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La poesia lucana di Flora Gilda Pianta – Studi Lucani

Copyright: “Paesaggio Innevato di Rapolla in provincia di Potenza alle prime luci del mattino.”; Autrice: Rossella Castellano, 28 febbraio 2018; https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Paesaggio_di_Rapolla.jpg

Una lettura della raccolta Tra me e il mare (2022) di Flora Gilda Pianta.

Avvertenza dell’autore:

Il presente articolo propone un’analisi letteraria della raccolta Tra me e il mare (2022) di Flora Gilda Pianta, al fine di esaltarne le qualità strutturali e interne dei componimenti. I versi che sono riportati come citazioni sono in totale 65 e corrispondono all’11% .ca del totale della raccolta. Tutti i versi citati fanno riferimento all’edizione 2022, citata in bibliografia, e sono corredati di opportuna menzione dei versi e delle pagine di riferimento (cfr. Nota 4). L’autore, il cui unico intento è quello di proporre un’analisi dell’opera per inserirla nel ciclo di studi denominato “Studi Lucani”, si dichiara disponibile ad apportare modifiche all’articolo qualora richiesto.   

Introduzione:

Una Basilicata di poeti, di gente piena di passione per l’arte di vivere e di far poesia con la quotidianità, così ha immaginato la sua terra Rocco Scotellaro quando, nell’opera Contadini del Sud, ha dato voce ai più umili e semplici contadini della Lucania, a dimostrazione di come sia proprio nella semplicità campagnola che nasca la poesia più sublime. Una poesia giocata sul distendersi dei colori della campagna lucana, sullo «zirlìo dei grilli»[1], propriamente una poesia che fosse figlia della meravigliosa realtà contadina dei piccoli paesetti lucani. A quasi un secolo dall’attività poetica di Scotellaro, di cui peraltro ancora si avverte un forte eco di ispirazione, la situazione non è certo mutata nel panorama dei poeti. Sulla scorta di poeti lucani illustri, tra cui è doveroso menzionare Leonardo Sinisgalli, Albino Pierro e Mario Trufelli,[2] nei paesini lucani che giacciono in frantumi[3] tra monti e colline, la produzione poetica è ancora viva. Certo è mutata la realtà socio-culturale, ma non è venuto meno lo spirito poetico dei lucani, che ancora si dilettano a versificare il loro quotidiano, descrivendone le più fini emozioni.

Nell’ambito dei miei personali sforzi di “studi lucani”, con il presente lavoro intendo dare lustro e risalto all’opera di una poetessa lucana contemporanea, Flora Gilda Pianta, sollevando l’attenzione della critica alla raccolta Tra me e il mare (2022).[4] Si proporrà di seguito un’analisi quanto più puntuale della strutturazione interna della raccolta, tramite cui porre in risalto le corrispondenze tematiche e strutturali dei componimenti, nonché la loro ragionata mise en recueil, per proporre infine l’analisi di alcuni dei passaggi maggiormente profondi e toccanti, il loro rapporto con la tradizione poetica e le tematiche fondamentali della raccolta.

  • 1 – Sulla strutturazione interna della raccolta:

Un quadro suggestivamente esaustivo del contenuto della raccolta è suggerito dal titolo eloquente della stessa, Tra me il mare, a simboleggiare l’interposizione tra la poetessa e il mare di una serie di elementi che trovano sviluppo nei componimenti, dalle emozioni, ai ricordi d’infanzia e d’amori giovanili, la quotidianità della vita, in ambo le luci positive e negative, e un’incorruttibile spiritualità. Il mare a cui guardano i componimenti reca un intrinseco senso di malinconia, appesantito dalle vicende di vita narrate e dall’incertezza del futuro, che solo vede Dio come punto fermo. Un mare che ha una connotazione simbolica, come un luogo di realizzazione delle passioni che ancora vivono nei ricordi dell’autrice, un porto sicuro a cui guardare senza timore, ma anche una connotazione geografico-letterale: l’autrice stessa scrive, nella quarta di copertina, di aver composto la raccolta «con la speranza di anche Dio mi dia una mano sul futuro, lontano, come il mare da casa mia»,[5] una lettura più fattuale rivela difatti che la città natale dell’autrice, e dove ancora risiede, ossia Rapolla (PZ) si trova nel pieno entroterra lucano, separata dal mare da monti e colli circostanti.

