Una pareidolia che lascia perplessi
A volte alcune mappe di città e luoghi in genere mi permettono di disegnare vignette di scenari interessanti che mostrano persino personaggi storici, un tutto che si rivela addirittura profetico. La cartografia sopra mostrata è una di queste vignette che ho disegnato in questi giorni che, a differenza di tante altre che ho disegnato, non ha avuto bisogno di correzioni. Si è delineata attraverso le strade principali e ho dovuto solo aggiungere i colori per far delineare bene uno strano personaggio che ha mi colpito, conoscendo la storia degli ultimi anni di dopo la seconda guerra mondiale, l’atroce eccidio italiano-croato-sloveno di tutta l’area della vecchia disposizione della Venezia Giulia.
Un’anziana donna mi appariva con questi segni che erano tutti riuniti in un fardello sulle sue spalle, ma un enorme corno sulla fronte la rendeva mostruosa, a causa dell’eccidio, senza dubbio.
Questa è stata la mia prima impressione nel vedere l’immagine che, secondo la ragione corrente, è una pareidolia o illusione pareidolitica, un’illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note degli oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale. La pareidolia è la tendenza istintiva e automatica del cervello a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate, ma questa non è poi tanto disordinata. Tutt’altro, poiché le strade che la definiscono sono dei segni ben definiti e le persone che l’attraversano con i loro mezzi è come se la rimarcassero con la volontà, incidendo decisamente sulla mia.
Mi sovviene il mio primo scritto “Alice nel Paese delle meraviglie spiegato con i metaloghi di Gregory Bateson“, qui su Scuola Filosofica[1]. Come immaginare che “non tutti i mali vengono per nuocere”, di un intreccio come questo della pareidolia di Trieste, su cui c’è concordanza nel definirla “nonsense”, cioè negazione, ma non mancanza di senso.
Quale il progetto occulto della casualità ordito dalla natura, viene da pensare quasi sgomenti? Concepire una sorta di ‘Rebis filosofale’ come quello perseguito dagli alchimisti. Che intreccio paradossale!
Dopo averci pensato e ripensato questo “nonsense” mi ha portato ai metaloghi di Gregory Bateson, in particolare al dialogo tra lui e la figlia, che egli riporta sul suo libro “Verso un’ecologia delle mente” di Gregoy Bateson – [pag. 56 – 1976 Ediz. Adelphi]. Di qui un meraviglioso aggancio all’ecologia della mente che con la suddetta pareidolia sembra disturbata da una sindrome, secondo l’opinione corrente dei psicologi.
Ma cosa è un metalogo?
Il metalogo è una conversazione immaginaria tra un padre e una figlia su un argomento problematico. Inizia sempre con una domanda della piccola figlia, domanda che permette a papà Bateson di introdurre le sue teorie. I metaloghi non terminano mai con certezze, ma lasciano la possibilità di porsi molte altre domande. E’ un modo di presentare le idee molto diverso da quello al quale siamo abituati (ipotesi, dimostrazione delle ipotesi e conclusioni), per questa ragione il lettore può rimanere, almeno ad un primo approccio, perplesso. Ma se da un lato Bateson sostiene l’importanza dell’accrescimento della conoscenza fondamentale, dall’altro lato attraverso i metaloghi egli ci fornisce un esempio concreto di cosa significhi avvicinarsi a un problema con una atteggiamento conoscitivo e di come dei dati oggettivi possano essere utilizzati con un intento euristico, piuttosto che con una forzatura atta a incasellare i dati dentro una teoria di riferimento.[2]
Va precisato che Bateson, biologo di formazione, non fu soltanto biologo ma antropologo, epistemologo, naturalista, etologo, cibernetico, collaborò conpsichiatri e psicoterapeuti…. Fu, in altre parole, scienziato e filosofo della natura: Bateson – scrive Marcello Cini – è “nel senso pieno del termine, un filosofo naturale”.[3]
Ma ecco il dialogo tra padre e figlia e basta questo per trovare accostamenti conoscitivi con la presunta pareidolia di Trieste.
