerevoli dei coi santi (sostituzione indispensabile per convertire la popolazione e renderle chiaro il sistema attraverso cui essa potesse usufruire delle forze celesti sulla natura, salto che nella religione politeista non era necessario proprio per via dell’immanenza degli dei sulla terra), sia perché fu necessario trovare dei “santuomini” che trovassero delle forme adeguate per trasportare la parola di Dio nel resto dell’impero.

Le comunità di cristiani erano guidate dagli episcopi. Inizialmente, prima che questa divenisse una religione accettata, i cristiani si radunavano in luoghi segreti e occulti, in quanto numerose già dai tempi di Nerone furono le persecuzioni contro quelli che venivano considerati dei sovversivi e dei pericolosi depistatori dai costumi della religione pagana: per questo fino al 313 d.C. con l’editto di Milano, promulgato da Costantino, i cristiani dovettero confrontarsi con il potere dell’Imperatore. E’ bene, però, rimarcare un fatto poco conosciuto: le persecuzioni vere e proprie ai danni dei cristiani furono sempre di breve durata, cioè si parla al massimo di qualche decina d’anni. In realtà, le persecuzioni furono solo di portata e valenza simbolica, più che reale, e furono ingigantite a man mano che la provvidenza decretava che il cristianesimo avesse il diritto di imporsi anche con la forza sul resto delle inferiori e superstiziose religioni. Infatti, fu molto più lungo il periodo inverso, quello, cioè, nel quale le varie comunità cristiane imposero con la forza il loro credo su ogni altro, anche all’interno delle proprie varie correnti. Inoltre, e questo è un fatto importante per comprendere il motivo della resistenza della politica romana alla nuova religione (cosa che non era accaduta, ad esempio, per gli ebrei e, in generale, per tutte le altre religioni nell’impero), la religione cristiana era, prima di tutto, una religione politica, che entrava all’interno di quelle che erano le prese di decisione pratiche della popolazione: la negazione del diritto divino dell’Imperatore era solo un tassello, un tassello emblematico, che rende manifesta l’idea che il cristiano ha da obbedire soltanto Dio. Naturalmente, il buon cristiano sa inginocchiarsi al proprio superiore, che è più vicino degli altri al suo Comandante, esattamente come il suddito romano si inginocchiava di fronte all’imperatore. Ma il fatto che gran parte del riconoscimento statuale dell’ordine dell’Impero venisse messo in discussione, rende evidente il motivo per cui furono attuati dei sistemi repressivi non comuni alla prassi romana. Questa “discrepanza” tra l’atteggiamento sempre conciliante dell’Impero Romano nei confronti delle altre religioni e quella intransigente con i cristiani deve essere spiegata non con l’odio, ma con le ragioni. E l’Impero Romano, non dissimilmente da tutti gli altri Stati civili e burocratici, punisce i dissenzienti, che non riconoscono il fondamento stesso del potere civile: punizioni che, con altri sistemi e ben più subdoli ed efficienti, furono attuate sistematicamente all’interno degli stati “cristiani” della Spagna del seicento (giusto per fare un esempio) e che vengono usati ancora oggi. Dunque, è necessario cambiare l’immagine imperante di un povero cristiano schiacciato dal gioco del potere ingiusto dell’Impero, perché ciò è fuorviante, falso e storicamente inaccettabile.

Il II secolo: un età prospera

Il II secolo è tradizionalmente considerato come il periodo più prospero dell’impero romano. Questo è il secolo in cui gli imperatori più che succedersi per dinastia, si succedono per capacità: non è più necessario che salga al trono un figlio dell’Imperatore ma piuttosto una persona precedentemente designata con capacità di uomo politico.

 

NERVA (96 – 98 d.C.)

Dopo la caduta di Domiziano il comando fu affidato a Nerva, il quale cercò di diminuire una crescente pressione fiscale con delle riforme ad hoc. Inoltre, attuò un importante riforma agraria. Queste riforme verranno poi riprese dai suoi successori. Nerva morì nel 98 d.C. dopo aver adottato e chiamato a corregente Traiano.

 

TRAIANO (98 – 117 d.C.)