La raccolta conta un totale di trentanove componimenti, la struttura è variabile nei singoli componimenti, che sono anisosillabici e privi di rima, una struttura che sintatticamente richiama al prosastico, ma con l’eleganza della versificazione. Si rivela una tendenziale preferenza per il limitare sintattico del periodo al limitare del verso, che è solito terminare con una pausa sintattica forte, avvalendosi di interpunzione o di una cesura sintattica per la voce. Non sono rari tuttavia i periodi che oltrepassano il limite del verso con un enjambement, i quali aiutano a isolare l’elemento del verso sottostante facendolo risaltare.

  • 2 – Simmetrie e antitesi tra i componimenti:

Le tematiche dei componimenti sono spesso ricorrenti: a prevalere sono i componimenti che trattano di amore deluso e infelice, e i componimenti a tema religioso-spirituale, entrambi con un totale di sette. A far da guida, da musa d’ispirazione all’intera raccolta è certamente l’autobiografismo, sebbene tre componimenti in particolare abbiano una dimensione biografica, andando a poetare, con gli occhi dell’autrice, le vite di altre persone. È interessante notare come il posizionamento dei componimenti abbia, in determinati loci, una struttura evidentemente ragionata e calibrata a veicolare con forza un preciso sentimento, costruendo delle coppie tematicamente speculari o volutamente antitetiche:

  1. I componimenti nr. 3 e nr. 4, ossia Ansia e Audacia, formano un dittico antitetico: Ansia racconta di uno stato di impotenza dell’autrice nei confronti di determinati momenti e avvenimenti della vita, segnalando la sensazione di vivere un moto circolare e perpetuo, un continuo girare che riporta sempre al medesimo punto di parte. Il finale anticipa il componimento successivo, descrivendo l’arrivo improvviso di una luce che permette all’autrice di superare l’ansia e «di ritornare piano alla vita» (p. 7, v. 17). Si apre poi il componimento successivo, che versifica una continua ricerca dell’amore, in certi punti una preghiera a un ragazzo che le permetta di vivere l’amore da lei mai conosciuto («rendimi gioiosa ragazzo, / che non ho mai conosciuto l’amore» p. 8, vv. 10-11). L’amore che l’autrice intravede in questo componimento è l’elemento necessario per giungere alla ricercata stabilità e armonia.
«Ma poi è arrivata l’ansia forte

quel gran capitombolo

di mente vuota labile e pesante

che mi faceva girare attorno

ad un pomello che non si apriva,

girandolo e rigirandolo. »

 

Ansia, p.7, vv. 4-9.

«Le tue mani audaci

mi fanno dimenticare il tempo

che scorre vicino a noi

che siamo letto e morte,

paradiso e inferno. »

 

 

Audacia, p. 8, vv. 1-5

 

  1. I componimenti nr. 9 e nr. 10, ossia Dolori e Felicità, formano un nuovo dittico antitetico: Dolori mette in versi la solitudine che si tende a creare in una situazione di dolore, quasi a voler preservare l’intimità del momento di sofferenza, una contrapposizione alla più quotidiana socialità; Felicità è la fotografia versificata di un momento di serenità d’animo, improvvisamente libero dalle mondane preoccupazioni, un «attimo di luce» (p. 14, v. 1) dettato dall’apparizione di un nuovo amore a smuover l’anima, come espresso ai vv. 9-11.
«I dolori allontanano

e ti ritrovi sola

con una pastiglia in mano

per colmare la tua smania di perfezione.»

 

Dolori, p. 13, vv. 9-12

«Ora, in quest’attimo di luce,

nonostante sia notte buia,

sono felice. Sì, felice.»

 

 

Felicità, p. 14, vv. 1-3

 

  1. I componimenti nr. 16 e nr. 17, ossia Limite e Vivere, formano un nuovo dittico antitetico: Limite presenta una situazione di immobilità su un precario equilibrio, una situazione di vita solo apparente, ma dettata dall’immobilismo che risulta in un rifiuto della vita; di contro, Vivere, con eloquenza del titolo, è propriamente un inno alla vita, un impeto di vitalità che sgancia dall’immobilismo di partenza, e conduce a una situazione di vita vera e propria, fatta di emozioni nate dai più semplici dettagli.
«[…] sembra che l’ape operaia

lavori per te,

per portare un po’ di miele

alle tue labbra riarse

dal non vivere;»

 

Limite, p. 20, vv. 7-11

«Se per vivere forse quello no,

non ho vissuto,

cerco di farlo adesso:

ogni giorno mi creo una novità»