Figlia- Papà, quante cose sai?
Padre. Eh? uhm… so circa un chilo di cose.
F. non dire sciocchezze. Un chilo di quali cose? Ti sto chiedendo davvero quante cose sai.
P. Be’, il mio cervello pesa circa un chilo e penso di usarne circa un quarto… Quindi diciamo due etti e mezzo.
F. Ma tu sai più cose del papà di Johnny? Sai più cose di me?
P. Uhm… una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: «I Padri sanno sempre più cose dei figli?« e il padre rispose: «Sì». poi il ragazzino chiese: «papà chi ha inventato la macchina a vapore?» e il padre: «James Watt» E allora il figlio gli ribattè: «ma perché non l’ha inventato il padre di James Watt?».
F. Lo so. Io so più cose di quel ragazzo, perché so perché il padre di James Watt non l’ha inventata: é perché qualcun altro doveva inventare qualcos’altro prima di chiunque potesse fare la macchina a vapore. Voglio dire… non so… ma ci voleva che qualcuno potesse scoprire la benzina prima che qualcuno potesse costruire u motore.
P. Sì… questa è la differenza. Cioè voglio dire che il sapere è come tutto intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile solo in virtù degli altri pezzi…
F. Pensi che si dovrebbe misurare in metri?
P. No. direi di no.
F. Ma le stoffe si comprano a metro.
P. Sì, ma non volevo dire che è una stoffa. È solo come una stoffa… e certamente non sarebbe piatto come stoffa… ma avrebbe tre dimensioni… forse quattro dimensioni.
F. Che cosa vuol dire papà?
P. Non so, veramente tesoro. Stavo solo cercando di riflettere.
E il metalogo continua e sembra che si rifletta in una sorta di un altro “metalogo” (si potrà chiamare così?) della pareidolia di Trieste da un lato e di un’altra Trieste afflitta a causa del grande cimitero della Slovenia.
L’atroce fardello della Slovenia
Le fosse comuniste dell’orrore: qui la gente spariva nel nulla
«Come noto, negli ultimi anni la Memoria della tragedia della Foibe è sotto attacco da un numero crescente della sinistra giustificazionista o revisionista, nel solco inaugurato più di venti anni fa dalle note Alessandra Kersevan e Claudia Cernigoi. La differenza è che se queste ultime avevano un pubblico ristretto a poche centinaia di visitatori sui loro siti web e ben scarsi lettori dei loro pamphlet autoprodotti e qualche decina di spettatori alle loro conferenze presso la sinistra radicale, ora le loro tematiche si stanno facendo strada verso parti sempre più rilevanti del grande pubblico, sino ad approdare alle porte dell’editoria di massa e della politica nazionale. […]
Un altro tra i diversi limiti di questa impostazione è stato il quasi totale disinteresse verso gli avvenimenti e le ricerche oltre il confine su quelle che chiameremo “le altre foibe”, ossia le conseguenze della strategia di repressione del dissenso interno da parte di Josif Tito delle stesse popolazioni slovene, croate e serbe. Pur con alti e bassi derivanti dalle convenienze politiche contingenti, in Slovenia e Croazia dal 1990-1991 in poi sono stati fatti da autorità e ricercatori storici degli sforzi ben maggiori rispetto alle controparti italiane per ricostruire e trasmettere la memoria delle atrocità titine, arrivando a cristallizzare tramite scavi, analisi forensi (vedi Pavel Jamnik, “Inclusion of Archaeology in Criminal Investigations – Slovenia”, in Forensic Archaeology: a Global Perspective, Hoboken 2015) e studi (come la raccolta di saggi Slovenjia 1941, 1948, 1952.
