Esame linguistico del medium epistolare
- 1. Introduzione e status quaestionis:
Sin dalla pubblicazione del romanzo epistolare La casa e la città (1984) di Natalia Ginzburg (1916-1991), la critica ginzburghiana ha concentrato la propria lente d’esame sulla questione spaziale, una dimensione senz’altro centrale nei romanzi della Ginzburg, accentuata dalle indagini critiche che hanno fatto seguito alla spatial turn: «La svolta “spaziale” […]. Un’inversione di tendenza, iniziata negli anni Novanta in ambito soprattutto Statunitense, e poi a partire dagli anni Zero giunta anche in Europa» (Tortora 2022: 281), un incrocio delle direttrici di ricerca tra critica letteraria e geografia, in questo caso nella sua indagine urbana. La critica che ha abbracciato la spatial turn ha visto nomi eccelsi, tra cui quelli di Pierre Bourdieu, Edward Said ed Edward Soja: un compendio dei critici della spatial turn è presentato da Enric Bou (2020: xi), e da Massimiliano Tortora (2022) in maniera ancor più dettagliata. Il contributo di Bou si inserisce nell’ambito degli studi di Emanuela Forgetta (2022) sulla questione degli “spazi urbani”, andando ad arricchire un patrimonio già notevolmente ricco di studi in prospettiva “spaziale” sui romanzi della Ginzburg.
Si inserisce in tale schiera di studi anche il contributo di Elisabetta Mondello (2017) che, pur contribuendo alla questione “spaziale”, non tralascia di sollevare all’attenzione della critica anche la questione linguistica della letteratura ginzburghiana. Lo status quaestionis degli studi linguistici su Natalia Ginzburg ha visto contributi importanti da curatori di edizioni, tra cui spicca quella di Cesare Segre di Lessico famigliare (2010), a cultori della lingua letteraria, tra cui Eugenio Montale, che ha parlato, in proposito, della «arte sua [della Ginzburg, N.d.R.] di mimare la cadenza del chiacchiericcio» (1963: 7). Le analisi linguistiche hanno coperto in particolare Lessico famigliare, e le sue «forme verbali idiolettiche» (Casadei 2013: 11). Si segnala inoltre il contributo di Elina Suomela-Härmä (2003) in analisi dell’uso di Natalia Ginzburg dei pronomi allocutivi. Il presente saggio si propone l’obiettivo di approfondire un’analisi linguistica del romanzo epistolare La città e la casa, ponendo in luce l’arte ginzburghiana della strutturazione del medium linguistico epistolare.
Studi su La città e la casa hanno abbracciato anche una prospettiva sociologica e letteraria: spiccano tra questi i contributi di Giulio Iacoli (2008) e di María Belén Castano (2018). Si ritiene inoltre di menzionare un recente studio di filologia d’autore sul manoscritto autografo de La città e la casa a cura di Marta Vanzini (2023).
- 2. Esame linguistico, la diamesia nel romanzo di Natalia Ginzburg
Per un esame della lingua di Natalia Ginzburg ne La casa e la città, è necessario prendere in esame dapprima il medium della comunicazione impiegato, ossia la forma epistolare, già esperita da Ginzburg con il celebre romanzo epistolare Caro Michele (1973). L’analisi dell’asse diamesico, secondo la schematizzazione proposta da Gaetano Berruto (1987: 21), parte dal presupposto che «la scrittura consente una progettazione, una possibilità di elaborare il testo» (Masini 2010: 17). Si può dunque tentare di rintracciare il progetto dietro il romanzo, per cogliere le finalità comunicative dietro la scelta della forma epistolare, e dietro l’organizzazione e strutturazione a queste data.
Alla base del romanzo vi è il racconto dell’emigrazione in America di Giuseppe, spinto alla fuga in cerca di un appoggio solido, che ritiene di poter ritrovare nel fratello Ferruccio, di casa a Princeton. Dietro la scelta si cela una generale dissoluzione dei legami, un’impossibilità nel mantenere un rapporto con gli amici e, in particolar modo, con il figlio Alberico, che teme di aver condizionato, nell’infanzia, circondandolo da un ambiente fitto di noia.[1] Il pretesto della fuga è in realtà un atto per denunciare «il fallimento esistenziale, il vuoto affettivo, la disgregazione della famiglia contemporanea» (Mondello 2017: 106-107). Lasciando dietro di sé amici, quali Piero, Egisto Serena, e Lucrezia, l’amore di un tempo, Giuseppe tenta di evadere da una situazione oramai satura, resa insopportabile dallo spettro dell’assenza di comunicazione. L’impossibilità di comunicare è il vero motore dietro le lettere del romanzo.
