[Nota dell’autore. Ho iniziato a pubblicare interventi nel Web nel gennaio 2007, sul blog di un filosofo italiano, e successivamente sono intervenuto anche sui rispettivi blog di due matematici italiani. Ho sempre considerato tale attività alla stregua di una missione a beneficio dell’intera collettività (anche quando le reazioni esplicite dei lettori ai miei interventi sono state abbastanza provocatorie o piuttosto sporadiche…). È con siffatto spirito che propongo questo nuovo articolo in ScuolaFilosofica.]
Il 5 Marzo 2024 ricorrevano 30 anni dalla morte del matematico, logico e scacchista Roberto Magari. Nel mio articolo Considerazioni diverse sulla presenza di Dio ho già parlato di lui.
Ho trovato un filmato che mostra Roberto Magari insieme al suo amico Mario Leoncini, dove il Nostro esprime una breve meditazione sulla morte, basandosi su ben determinate opere letterarie:
Nei giorni scorsi ho avuto uno scambio di messaggi e-mail con il Maestro di scacchi e storico degli stessi Mario Leoncini, il quale mi ha riferito quanto segue. Il breve filmato risale al novembre 1993, pochi mesi prima della morte di Roberto Magari. Come appare evidente, egli era in una fase avanzata della sua malattia. Le riprese si svolsero nella località toscana di Monti in Chianti, vicino al torrente Arbia, presso una casa colonica adibita a luogo di svago e di studio.
Io so, inoltre, che Leoncini era fra i presenti al momento della morte di Magari, avvenuta all’Ospedale “Le Scotte” di Siena [apprendo quest’ultimo particolare dal libro Roberto Magari Una mente algebrica, compilato dal suo allievo e assistente universitario Paolo Pagli, con un intervento di Roberto G. Salvadori (pubblicato a cura del Dipartimento di Matematica con un contributo dell’Università di Siena, QuattroVenti 2000), p. 32, già menzionato nel mio articolo precedente].
La prima parte delle parole di Magari nel filmato riprende, con qualche variazione non sostanziale, l’inizio del componimento Pierino di Giovanni Pascoli (1855-1912).
Testualmente: «Esso nacque, sua madre morì. La Morte, per il suo cammino, com’è distratta a volte! Dimenticò di prendere il bambino», che a sua volta è una libera traduzione dell’inizio del componimento Petit Paul di Victor Hugo (1802-1885).
La seconda parte delle parole di Magari nel filmato costituisce sostanzialmente una citazione ciceroniana tratta dalle Tusculanae Disputationes, che il celebre pensatore, oratore e politico dell’antica Roma scrisse a Tuscolo, situata nei suoi pressi. Testualmente: «Tota enim philosophorum vita, ut ait idem, commentatio mortis est», ovvero: «Infatti l’intera vita dei filosofi, come dice egli stesso [l’autore si riferisce al filosofo Platone], è una meditazione sulla morte».
Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) si era trasferito lì a causa della dittatura di Gaio Giulio Cesare, suo avversario politico, e vi attraversò uno stato di afflizione a motivo della morte della figlia primogenita Tullia (avuta con la prima moglie Terenzia), circa un mese dopo il secondo parto, avvenuta nella stessa località (il bambino venuto alla luce col primo parto era morto pochi anni prima, da neonato, e alcune settimane dopo la morte di Tullia era morto pure il bambino nato col secondo parto).
Roberto Magari si è occupato anche del problema del male e della sofferenza, con una sentita partecipazione personale. Lo ha fatto, generalmente, secondo un’ottica a-religiosa la quale, tuttavia, si tingeva a volte di una vera e propria anti-religiosità (come ha precisato il suo caro amico, filosofo e storico nonché appassionato di scacchi, Roberto G. Salvadori) [traggo questa informazione dal saggio Kurt Gödel. La prova matematica dell’esistenza di Dio, a cura dei matematici e logici Gabriele Lolli e Piergiorgio Odifreddi (Bollati Boringhieri 2006, ristampa 2010), p. 96, nel quale viene pure illustrato uno scritto di Roberto Magari, pubblicato sulla rivista Notizie di Logica (1988), contenente alcune osservazioni e critiche relative alla prova ontologica dell’esistenza di Dio elaborata dal matematico e logico Kurt Gödel (in un recente saggio a lui dedicato, Piergiorgio Odifreddi lo ha definito inoltre “matematico della Filosofia”) nel XX secolo, sulla base di quella proposta dal teologo Anselmo d’Aosta nell’XI secolo, come si può leggere nel mio articolo precedente].
Emblematico quanto Magari comunicava all’amico Salvadori nel corso di una discussione epistolare, nella primavera del 1978: «Nonostante tutte le difficoltà (che beninteso andrebbero tenute presenti) mi pare che abbia un senso parlare di quantità di sofferenza e proporsi di ridurla al minimo. Mi pare anche che, nonostante la sua varietà, la sofferenza abbia una sua inesprimibile qualità (niente di straordinario: anche le sensazioni di rosso hanno una qualità inesprimibile o almeno inanalizzabile). L’assolutizzazione della sofferenza è […] senza dubbio una delle colpe più gravi del cristianesimo [come precisa Salvadori, Magari si riferisce alla pena eterna, alla distanza infinita da Dio, al male senza alcun bene, ecc.]. Mi riesce difficile, essendo così vistosamente parte in causa, valutare quanta sofferenza questa infame teoria abbia provocato e possa provocare in futuro ma credo sia moltissima anche se taluni fra i cristiani stessi riescono, mi pare, a non prendere sul serio la cosa. Molti di loro sono in effetti convinti che si “salveranno” anche se non capisco come riescano a tollerare l’idea che altri non si salvino» [traggo questa citazione dal libro Roberto Magari Una mente algebrica, pp. 88-89].
Nella Lettera ai Romani [VI decennio d.C.] l’Apostolo Paolo scriveva: «Tutta la Creazione geme e soffre unitamente le doglie del parto» (8,22). Nel Catechismo della Chiesa Cattolica [pubblicato inizialmente nel 1992 e approvato definitivamente nel 1997] si legge: «Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza; le esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte sembrano contraddire la Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione» (n. 164). Nell’ottica cristiana, però, la sofferenza che ciascun essere umano sperimenta, prima o poi, nel corso della propria esistenza terrena possiede un senso religioso e acquista un valore salvifico in quanto “partecipazione” dell’individuo alla sofferenza patita da Gesù, il Cristo, nel corso della Sua passione culminata con la Sua morte in croce, per la salvazione del mondo intero.
Desidero ringraziare pubblicamente Giangiuseppe Pili il quale, sin da quando sono entrato in ScuolaFilosofica (il mio primo intervento consisteva in un commento a uno dei suoi articoli scacchistico-culturali, esattamente 500 settimane fa…), ha sempre dimostrato una lodevole disponibilità verso i miei interventi (commenti e articoli).
Le nostre scelte personali in campo religioso sono realmente diverse, ma ciò non ci impedisce di essere lealmente amici di web.
Caro Giorgio,
Sei sempre stato e sarai sempre il benvenuto! SF unisce, non divide, persone con opinioni diverse!
Anche solo per questo, SF ha dato tanto a tanti. Grazie per il generoso commento.
Kind Regards,
Giangiuseppe