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Nessuna cultura è un’isola

Sui rapporti linguistici tra la cultura mozarabica e la nascita delle letterature  europee medievali

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Abstract

Articolo critico riguardante i rapporti tra la cultura araba medievale della Spagna meridionale e lo sviluppo delle letterature europee, in risposta analitica e puntuale alle accuse di separatezza tra occidente e medio-oriente.


Conoscere la derivazione di ogni singolo codice linguistico attualmente parlato in Europa è un’operazione che richiede un grande spazio ed impegno, dunque in maniera preliminare si presenta la situazione di frammentarietà linguistica europea.

La tradizione plurisecolare di studi delle origini della lingua ha attraversato fasi teoriche piuttosto disparati, partendo dalle concezioni di derivazione unitaria di tutte le lingue volgari dal latino, passando per la teoria dantesca espressa nel De Vulgari Eloquentia di Dante, secondo cui il latino deriva, in maniera artificiale, dai volgari come lingua per la comunicazione colta, giungendo alla teoria die grammatici storico-comparativi di una lingua aurea, primordiale e perfetta, dal carattere di un motore immobile. Una teoria che quindi accomunava la linguistica alla religione, in particolar modo per il carattere risolutivo di affidarsi ad una lingua d’origine perfetta come fosse una divinità da cui sorsero le varietà linguistiche, una teoria che, per quanto ampiamente accettata, conobbe una crisi ed un rapido abbandono dal momento della scoperta del sanscrito, lingua indoeuropea che presentava, foneticamente e sintatticamente parlando, delle rilevanti analogie con il greco ed il latino.

A seguito della crisi di quello che si era imposto come il pilastro fondamentale della linguistica, fu necessaria la conduzione di numerosi studi sul sanscrito che, per riassumersi in maniera decisamente e sbrigativa, condussero alla scoperta di ciò che si trova in cima all’albero genealogico delle lingue volgari, il cosiddetto indoeuropeo. Il panorama delle cosiddette lingue romanze gode di uno stato di estrema frammentarietà, il che si riflette su una molteplicità di fattori di trasformazione fonetica e morfo-sintattica originati da una lingua comune, il latino, se si esclude la considerazione, in questo caso secondaria, del sistema dei prestiti linguistici.

Per la conoscenza dei rapporti linguistici che hanno portato alle varietà moderne oggi parlate, che pur si ricordi il loro stato di estremo e rapido dinamismo secondo direttrici diverse, è necessario partire dal presupposto che le lingue cosiddette neolatine sono parlate nell’area denominata Romània, un concetto fluido, dinamico, a sua volta frammentato, ma che comprende tutte le aree che hanno adottato delle varietà romanze che, immancabilmente, presentano delle affinità.

Sommariamente, è possibile distinguere le varie lingue romanze nei seguenti sottogruppi:

-Lingue iberoromanze: spagnolo, portoghese, galego e catalano

-Lingue galloromanze: occitanico, francese e francoprovenzale

-Lingue italoromanze: italiano, sardo e corso

-Lingue retroromanze: romancio, ladino e friulano

-Lingue balcanoromanze dalmatico e romeno.

L’analisi linguistica proposta nel seguente articolo si concentra sulla famiglia delle lingue iberoromanze e sullo sviluppo della letteratura nella zona della Spagna del sud in epoca medievale, essendo questo il teatro di sviluppo della cultura mozarabica, ossia di unione tra la cultura volgare spagnola e quella dei conquistatori arabi.

Chiarita la frammentarietà del panorama linguistico dell’Europa dell’Alto Medioevo, in un lasso temporale va dal IX al XIV secolo (per fornire una datazione precisa, da ante 1042 al 1346, lasso di tempo delle principali composizioni delle Harga, di cui si tratterà in seguito) è necessario porre l’attenzione al principale fenomeno letterario di questo periodo, sviluppatosi nella Spagna meridionale, ossia la letteratura cosiddetta mozarabica.

Contestualizzando storicamente, l’invasione araba della Spagna comincia nel 711 e prosegue, allargandosi progressivamente, sino al 1600 inoltrato, ossia sino alla cacciata dei moriscos dal territorio spagnolo. La dominazione araba si faceva portavoce non di un sistema di dominio e di tirannia, quanto di pacifica convivenza e rapporto di scambio culturale. Immancabilmente, il panorama europeo alto-medievale, che ancora non aveva compiuto il suo processo di laicizzazione, guardava con occhio estremamente diffidente questa realtà ed alla relativa produzione letteraria, non mancando ovviamente di censurarla ogni qualvolta non fosse conforme ai canoni ecclesiastici cattolici medievali, il che spiega il confinamento di queste esperienze letterarie.