Il mondo da cui Giuseppe tenta di evadere è fatto di comunicazione satura di superficialità, una tecnica comunicativa che si serve di riempitivi superflui per tentare di sviare dall’essenzialità, a cui di fatto non giunge mai. Questo si verifica in particolare nei rapporti familiari. Un rapporto di una vita, costruito sulla noia, con il figlio Alberico, porta a sopprimere ogni desiderio o possibilità di comunicazione: «La mattina mi sono seduto nel soggiorno, costruendo domande e frasi e ripetendole fra me a bassa voce. Quando però mi son visto davanti Alberico, tutte quelle domande e frasi mi sono rimaste nella gola» (Ginzburg 1985: 16). Il rapporto padre-figlio si scioglie progressivamente lungo il romanzo, lo evidenziano la lunghezza delle lettere, progressivamente maggiore, rapportata a un aumento dell’essenzialità delle parole usate, ossia una diminuzione di riempitivi e circostanziali, in favore di un aumento di comunicazioni sincere, e cariche di emozioni a lungo represse: scrive Alberico da Roma, nella lettera del 23 luglio, «Tu non sei mai stato molto presente nella mia vita. Come padre, sei stato deficitario.» (ivi, p. 93); risponde Giuseppe da Princeton, nella lettera del 30 giugno, «Forse pensavi di ferirmi con la parola «deficitario» che mi hai indirizzato. Ma non mi hai ferito. Io so bene che, come padre, ti ho dato ben poco» (ivi, p. 94).
Nella nuova vita in America, tuttavia, Giuseppe ritrova la medesima situazione di comunicazione assente, solo coperta da una parvenza di felicità nuova, un velo che si squarcia ben facilmente. Dice di Anne Marie, moglie del fratello Ferruccio, che questa «sorride sempre. Sorride con la bocca, ma gli occhi e il resto della faccia non sorridono» (ivi, p. 59); di contro, del fratello Ferruccio ricorda malinconicamente tempi in cui la comunicazione era un punto fisso che dava stabilità: «è sempre stato per me un punto di riferimento sicuro, un tronco d’albero a cui mi potevo appoggiare, qualcuno a cui potevo in ogni momento chiedere delucidazioni, giudizi, rimproveri e assoluzioni. Però in verità ora non gli chiedo mai niente. I nostri rapporti si sono interrotti» (ivi, p. 60). Giuseppe ha basato una vita intera sulla mancanza di comunicazione accorata e rivelatrice dei sentimenti, una repressione che è diventata una stabilità. Nel matrimonio con Anne Marie, vedova di Ferruccio, Giuseppe sembra trovare una parvenza di felicità per via del loro comunicare strettamente essenziale: «Le nostre giornate scorrono in due mondi molto distanti fra loro. Ci ritroviamo la sera, in cucina, e ciascuno di noi dice qualcosa di quello che ha fatto nella giornata, ma pochissimo, per non annoiare l’altro» (ivi, p. 127), ed è eloquente il fatto che queste rivelazioni siano fatte proprio al figlio Alberico.
- 3. La strutturazione della comunicazione epistolare:
Il mondo esente da comunicazione in cui Giuseppe costruisce le sue relazioni sociali, specialmente in America, fa da contraltare a una comunicazione epistolare paradossale: specialmente nella prima metà del romanzo, le epistole sono appesantite da numerosi riempitivi e circostanziali, vale a dire che abbondano le descrizioni, gli elementi superflui, i dettagli su questioni di relativa importanza, assemblati in una struttura così studiata e raffinata da creare quasi un senso di fastidio nel lettore. Ma proprio in questi riempitivi sta la chiave della tecnica linguistica della Ginzburg: la sezione incipitaria contiene lettere che sono una fotografia straordinariamente nitida della difficoltà nel comunicare sentimenti profondi. Le lettere di Giuseppe, in particolare, sono colme di parole ripetute, di nomi mai sottintesi e ripetuti in sequenza, di dettagli insignificanti e puramente riempitivi. E in questo agitarsi di materiale linguistico, come un velo in realtà in parte squarciato, si intravede il desiderio di tirare avanti, forzosamente, la comunicazione, ambo per una paura del silenzio, che rende la partenza ancor più terrificante, e per la speranza che prima o poi, in maniera lieve o forse inconsciamente, il vero sentimento venga fuori.
