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Petrarca, madrigale RVF 121: una sinossi filologica e un inquadramento delle problematiche

Nota metodologica circa le problematiche riguardo la tradizione manoscritta del madrigale petrarchesco RVF 121 per mano di messer Pietro Bembo nel ms. Vat. Lat. 3197.

Avvertenza: Il presente lavoro, di ecdotica e analisi comparata e in compendio del madrigale RVF 121 nell’insieme delle testimonianze, manoscritte e a stampa, parte da un’operazione paleografica[1] del componimento sulla base di manoscritti rilevanti delle varie fasi della gestazione del Canzoniere.[2] In fase paleografica si è tentato di rimanere quanto più fedeli possibile a quanto attestato sul manoscritto di partenza. Non avendo tuttavia un intento di edizione diplomatica nel presente lavoro, quanto più interpretativa, le trascrizioni paleografiche di seguito presentate hanno subito emendazione rispetto i seguenti fenomeni: il contoide fricativo labiodentale sonoro /v/, la cui grafia è resa con quella del vocoide posteriore alto /u/, è emendato alla grafia moderna [v]; il contoide affricato dentale /ts/ o /ds/, la cui grafia è resa con quella del contoide fricativo palatale sordo /ç/, è emendato alla grafia moderna [z]; qualsivoglia grafema che nel manoscritto sia sottinteso mediante l’impiego grafico di un titulus è reso graficamente tra parentesi tonde; la punteggiatura, qualora non si sia fatto riferimento a un’edizione interpretativa, è disposta dall’autore dell’articolo sulla base delle scelte effettuate da Gianfranco Contini (1964).

Lista dei manoscritti consultati attestanti il Canzoniere e la rispettiva posizione di RVF 121:[3]

Am = ms. Ambrosiano I 88 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, discendente della forma Queriniana, attesta il madr. in post  a c.17v.

Ch = ms. Chigiano L.V.176, manoscritto di maggior rilievo della forma Chigi, di mano boccaccesca, madr. non attestato, in posizione post 120 vi è la ballata Donna mi vene.

H = Londra, British Library, ms. Harley 3264.

L = ms. Pl. XLI 17 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, testimone di maggior rilievo della forma Malatesta, madr. collocato post 242, in frapposizione a 122 e 123 si ha la ballata Donna mi vene.

P L = ms. Laurenziano Plutei 4117 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, attesta il madr. alla c.46r post 242.

Q = ms. D II 21, forma Queriniana, madrigale in posizione post 243.

U = ms. Urbano Latino 681, Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma

V = ms. Vaticano Latino 3195, autografo petrarchesco, in parte idiografo per mano di Giovanni Malpaghini, madr. 121 attestato post 120 alla c.26r

V2 = ms. Vaticano Latino 3196, autografo petrarchesco, anche Codice degli Abbozzi, madrigale assente.

V3 = ms. Vaticano Latino 3197, di mano di Pietro Bembo, testimone di numerosi errori, madr. post 120 alle cc.51r-51v con postillatura marginale.

Varia 3 = ms. Varia 3, Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, madrigale a c.89v in posizione post 242.

Inc. G.V.15 = incunabolo veneziano del 1470 a cura di Vindelino da Spira, madr. assente, in 121 è attestata la ballata Donna mi vene spesso ne la mente.

Stampa A = Edizione a stampa del Canzoniere a cura di Aldo Manunzio, Venezia, 1501, sulla base di V3, madr. post 120 alle pp. 105-106

Stampa C = Edizione a stampa delle Rime di M. Francesco Petrarca in vita, e in morte di M. Laura, stampato a Venezia presso Comin da Trino di Montefeltro, 1562, madr. alle pp. 51-52.

131 = ms. 131, Magnifica Comunità di San Daniele, Roma.

 

Introduzione:

Il presente lavoro si premura di fornire una prospettiva compendiale della tradizione del madrigale 121 del Canzoniere petrarchesco, con un’operazione di collazione, marcatamente lachmanniana, dei manoscritti testimoni delle varie forme del Canzoniere nel corso della gestazione (cfr. nota 1), chiaramente con l’eccezione della forma Correggio. Seguitamente, l’attenzione filologica si pone sulla peculiarità della testimonianza che offre il manoscritto bembiano, Vaticano Latino 3197, ben noto alla schiera dei filologi come veicolo di numerosi e rilevanti errori. La considerazione della testimonianza che offre il Bembo apre a un ventaglio piuttosto ampio di problematiche circa la derivazione degli errori in questione. Il presente articolo si premura dunque, a fronte di un’analisi strutturale delle testimonianze con particolare attenzione rivolta al manoscritto bembiano, di sollevare all’interesse della ricerca le problematiche che ne conseguono, con il tentativo di tracciare un primo approssimativo percorso di indagine.