Il territorio costituito dal dominio arabo nella Spagna del sud prende il nome di Al-Andalus e dall’enorme lasso di tempo in cui questo dominio è stato esercitato sono derivati numerosi mutamenti, fono-morfologici e soprattutto lessicali che hanno investito in primo luogo le lingue iberoromanze e, secondariamente ma pur sempre in maniera rilevante, le varietà romanze più prossime a questa realtà, che sia per natura geografica o di rapporti. Ed il grado di separatezza imposto dalle realtà egemoni cristiane nei confronti di questo mondo mozarabico ha causato un notevole dislivello nella produzione letteraria: senza scendere troppo nel dettaglio, è possibile sentenziare che la Spagna di dominio cristiano abbia mantenuto un notevole livello di arretratezza linguistica e letteraria rispetto al territorio di Al-Andalus.

In questo territorio si sviluppano diversi centri che professano un elevato esercizio culturale, spiccano i nomi di Toledo e Corboda (quest’ultima otterrà il titolo di califfato autonomo con il regno di Abd al-Rahman III). Le prime forme di letteratura della Spagna non vedono la luce nel territorio di dominazione araba, si tratta delle glosas emilianenses e delle Glosas Silenses che vedono la loro stesura in due monasteri benedettini rispettivamente nella regione di Castiglia e di Burgos. Ma il fenomeno letterario che senza ombra di dubbio presenta le caratteristiche di maggior peculiarità e di affinità con le letterature romanze successive, e che quindi è oggetto di analisi del presente articolo, è il fenomeno delle muwassaha a cui si collega quello delle harga.

Sommariamente, è sufficiente la consapevolezza che le muwassaha sono un genere poetico arabo letterario o ebraico costituito da strofe di versi monorimi (i bayt) con rime che cambiano per ogni strofa, seguite da una seconda parte a rima fissa, detta qufl. La muwassaha prende il nome dal sostantivo wisah, ossia cintura di cuoio adorna di pietre multicolori, termine che mette in evidenza la preziosità nella varietà. La peculiarità delle muwassaha è la presenza, in chiusura, di una harga, una stesura poetica essenzialmente analoga ma che presenta delle differenze sostanziali. In breve, la muwassaha si può definire come una stesura a voce unicamente maschile che tratta, in lirica, di tematiche amorose panagiristico- encomiastiche, bacchiche, ossia andando a toccare tematiche esplicite e spesso uniscono i diversi temi. Sono componimenti di stile colto e barocco, di tono raffinato e aulico e cantati da un io personaggio maschile.

La differenza con le harga sta propriamente nel loro carattere di chiusura, di fatti erano collocate al termine di ogni muwassaha e trattavano temi ampiamente sfaccettati sulla tematica amorosa, tramite una mediazione offerta da una voce femminile. Le harga trattavano spesso temi più spinti riguardo la sfera amorosa, arrivando a toccare anche quella sessuale. Il rifiuto della lingua araba a preferenza del medium linguistico mozarabo permette alla voce femminile di esprimere pensieri ed emozioni anche talvolta maliziosi, che avrebbero potuto risultare inopportuni se mediati tramite il codice linguistico arabo puro.

Per meglio intendere, è un dato di fatto come i poeti toscani del duecento impiegassero forme metriche diverse per composizioni a tematiche differenti. L’endecasillabo, o il settenario, ritenuti da Dante nella trattazione del De Vulgari Eloquentia come le forme metriche più altisonanti e solenni, certamente non sarebbero state impiegate per la poesia comica e giullaresca di autori come Cecco Angiolieri. In egual misura, la harga impiegava la varietà linguistica mozarabica per la stesura di componimenti a temi che si allontanavano da un qualsivoglia ideale di purezza.

Il fenomeno della letteratura mozarabica non è rimasto confinato nel territorio di Al-Andalus, la circolazione dei testi delle Muwassaha, per quanto limitata, è un fatto acclarato e che ha prodotto degli effetti evidenti ed eclatanti sullo sviluppo delle letterature romanze, a dimostrazione di come nessun fenomeno letterario sia interamente autogenerato e goda di un livello assoluto di originalità. A puro titolo esemplificativo, si pensi allo sviluppo della letteratura medievale francese in tutte le sue forme e varietà linguistica. È verosimile che uno scambio culturale tra le parti sia avvenuto, e che le tematiche abbiano subito una trasposizione sotto precisa influenza. Senza necessità di avvicendarsi in trattazioni eccessivamente prolisse, si prenda a titolo esemplificativo lo sviluppo della letteratura medievale piccarda, in particolar modo il fenomeno di Fabliaux, opere versificate in lingua francese antica (si rammenti che l’etichetta antico francese nel presente articolo racchiude tutte le varietà parlate nel territorio francese dell’epoca, come Normanno, Piccardo, Pittavino,

Champagne e Antico Francone) che, tramite l’espediente stilistico della narratio brevis, trattavano argomenti disparati tra loro, partendo dalla critica anti-clericale contro i vizi degli uomini di Chiesa sino ad argomenti salaci e perentoriamente espliciti, tramite l’impiego di un lemmario fortemente diretto ed esplicito, appannaggio di vari, se non tutti, gli strati sociali di lettori.

