
Copyright: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dettaglio_pagina_di_un_manoscritto_2.jpeg
Introduzione:
La diffusione delle notizie di bocca in bocca è un complesso fenomeno sociale che da sempre caratterizza la socialità e la vita organizzata. È ben noto come un tale mezzo di diffusione, vale a dire privo di alcuna fissazione scritta della notizia, ne permetta una modificazione costante, sia che ciò avvenga scientemente e per volontà di modificare il fatto in questione, o inopinatamente, a seguito di una serie di avvenimenti e condizioni. Si può pensare al modo in cui si diffondono e mutano i pettegolezzi, con l’aggiunta di dettagli o la rimozione di altri, minando immancabilmente, e talvolta irreversibilmente, la notizia di partenza.
Il fenomeno è conosciuto anche nel mondo, ben più spensierato, dei giochi d’infanzia. Il celebre gioco del ‘telefono senza fili’ si basa proprio sull’interesse nel verificare come la frase di partenza si modifichi passando da giocatore a giocatore, con un risvolto comico nel constatare le differenze tra il punto di partenza e il punto di arrivo. La pagina Wikipedia dedicata asserisce riguardo al gioco in questione:
«Il telefono senza fili viene spesso citato metaforicamente per riferirsi al modo in cui l’errore cumulativo deforma le informazioni via via che esse si diffondono, sia che esse passino di bocca in bocca (come nel caso dei pettegolezzi) sia che vengano trasmesse in modo più formale (per esempio dai mass media)».[1]
È interessante notare come il gioco si presti perfettamente ad essere metafora anche della tradizione testuale, e conseguentemente ad essere alla base del metodo ricostruttivo di Karl Lachmann.[2] Il presente articolo si propone di sviscerare le potenzialità metaforiche del gioco applicandolo alla trasmissione dei testi, con particolare attenzione alle fasi di tradizione medievali. Si tralascerà invece, per ragioni di spazio, la vexata quaestio della filologia dei testi a stampa.
I processi di trasmissione testuale nel Medioevo:
Pur limitando lo sguardo d’indagine al periodo medievale, risulta comunque piuttosto complicato coprire ogni eventualità e ogni caso singolare, poiché innumerevoli sarebbero le specole da cui guardare la questione. In linea generale, è indubbio che la trasmissione dei testi in quest’epoca avvenisse unicamente per via manoscritta, essendo la prima forma di stampa in Occidente apparsa non prima della metà del XV sec. La tradizione manoscritta, che ha conosciuto supporti ben diversi (tra cui le tavolette cerate, il papiro, la pergamena e la carta), era immancabilmente viziata da una serie di errori che i copisti commettevano nell’atto di copiatura, di fatto andando a modificare il testo via via che veniva copiato. Proprio la presenza, pressoché immancabile (salvo casi molto rari), di errori commessi in fase di tradizione permette la costruzione degli stemmi, ossia dei rapporti di parentela tra i vari codici manoscritti sopravvissuti, a condizione che si tratti di errori guida (ossia monogenetici e irreversibili).