  • 1. Paleografia dei manoscritti testimoni significativi di RVF 121:

Dal ms. Vat. Lat. 3195: il madrigale è attestato nella parte superiore della carta 26r, la disposizione differisce da quella dei sonetti e ripete tre volte lo schema [due versi su un rigo + verso sul rigo sottostante]. Trattandosi di un componimento molto breve, lo stile di scrittura è molto semplice, la grafia è semigotica (Cencetti 1997[4];2002[5]), unico ornamento è il capolettera rubricato. Per la resa grafica della punteggiatura e delle maiuscole si è adottato il sistema impiegato da Gianfranco Contini (Contini 1964).

Or vedi, Amor, che giovenetta don(n)a / tuo regno sprezza, et del mio mal no(n) cura, / et tra duo ta’ nemici è sì secura. // Tu se’ armato, et ella i(n) treccie e ‘n gonna / si siede, et scalza, i(n) mezzo i fiori et l’erba, / ver me spietata, e ‘nco(n)tra te superba. // I son pregion; ma se pietà a(n)chor serba / l’arco tuo saldo, et qualchuna saetta, / fa di te et di me, signor, vendetta. //

Dal ms. Vat. Lat. 3197: il madrigale è attestato nella parte inferiore, e con prosieguo nella parte superiore, alle carte 51r-51v. Trattasi del codice vergato da Pietro Bembo, come attesta la sua firma a c.IIIr, scritto in cancelleresca di bassa formalità e destinato a essere la base per la stampa aldina del 1501. La disposizione dei versi è per endecasillabo singolo, dunque Bembo va a capo dopo ogni endecasillabo. Non vi sono ornamenti, nemmeno i capilettera sono rubricati o miniati in alcun modo. Curiosamente, il madrigale risulta mutilo del verso sesto (cfr. 3195).

Hor vedi amor che giovinetta donna / tuo regno sprezza, et del mio mal non cura; / et tra duo ta’ nemici è sì secura. // Tu se’ armato, et ella in treccie e ‘n gonna / Si siede et (aggiunta seriore) in mezzo i fiori et l’herba: / i son prigion. Ma se pietà anchor serba / l’arco tuo saldo, et qualch’una saetta / fa di te et di me, Signor, vendetta //

Nella parte inferiore destra di c.51r un marginalia latino, in cui si inseriscono anche parole italiane, recita “Hic donna mi vene spesso nella mente, et questo Hor ved non c’è, sed ante hunc est Diciassett’anni ha già[6]: come giustamente asserito dal Mestica (1896), il marginalia sembra suggerire che nell’antigrafo di partenza del Bembo, che non è sicuramente V in quanto non lo ebbe a disposizione se non in un momento piuttosto tardo, non vi fosse il madrigale ma il sonetto Diciassett’anni ha già, che quindi occupava il posto 121 (così come nella forma Chigi dopo il componimento 120, mentre nella forma Malatesta è attestato dopo il componimento 122[7]) al posto del madrigale in questione, salvo poi essere eraso e sostituito dal madrigale. La nota bembiana lascia spazio a numerose ipotesi circa la natura degli antigrafi a sua disposizione per la copiatura delle rime, ne si tratterà in maniera più approfondita in seguito (cfr. §3).

Dalla stampa del 1501, a cura di Aldo Manunzio: edizione stampata a Venezia con il titolo Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha, a cura di Aldo Manunzio nel 1501, è basata sul manoscritto bembiano (3197). Il madrigale in questione è attestato alle pagine 105-106. La fedeltà di riproduzione del manoscritto bembiano è testimoniata in primis dalle corrispondenze fonomorfologiche (vale a dire in particolare il vocalismo identico, l’anteposizione del contoide fricativo glottidale /h/ in posizione iniziale di herba e intervocalico, curiosamente in elisione vocalica, in qualch’una), e seguitamente dal fatto che anche questo testo risulta mutilo del v.6.

Hor vedi amor, che giovenetta donna / Tuo regno sprezza, et del mio mal non cura; / Et tra duo ta’ nemici è sì secura. / Tu se’ armato, et ella in treccie e ‘n gonna / si siede et scalza in mezzo i fiori et l’herba: / I son prigion. Ma se pietà anchor serba / l’arco tuo saldo, et qualch’una saetta; fa di te et di me, Signor, vendetta.