Il paradosso è giocato sull’abbondare di dettagli superflui, controbilanciato da un’estrema essenzialità nel comunicare fatti sconvolgenti, tragedie, o altresì eventi memorabili, successi. La luce degli eventi degni nota è sempre più fioca rispetto a quella dei dettagli semplici e quotidiani. Osserva giustamente Marta Cerreti (2020) che quella del romanzo «è una scrittura pulita ed essenziale, quella che racconta i mutamenti di vita di queste persone. […] le morti non straziano né i personaggi né il lettore.». Le lettere, osserva Cerreti con una conclusione meravigliosamente delicata, «rimangono sulla superficie degli eventi, perché solo la superficie può davvero spiegare un’assenza».
Alla fine di tutto, con una considerazione che ispira una lettura “spaziale”, i rapporti tra i personaggi del romanzo e gli spazi abitati, con tutti gli elementi materiali del caso, sono interdipendenti e ugualmente opposti, la sopravvivenza dei primi, e la loro centralità, è lo sfondo della rovina delle vite individuali, analizzate ognuna dal singolare punto di vista personale. La peculiarità linguistica del romanzo, che riflette una precisa volontà dell’autrice, è la scelta di un romanzo plurivoco, punti di vista plurimi come plurimi sono i mittenti e i destinatari, un incrocio di vite che approdano, tuttavia, a un lento ma inesorabile dissolversi. L’ha confermato l’autrice stessa, dicendo: «Qualcuno mi ha detto che La città e la casa è un romanzo pragmatista: crollano i destini, restano le cose. Gli oggetti rimangono. Magari deteriorati, però son lì».[2]
- 4. Conclusioni
La lettura de La città e la casa suscita nel lettore un senso di compartecipazione e compatimento agli avvenimenti e tragici e memorabili dei personaggi, un lettore evidentemente chiamato a sopperire alla mancanza di sentimento, a riparare all’assenza di accorata comunicazione. Quest’assenza è, tuttavia, la massima espressione della finezza linguistica di Natalia Ginzburg: sul piano diamesico, la forma dell’epistola garantisce possibilità espressive altrimenti ben lontane, e l’essenzialità ginzburghiana dipinge perfettamente il quadro di una società in cui i valori familiari e sociali sono oramai dissolti, e il sentimento è sostituito da un annoiato ammucchiarsi di dettagli.
Lo scioglimento è progressivo, i sentimenti affiorano maggiormente nella seconda metà del romanzo, ma sfruttano altri mezzi comunicativi oltre alla lettera: si è portati a ritenere che il romanzo che Giuseppe porta a termine, Il nodo, diventi un ricettacolo di tutti i sentimenti che continuamente sopprime nel contemporaneo. Tuttavia il romanzo, come si rivela, risente talvolta del modus di comunicazione di Giuseppe: la puntualizzazione giunge da Lucrezia, che meglio di tutti lo conosce e, intelligente secondo un senso strettamente etimologico del termine,[3] riesce a leggere tra le righe delle lettere di Giuseppe, e ugualmente tra le righe del suo romanzo: «Descrizioni ce ne sono troppe, e io le descrizioni, nei romanzi, non le sopporto. Mi sembra che certe volte la fai troppo lunga senza dir niente di serio» (Ginzburg 1985: 165).
Ugualmente, Serena trova la sua possibilità di espressione accorata nel teatro, recitando dapprima una commedia di sua stesura, Gemma e le fiamme, in cui interpreta Gemma Donati, moglie di Dante, e infine coronando il suo sogno di mettere in scena la Mirra di Vittorio Alfieri. Questa transmedialità è l’espediente per sfogare sentimenti che nelle lettere sono spesso taciuti, o lasciati all’intendimento, evidentemente precario, del destinatario.
Bibliografia:
Bou 2022 = Enric Bou, Prefazione. Esperienze interiori della città, in Emanuela Forgetta, La città e la casa. Spazi urbani e domestici in Maria Aurèlia Capmany, Natalia Ginzburg, Elsa Morante e Mercè Rodoreda, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2022, pp. XI-XIV.