 

 

Vivere, p. 21, vv. 11-14

 

  • 3 – Il trittico poetico e l’arte del novellare, un inquadramento critico:

I componimenti nr. 24, nr. 25 e nr. 26, ossia Poesia, Poetessa e Preghiera, compongono maestosamente un delicato trittico sul poetare, un inno, di luci pur contrastanti e variegate, all’ars poetandi. Il componimento Poesia è propriamente un inno di laude dell’arte del comporre, uno sguardo in prima persona della poetessa all’atto di compiere la propria opera come un processo quasi sconosciuto ad ella stessa. La ricetta del poetare è ascoltare «i rumori del mondo» (p. 28, v. 4). Il tentativo di sviscerare, e versificare, l’arte del comporre, con un processo meta-poetico, [6] è un espediente che vede precedenti illustri, tra cui è doverosa la menzione del celebre componimento Lo scrittore di Aldo Palazzeschi, [7] una ricerca lasciata volutamente vaga e aperta nel corso dei secoli, con consapevolezza che ogni scrittore deve poter aggiungere la propria esperienza personale. Di contro, Poetessa si configura come una denuncia di un’impossibilità del poetare: la scelta del sostantivo femminile lascia intendere uno sguardo esterno che la poetessa getta su sé stessa nei momenti di maggior sconforto poetico, a sopportare di dover fissare un foglio che rimane incessantemente bianco.

Infine, Preghiera, rivolta a un destinatario non meglio precisato, e che congetturalmente si può identificare con Dio, è una sublime chiusura del trittico, che dona una risposta al quesito iniziare, su cosa sia il poetare. Si afferma l’idea della preghiera come una forma di poesia, che nasce spontanea nel momento di più intimo raccoglimento religioso. Il concetto, così sublimemente delicato, trova un precedente illustre nella concezione boccacciana delle Sacre Scritture: il Certaldese, secondo un ragionamento che troverà massimo compimento nella Genealogia deorum gentilium,[8] propone nel Trattatello in laude di Dante,[9] sulla scorta di Gregorio Magno,[10] un nesso inscindibile, non limitato al fronte della linguistica, tra l’arte poetica e le Sacre Scritture.[11] Il componimento in questione risolve il quesito iniziale sull’origine delle poesie, rimettendo a Dio l’ispirazione di ognuna delle parole poetiche che fluiscono sul foglio.

«Non lo so poesia come ti creo:

isolandomi da me

sentendo con l’orecchio sordo

i rumori del mondo,

l’alfabeto muto delle fate»

 

 

 

Poesia, p. 28, vv. 1-5

«non hai più temperamento,

estro ed ispirazione

e guardi un foglio bianco, bianco.

Bianco di mestiere.»

 

 

 

 

Poetessa, p. 29, vv. 14-17

«Le preghiere son poesie,

da inventarsene una ogni sera»

 

 

 

 

 

 

Preghiera, p. 30, vv. 8-9

 

Il trittico sull’arte del poetare trova, per altro, un interessante contraltare nel componimento nr. 15, Raccontare, propriamente un manifesto del novellare. La tematica sviscerata ripropone chiaramente l’interesse dell’autrice per il processo creativo, descritto come un momento profondamente intimo e artistico, connaturato nell’animo della poetessa che, per questo componimento, veste i panni della novellatrice. Raccontare, con eloquenza del titolo, sviscera difatti il processo creativo dell’arte del novellare, un’arte di racconto che può prediligere ambo il verso e la prosa, e la produzione prosastica non è certo antitetica con la versificazione, i due generi si compenetrano nell’esaltazione dell’estro creativo e del processo di scrittura. La scelta di versificare il momento della creazione di un testo in prosa è un’efficace focalizzazione sulla compenetrazione, nell’animo e nella mente della scrittrice, di questi due generi.