Tudi mi smo umrli za domovino edita dalla “Associazione per la sistemazione dei sepolcri tenuti nascosti”, Lubiana 2000, tr. it. Slovenia 1941-1948-1952 – Anche noi siamo morti per la patria. I sepolcri tenuti nascosti e le loro vittime, Milano 2005 (vedasi fig. 2 – ndr), la quale, pur disomogenea nella qualità dei contenuti, rappresenta un’opera di grande importanza storico-documentale) le evidenti e inconfutabili prove dei massacri di massa titini. A dimostrazione che non erano esclusivamente i veri o presunti “crimini nazifascisti” ad alimentare questi eccidi, ma bensì il cinico e lucido progetto totalitario, espansionistico e repressivo di Tito, maturato sin dai suoi esordi politici negli anni ’20, pianificato lucidamente e eseguito dal suo rodato braccio armato, ossia la polizia politica dell’Ozna (William Klinger, Ozna. Il terrore del popolo. Storia della polizia politica di Tito, Trieste 2015). Tra l’altro, bisogna ricordare come questo progetto totalitario non dipese come pretendono giustificazionisti e negazionisti da una “risposta” alle vere o presunte precedenti violenze degli occupanti italiani dal Ventennio al 1945, poiché a essere perseguitati e talvolta liquidati furono anche gli stessi comunisti slavi e italiani, quando in disaccordo con la linea politica di Tito.
Per quanto riguarda la sola Slovenia, sono stati identificati oltre 600 siti in tutta la nazione, mentre resti umani sono stati per ora trovati in ventisette. Le esecuzioni di massa effettuate dai titini sul territorio sloveno prima della fine della guerra riguardarono principalmente soldati tedeschi e italiani catturati in azione e collaborazionisti, per poi dopo il 1945 interessare anche – e soprattutto – nemici “etnici” come gli italiani, e sloveni, croati e serbi vittime delle purghe politiche o consierati “nemici del popolo”, per un totale stimato di circa 100.000 vittime.
Una di queste “altre foibe” è il pozzo minerario di Huda Jama, dove i partigiani di Tito giustiziarono 2.500 persone tra veri e presunti “collaborazionisti” e civili. Negli anni scorsi sono stati riesumati i resti di 778 persone, e le fotografie scattate all’interno del pozzo sono una agghiacciante testimonianza visiva dell’eccidio.
Oltre a Huda Jama e a Kočevski rog, dove furono liquidati con un colpo alla nuca 2.000 domobranci sloveni, 3.000 serbi, 2.500 croati e 1.000 montenegrini, c’è il sito di Tezno, vicino a Maribor, una delle “foibe” più grandi della Slovenia (Maribor è sulla destra in alto della mappa, fig. 3 – ndr).
Qui, nel 1999, furono ritrovati i resti di 1.179 persone. Nel 2007 i sondaggi che furono effettuati dimostrarono che l’intera cavità lunga 930 metri è piena di cadaveri. Le prime stime fatte dagli esperti parlano di circa 15.000 vittime gettate del buco (Mauro Manzin, Lubiana “dimentica” le vittime dei titini, “Il Piccolo”, 4 marzo 2015).
Una “topografia dell’orrore” che merita di essere studiata e approfondita anche in Italia, sia per il rispetto comune dovuto a queste vittime al di là della loro nazionalità, sia per le lezioni da apprendere per uno studio scientifico delle persecuzioni titine verso gli italiani e per rispondere efficacemente agli “utili idioti” giustificazionisti filo titini nostrani».[4]
L’Olocausto il fardello della Slovenia
L’ebraismo ci ricorda l’olocausto per indicare, a partire dalla seconda metà del XX secolo, il genocidio di cui furono responsabili le autorità della Germania nazista e i loro alleati nei confronti degli ebrei d’Europa e, per estensione, lo sterminio di tutte le categorie di persone dai nazisti ritenute “indesiderabili” o “inferiori” per motivi politici o razziali. Per certi versi l’eccidio delle foibe può essere inteso alla stesso modo. E se, in modo esteriore, le foibe sono state raccontate più o meno come lo ha fatto Andrea Lombardi 16 febbraio 2021, per capire meglio dal punto di osservazione spirituale, occorre capirne il mistero in esso rinchiuse. È difficile capire se poi si entra nel mondo dell’alchimia per vedere le foibe nel Sale uno dei Tre Principi, presenti sia nel cosmo sia nell’uomo, una triade mistica, composta dal sale, dal mercurio e dallo zolfo. Benché si presenti come una polvere bianca, inerte, il sale è uno dei grandi misteri e simboli dell’iniziazione.