Traiano apparteneva all’aristocrazia romana provinciale: fu lui il primo imperatore non italico. Questo era un uomo dalla grande esperienza militare ma anche dal forte senso di appartenenza al senato: pur non essendo un aristocratico della città di Roma, aveva ben chiaro i costumi virtuosi dell’Impero. Per contrastare la nuova crisi monetaria che era sorta, Roma aveva bisogno di regioni ricche di oro: Traiano intravide nella Dacia la regione adatta allo scopo. Conquistata, fece altre campagne militari, prima in Arabia e poi contro i Parti. Traiano richiamato a fronteggiare una rivolta degli ebrei scoppiata in Mesopotamia ed estasi anche a Cirene ed altre province orientali, decise di abbandonare le nuove conquiste, e colpito da una grave malattia, morì in Cilicia.

 

ADRIANO (117 – 138 d.C.)

L’erede designato da Traiano fu un appartenente ad una famiglia aristocratica spagnola. Fino alla nomina ad Imperatore era stato il governatore della Siria. Egli mise fine alla politica di espansionismo e aveva instaurato una politica di consolidamento. Adriano viene descritto dagli storici come un uomo erudito e vicino all’ambiente greco e orientale: proprio alle province orientali egli concesse una larga autonomia e favorì l’infiltrazione culturale, fino ad allora non ben giudicata dai più fini sostenitori romani, che sempre videro nella cultura greca una pericolosa fonte di vizio perché più incentrata sull’individuo che sullo Stato. Fu anche molto attento al decoro cittadino: appassionato costruttore di palazzi e fondatore di nuove città. D’altronde il tessuto connettivo di tutta la storia romana è la colonizzazione. Adriano impose l’avvio alla costruzione di una serie di fortificazioni lungo tutti i confini: nelle province renane e danubiane venne costruito il vallo sull’istmo Tybe-Solway, fece costruire il fossatum Africae e il più noto vallo di Adriano in Britannia, di cui rimangono ancora estese parti. Adriano fu destinano a compiere negli ultimi anni del suo impero, la più accanita repressione antiebraica di tutta la storia romana. Adottò Antonino Pio.

 

ANTONINO PIO (138 – 161 d.C.)

Il regno di Antonino Pio passò come quello della continuità del suo predecessore: a differenza di Adriano, costui rinunciò a fare i grandi viaggi per le province e privilegiò gli incarichi amministrativi e quelli militari. Fu il governo ideale di qualunque governo come disse Elio Aristide caratterizzato dal periodo di pace sia nei confini dell’impero che nell’Urbe a livello politico. Venne razionalizzata la gerarchia fra le città: si dividevano in città peregrine che erano il gruppo più folto al cui interno c’erano le città stipendiarie che, sottomesse a Roma, pagavano un tributo; le città libere con diritti speciali simili a quelli dei romani; le città libere federate, ovvero città libere che avevano stipulato degli accordi commerciali o simili. Dopodiché c’erano i municipi a cui cittadini è dato il diritto di cittadinanza romana. Infine le colonie che erano città di nuova fondazione con un apporto di coloni che godevano della cittadinanza romana. Si creava così la gerarchia fra le città anche perché ognuna di loro poteva apportare modifiche decrescenti o crescenti nella graduatoria.

 

MARCO AURELIO (161-180 d.C.)

Marco Aurelio succedette ad Antonino secondo quanto era stato preordinato. Assieme a lui salì al potere anche il fratello Lucio Vero che però morì qualche anno dopo, nel 169 d.C.. All’inizio del regno di Marco Aurelio si riaprì per l’ennesima volta la questione orientale con il potente vicino partico. La guerra condotta da Vero si concluse con una vittoria nel 166 d.C. ma il rientro in patria dell’esercito fu la causa indiretta della crisi degli anni avvenire: infatti l’esercito portò dall’oriente la peste che causò molte morti con gravi conseguenze demografiche ed economiche. Lo sguarnimento delle frontiere settentrionali creò le condizioni perché i barbari del nord, soprattutto Marcomanni e Quadi, si facessero pericolosi. Nel 175 d.C. dopo anni di campagne militari Marco Aurelio riuscì a ristabilire la situazione di conflitto. Grazie alle vittorie dell’Imperatore/Filosofo l’Impero Romano raggiunse la massima estensione territoriale. Con Marco Aurelio si ritorna alla successione dinastica.

 

COMMODO (180 – 192 d.C.)