«Nel novellare astruso di storie fantastiche / ogni parola trova il suo verso» (Raccontare, p. 19, vv. 1-2), l’incipit del componimento, con il riferimento al verso, lascia intendere il riferimento al genere della novella in versi. Nei secoli, lungo lo sviluppo della produzione letteraria, hanno avuto lustro letterario tanto il novellare in prosa quanto quello in versi: del primo genere sono esempi illustri quello del Boccaccio nel Decameron, e più tardi del novelliere rinascimentale Matteo Maria Bandello nella sua raccolta di novelle Le tre Parche (1554; 1573); del secondo, meno sperimentato ma certamente non del tutto accantonato, sono esempi illustri l’inserimento delle ottave di endecasillabi nelle favole in prosa narrate ne Le piacevoli notti di Giovanni Francesco Straparola (1553-1555),[12] e le novelle in versi di Tommaso Grossi, esponente del romanticismo lombardo, come la celebre Ildegonda (1820) e Ulrico e Lida (1837).[13]

«Questo perché l’esattezza / di un lemma dentro uno scritto / è cosa diversa per chi legge e spera / di chi scrive e dimentica» (p. 19, vv. 9-12), i versi in questione pongono in luce un nodo teorico fondamentale nel campo della critica poetica, che ha interessato i teorici della letteratura in particolare lungo il corso del Novecento, vale a dire la soggettività dell’esperienza poetica a seconda del lettore che vi si approccia. Una considerazione soggettivistica dell’esperienza di lettura, che va a modificare ipso facto il prodotto a seconda di precisi vettori esterni come la realtà socio-culturale del lettore inserito in una data sincronia, è quanto teorizzato dall’esimio critico Roland Barthes, sulla scorta di ipotesi teoriche già avanzati dall’Auerbach, nel suo saggio La morte dell’autore (1968).[14] «Una volta allontanato l’Autore, la pretesa di «decifrare» un testo diventa del tutto inutile. Attribuire un Autore a un testo significa imporgli un punto fisso d’arresto, dargli un significato ultimo, chiudere la scrittura. È una concezione molto comoda per la critica»,[15] l’accusa lanciata da Barthes finisce per bollare l’Autore, inteso nel suo senso più generale di ideatore di un’opera, come un espediente per circoscrivere criticamente il significato di un’opera, di fatto giustificando la scelta di non sviscerare diligentemente e metodicamente il significato che un testo assume in relazione al lettore. Il richiamo alla coscienza critica operato da Barthes è un invito all’abbandono della concezione di un’universalità diacronica del significato di un testo, in favore di una nuova lettura critica che si compone di innumerevoli sincronie, in continuo aumento ed evoluzione, e soprattutto fondata sull’inscindibile legame autore-lettore: «Il lettore è un uomo senza storia, senza biografia, senza psicologia; è soltanto quel qualcuno[16] che tiene unite in uno stesso campo tutte le tracce di cui uno scritto è costituito».[17]

Ne risultarono una serie di linee critiche di teoria della letteratura, nell’ambito del processo di lettura e assimilazione di un’opera, che culminarono nelle teorie di critica tematica del francese Jean-Pierre Richard.[18] Per quanto il componimento qui in esame non miri esplicitamente a una decostruzione della figura autoriale, nonché a una rilettura critica del processo di attribuzione dello status di “opera”, è innegabile la convergenza delle linee teoriche, a segnalare una crisi, intrinsecamente assimilata, della tradizionale concezione dell’atto di lettura. Un’opera letteraria è tale quando gioca sull’interazione tra autore e pubblico lettore, l’hanno appurato gli attenti esami critici di Vittorio Spinazzola[19] sulla realtà dell’editoria, e in questo contesto poetico la poetessa attinge propriamente a tale concezione, chiamando in causa la soggettività del lettore come elemento imprescindibile per la realizzazione e pieno compimento dell’arte letteraria.

  • 4 – La poetica d’amore infelice:

Il fulcro della raccolta è giocato su due tematiche principali, numericamente dominanti, e che finiscono per incontrarsi e fondersi, ossia l’amore e la fede in Dio, tematiche non certo divergenti alla luce dell’impronta religiosa che l’autobiografismo della raccolta assume. I componimenti che trattano la tematica d’amore, sia pure secondariamente, sono sette su un totale di trentanove. La sfaccettatura che l’amore assume, in maniera maggioritaria, è quella di un amore infelice, non adeguatamente contraccambiato, e di cui rimane il ricordo, diventando terreno fertile per l’esperienza poetica.