Dal ms. Pl. XLI 17: conservato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, è il manoscritto che attesta la cosiddetta forma Malatesta, una fase di labor limae petrarchesco sul Canzoniere con dedica a Pandolfo Malatesta e stesura tra il 1371 e il 1373. Il 4 gennaio 1373 Petrarca scrisse una lettera a Pandolfo Malatesta, di notevole lunghezza, in cui annunciò che un messo aveva ritirato da lui i suoi componimenti volgari, le mie poesiole volgari, auspicandosi che siano degne delle sue mani (“Nugellas meas vulgares, que utinam tuis manibus, tuis oculis, tuoque iudicio digne essent, per hunc nuntium tuum ad te familiariter venientes videbis”, Sen. XIII, 11).[8] Petrarca sembra quasi giustificarsi per la temuta rozzezza dello stile e per la varietà tematica dei componimenti. Il madrigale è da ricercarsi in una posizione ancora primordiale, anteriore a quella che sarà la seriore disposizione in posizione 121: lo si trova infatti dopo il sonetto 242 a c.46r. Il ms. attesta anche la ballata Donna mi vene, frapponendola ai componimenti 122 e 123.

(H)or vedi amor che giovenetta don(n)a / tuo regno sprezza et del mio mal no(n) cura / et tra duo ta’ nemici è sì secura. / Tu se’ armato et ella in treccie e ‘n gon(n)a / si siede et scalza in mez(z)o i fiori et l’erba / ver me spietata et contra te superba. / I son pregion, ma se pietà anchor serba / l’arco tuo saldo et qualcuna saetta / fa di te et di me, signor, vendetta.

Degna di nota è sicuramente la differenza di lezione al v.6, che reca “et contra” dove V legge “e ‘ncontra”. La lezione della forma Malatesta è da considerarsi, con ogni probabilità, una lectio difficilior, in quanto semanticamente crea uno slittamento che oppone la donna ad Amore stesso, rendendola ostile ad esso tanto quanto al poeta, e pertanto di molto differisce dalla lezione di V che invece presenta una situazione di incontro tra Amore e la donna superba. Vi è contiguità se si considera che il poeta, nel madrigale, prega Amore di far vendetta di lui e di sé stesso, creando la situazione ideale di schieramento di poeta e Amore contro la donna, il che è pressoché la medesima situazione che la lezione di Ma propone con “et contra te”. Considerando valido in questo caso il concetto filologico di “lectio difficilior potior”,[9] è presumibile che Petrarca, nella fase di redazione di V, si sia consciamente mosso in direzione di una semplificazione, che non è tuttavia necessariamente una banalizzazione, andando a modificare la lezione in questione.

Dal ms. I 88sup. della Biblioteca Ambrosiana: manoscritto datato all’ultimo quarto del XV secolo, attesta il madrigale a c.17v. La disposizione è di corrispondenza tra verso ed endecasillabo.

Or vidi, amor, che giovenetta donna / tuo regno sprez(z)a e del mio mal no(n) cura / e tra dui ta’ nimici è sì secura. / Tu sei armato et ella in trecc(i)a e in gonna / se siede e scalza in megio i fiur e l’erba / ver me spietata e contra te superba. / I son prigion: ma se pietà anchor serba / l’archo tuo saldo e qualcuna saetta / fa di te e di me, segnor, vendecta.

La patina linguistica della presente attestazione è piuttosto particolare se rapportata a quella degli altri testimoni, e muove in direzione relativamente stretta di una collocazione settentrionale. A dimostrazione di ciò, attenzione è da prestare, innanzitutto, a fenomeni di innalzamento vocalico, del tipo vedi (V) > vidi (Am); duo (V) > dui (Am); nemici (V) > nimici (Am). Interessante è la resa di “fiori” (V) con fiur, in cui sussistono l’innalzamento vocalico e l’apocope della vocale finale, tipica del dialetto milanese (es. signore > signur), con conseguente appoggio sulla congiunzione. Al v.6, anche Am legge la medesima lezione di Ma, ossia “e contra te”, opponendosi a V. Non si tratta difatti di una vera e propria diffrazione,[10] quanto più di una variante voluta in primaria sede dal Petrarca stesso e successivamente modificata, ma che ebbe, per fortuna di antigrafi, una tradizione manoscritta. Infine, è interessante il sussistere, di gusto arcaicizzante, del nesso consonantico -ct- in vendecta, che non evolve in un’assimilazione regressiva dando vita a “vendetta”. È verosimile tuttavia che il presente nesso non avesse valore fonetico ma puramente etimologico (D’Achille 2019:69).