Nella tradizione alchemica esso era l’emblema di un patto sacro che non poteva mai essere rescisso, simile a quello che il neofita stringeva con la sua scuola o il suo maestro. «Il patto di sale» di cui parla l’Antico Testamento potrebbe avere un significato diverso da quello che gli viene di solito attribuito. Il Nuovo Testamento è meno evasivo al proposito: in Matteo, infatti, «sale della terra» sono gli eletti, ossia gli iniziati e non, come si tende oggi a pensare, quanti sono poco più che semplici contadini. Nei secoli lontani gli eletti sedevano al posto d’onore, «più in alto del sale», perché avevano conquistato il sale che avevano dentro di loro. Come si spiegherebbe altrimenti tutta l’importanza che nei convivi medievali veniva attribuita al salinum, ossia alla saliera? […]
Gli alchimisti ponevano talora a emblema del sale il più semplice di tutti i sigilli: un minuscolo quadrato ☐ o un piccolo rettangolo. Con quelle quattro linee che descrivono uno spazio vuoto – come lo spazio fra l’Aria e l’Acqua – intendevano delineare i misteri dei quattro elementi o disegnare una bara? Il reverendo Brewer, un colto collezionista di idee curiose, totalmente ignaro di esoterismo, ci ricorda la consuetudine, tuttora esistente, di porre una manciata di sale nella cassa del morto.
C’è forse un nesso fra il sale e la morte?
Un altro sigillo del sale – usato con frequenza nei gruppi alchemici rosacrociani – era un cerchio tagliato a metà da una linea orizzontale Θ . Quel sigillo deriva dalla theta maiuscola di Thanatos, che in greco significa «morte».
In numerosi testi alchemici il sale rappresenta il processo mentale, che è un processo di morte. Il sale è il residuo dell’attività spirituale che avviene nella nostra testa: come nelle triade alchemica, è la scoria che resta quando la vita è volata via, è il cranio, il Caput Mortuum, la polvere bianca residua dopo l’estrazione dell’oro. È la cenere del pensiero.
Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate[5]. Che forse i sacrificati delle foibe, nell’istante prima di essere spinti nel baratro, non si trovavano con la mente frantumata senza capire nulla, se non con una immane paura della morte? Per essi, in modo spirituale, valeva immensamente il Sale che si produceva, un immenso e incalcolabile Oro per realizzare la Pietra filosofale.[6]
Ora può apparire in modo abnorme questo sale del mistero, non avendo esaminato l’altro mistero legato al corno dell’anziana donna di Trieste, ma poi tutto sarà in armonia.
Il tronco d’albero secco, il corno dell’anziana donna di Trieste
Il monaco Basilio, noto profeta russo, visse durante il regno di Pietro I il Grande.
Nato a Mosca nel 1660, Basilio abbandonò la famiglia e ogni prospettiva di carriera per dedicarsi interamente alla vita religiosa, ritirandosi nel convento ortodosso di Kalnin.
Qui si distinse per la sua umiltà e generosità, offrendo pane e conforto ai poveri, e per le sue frequenti preghiere presso la cattedrale del Beato Basilio, situata poco fuori dal Cremlino. Durante queste sessioni di preghiera e contemplazione, Basilio iniziò a sperimentare visioni profetiche che trascrisse in prosa. Sorprendentemente, molte delle sue predizioni si sono già avverate.