Non si sa se fu un caso, ma con il ritorno alla successione dinastica si ebbe un crollo dell’Impero dal punto di vista politico: Commodo, infatti, risultò del tutto indegno alla carica affidatagli in netta antitesi col padre Marco Aurelio. Fu considerato un imperatore completamente folle: era dedito agli eccessi, amante dei combattimenti fra gladiatori e pronto a far uccidere i suoi oppositori per qualunque quisquiglia. Si faceva chiamare Ercole e pretendeva che Roma fosse ribattezzata col nome di Colonia Commodiana. Pur non occupandosi mai degli affari di Stato riuscì a rovinare risultati ottenuti dal padre: sciolse l’accordo di pace stabilito con i confinanti sul Danubio in una maniera molto drastica, non consona alle pratiche legali vigenti. Tra il 190 e il 192 d.C. lasciò il suo potere in mano al cortigiano Eclecto, che poi ordino una congiura proprio contro Commodo uccidendolo.

 

La crisi del III secolo e le riforme di Diocleziano

L’assassinio di Commodo arrivò proprio al culmine di una profonda crisi: il prefetto pretorio Leto nel 192 d.C. diede il potere ad Elnio Pertinace, un senatore che si era contraddistinto come generale. La crisi investiva in campo politico il senato che si trovo esautorato a vantaggio dei militari, mentre in campo fiscale la svalutazione della moneta impoveriva i ceti medi, portando con sé la decadenza economia delle città ed una profonda crisi morale dovuta alla sfiducia nei confronti dei valori tradizionali. Altri problemi erano legati al fatto che i barbari spingevano sempre di più lungo le frontiere e ancora all’interno delle città  nelle quali sorgevano le prime strutture primitive della Chiesa, che portavano confusione sul piano dei costumi sociali. Inoltre è al ruolo dell’esercito che si deve la trasformazione dell’ideologia imperiale verso forme sempre più assolutistiche. Cambia anche il rapporto fra princeps e senato: a quest’ultimo viene riconosciuto solo la funzione di organismo burocratico soggetto all’autorità assoluta dell’Imperatore, il termine finale di un lungo processo storico.

La situazione confusa dopo l’uccisione di Commodo portò ad anni di regni effimeri: da prima Pertinace, poi Didio Giuliano e Pescennio Nigro. Come nella crisi del 68-69 d.C. anche in questa situazione ci fu uno scontro fra legioni/generali e alla fine di questi combattimenti si impose Settimio Severo.

 

SETTIMIO SEVERO (193 – 211 d.C.)

Settimio Severo, si da subito, rivolse la sua attenzione verso la frontiera orientale, nuovamente minacciata dai Parti. Già alla fine del 198 d.C. era riuscito ad impadronirsi della capitale nemica, Ctesifonte. Inoltre ricompose l’esercito con dei soldati delle province danubiane. Negli anni successivi non si segnalano altre campagne militari. Settimio rimase a Roma ad amministrare nel miglior modo il nuovo regime. L’esercito proclamò Augusto prima della morte di Settimio, il figli Caracalla e Geta.

 

CARACALLA (211 – 217 d.C.)

Per la seconda volta dalla storia della nascita dell’Impero ci fu una diarchia che, però, anche questa volta non durò a lungo: Geta venne presto assassinato dal fratello. Il nome di Caracalla è rimasto legato ad un provvedimento importante, il cosiddetto “editto di Caracalla” o Constitutio Antoniniana che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero fatta eccezione dei sudditi. Con tale provvedimento intendeva aumentare il numero di contribuenti. La politica di forti concessioni ai legionari e ai pretoriani, per tenerli a bada e contenti, portò infatti al necessario aumento delle richieste fiscali. Anche Caracalla, come molti altri imperatori, rivolse le sue mire espansionistiche ebbe l’oriente: non mancò una campagna contro i Parti, dove però nel 217 d.C. fu assassinato presso Carre.

 

MACRINO, ELAGABALO E SEVERO ALESSANDRO (217 – 218 d.C. // 218 – 222 d.C. // 222 – 235 d.C.)