 

Dall’incunabolo G V 15 (1470): l’incunabolo, stampato dal tipografo Vindelino da Spira a Venezia nel 1470 con caratteri romani, si configura come editio princeps del Canzoniere a stampa. Trattasi di un incunabolo particolarmente prezioso e di grande valore estetico, in particolare a fronte delle numerose e straordinariamente raffinare illustrazioni marginali. Il manoscritto di supporto impiegato per la stampa reca ancora la ballata alla posizione in cui in V si trova il madrigale, con ordine 122 > 120 > ballata > 123. Sottostante la ballata è un’annotazione a penna in cui si fa riferimento ad un amore per un’altra donna che potrebbe interferire con l’amore per Laura, il che si collega in maniera distinta alla considerazione di Santagata riguardo l’esclusione, proprio per questo fatto, dalle rime estravaganti (E18, cfr. Santagata 2018:566). Di contro, il madrigale risulta escluso dall’incunabolo seppur attestato nell’indice.

È doveroso quantomeno menzionare il manoscritto siglato Varia 3 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, che attesta il madrigale a c.89v senza una forma foneticamente peculiare, pertanto, in quanto definibile carmen descriptus, senza voler far torto alla metodica della filologia lachmanniana, s’è ritenuto opportuno tralasciarne la descrizione paleografica. È comunque interessante osservare la disposizione del componimento: il madrigale 121 è attestato dopo il componimento 242 “Mira quel colle, o stanco mio cor vago”, mentre in posizione 121 è attasta la ballata Donna mi vene. Tal disposizione ricalca quella che assunse la forma Malatesta nel suo testimone ms. PL.XLI.17, prima della collocazione di 121 dopo 243 nel ms. D II 21 (cosiddetta forma Queriniana). Il ms. Varia 3 di Roma è stato copiato entro il dicembre 1444, secondo quanto attestato dal colophon di c.178v che recita “Gentilis poeta scripsit 1444 de mense decembris”, è plausibile dunque ipotizzare che il copista, il Gentilis poeta, bolognese, abbia avuto sottomano un antigrafo x prossimo alla forma Malatesta in fase di copiatura. La medesima considerazione è valida per i seguenti codici testimoni: il ms. 131, acquistato e posseduto tutt’oggi dalla Magnifica Comunità di San Daniele di Roma, trattasi di un codice esemplato e miniato da Bartolomeo Sanvito a Roma tra il 1497 e il 1499 per il vescovo di Cosenza Ludovico Agnelli. La disposizione ancora una volta sembra ipotizzare la presenza, alla base della copiatura, di un antigrafo relativamente prossimo alla forma Malatesta; il ms. Urbano Latino 681, conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana e copiato tra il 1451 e il 1475; il ms. Laurenziano Plutei 4117 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, membranaceo, probabilmente tardo-trecentesco, attesta il madrigale a c.46r dopo il componimento 242. Ciò è dunque esplicitato per giustificare l’arbitrarietà delle scelte nella collatio dei testimoni, essendo stati presi in considerazione paleografica solamente i codici in cui siano presenti peculiari rilevanze.

 

  • 2. Breve sinossi linguistica del madrigale in V:

La lingua del Petrarca impiegata lungo il corso dei RVF in V è pressoché sempre conforme a quella che si attesta nelle sezioni di copiatura del Malpaghini. Sono ben note le oscillazioni tra una patina prettamente latineggiante, ancora saldamente ancorata all’uso antico-medievale, e le forme che invece già si assestano su una patina moderna e volgareggiante. L’oscillazione non sempre è di immediata interpretazione, e talvolta non è possibile risalire alla fonte decisionale di Petrarca. Certamente alcune forme saldamente ancorate alla tradizione latina, come il sistematico uso della congiunzione et, sono da ricondurre a una funzione puramente etimologica, senza valore fonetico. In altri casi l’adozione è propriamente di una forma latineggiante o grecizzante, un netto taglio di ampio spettro culturale ai componimenti e alla loro patina, anche sintomatici della capacità del Petrarca di padroneggiar entrambe le varianti, pur conservando una netta riverenza per la lingua latina nel suo insieme.

Volendo dar rassegna sommaria, è da rimarcare che le scelte grafiche di Petrarca nella stesura di V sono conformi all’uso del XIV secolo. Le spie di maggior interesse in tal senso sono: impiego sistematico della grafia u per v tranne che in posizione iniziale di parola; impiego della legatura grafica per la congiunzione et; ampio utilizzo dei titulus per segnalare l’omissione del contoide nasale alveolare /n/, seppur in maniera non sistematica e non solo in caso di forma geminata (es. i(n) ma anche don(n)a e pregion), e per l’omissione in per delle due lettere finali (il titulus si presenta in questo caso come una riga orizzontale sull’asta verticale di p); impiego della grafia [ç] per i contoidi affricati dentali, sordi e sonori, /ts/ e /ds/; assenza totale della punteggiatura.