Fatte le dovute premesse metodologiche, è utile chiarire anche il contesto di copiatura: non si può definire un unico scenario di lavoro, dato che la stesura di un codice avveniva in contesti molto disparati. Ciò che è certo è che i manoscritti venivano confezionati appositamente per contenere l’opera che si era intenzionati a copiare. Un numero molto ampio di queste operazioni di stesura avveniva negli scriptoria monasteriali, in cui chierici si dedicavano alla copiatura di opere di loro interesse. Indubbiamente, una buona parte delle opere copiate riguardava tematiche come la teologia, la storiografia, opere morali ed edificanti, opere di interesse quotidiano nella vita del monastero, ma non erano escluse opere copiate per puro interesse letterario. L’attività poteva essere svolta anche in ambiti laici: è noto come la poetessa italiana del XIV sec. Christine de Pizan (nata Cristina da Pizzano, francofona in quanto attiva alla corte del re francese Carlo V di Valois) dirigesse in prima persona uno scriptorium. Inoltre, gli stessi autori potevano dedicarsi a confezionare manoscritti per le proprie opere: diversi sono, ad esempio, i manoscritti autografi (o idiografi, ossia vergati da un copista di professione sotto la sorveglianza dell’autore) ad opera di Francesco Petrarca[3] e Giovanni Boccaccio,[4] nonché della stessa Christine de Pizan, e di autori seriori come Pietro Bembo.[5]
Nel processo di copiatura intervenivano, con altissima frequenza, degli errori, causati da danni meccanici presenti già nella copia di partenza (detta antigrafo), come ad esempio porzioni di testo assenti, fogli danneggiati o illeggibili; o a causa di errori commessi dal copista (es. dittografie, aplografie, salti dell’occhio). Questi errori potevano alterare il testo in maniera non significativa, e il contenuto non subiva variazioni rilevanti, rimanendo pur sempre ricostruibili in direzione dell’originale, o talvolta ne potevano causare uno slittamento significativo, o un danneggiamento di grande portata: numerosi sono i testi conservati in maniera solamente frammentaria o, addirittura, per sola citazione (tradizione indiretta).
Facciamo un esempio: nell’atto di copiare le canzoni di Petrarca, Pietro Bembo si affidò a uno o più antigrafi non autoriali, ed è noto che non ebbe sotto mano l’originale (ms. Vat. Lat. 3195) fino a un momento molto tardo. Come ho avuto premura di analizzare (in Simone Di Massa, Petrarca, madrigale RVF 121: una sinossi filologica e un inquadramento delle problematiche, in Scuola Filosofica, 8 novembre 2023), il madrigale 121 è contiene un errore, ossia omette il v. 6. La genesi dell’errore è piuttosto complessa da inquadrare, e i miei sforzi di ricerca mi hanno portato a credere che si trattasse di un errore già presente nell’antigrafo, come suggerito anche una curiosa corrispondenza con il ms. Harley 3264, evidentemente contaminato (cfr. Di Massa 2023). L’errore venne poi trasmesso all’editio princeps, ossia la stampa a cura di Aldo Manunzio del 1502, basata proprio sul codice di Bembo. Ad oggi è possibile ricostruire la forma originale del madrigale grazie al manoscritto autografo, ma un caso in cui la tradizione si fosse limitata a presentare il madrigale manchevole del v. 6, questo errore sarebbe risultato irreversibile, non potendo, un copista o un editore, congetturare il verso omesso.
L’esempio permette di inquadrare come le problematiche che intercorrono nella tradizione testuale corrispondano, grossomodo, alle varie fasi del gioco del telefono senza fili: esattamente come ogni giocatore, scientemente o meno, modifica la frase di partenza con il proprio apporto di innovazioni ed errori, così i copisti intervengono sul testo tràdito, di nuovo scientemente o meno, aggiungendo innovazioni ed errori. La metafora, chiaramente, copre solamente i casi di una tradizione verticale, ma non si pensi che questo esaurisca le dinamiche della tradizione testuale. Si sono giocoforza trascurate le questioni della tradizione orizzontale (ossia i casi di contaminazione, una perniciosa vexata quaestio), e di intervento correttivo da parte del copista, che talvolta poteva intervenire a sanare eventuali corruttele.
Nel concludere il presente contributo, nato da una giocosa e nostalgica riflessione su un divertimento d’infanzia, mi premuro di specificare che non si è inteso proporre una verità inopinabile, bensì un ragionamento divertito e del tutto aperto a obiezioni e aggiunte da parte dei lettori.