La centralità della tematica amorosa, il dominio imposto sulla totalità della raccolta, sono segnalati dalla scelta di porre in sede incipitaria un dittico di componimenti che, ancora una volta con piena eloquenza dei titoli, propone il tema dell’amore infelice, ossia il componimento nr. 1, Amore platonico, e il componimento nr. 2, Amore. Il primo componimento è giocato sulla compenetrazione della dimensione concreta del primo innamoramento in adolescenza con la dimensione onirica dei sogni notturni d’amore, e la dimensione spirituale della preghiera affinché si materializzasse in sogno la visione dell’oggetto d’amore. Con eloquenza del titolo, il componimento lamenta una delusione d’amore, il cui dolore è accentuato dalla partenza improvvisa dell’amato, e il tradimento di un’illusione che era venuta creandosi. Il secondo componimento gioca invece sulla dimensione più generale del lamento poetico ad Amore, personificato nell’atto di colpire con le proprie frecce, secondo il classico immaginario poetico.

«Poi, improvvisamente, emigrasti

senza neppure salutarmi.

Amore platonico fosti per me

amore bugiardo»

 

 

 

 

 

Amore platonico, p. 5, vv. 14-17

«Amore, amore eterno

amore che fui

amore che ti sbilanci e poi rilanci

amore come una locomotiva che passa

sbuffando.

Amore che siedi leggero su un’amaca

E ti racconti storie dal tuo abbecedario

Amore che sei solito camminare sulle nuvole»

 

Amore, p. 6, vv. 1-8

 

Particolarmente rilevante, per la sua intessitura di rimandi poetici classici, è il componimento Amore. Primariamente evidente, e delicatamente equilibrata, è la scelta di impiegare per i versi 1-8 una forte epanafora (o anafora), ossia la ripetizione, sei volte e in posizione iniziale di verso, della parola amore. Lungo il componimento risuona l’eco magistrale della celeberrima epanafora dantesca di Inf. V, 100-108, un eco giocato sulla medesima parola, amore:

«Amore, amore eterno

amore che fui

amore che ti sbilanci e poi rilanci

amore come una locomotiva che passa

sbuffando.

Amore che siedi leggero su un’amaca

E ti racconti storie dal tuo abbecedario

Amore che sei solito camminare sulle nuvole»

 

 

Amore, p. 6, vv. 1-8

«“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi a vita ci spense”.»

 

 

Dante Alighieri, Inferno V, vv. 100-107[20]

 

L’explicit del componimento, infine, chiude il lamento della poetessa nei confronti di Amore e lo fa proponendo un’immagine di Amore che meschinamente, dopo aver lanciato il suo dardo, non curante abbandona l’innamorato alle sofferenze del giogo d’amore. Il topos ha trovato accoglienza pressoché sterminata nelle opere letterarie di ogni epoca. Meritevoli di menzione,[21] sono sicuramente i versi di Ovidio dall’elegia seconda del primo liber degli Amores: «Nec tibi laus armis victus inermis ero»  (Amores, I, 2, 22) > «né sarà una gloria per te l’aver vinto con le armi me inerme».[22] A tali versi fanno eco quelli, ben più tardi, del Petrarca, nello specifico i versi 12-13, vale a dire della seconda terzina, del celebre sonetto terzo, Era il giorno ch’al sol si scoloraro, dei Rerum Volgarium Fragmenta: «però, al mio parer, non li fu honore / ferir me de saetta in quello stato».[23] D’altronde, anche Santagata, nella sua edizione del Canzoniere (2018) cita il modello ovidiano degli Amores, ampliando per altro il canone con echi dal componimento Bel m’es qu’eu chan di Bernart de Ventadorn, e da componimenti di Cino da Pistoia e Bartolomeo Abbracciavacca.[24]

  • 5 – La poetica religiosa:

Contraltare della tematica d’amore, egualmente centrale numericamente, è la tematica religiosa. La rilevanza strutturale della tematica è suggerita dalla scelta di creare un dittico religioso con i componimenti nr. 7, Cow boy, e nr. 8, Dio è Amore. Il primo componimento vede come soggetto un cow boy che, alla luce di un insegnamento biblico, si impegna a smettere di uccidere. L’insegnamento biblico è veicolato tramite una citazione diretta dalle Scritture: il verso «”Le colpe dei padri ricadranno sui figli”» (p. 11, v. 6), riprende dei passi biblici tratti da Esodo 20, 5; Levitico 26, 39; Isaia 14, 21. Il cow boy, pur non avendo figli, teme l’avverarsi della profezia biblica e l’abbattersi delle colpe sulla natura circostante, luogo della sua felicità e che pertanto vuole proteggere dall’eventuale disgrazia profetizzata. Con una visione francescana, in cui si avverte l’eco del celebre Cantico delle Creature, il cow boy trova una manifestazione di Dio nella natura.