Venendo alla facies linguistica del madrigale in V, numerose sono le questioni di alto interesse linguistico da osservare: dapprima, sul fronte del vocalismo, è di carattere colto e latineggiante la conservazione in protonia della e etimologica latina nella forma giovenetta (vezzeggiativo della forma giovene < lat. IUVENIS, anteriore all’innalzamento vocalico che darà la forma giovinetta), e medesima considerazione vale per le forme duo per due e secura (<SECŪRUS) in luogo di sicura. Interessante la contrapposizione della forma pregion per prigione, dunque con conservazione del vocoide /e/ in protonia, una reminiscenza di carattere guittoniano e toscano-orientale (cfr. Vitale 1996:59), con la forma signore (< seniorem), con innalzamento vocalico moderno, pur essendo attestata in V la forma segnor (cfr. ivi p.62). Puramente grafico è invece da considerare il vocoide /i/ in dittongo –ie– in treccie, forma anticamente impiegata, modernamente scritta con caduta della prima vocale non avendo questa valore in termini fonetico-fonologici, ma solamente un valore grafico-morfologico ed etimologico (< lat. med. TRICHIA).

Sul versante del consonantismo la grafia non presenta notevoli peculiarità che la contraddistinguano dal panorama tanto tardo-medievale quanto moderno-contemporaneo, eccezion fatta per il fenomeno, non sistematico, di conservazione del contoide fricativo glottidale sordo /h/ in posizione iniziale di parola, non attestata nel presente madrigale, o in posizione pre-vocalica in posizione centrale di parola, tipicamente prima dei vocoidi /a/, /o/, /u/ (cfr. ivi p.34), dunque con le forme anchor e qualchuna. In tal senso dunque sorprendono le forme erba e arco, che in altre sedi d’attestazione recano invece il contoide.

 

  • 3. Una prospettiva di critica filologica e un avvio al problema del verso 6:

Volendo andare a ricreare un apparato critico delle varie attestazioni di questo madrigale, tenendo conto delle trascrizioni paleografiche sopra proposte, sarà necessario fare affidamento a V come testo di base, per poi tentare di costruire un apparato delle varianti che permetta un immediato confronto incrociato tra testimoni, al fine di rendere note le varianti di maggior rilievo. Di seguito si propone dunque un primario e ridotto abbozzo di un apparato critico di varianti, secondo le indicazioni fornite da Stussi circa tali lavori di critica filologica (cfr. Stussi 2015:147-184). Il testo di base è dunque quello di V secondo una trascrizione interpretativa, con intervento di emendatio, come consente l’approccio di filologia lachmanniana, circa le convenzioni grafico-fonetiche in direzione moderna:

Or vedi, Amor, che giovenetta don(n)a / tuo regno sprezza, et del mio mal no(n) cura, / et tra duo ta’ nemici è sì secura. // Tu se’ armato, et ella i(n) treccie e ‘n gonna / (5) si siede, et scalza, i(n) mezzo i fiori et l’erba, / ver me spietata, e ‘nco(n)tra te superba. // I son pregion; ma se pietà a(n)chor serba / l’arco tuo saldo, et qualchuna saetta, / fa di te et di me, signor, vendetta. //

  1. 1: V3; L Hor; V3 giovinetta; v. 5: C Si siepe;[11] V3 l’herba; v. 6: assente in V3; L et contra; Am e contra;   v. 7: V3; Am prigion; v. 9: Am vendecta[12]

Tramite questo breve apparato delle varianti è possibile riscontrare il problema maggiore di questo madrigale nelle sue attestazioni, ossia il verso sesto. Considerando la seriorità dell’aggiunta del madrigale, che difatti nella forma Chigi (1359-63) non è attestato, è peculiare riscontrare l’assenza di questo verso nella forma bembiana V3. Per tentare di ricostruire la causa alla base di questa omissione in copiatura risulta necessario il supporto di uno stemma codicum da cui rintracciare l’antigrafo x che funse a suo tempo da base di V3. Non disponendo di un supporto così tanto accurato, e in forza anche della complessità dello stemma codicum di quest’opera, è possibile tentare di ricostruire sulla base di ragionamenti critico-filologici le possibili cause di questa omissione bembiana. Aprioristicamente, è da escludere che si tratti di un’omissione volontaria considerata la rilevanza della materia di partenza. D’altro canto, la critica filologica consente anche di escludere l’ipotesi di un errore di Bembo, non essendovi in atto le condizioni necessarie di omoteleuto od omoarto, o qualsivoglia altra fonte possibile di errore, anche in forza delle ristrette dimensioni del componimento: trattandosi di un madrigale di nove versi, la simmetria è strettamente dipendente dalla presenza e dalla correttezza in concatenazione di ognuno dei versi: Santagata rende noto, sulla base di Capovilla, che il fenomeno di successione di tre versi di identica rima (in questo caso versi C in uno schema ABB ACC CDD), detto trasposizione della concatenatio, è un fenomeno diffuso nei madrigali del primo Trecento collocabili nell’Italia settentrionale (cfr. Santagata 2018:567; cfr. anche Capovilla 1983:63).