Dopo la morte di Caracalla ci furono tre imperatori nel giro di vent’anni, due dei quali, Macrino ed Elagabalo, ebbero poco tempo per mettersi a lavorare. Macrino era appartenente al ceto equestre e, nel breve tempo in cui governò, si rivelò razionale e temperato: mise subito fine alla guerra contro i Parti e ristabilì la pace sul confine con la Dacia. Elagabalo era solo quattordicenne quando fu eletto e nonostante l’aiuto di Giulia Mesa e Giulia Domna, la scelta di nominarlo imperatore si rivelò inadeguata. Nei suoi quattro anni di mal governo, tentò di imporre il culto del dio sole: Elagabalo arrivò al punto di fargli erigere un tempio sul Palatino. Nel 222 d.C. fu assassinato dai pretoriani che proclamarono il cugino Bassiano, che gli successe col nome di Severo Alessandro. Per i primi anni, poiché Severo Alessandro era ancora in troppa giovane età per governare, tenne il comando dell’Impero il prefetto del pretorio Ulpiano che ripristinò i rapporti di collaborazione fra senato e imperatore. Nel 224 d.C., i Persiani, animati da uno spirito fortemente nazionalistico, mossero guerra contro la Mesopotamia romana arrivando a minacciare anche la Siria.: l’intervento di Alessandro Severo, anche se non fu decisivo, bloccò l’offensiva. L’imperatore, appena rientrato a Roma, subito dovette recarsi in Gallia a fronteggiare invasioni barbariche ma perì nel 235 d.C. Fu l’inizio dell’anarchia militare.

 

ANARCHIA MILITARE (235 – 284 d.C.)

 In questo periodo di profondissima crisi si succedettero circa venti imperatori di cui tutti, eccetto, uno morirono assassinati. L’Impero si sottiglia sotto le mazzate dei barbari: i Goti varcarono i confini settentrionali e a Oriente premevano i Persiani. Il periodo di anarchia militare venne arrestato in parte dagli imperatori illirici (erano nativi della Dalmazia) ed erano soldati valorosi e disciplinati, credenti nell’ideale dell’Impero. Ricordiamo in particolare Aureliano che regnò dal 270 al 275 d.C. costruì un enorme cinta muraria a Roma, riprese la Siria e ricongiunse, almeno in parte, l’Impero, fece una riforma monetaria e inserì il culto del Sol invictus, una divinità cara all’esercito.

 

DIOCLEZIANO. IL DOMINUS (285 – 305 d.C.)

Con l’avvento di Diocleziano si fa concludere convenzionalmente il periodo di anarchia militare. Il 285 d.C. segna una delle cesure più nette dell’Impero romano, come vedremo. Egli è considerato come il primo monarca, inteso come un unico uomo che concentra nelle sue mani tutto il governo: il senato cessò da questo momento il suo ruolo politico, mantenendo il ruolo di “effimera” assemblea. Con Diocleziano il principato diventa un dominato e questo fa del re/imperatore un dominus. Il regno di quest’imperatore illirico è contraddistinto da una forte volontà restauratrice dello Stato a tutti i livelli, politico, militare, amministrativo ed economico. Come prima mossa Diocleziano spostò la capitale da Roma a Nicomedia, in Oriente, che era la capitale della regione Bitinia: l’Oriente già dal III secolo appariva economicamente più saldo rispetto all’Occidente. Per la prima volta parleremo di Oriente e Occidente come entità distinte e statuali. A livello amministrativo si passò a un sistema tetrarchico: al vertice dell’Impero c’era un collegio imperiale composto dai tetrarchi, due dei quali, gli Augusti, erano di rango superiori ai Cesari. C’erano un Augusto e un Cesare per la parte d’Oriente e allo stesso modo per la parte d’Occidente. Per la parte d’Oriente l’Augusto era Diocleziano e il Cesare, Galieno; mentre in Occidente l’Augusto era Massimiano e il Cesare, Costanzo Cloro.

Le principali riforme messe in atto da questo governo riguardarono la gestione delle province: tutte le province furono suddivise in tredici diocesi, rette da vicarii, che a loro volta erano tenuti a rispondere ai quattro prefetti del pretorio. Dal punto di vista militare l’esercito fu ulteriormente potenziato e le truppe furono messe a disposizione dei tetrarchi. Infine, Diocleziano si impegnò anche nella riorganizzazione del sistema economico e fiscale con l’introduzione di una nuova forma di tassazione che si basava sul rapporto di terra coltivabile e numero di coltivatori. Per semplificare questa forma di tributo vennero istituiti i primi catasti provinciali.

Particolari provvedimenti vennero presi contro i cristiani: con l’editto del 303 d.C. essi venivano rimossi dall’esercito e dagli uffici pubblici ed il loro culto fu vietato. Particolari cruenti massacri furono fatti in Oriente. La persecuzione finì sotto ordine di Galerio.

 

COSTANTINO (306 – 337 d.C.)