Il secondo componimento segue propriamente la struttura di una preghiera, rivolta a Dio, in cui si fa riferimento ai comandamenti, allo Spirito Santo disceso nell’animo dei fedeli, e all’insegnamento di Cristo su come pregare, una ripresa del celebre passo evangelico in cui è attestato il Padre Nostro, rispettivamente dai vangeli di Matteo, 6, 9-13 e di Luca, 11, 1-4,. È dunque ben evidente la presenza della Bibbia come fondamento di ispirazione e conoscenza per questi componimenti. A riprova di ciò, e dell’impostazione del componimento nr. 8 come una preghiera, è l’explicit, «Così sia» (p. 12, v. 19), comunemente proposto e inteso come traduzione della formula liturgica Amen.[25]

La tematica religiosa ritorna più volte nel corso della raccolta, in particolare si manifesta nei componimenti nr. 32, Oh signore, che assume la forma già sperimentata di una preghiera, intima e rivolta Dio, con cui la poetessa rimette la sua vita intera nelle Sue mani: «Signore ai tuoi piedi io mi prostro / perché il futuro è nelle tue mani.» (p. 36, vv. 8-9) e nr. 34, Suora, che peraltro introduce il punto di vista poetico dell’autrice verso soggetti terzi, una poesia di carattere biografico, vale a dire la resa in poesia che, allontanandosi dall’autobiografismo, versifica le vite di soggetti terzi: il componimento presenta un breve elogio di ammirazione estetica per la figura, non indicata in termini onomastici, di una suora, sposa di Dio: lo sguardo della poetessa si concentra sulla bellezza della figura, una bellezza che non si esaurisce nell’apprezzamento estetico, ma è rafforzata dal sentimento religioso di fondo.

Questo componimento introduce la componente poetica biografica, vale a dire del versificare di altri e delle loro vite, secondo la lente dello sguardo della poetessa. Tre componimenti in totale raccontano di vite altrui, tutti e tre componimenti che trattano di donne: oltre al sopracitato Suora, il componimento nr. 11, Giulia, è propriamente un inno alla vittoria della vita sulle problematiche quotidiane, Giulia è una giornalista che soffre per un problema all’anca, ma la focalizzazione del componimento è sulla sua abilità giornalistica, capace di ammaliare, con le sue domande, la poetessa-spettatrice; e il componimento nr. 22, Penelope, che verte su un amore mai sbocciato, lamenta la condizione dolorosa di un amante che avrebbe amore sterminato da donare, ma ancora non ha trovato corrispondenza al suo sentimento. Si inseriscono con sorprendente delicatezza le parole di Fabrizio De André che, nei primi anni ’70, cantava di un matto dicendo «Tu prova ad avere un mondo nel cuore / e non riesci ad esprimerlo con le parole»:[26] mutando leggermente il contesto, il componimento rende compartecipe il lettore del dolore che si prova nell’avere “un mondo nel cuore”, in questo caso un mondo sterminato di amore, e non avere la possibilità di esprimerlo. I due componimenti sono interconnessi dalla presenza, centrale nelle strutture, di un desiderio insoddisfatto di maternità.

 

Conclusione:

Con la raccolta Tra me e il mare, Flora Gilda Pianta dimostra di possedere il tocco poetico in grado di concentrare emozioni della più semplice quotidianità, e ciò in una versificazione libera come liberi sono i sentimenti che rientrano nei componimenti,. L’affermazione è di un concetto che a lungo ha pervaso gli ideali critici del Novecento, ossia l’idea che la realtà, in ogni sua forma, sfumatura e sfaccettatura, sia essa stessa un momento poetico da incorniciare nel verso, una consacrazione ad aeterum di un momento, destinato a rimanere. Ulteriormente, la poetica di Flora Gilda Pianta dimostra che i lucani hanno ancora molto da dire, molto da raccontare e da poetare. Leggere questi componimenti, con animo curioso e disposto ad accogliere ogni tipo di emozione, dal dolore all’umile prostrazione al Divino, è un eccellente esercizio mnemonico per ricordarsi, sulla scorta di Rocco Papaleo, che “la Basilicata esiste”,[27] una terra di meraviglie e di genti calorose, una terra che chiede solo la possibilità di stupire.

 

Bibliografia:

Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria 2019 = Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria, I classici nostri contemporanei. L’età napoleonica e il Romanticismo, Pearson, Milano-Torino 2019, p. 334.ù

Barthes 1988 = Roland Barthes, La morte dell’autore, in Roland Barthes, Il brusio della lingua. Saggi critici IV, Torino, Einaudi, 1988 (1° ed. 1967), pp. 51-56.