  • 4. Conclusioni:

Il presente lavoro si è premurato di fornire una prospettiva analitica delle più rilevanti testimonianze, manoscritte o stampa, del sublime madrigale RVF 121, volendo fungere da avvio ecdotico a un lavoro più diligente circa la problematica, di ben complessa risoluzione, del v.6. Si è ben consapevoli di non aver tracciato una chiara conclusione, ma a fronte della complessità dell’interrogativo, il proposito è di rimandare la tracciatura delle conclusioni in merito a una più diligente applicazione, dunque a un impegno futuro, sebbene non pertanto eccessivamente prossimo, così che si aggiri il rischio di giunge a una troppo vaga e troppo frettolosa conclusione. Il presente lavoro rappresenta tuttavia una base compendiale di partenza per l’avvio dei lavori, è ordunque necessario ampliare lo spettro di indagine sulle fonti manoscritte, di modo da tentar di rinvenire tracce fondamentali allo svelamento del dilemma.

Nel pubblicare il presente articolo, mi propongo di avviare, su questa base, un lavoro più approfondito di ricerca sulla realtà del manoscritto londinese harleyano 3264, alla ricerca di tracce più concrete che possano chiarire i suoi rapporti con il bembiano testimone V3. Ulteriormente, il proposito è quello di proseguire con gli sforzi di ricerca sulla tradizione manoscritta delle rime del Petrarca, nella speranza che vengano fuori ulteriori testimoni dell’errore in questione.

 

Bibliografia essenziale:

Avvertenza: nel seguente apparato bibliografico sono menzionate tutte le opere che hanno inciso notevolmente sulla stesura del presente lavoro, da studi filologici concernenti il madrigale in questione, a edizioni critiche e antologiche, sino a studi petrarcheschi di più ampio spettro, ma ugualmente fondamentali per la realizzazione del progetto di ricerca, e le rilevanti opere saggistiche e manualistiche che hanno svolto il ruolo di base metodologica e manualistica in termini di filologia e linguistica. Nella sitografia sottostante sono invece riportate le pagine web consultate e l’elenco di manoscritti, incunaboli e stampe consultati con il relativo rimando sitografico.

Bibliografia:

Alfano, Italia, Russo, Tomasi 2018 = Giancarlo Alfano, Paola Italia, Emilio Russo, Franco Tomasi. Letteratura Italiana. Dalle Origini a metà Cinquecento, Milano, Mondadori, 2018, pp. 181-227.

Armisén 2008 = Antonio Armisén (Università di Saragozza), Sobre la composición del Canzoniere (codice Vat. lat. 3195): sistema de peticiones, macrosecuencias y sesquitertia ratio, in Cuadernos de filologia italiana, 2008, vol. 15, pp. 47-72, ISSN 1133-9527.

Banfi 1959 = Luigi Banfi, Nota sul manoscritto ambrosiano O 110 Sup. (Geri Gianfigliazzi e il Petrarca), Firenze, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1959, vol. 11, n.2, pp. 228-234.

Bédier 1929 = Joseph Bédier, La tradition manuscrite du «Lai de l’ombre». Réflexions sur l’art d’éditer les anciens textes,. Paris, Champion.

Beltrami 2017 = Pietro Beltrami, La filologia romanza,Bologna, Il Mulino.

Bengel 1725 = Johann Albrecht Bengel, Prodromus Novi Testamenti Graeci recte cauteque adornandi, Stuttgart, Mezlervs et Erhardvs, 1725.

Bozzola 2012 = Sergio Bozzola, La lirica. Dalle origini a Leopardi, Bologna, Il Mulino, pp. 35-52.

Camboni 2020 = Maria Clotilde Camboni, Osservazioni sulle attribuzioni contese, sulle rime di corrispondenza e sulla ballata Donna mi vene spesso nella mente, in Roberto Leporetti, Tommaso Salvatore, Le rime disperse di Petrarca Roma, Carocci, 2020, pp. 25-44

Capovilla 1983 = Guido Capovilla, I madrigali (LII, LIV, CVI, CXXI), LP, III, 1983, pp. 5-40.[13]

Capovilla 1998 = Id., “Sì vario stile”. Studi sul Canzoniere del Petrarca, Moderna, Mucchi, 1998.