Costantino fu senz’altro uno dei personaggi più importanti della Storia Romana e della storia dell’Occidente. Il periodo che inizia con Costantino e finisce con Giustiniano (in questo articolo tratteremo dettagliatamente solamente fino a Costantino) fu un periodo di forte rinnovamento. Anche se il senato non ha più alcun tipo di potere reale e le magistrature non hanno più alcuna capacità decisionale, nascono nuove figure e istituzioni che le sostituiranno. Costantino condusse per alcuni anni una politica molto prudente proseguendo l’opera del suo predecessore, cercando però di snellire l’apparato burocratico. Il momento più importante di questo momento storico fu nel 312 d.C.: Costantino sconfisse nella battaglia di Ponte Milvio sul Tevere, Massenzio e questa fu ottenuta nel segno di Cristo, una rivendicazione tutta politica (come attesta Peter Brown) che, però, segna un momento fondamentale della storia dell’Occidente che, da questo momento in poi, verrà dominato dalla religione cristiana. Costantino fu il primo Imperatore che dichiarava di aver abbandonato il paganesimo per il cristianesimo e questo fu un evento di portata rivoluzionaria perché significò il riconoscimento delle strutture della Chiesa con quelle dello Stato: Costantino, come dice il Brown, è un Imperatore Romano in senso forte, il cui culto dello Stato e della sua preminenza aveva imposto questa decisione, apparentemente individuale, e in realtà politica, che testimoniava l’ormai centrale importanza istituzionale e politica del cristianesimo all’interno dell’Impero. Nel 313 d.C., con l’editto di Milano, veniva proclamata la neutralità dell’Impero, rispetto a qualsiasi fede. Così si ebbe un unificazione dei culti presenti all’interno dell’Impero: con Costantino era presente un forte sincretismo religioso.

Tra le azioni di maggior spicco di Costantino ci fu la rifondazione nel 324 d.C. di Bisanzio che venne inaugurata ufficialmente nel 330 d.C. e Bisanzio, che prese il nome di Costantinopoli, si dotò di tutte le strutture che nel tempo aveva avuto Roma; attuò una nuova riforma monetaria con la creazione del solidus aureo e della siliqua d’argento. Nel 324 d.C. ci fu il concilio di Nicea che condannava tutte le ramificazioni del cristianesimo che prendevano spunto dalle idee di Ario. La morte arrivò per Costantino nel 337 d.C., presso la sua abitazione di Nicomedia.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Brown P., La formazione dell’Europa Cristiana, Mondadori, Milano, 2011.
  • Geraci G., Marcone A., Storia romana, Le Monnier, Firenze, 2004.
  • Franḉois J. Scheid J., Roma e il suo Impero,  Editori Laterza, Roma-Bari, 1992.
  • Clemente G., Gabba E., Storia di Roma. La repubblica imperiale, Mondadori, Milano, 2010.
  • Mazzarino S., L’impero romano, Mondadori, Milano, 2010.

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[1] Per questioni di comodità e scorrimento della storia propriamente imperiale, questo paragrafo è ridotto al minimo e contiene i cenni fondamentali.


Wolfgang Francesco Pili

Sono nato a Cagliari nell’aprile del 1991. Ho da sempre avuto nelle mie passioni, la vita all'aria aperta, al mare o in montagna. Non disdegno fare bei trekking e belle pagaiate in kayak. Nel 2010 mi diplomo in un liceo classico di Cagliari, per poi laurearmi in Lettere Moderne con indirizzo storico sardo all'Università degli studi di Cagliari con un'avvincente tesi sulle colonie penali in Sardegna. Nel bimestre Ottobre-Dicembre 2014 ho svolto un Master in TourismQuality Management presso la Uninform di Milano, che mi ha aperto le porte del lavoro nel mondo del turismo e dell'accoglienza. Ho lavorato in hotel di città, come Genova e Cagliari, e in villaggi turistici di montagna e di mare. Oggi la mia vita è decisamente cambiata: sono un piccolo imprenditore che cerca di portare lavoro in questo paese. Sono proprietario, fondatore e titolare della pizzeria l'Ancora di Carloforte. Spero di poter sviluppare un brand, con filiali in tutto il mondo, in stile Subway. Sono stato scout, giocatore di rugby, teatrante e sono sopratutto collaboratore e social media manager di questo blog dal 2009... non poca roba! Buona lettura

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