Boccaccio, Genealogia deorum gentilium = Giovanni Boccaccio, Genealogia deorum gentilium, a cura di Pier Giorgio Ricci, in Giovanni Boccaccio, Opere in versi; Corbaccio; Trattatello in laude di Dante; Prose latine; Epistole, a cura di Pier Giorgio Ricci, Napoli, R. Ricciardi, 1965, pp. 894-1063.

Boccaccio, Trattatello in laude di Dante = Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, a cura di Luigi Sasso, Milano, Garzanti, 2007, pp. 107-110.

Brioschi, Di Girolamo, Fusillo 2013 = Franco Brioschi, Costanzo Di Girolamo, Massimo Fusillo, Introduzione alla letteratura, Roma, Carocci, 2013.

Casadei 2013 = Alberto Casadei, Il Novecento, seconda edizione, Bologna, Il Mulino, 2013.

Di Massa 2022 = Simone Di Massa, La Basilicata esiste – Sulla meravigliosa storia linguistica e letteraria lucana, Scuola Filosofica, 17 luglio 2022, https://www.scuolafilosofica.com/11270/la-basilicata-esiste-sulla-meravigliosa-storia-linguistica-e-letteraria-lucana, https://www.scuolafilosofica.com/.

Eisner 2022 = Martin Eisner, I piedi sporchi di Dante e la repubblica che zoppica. La difesa della letteratura nella Vita di Dante, 2022, pp. 79-109, in Boccaccio e l’invenzione della letteratura italiana, edizione italiana a cura di Corrado Bologna e Lorenzo Fabiani, trad. di Lorenzo Fabiani, Roma, Salerno Editrice, 2022.

Mortara Garavelli 2010 = Bice Mortara Garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Bari, Laterza, 2010.

Orlandi 1995 = Giovanni Orlandi, Perché non possiamo dirci Lachmanniani, in Filologia mediolatina, in Giovanni Orlandi, Scritti di filologia mediolatina, 1995, pp. 1-42, rist.

Ovidio, Amores = Publio Ovidio Nasone, Amores, a cura di Franco Munari, Firenze, «La Nuova Italia» Editrice, 1959.

Palazzeschi 1972 = Aldo Palazzeschi, Lo scrittore, in Aldo Palazzeschi, Via delle cento stelle, Milano, Mondadori, 1972.

Pellini 2022 = Pierluigi Pellini, Tema, in Laura Neri, Giuseppe Carrara, Teoria della letteratura. Campi, problemi, strumenti, Roma, Carocci, 2022, pp. 139-157.

Pianta 2022 = Flora Gilda Pianta, Tra me e il mare, Romagnano al Monte, Booksprint Edizioni, 2022.

Petrarca, Rerum Volgarium Fragmenta = Francesco Petrarca, Rerum Volgarium Fragmenta, a cura di Marco Santagata (tit. Canzoniere), Milano, Mondadori, 2018.

Rosa 2008 = Giovanna Rosa, Il patto narrativo, Milano, Il Saggiatore, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2008.

San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe = San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, a cura di Paolo Siniscalco, trad. e comm. di Emilio Gandolfo, IV volumi, Roma, 1992-2001.

Scotellaro 1954 = Rocco Scotellaro, Contadini del Sud, Bari, Laterza, 1954.

Scotellaro 1954 = Rocco Scotellaro, È fatto giorno. 1940-1953, Milano, Mondadori, 1954.

Spinazzola 2010 = Vittorio Spinazzola, L’esperienza della lettura, Milano, Unicopli, 2010.

 

 

[1] Rocco Scotellaro, Lucania, 1940, in Scotellaro 1954.

[2] Per una prospettiva sinottico-antologica sulla poetica lucana rimando al mio lavoro La Basilicata esiste – Sulla meravigliosa storia linguistica e letteraria lucana, di pubblicazione su Scuola Filosofica; cfr. Di Massa 2022.

[3] Rocco Scotellaro, Lucania, 1940, in Scotellaro 1954.

[4] Tutti i versi citati nel presente articolo sono tratti dall’edizione 2022 citata in bibliografia (cfr. Pianta 2022), accanto a ogni citazione è posto il numero della pagina da cui questa è tratta, e ogni numero fa riferimento alla suddetta edizione. L’autore si dichiara disponibile ad apportare modifiche al lavoro qualora richiesto.