Caruso 2019 = Carlo Caruso, Leggere Petrarca nel 1501, in Italique. Poésie italienne de la Renaissance, XXII, 2019, pp. 259-282.

Cencetti 1997 = Giorgio Cencetti, Lineamenti di storia della scrittura latina, Bologna, Patron, 1997.

Cencetti 2002 = Giorgio Cencetti, Paleografia latina, Milano, Jouvence, 2002.

Contini 1986 = Gianfranco Contini, Breviario di Ecdotica, Torino, Einaudi, 1992 (1° ed. 1986).

Contini 1970 = Gianfranco Contini, Saggio d’un commento alle correzioni del Petrarca volgare, in Gianfranco Contini, Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970, pp. 5-31.

Contini 1961 = Gianfranco Contini, Studi e problemi di critica testuale. Bologna, 1961, pp. 241-272.

D’Achille 2019 = Paolo D’Achille, Breve grammatica storica dell’italiano, Roma, Carocci, 2019.

D’Agostino 2006 = Alfonso D’Agostino, Capitoli di filologia testuale. Testi italiani e romanzi, Seconda edizione corretta e accresciuta, Milano, CUEM, 2006.

Del Puppo, Storey 2003 = Dario Del Puppo, H. Wayne Storey, Wilkins nella formazione del Canzoniere di Petrarca, in Italica, American Associacion of Teachers of Italian, 2003, vol. 80, n.3, pp. 295-312.

Paolino 2001 = Laura Paolino, Ancora qualche nota sui madrigali di Petrarca (RVF 52, 54, 106, 121), in Italianistica: rivista di letteratura italiana, vol. 30, n.2, Accademia Editoriale, 2001, pp. 307-323.

Petrarca, Canzoniere = Francesco Petrarca Le rime di Francesco Petrarca, a cura di Giovanni Mestica, Firenze, G. Barbieri, 1896, pp. 171-173.

Petrarca, Canzoniere = Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Gianfranco Contini, Torino Einaudi, 1964.

Petrarca, Canzoniere = Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Marco Santagata, Milano, Mondadori, 2018.

Picone 2004 = Michelangelo Picone, Petrarca e il libro non finito, in Italianistica: rivista di letteratura italiana, Vol. 33, n.2, Accademia Editoriale, 2004, pp. 83-93.

Pulsoni 2016 = Carlo Pulsoni, Le fonti dell’edizione aldina di Petrarca (1501), in Cantares de amigo, estudios en homenaxe a Mercedes Brea, Università di Santiago de Compostela, pp. 733-737.

Serianni 2005 = Luca Serianni, Lezioni di grammatica storica italiana, Roma, Bulzoni, 2005.

Stoppelli 1999 = Pasquale Stoppelli, Opera Omnia, Roma, Lexis Progetti Editoriali, 1999.

Stussi 1994 = Alfredo Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna, Il Mulino, 1994.

Vitale 1996 = Maurizio Vitale, Lingua del Canzoniere di Francesco Petrarca, nell’ambito degli Studi sul Petrarca promossi dall’Ente Nazionale Francesco Petrarca, Padova, Editrice Antenore, 1996.

Wilkins 1994 = Ernest H. Wilkins, Vita del Petrarca e La formazione del “Canzoniere”, traduzione di Remo Ceserani, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 335-389.

Sitografia:

Civica Biblioteca Guarneriana (Città di San Daniele del Friuli), La Teca Digitale, Ms. 139 (Scheda del manoscritto), http://teca.guarneriana.it/manoscritti/ms-139-francesco-petrarca-canzoniere-e-i-trionfi/, http://www.guarneriana.it/.

DigiVatLib, Ms. Urb.lat.681 (Scheda del manoscritto), https://spotlight.vatlib.it/it/humanist-library/catalog/Urb_lat_681, https://spotlight.vatlib.it/it.

Francesco Petrarca, Adespoto per la curatela, Le Rime di Francesco Petrarca riscontrate con ottimi esemplari stampati e con un antichissimo testo a penna, Padova, presso Giuseppe Comino, 1732, 447 pp., https://books.google.it/books?id=g9pvxL9iXGoC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false, https://books.google.it/?hl=it.

Francesco Petrarca, Le Rime di Francesco Petrarca tratte da’ migliori esemplari con illustrazioni inedite di Ludovico Beccadelli. Tomo I, a cura di Ludovico Beccadelli, Verona, Stamperia Giuliari, 1799, 338 pp., https://books.google.it/books?id=QcRcAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false, https://books.google.it/?hl=it.