Casadei 2013 = Alberto Casadei, Il Novecento, II edizione, Bologna, Il Mulino, 2013.
Castano 2018 = María Belén Castano, La búsqueda de la felicidad doméstica en La città e la casa de Natalia Ginzburg, in Revista comunicación, 27/1, anno 39 (2018), Instituto Tecnológico de Costa Rica, pp. 72-83.
Cerreti 2020 = Marta Cerreti, Natalia Ginzburg. “La città e la casa”: il racconto di un’assenza, per Tre sequenze (<https://tresequenze.com/>) , 10 marzo 2020, online all’url <https://tresequenze.com/2020/03/10/natalia-ginzburg-la-citta-e-la-casa-il-racconto-di-unassenza/>.
Forgetta 2022 = Emanuela Forgetta, La città e la casa. Spazi urbani e domestici in Maria Aurèlia Capmany, Natalia Ginzburg, Elsa Morante e Mercè Rodoreda, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2022.
Ginzburg 1985 = Natalia Ginzburg, La città e la casa, Milano, Mondadori, 1985 (1° ed. Torino, Einaudi 1984).
Ginzburg 2013 = Natalia Ginzburg, La città e la casa, Torino, Einaudi, 2013.
Iacoli 2008 = Giulio Iacoli, Un effetto come di prigione. Le case vulnerabili di Natalia Ginzburg, in Chiara Cretella, Sara Lorenzetti, Architetture interiori: immagini domestiche nella letteratura femminile del Novecento italiano: Sibilla Aleramo, Natalia Ginzburg, Dolores Prato, Joyce Lussu, Firenze, Franco Cesati, 2008, pp. 52-77.
Marchisotti 2020 = Camilla Marchisotti, Natalia, Svetlana e le cotolette: per una fisiologia della rivoluzione, in Le parole e le cose2 (<https://www.leparoleelecose.it/>), 24 agosto 2020, consultabile online all’url <https://www.leparoleelecose.it/?p=39077>.
Masini 2017 = Andrea Masini, L’italiano contemporaneo e le sue varietà, in Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, Mario Piotti, Elementi di linguistica italiana, Nuova edizione, Roma, Carocci, 2017, pp. 15-83.
Mondello 2017 = Elisabetta Mondello, La casa e la città. L’interno e l’esterno. Note sulla poetica dello spazio di Natalia Ginzburg, in Oblio (Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca), VII/28 (2017), Manziana, Vecchiarelli Editore, pp. 102-116.
Montale 1963 = Eugenio Montale, «Lessico famigliare» crudele con dolcezza, in Corriere della Sera, 7 luglio 1963.
Suomela-Härmä 2003 = Elina Suomela-Härmä, L’uso dei pronomi allocutivi nelle opere di Natalia Ginzburg (Mélanges), in Revue Romane 38/2 (2003), pp. 303-322.
Tortora 2022 = Massimiliano Tortora, Spazio e geografia, in Laura Neri, Giuseppe Carrara, Teoria della letteratura. Campi, problemi, strumenti, Roma, Carocci, 2022, pp. 277-291.
Vanzini 2023 = Marta Vanzini, Nel laboratorio di Natalia Ginzburg. L’autografo di La città e la casa, in Critica letteraria, 51/198 (2023), fascicolo I, pp. 75-97.
[1] «Così Alberico ha passato i primi anni della sua vita fra due persone che si annoiavano insieme», e ancora «Era un bambino quieto, remissivo, docile, e non creava problemi. Studiava bene a scuola e gli piaceva studiare. Io però pensavo che tutta la noia che aveva respirato da piccolo, in mezzo a me e a mia moglie, doveva averlo intossicato e che in qualche modo un giorno sarebbe esplosa» (Ginzburg 1985: 13-14).
[2] La citazione è dall’intervista a Natalia Ginzburg a cura di Severino Casari, apparsa su Il Manifesto il 18 dicembre 1984. L’intervista è posta in appendice all’edizione Einaudi 2013 del romanzo.
[3] Secondo la definizione data da Treccani (online all’url < https://www.treccani.it/ >): «Intelligènte agg. [dal lat. intellĭgens, -entis, part. pres. Di intellĭgere «intendere», comp. di inter «tra» e legĕre «scegliere»]» (Treccani. Vocabolario on line, Intelligènte, < https://www.treccani.it/vocabolario/intelligente/ >).
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