Tra le profezie più suggestive di Basilio spiccano quelle relative alla fine dei tempi e al mondo che verrà e si rivela fondamentale per il credente. Importa leggerlo perché costituisce il tema su cui si incentrerà la tematica del prossimo capitolo in cui si fa luce sul reale potere del corno della Strega di Trieste, il tronco d’albero secco.
Concentreremo perciò l’attenzione su questa profezia del Monaco Basilio di Kronstadt:
L’uomo di Colosse unira’ i frammenti del mondo
« Vedrete sorgere l’alba quando comparirà sulla
terra della Santa Madre l’uomo di Colosse
che non riconoscerete dal corpo,
ma dallo spirito, perché non sarà
un gigante del corpo, ma dell’anima.
Il suo nome ricorderà l’animale mansueto,
le sue parole i santi vangeli,
ma non sarà un uomo di chiesa.
Sarà però un uomo inviato da Dio
per unire i frammenti del mondo
e aprire le porte d’un tempo nuovo,
dove lo spirito occuperà il primo posto.
L’uomo di Colosse s’impegnerà in una tremenda
guerra contro le legioni sataniche, perché,
quando giungerà sulla terra, il dominio di Satana
sarà assoluto. I giusti seguiranno lui che proviene
dalla terra gelata, chiusa tra due fiumi.
Egli verrà per cambiare tutto, per insegnare
che il giorno si chiama notte e la notte si chiama
giorno; ma verrà sopratutto per insegnare
all’uomo la grande legge che da molto
ha dimenticato: quella dell’amore.
Egli sarà l’avanguardia del Governo Universale.
Nel passato sono state le leggi dell’uomo
ad amministrare il mondo e la storia del mondo
è finita in tragedia: d’ora in poi saranno
le leggi dell’Eterno a dominare il mondo
e la storia dell’uomo sarà un cantico di gioia.
L’uomo nuovo sarà squadrato con l’accetta.
Il primo uomo è stato modellato con la creta,
il secondo verrà scolpito nel tronco della pianta,
perché tutto è uno e uno è tutto. »[7]
I due versi conclusivi mostrano chiaramente il tronco d’albero, il corno dell’anziana donna di Trieste raffigurata con la cartografia della fig.1.
Nel leggerlo si è presi come in un vortice per la straordinaria attrazione del tema in prosa di questa profezia dei tempi nuovi che neanche si poteva profilare ai tempi del profeta Basilio. Ma siamo nel tempo di oggi in cui la terra stessa, che manifesta chiari segni di degrado, e l’uomo incapace di fronteggiarvi a causa del necessità di un vivere agiato, ma smarrendo l’amore per i suoi simili nella miseria più grave, senza contare la catastrofiche guerre che stanno distruggendo il nostro pianeta.
Per tutto ciò, senza dubbi, l’attenzione è rivolta tutta all’avvento dell’uomo di Colosse, il solo che può fronteggiare l’oscura fine vitale del nostro pianeta.
Ma cosa potè indurre il monaco Basilio a chiamarlo l’uomo di Colosse?
Il miracolo di San Michele arcangelo a Colosse
Il monaco Basilio conosceva molto bene le sacre scritture e in particolare il Nuovo Testamento in cui spicca la “Lettera ai Colossesi” che si riferisce appunto a Colosse o Colossi, un’antica città della Frigia sulle rive del fiume Lico, un affluente del fiume Meandro. Era situata a meno di venti chilometri da Laodicea presso la grande strada che conduceva da Efeso all’Eufrate.
La città di Colossi, decadde (forse per causa di un terremoto) e presso le sue rovine sorse la città bizantina di Chonai. In questa città era vivo il culto di San Michele Arcangelo (Archistratega) correlato con la difesa delle acque, che aveva l’origine orientale ed era già diffuso dal III secolo in Asia minore, sulle coste e le isole di Grecia. In Asia Minore Sant’Arcangelo era appunto patrono delle acque curative. Inizialmente tutti i santuari micaeliti avevano sorgenti prodigiose.
