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Consigliamo – Scaccopoli e Natura simbolica degli scacchi di Mario Leoncini
Un grande K esce misteriosamente dalla scena dello scacchismo internazionale a seguito di un omicidio terribile. Ritrovato con tutti i pezzi in bocca e due alfieri al posto degli occhi, rimane avvolto dal mistero. Un grande torneo nel circolo di scacchi CRAL di Siena, un panorama medioevale per un lutto che nulla ha di meno rispetto alle pene inflitte dalla sacra inquisizione. Potrebbe essere uno dei grandi campioni che giocavano al torneo. Tutti avevano un loro motivo per uccidere. Tra tresche amorose improbabili, tra padri afflitti, invidie e rivincite sperate tutti sono sospettati. Tanzini è un poliziotto in pensione, richiamato dalla procura per il suo fiuto impareggiabile. Questa volta il compito potrebbe essere al di là delle sue possibilità. Tutti e nessuno, questo il problema.
Il libro è già nel titolo doppio: da un lato il romanzo breve (o racconto lungo di Fabio Lotti) dall’altro una serie di piccoli saggi (di Mario Leoncini). Iniziamo dal racconto.
La trama poliziesca è in secondo piano rispetto alla costruzione di personaggi simpatici e credibili allo stesso tempo. Siena è la cornice del delitto, città amata dal detective Tanzini che, per parafrasare una celebre frase di Quarto potere, avrebbe potuto dire: “Io sono sempre stato e sempre sarò una sola cosa: un senese”. L’amore per la città, descritta nei suoi risvolti migliori tra panorami medioevali, grande centro di cultura e di attività sportiva e benevolenza per i suoi abitanti.
Gli scacchi sono senza dubbio in secondo piano, non è richiesta alcuna conoscenza per gustare a fondo il racconto. Essi impreziosiscono di mistero, per i profani, e ammiccano ai lettori giocatori. Per usare una delle categorie possibili, descritte da Leoncini nella seconda parte del libro, il giallo di Lotti rientra nella categoria de “gli scacchi come momento o elemento dell’intrigo” e un po’ anche ne “gli scacchi come quadro sociologico dell’intrigo”.
Altro aspetto da rilevare del racconto di Lotti è la sua notevole erudizione, profusa un po’ ovunque. Tuttavia, essa è sempre strumentale e mai fine a se stessa. Un po’ di conoscenza genuina non fa mai troppo danno.
Ma un aspetto peculiare e senza dubbio molto interessante è la continua ironia, “da toscanaccio”, per dirla con l’autore. Essa, senz’altro, diverte e trascina senza mai eccedere nel grottesco.
Lo svolgersi degli eventi non è poi così incalzante, probabilmente perché, in fondo, i fatti salienti non sono poi molti. Questo offre lo spunto per continue digressioni secondarie che mettono il luce di volta in volta degli aspetti interessanti della vita di ogni giorno e l’autore ha modo di mettere in scena dei personaggi di secondo piano che, come mostra il finale brechtiano e surreale, non sono poi così pienamente secondari. Tra questi c’è un certo Bafio Tolti che risulta particolarmente intrigante, grande conoscitore di scacchi e non solo.
Lo stile è sempre lineare e molto misurato, facile da seguire e senza circonvoluzioni fastidiose. L’erudizione, anche quando c’è, non appesantisce mai e risulta, per ciò, un intelligente abbellimento. L’ironia permea il romanzo e ne costituisce il collante.
Citando l’autore: “alla sua critica al mio lavoro privo di scene raccapriccianti, ad eccezione della descrizione del morto, di colpi improvvisi, di intrecci ingarbugliati, di sangue e sperma sbattuti in faccia al lettore (…). Di libri così se ne trovano in giro quanti se ne vuole. (…) Vogliamo dare il nostro piccolo contributo ad una letteratura da macelleria? Io ho preferito scegliere un’altra strada…” (p.113). Difficile discordare da quest’ispirazione, per altro, pienamente rispettata. Quanto poi il romanzo breve sia privo di difetti, è bene giudicare da sé: comunque la si giudichi, la sua lettura è tempo ben speso.
Questo vale per la prima parte del libro. La seconda, abbiamo detto, sono una serie di saggi brevi, piccoli scorci, tra crimine e scacchi. Leoncini ricorda molto correttamente come le sue analisi non possano avere una validità scientifica, sebbene il rigore e la precisione non facciano difetto.
Nel capitolo iniziale si introduce l’argomento e come si debba intendere il lavoro complessivamente. Particolarmente brillante risulta “Il caso Alekhine”, dove l’autore mette in luce una serie di dubbi sull’apparente morte naturale del grande campione del mondo.
“Gli scacchi nella letteratura poliziesca” è una rassegna degli autori e dei romanzi nei quali gli scacchi entrano, in qualche modo, in gioco. Molto pertinente è la categorizzazione generale, dove l’autore cerca di dare delle condizioni di appartenenza dei singoli casi alle categorie generali. Nel resto dell’articolo si trovano trattate esaustivamente gli elementi dell’insieme, ritrovando nel particolare le ragioni della sistemazione per categoria. Innumerevoli sono gli autori citati e i riferimenti espliciti a grandi testi, classici e non solo, della narrativa poliziesca, tra cui il celebre “Enigma dell’alfiere” di S.S. Van Dine e Sherlock Holmes, sebbene il grande detective sia poco attento all’arte del gioco, probabilmente per via dei gusti specifici dell’autore, al quale era più congeniale l’avventura, la boxe e le gare di cavalli. Ma per riscattare la bassa considerazione che Conan Doyle doveva nutrire per il troppo cervellotico gioco, Leoncini elenca tutta una serie di casi in cui il celebre detective è a stretto contatto con gli scacchi, da un film a (addirittura) una scacchiera con i pezzi ispirati a Sherlock. Chissà cosa ne avrebbe pensato il vecchio Arthur, così mal disposto nei confronti del suo stesso personaggio di maggior fortuna.
Per gli amanti del cinema, Leoncini passa in rassegna tutti i casi, e non sono pochi, di film polizieschi in cui fanno capolino gli scacchi. Non si può non far cenno, almeno, al celebre “Agente 007, dalla Russia con amore”, in cui proprio l’inizio vede il temibile numero 5 disputare la gara per il campionato del mondo, prima di essere chiamato dal terribile capo della Spectre. Questo è solo un caso tra tanti e lasciamo ai curiosi la lettura di tutti gli altri.
Altro capitolo denso di curiosità, è quello che riguarda più propriamente i delitti effettivamente avvenuti. Ci teniamo a sottolineare la misuratezza del lavoro che nell’analisi non cede mai al morboso che, generalmente, si pensa sia la base del movente di chi legge simili libri. D’altra parte, sapere anche per traverso ciò che l’essere umano può fare, se ben disposto, può risultare interessante anche a chi rigetta i casi di cronaca nera (come il sottoscritto). E’ pur vero che i casi di delitti efferati sono, in realtà, pochi. Gli scacchisti sono dei regicidi e non assassini di gente comune. E i primi sono difendibili, specie se le loro efferatezze avvengono solo sulla scacchiera.
Il libro è dunque diviso in due parti, difficile trarre un giudizio unitario per la diversità degli intenti. Due linee di continuità: la leggerezza superficiale e rigore di fondo; gradevolezza. Un libro da consigliare a chi è amante del giallo, e, naturalmente, a tutti gli scacchisti.
Lotti F., Leoncini M..
Chi ha ucciso il campione di scacchi? Scacchi e crimine.
Prisma.
Pagine: 191.
Euro: 12,00.
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