Certamente, il contributo si prefissa l’obiettivo critico di porre l’attenzione sulla facilità con cui le notizie, e ancor di più i pettegolezzi, sono modificati, interpolati, e necessitino dunque un processo di certosina ricostruzione filologica per verificarne l’attendibilità. Si vuol far comprendere come la filologia, oggi più che mai considerata alla stregua di un campo di studi di poco interesse comune, e in qualche modo elitario poiché confinato nel recinto accademico, sia in realtà uno strumento a disposizione di chiunque per cercare di costruire una comunicazione sociale che diffidi criticamente di quanto appreso e vada a fondo nelle verifiche. Rimando, in chiusura, a un progetto che ha profondamente ispirato questa riflessione, ossia il volume “Fictio, falso, fake: sul buon uso della filologia” (2021) curato da Antonella Negri e Roberto Tagliani, e che si propone propriamente l’obiettivo di incoraggiare una visione critica: «Confidiamo che in una società sempre più sedotta da comunicazioni assertive e autoritarie, la filologia possa diventare concretamente uno strumento a disposizione di quanti si occupano di formazione (scolastica, universitaria, professionale) utile a far crescere lo spirito critico, che verifica le posizioni e chiede conto di teorizzazioni e ricostruzioni, evitando di ragionare per schieramenti preconcetti, appartenenze o tifoserie» (Negri, Tagliani 2021: 9).[6]
[1] Cfr. in Wikipedia, L’enciclopedia libera, Telefono senza fili (a cura dei contributori), ultima revisione in data 08/09/2024, consultabile online all’url <//it.wikipedia.org/w/index.php?title=Telefono_senza_fili&oldid=141030316> [u.c. 05/03/2025].
[2] Le argomentazioni proposte nel presente lavoro presuppongono una conoscenza quantomeno fondamentale delle prassi ecdotiche. Vista l’impossibilità, per motivi di spazio, di indicare uno status quaestionis, rimando alla manualistica che ha felicemente accompagnato i miei studi personali: cfr. Alfonso D’Agostino, Capitoli di filologia testuale, Milano, Unicopli Campuscuem, 2012; Paolo Chiesa, Elementi di critica testuale, seconda edizione, Quarto Inferiore, Pàtron Editore, 2012; cfr. anche Giorgio Chiarini, Prospettive translachmanniane dell’ecdotica, in Ecdotica e testi ispanici, Atti del Convegno Nazionale dell’Associazioni Ispanisti Italiani (18-19-20 giugno 1981), curatela dell’Associazione Ispanisti Italiani, Verona, Fiorini, 1982, pp. 45-64.
[3] A puro titolo esemplificativo si citano il ms. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano Latino 3195, in parte autografo, in altre parti idiografo ad opera del copista Giovanni Malpaghini, contenente i Rerum Volgarium Fragmenta; e il ms. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano Latino 3196, il cosiddetto Codice degli abbozzi.
[4] Tra i vari, è esempio molto celebre il ms. ms. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigiano L V 176, per cui si rimanda agli studi di Domenico De Robertis, contenente opere di Dante, Petrarca e dello stesso Boccaccio.
[5] Di Christine de Pizan sono numerosi i manoscritti autografi delle sue opere, tra cui il ms. Londra, British Library, Harley 4431, idiografo contenete una raccolta di suoi scritti; per Pietro Bembo si cita, a titolo esemplificativo, il ms. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano Latino 3197, copia di sua mano dei Rerum Volgarium Fragmenta (cfr. Simone Di Massa, Petrarca, madrigale RVF 121: una sinossi filologica e un inquadramento delle problematiche, in Scuola Filosofica, 8 novembre 2023, online all’url < https://www.scuolafilosofica.com/11844/petrarca-rvf-121-sinossi-filologica-e-problematiche>).
[6] Negri, Tagliani 2021 = Antonella Negri, Roberto Tagliani, L’esperienza di Costruire l’Europa e il senso di questo libro. Qualche parola a mo’ di introduzione, in Antonella Negri, Roberto Tagliani, Fictio, falso, fake: sul buon uso della filologia, Milano, Biblioteca di Carte Romanze, Ledizioni Ledipublishing, 2021, pp. 5-9.
Be First to Comment