Scrittore e agiografo bizantino del X secolo Simone Metafraste descriveva l’apparizione dell’Arcangelo a Cheretopa in Frigia che ha fatto sgorgare l’acqua miracolosa e che risale al I secolo.
Il tema del Miracolo dell’arcangelo Michele a Chonai (Τὸἐν Χωναῖς/Χῶναις Θαῦμα τοῦ Ἀρχαγγέλου Μιχαήλ) aveva notevole rilievo nella spiritualità orientale. Secondo la tradizione, il miracolo di San Michele a Chonai avvenne nel santuario a lui dedicato, dove i pagani volevano distruggerlo, deviando il fiume contro di esso. L’asceta Archippo di Erotopo con un grande fervore pregò l’Arcangelo San Michele che intervenne, spaccando con un fulmine la roccia e dando così all’acqua che sgorgava un nuovo corso. Così mise in salvo la chiesa, santificando per sempre anche l’acqua della sorgente.
La figura di Sant’Archippo personificava la forza della preghiera eremitica, capace di resistere al male e al vizio.[8]
Un altro San Michele Arcangelo ma in sembianze femminili
Un noto pittore bresciano deve avere intuito il mistero legato al San Michele Arcangelo di Colosse della fig. 4. È Alessandro Bonvicini detto il Moretto (1498-1554) che ha dipinto per questo scopo la pala “Incoronazione della Vergine coi Santi Francesco, Nicola e l’Arcangelo Michele” esposta nella Chiesa dei Santi Nazaro e Celso di Brescia.
Osservando la fig. 5 si vede chiaramente l’Arcangelo Michele con la sottile lancia (l’analoga dell’icona russa della fig. 4) che dovrebbe trafiggere la bestia della forza terrosa dell’uomo vivente. L’aspetto della bestia non è ostile e la punta quadristellare dorata poggia su una poderosa coda attorcigliata il cui aspetto sembra legarla alla sua forza erotica per dominarla. Né il Santo Arcangelo e nemmeno la bestia manifestano ostilità reciproca. E poi è lo stesso San Michele con una ghirlanda sul capo a dare questa impressione di mestizia e non di lotta come di solito viene concepito il suo intervento in tantissimi suoi quadri.
Il prolungamento geometrico della lancia di pace (e non di punizione) è l’asse della corona che Gesù ha in mano per porla sul capo della Vergine Maria. La corona sta a indicare appunto la vittoria sul male, grazie, sia al sacrificio di Cristo che sappiamo per la salvezza dell’anima, ma anche a quello di San Michele per la salvezza dei corpi erotico ed eterico dell’uomo uniti insieme all’anima indissolubilmente.
Ma il Moretto, fa una previsione anche del nuovo mondo, naturalmente quello indicato dall’Apocalisse di Giovanni nella Gerusalemma Celeste:
« Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. » (Ap,21,1)
Ma il Moretto, fa una previsione anche di una vergine per una nuova generazione umana.
È la nuova Vergine terrena che l’artista tratteggia nella pala della Chiesa dei Santi Nazaro e Celso di Brescia il cui particolare è la fig. 6, visibile nella parte destra fra i putti.
Il compromesso di San Michele
Resta ora il fatto saliente che riguarda da vicino l’Arcangelo Michele in sembianze femminili, col volto adornato con ghirlanda di fiori di campo. La domanda è ora, grazie a quale sortilegio la bestia è adagiata ai piedi di Michele, tutt’altro che incline a qualsiasi ostilità? Infatti sembra gradire lo sfiorare di quel piede di Michele sul suo petto, ma c’è ben di più con quel puntale dorato della presunta lancia che avrebbe dovuto trafiggerla. Invece è come se si fosse stabilito un singolare gradevole rapporto fra la strana punta quadristellare con una sorta di grossa coda eretta della Bestia ad essa attorcigliata (fig. 7).