[5] La citazione è dalla quarta di copertina dell’edizione Booksprint 2022 (cfr. Pianta 2022).

[6] Qui inteso come di “poesia nella poesia” [N.d.R.].

[7] Cfr. Palazzeschi 1972.

[8] Cfr. Boccaccio, Genealogia deorum gentilium.

[9] Cfr. Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, II red. capoversi 92-102.

[10] «Se Petrarca cita Isidoro e Svetonio a sostegno della tesi secondo cui poesia e Scritture sono accomunate dall’uso di un linguaggio figurale, Boccaccio elegge a suo “autore” il Gregorio Magno dei Memorabilia in Iob (Proemio, 5).» (Eisner 2022:102-103); cfr. anche San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe.

[11] A riguardo cfr. Eisner 2022:79-109.

[12] Sulla novellistica del Cinquecento, sotto una luce di analisi di filologia delle edizioni, segnalo l’eccellente intervento di Sandra Carapezza (Università degli Studi di Milano), Libri di narrativa breve nel Cinquecento, nell’ambito del seminario Servono per vivere – 1° incontro, Imparare a leggere le edizioni, promosso dal Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici dell’Università degli Studi di Milano, visibile sul canale YouTube “Servono per vivere” al seguente url: «https://www.youtube.com/watch?v=I62_KWJn8kI».

[13] Cfr. Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria 2019:334.

[14] Le teorie di Barthes sulla soggettività dell’esperienza di lettura hanno dato vita a un nuovo modus operandi filologico, la metodica conosciuta come scribal copy. A riguardo, e per una sua confutazione, cfr. Orlandi 1995.

[15] Cfr. Barthes 1988:55.

[16] Il corsivo è del testo dell’edizione di riferimento.

[17] Ivi, p. 56.

[18] Cfr. Pellini 2022.

[19] Nello sterminato panorama degli studi magistrali di Vittorio Spinazzola, rimando a Spinazzola 2010.

[20] Il testo è tratto da Dante Alighieri, La Divina Commedia, Introduzione e indice analitico a cura di Alberto Chiari, Note a cura di Giuseppina Robuschi, Rimini, Edizioni Gulliver, Nuove Edizioni Carroccio, p. 27.

[21] Il termine “meritevoli” non è inteso a dare un giudizio di valore, trattasi unicamente di una selezione stringata, per ragioni strettamente pratiche, nel mare magnum delle possibili menzioni esemplificative.

[22] Il testo, con la relativa traduzione, è tratto dall’edizione a cura di Franco Munari (cfr. Ovidio, Amores, rispettivamente p. 5 e p. 113 ). La traduzione è di Franco Munari.

[23] Cfr. Petrarca, Rerum Volgarium Fragmenta, a cura di Marco Santagata, 2018, p. 17.

[24] Ivi, p. 21.

[25] L’associazione diretta della formula liturgica Amen alla traduzione “Così sia” contiene tuttavia un’ambiguità di fondo, propriamente una sottigliezza teologica ma assolutamente fondamentale nell’ambito di una profonda conoscenza degli studi cristologici e teologici in generale. A riguardo, rimando al lavoro di Michele Colombo (Università Cattolica di Milano), contenente anche un testo di Deborah Cotrufo sulla questione: Michele Colombo, Amen e così sia, per Treccani (https://www.treccani.it/)  , 16 gennaio 2015, consultabile online all’Url «https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/amen.html».

[26] I versi sono tratti dalla canzone Un matto – Dietro ogni scemo c’è un villaggio di Fabrizio De André, contenuta nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971.

[27] La citazione è dal film Basilicata coast to coast (2010) diretto da Rocco Papaleo e distribuito dalla Eagle Pictures.


Simone Di Massa

Disse il linguista Noam Chomsky che nella vita "è importante imparare a stupirsi dei fatti semplici", ciò è esattamente quanto i miei lavori di linguistica, filologia e letteratura cercano di apportare a SF, il culto degli studi e della ricerca e la meraviglia della semplicità, fino alla minima parola poetica. Studioso di Lettere Moderne a Milano, da sempre vivo con l'ambizione di tenere alti i valori sacri del mondo delle lettere, donando con i miei lavori quanto il panorama letterario ha donato a me, apportando alla mia vita nuovi colori e la consapevolezza che la totalità non è che un insieme di dissonanze.

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