Francesco Petrarca, Sonetti, canzoni e triomphi di m. Francesco Petrarca, con la spositione di Bernardino Daniello da Lucca, a cura di Bernardino Daniello da Lucca, Venezia, Pietro e Giaonmaria Fratello de Nicolini, 1549, 244 pp., https://books.google.it/books?id=0cReAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false, https://books.google.it/?hl=it.

Francesco Petrarca, Le rime del Petrarca, a cura di Antonio Marsand, Vol. I, Padova, Tipografia del Seminario, 1819, 355 pp. https://books.google.it/books/about/Le_rime_del_Petrarca.html?id=S0f5dr6cJEIC&redir_esc=y, https://books.google.it/?hl=it.

Istituto Centrale per il Catalogo Unito, Manus Online, Manoscritti delle Biblioteche Italiane, Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, Varia, Varia 3 (Scheda del manoscritto), https://manus.iccu.sbn.it/risultati-ricerca-manoscritti/-/manus-search/cnmd/67295?, https://manus.iccu.sbn.it/web/manus.

Paola Italia, Gianfranco Contini, Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, 2013,  https://www.treccani.it/enciclopedia/gianfranco-contini_(Dizionario-Biografico)/, https://www.treccani.it/.

Francesco Petrarca, Epystole Seniles, a cura di Pasquale Stoppelli, Roma, Lexis, 1999, in Università La Sapienza, Biblioteca Italiana, Roma, Università La Sapienza, 2023, http://www.bibliotecaitaliana.it/testo/bibit000342, http://www.bibliotecaitaliana.it/.

[1] Tutte le operazioni paleografiche sono svolte da Simone Di Massa (SF) e rinfrancate dal confronto con le edizioni ad oggi disponibili.

[2] La scelta dei testimoni da collazionare è basata metodologicamente sulla suddivisione in fasi di gestazione proposta da Wilkins, 1964, e riveduta con leggero discostamento da Santagata, 2018.

[3] Per i manoscritti che corrispondono, si adottano le sigle impiegate anche da Santagata (2018), tranne per V (ms. Vat. Lat. 3195) che Santagata sigla V1. Le altre sigle impiegate sono state scelte arbitrariamente dall’autore per una maggior comodità in fase di analisi critica e di costruzione dell’apparato.  .

[4] Cfr. Cencetti 1997.

[5] Cfr. Cencetti 2002.

[6] La trascrizione della nota è in Mestica 1896:172, e nonostante la cassatura rimane ancora leggibile.

[7] Manoscritti di riferimento sono rispettivamente il ms. Chig. L V 176, autografo di Giovanni Boccaccio, della Biblioteca Vaticana di Roma, e il ms. Pl. XLI 17 della Biblioteca Laurenziana di Firenze.

[8] La trascrizione della lettera (Seniles XIII, 11) è tratta da Stoppelli 1999 ed è stata fruita tramite il servizio digitale “Biblioteca Italiana” dell’Università La Sapienza di Roma (cfr. Sitografia).

[9] Il concetto di lectio difficilior potior (lett. it. “la lezione più difficile è più potente, più importante”) ha origini piuttosto antiche, venne concettualizzato saldamente dal teologo Johann Albrecht Bengel (1725).

[10] Il termine diffrazione in filologia indica il proliferare, nella tradizione manoscritta di un testo, di banalizzazioni dovute a errori dei copisti. Il concetto fu  teorizzato dall’egregio filologo Gianfranco Contini (cfr. Contini 1961; Contini 1986).

[11] La lezione nell’edizione a stampa del 1562 è chiaramente erronea, non è conosciuto da quale manoscritto, o stampa altra, lo stampatore abbia tratto le rime.

[12] Le siglature dei codici a cui si fa riferimento rispecchiano quelle elencate nella “Lista dei manoscritti consultati”.

[13] Il saggio I madrigali (LII, LIV, CVI, CXXI), LP, III, di Capovilla è ristampato, e qui tratto, da Capovilla 1998.


Simone Di Massa

Disse il linguista Noam Chomsky che nella vita "è importante imparare a stupirsi dei fatti semplici", ciò è esattamente quanto i miei lavori di linguistica, filologia e letteratura cercano di apportare a SF, il culto degli studi e della ricerca e la meraviglia della semplicità, fino alla minima parola poetica. Studioso di Lettere Moderne a Milano, da sempre vivo con l'ambizione di tenere alti i valori sacri del mondo delle lettere, donando con i miei lavori quanto il panorama letterario ha donato a me, apportando alla mia vita nuovi colori e la consapevolezza che la totalità non è che un insieme di dissonanze.

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