Ma è una cosa che ha tutta l’aria di una concezione fallica, non c’è che dire. Che cosa ha voluto suggerire, o esorcizzare, il Moretto con questa novità in fatto di disputa con le forze del cosiddetto male? La possibile spiegazione di questa versione del rapporto tra San Michele e la bestia rientra in una visione alchemica del rapporto fra il Re e la Regina di un ruolo importante della seconda opera del Magistero Alchemico che si conclude con il loro matrimonio, il coniunctio oppositorum.
Nel prossimo capitolo si parla di questa fase ne “Li tre libri dell’arte del vasaio” di Cipriano Piccolopasso.
“Li tre libri dell’arte del vasaio” di Cipriano Piccolopasso
L’illustrazione accanto (fig. 8), in cui si vede una colomba che cerca di sollevare una pietra cui è saldamente legata, fa parte di Li tre libri dell’arte del vasaio, opera di un alchimista del 1500, Cipriano Piccolpasso[9]. Egli è stato anche architetto, storico, ceramista, e pittore di maioliche, italiano.
L’immagine rappresenta il simbolo dell’unità della materia, la cui difficoltà del processo alchemico per ottenerla trapela dal filatterio in cui vi è iscritta la parola IMPORTUNUM.
La colomba, segno di sublimazione alchemica, rappresenta l’azione dello spirito sulla materia, un ruolo importante della seconda opera del Magistero Alchemico. In modo traslato all’Apocalisse di Giovanni, lo Spirito è l’Agnello, e la materia e la « bestia di terra ». Tuttavia il solido legame che unisce lo spirito alla pietra, lascia intendere che questa, nel trattenerla, incide nel processo con la sua azione specifica, la forza di gravità, propria della materia. È ben chiaro così che venendo meno questa forza, il prodotto della sublimazione s’invola, vanificando così il lavoro dell’alchimista, e questo non ha senso che avvenga. Ecco lo scopo del legame che unisce i due per la cosiddetta coniunctio oppositorum.
La croce in alto indica l’atanor, ossia il crogiuolo (sinonimo di croce appunto), strumento dell’Arte del Fuoco, ovvero la Via Secca.
Più da vicino la pietra e la colomba rappresentano lo solfo e mercurio alchemico (la salamandra e la remora) che si azzuffavano dilaniandosi.
Questi due principi “abitano” il vaso alchemico e la lebbra che affligge la Materia Prima, più che identificarsi con il fisso o con il volatile, col corpo o con lo Spirito, risiede nella loro mancata integrazione, nella loro separazione. L’alchimista, quindi, non potendo rinunciare né all’uno né all’altro, deve riuscire ad amalgamare e fondere insieme Spirito e Corpo, realizzando la coniunctio oppositorum. Gli opposti devono prima lottare divorarsi ed uccidersi a vicenda perché la loro unione possa realizzarsi. Questa operazione ha due aspetti, quello del costringere la terra corporea e pesante ad elevarsi verso le regioni dello Spirito e quello consistente nell’obbligare lo Spirito ad abbandonare i “Cieli filosofici”, ove può spaziare liberamente, costringendolo a discendere nelle regioni più pesanti e condizionate dai vincoli terrestri perché possa vivificare rivitalizzare e “rendere consapevole” il corpo.
San Giovanni dipinto da Piero di Cosimo
In un’altra opera pittorica, fig. 9, viene ritratto San Giovanni evangelista in aspetto di donna, com’è stato per San Michele arcangelo della pala della Vergine incoronata di Alessandro Bonvicini detto il Moretto della fig. 5.
Il Mistero della “donna” trova la luce nel vangelo di Tommaso che spiega la trasformazione di Maria Maddalena in uomo: “Simon Pietro disse loro: Maria deve andare via da noi, perché le femmine non sono degne della vita! Gesù disse: Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché lei diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Poiché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei Cieli” con un evidente significato esoterico, intendendo con il farsi maschio, la condizione di Androgino ovvero la ricongiunzione degli opposti e il ritorno all’Adam primordiale.[10]
La rappresentazione di San Giovanni effeminato è tutta centrata sul sacrificio che si concentra nella coppa in cui al posto del vino c’è un serpente, e nel caso della pala della Vergine della fig. 5, è l’arcangelo Michele che si sacrifica per la depurazione della bestia.
Questo sacrificio permette la resurrezione di Gesù perchè si tratta del corpo erotico che non viene più trovato nella sua tomba.
E poi c’è il segno delle due dita di San Giovanni (e non tre) che indica Gesù Cristo col suo sacrificio sul Golgota.
La Morte che offuscava la bestia beneficia della forza eterica di San Michele, è questa la ragione della rapprentazione che vale anche per San Giovanni evangelista. Entrambe le immagini, quindi, rivalutano la donna al rango delle originale creazione di Dio. Ma, in particolare, rivalutano anche l’anziana donna di Trieste che ritorna a essere una bella e amabile donna. Ma c’è di più da capire su di lei se si concentra l’attenzione sulla bestia (il serpente) che San Giovanni depura con suo sacrificio, Maddalena. Infatti nell’immagine della Vergine Incoronata dal Cristo della fig. 5 il Moretto ha ritratto un giovane donna che si vede nelle fig. 6 destinata per una nuova generazione femminile. Molto probabilmente questa donna si lega all’anziana donna di Trieste. Questa è afflitta a causa del suo corpo erotico che è il serpente nel calice di San Giovanni. Ma il santo col suo sacrificio permette a tutte le vittime Triestine, Croate e Slovene di riemergere dal fardello sulle spalle dell’anziana donna di Trieste per farla ringiovanire. Sarà la poderosa forza rappresentata dal suo corno, con l’uomo di Colosse, a concepire questo grande evento.
Valeva la pena di dar retta ai metaloghi di Batenson per far nascere un’idea nuova, una speranza, sul messaggio – chiamiamola così – della pareidolia di Trieste? In un cantuccio della mente, non tanto contemplata dalla luce della filosofia corrente, c’è la religione, l’ermetismo ed altro che sembrano delle pareidolie della ragione umana. Un tempo non era così.
Brescia, 7 gennaio 2025
[1] https://www.scuolafilosofica.com/7684/alice-nel-paese-delle-meraviglie-spiegato-con-i-metaloghi-di-gregory-bateson
[2] Fonte: http://www.psicologiarelazionale.org/letture/metaloghi.html – 2008
[3] Marcello Cini, Un paradiso perduto. Dall’universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli,
Milano 1994, p. 242.
[4] Andrea Lombardi 16 febbraio 2021 – https://www.ilgiornale.it/news/cronache/fosse-comuniste-dellorrore-dove-facevano-sparire-gente-1924143.html
[5] Fonte: http://www.tarocchidellavita.it/arcano-numero-dodici.html
[6] Fonte: https://www.labirintoermetico.com/01Alchimia/gioco_oca_alchemico/gioco_oca_alchemico.htm
[7] LE PROFEZIE DI SAN PIETROBURGO – Monaco Basilio di Kronstadt XVIII secolo d.C.
Tratto da: “Il mistero di San Pietroburgo” – Il futuro della Russia e del mondo nelle profezie del monaco Basilio – di Renzo Baschera Oscar Arcana, Arnoldo Mondadori Editore, Aprile 1992
[8], https://www.ukr-parafia-roma.it/it/articoli-2/1514-il-miracolo-di-san-michele-a-chonai-6-19-settembre.html
https://ucrainistica.blogspot.com/2020/09/il-miracolo-di-san-michele-chonai-6-19.html
[9] http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/alchimia/piccolpasso.htm
[10] https://psicologiaalchemica.wordpress.com/il-mito/maria-maddalena-la-sposa-la-conoscenza-e-leros/
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