È verosimile dunque ritenere che vi sia stato un fenomeno di rispettiva influenza vista la vicinanza delle tematiche trattate. È tuttavia necessario limitare l’idea di influenza che questi testi ebbero sullo sviluppo delle letterature romanze, pur ovviamente non escludendola del tutto. I testi delle harga, scritti in lingua estremamente ibrida tra l’arabo ed il latino volgare di Al-Andalus, sono condizionati da una relativa difficoltà interpretativa per la forte diversità del codice linguistico dalle varietà romanze, il che ha oltremodo ostacolato l’attività filologica per svariati secoli su questi testi.

Ma rimanendo in tema di trattazioni filologiche, lo studio di questi testi ed il confronto ha portato alla luce numerosi ponti di aggancio tra le varie letterature romanze. Rimanendo in area francese, l’opera intitolata In hoc anni circulo, scritta in lingua occitanica, dunque nel sud della Francia e che si premura di fungere da traduzione dell’omonimo inno cristiano latino per la facilitazione della comprensione, presenta la medesima struttura prosodica delle Harga, ossia la forma cosiddetta zagal.

In area oitanica, dunque nel nord della Francia, è opportuno citare un testo appartenente al genere delle Liebestrophen, composto nel secolo XI e narrante l’episodio del matrimonio tra il germanico Enrico III e Agnese di  Poitiers. La vicinanza tematica con le Harga consiste nella forte carica erotica da cui questo testo è connotato e nell’impiego del topos dell’amante-uccello, simbologia derivata dai bestiari medievali ed ampiamente impiegata nei testi mozarabici.

In ultima istanza è necessario precisare che l’influenza di questo tipo di letteratura è corresponsabile dello sviluppo della tradizione poetica della penisola italiana. Difatti la poesia siciliana, sviluppatasi alla corte di Federico II di Svevia, mette in metrica temi che sono stati ricorrenti nella letteratura mozarabica, dall’amore più puro delle Muwassahat, che viene poi tuttavia estremamente idealizzato dagli autori siciliani e toscani, alla più forte carica erotica caratterizzante vari testi lirici della nostra tradizione, si pensi alla tradizione dei contrasti (cfr. Cielo d’Alcamo, Rosa Fresca Aulentissima, a puro titolo esemplificativo si segnala il testo di Cielo d’Alcamo come testimone di una lirica non d’amore idealizzato bensì di puro perseguimento del piacere fisico).

Particolarmente interessante è stata la teoria del filologo cinquecentesco Giovanni Maria Barbieri che ha ipotizzato una derivazione della struttura rimica della letteratura italiana dalla rima mozarabica. Una teoria conforme effettivamente ai canoni teorici seppur tuttavia alquanto semplicista. La struttura rimica degli abayt di ogni Muwassaha è a sé stante rispetto alla nostra tradizione, ossia l’impiego di strofe monorime può certamente aver influito sugli sviluppi nostrani, ma è inverosimile che una struttura rimica complessa come quella dei poeti toscani, estremamente duttile, nonché fluida e sperimentale, abbia come base unicamente la letteratura mozarabica.

L’articolazione dei versi toscani, in fatto di rima, è ben più articolata rispetto a quella delle muwassaha, il che può in qualche modo adombrare la teoria del filologo Barbieri.

In conclusione, ciò dimostra come ogni teoria di separatezza tra due culture che, nel mondo moderno, appaiono relativamente lontane è in realtà frutto della mancata osservazione a fondo della tradizione. Acclamare a gran voce che la cultura araba non abbia nulla a che vedere con quella europea altro non significa che negare, che sia per mancanza di conoscenza o per pura malizia, delle radici che hanno segnato indelebilmente lo sviluppo delle letterature romanze.

Il gioco filologico invece segue proprio questo principio, impiegandolo come un motore di spinta dalla grande efficienza; Nella filologia romanza le teorie separatiste hanno vita breve, dato che è ampiamente accettato come “la totalità stia nell’unione delle dissonanze” (cit. Roberto Tagliani, corso di Filologia Romanza LT 2021-2022, Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici, Università degli Studi di Milano). Dunque, per comporre un disegno politico, per quanto utopico, di maggior vicinanza ed accettazione tra le varie realtà, forse basterebbe riconoscere che ogni singola cultura condivide un buon numero di tratti con le altre, e l’idea di vedere il mondo non come un insieme rigido e separato di realtà ma come un mosaico imperfetto e ricco di dissonanze potrebbe essere la chiave che ancora ci manca.


Note bibliografiche

Il presente articolo è stato scritto sulla base di un’accurata rielaborazione di quanto spiegato durante il corso di Filologia Romanza promosso dal dipartimento di lettere dell’Università Statale di Milano. La rielaborazione è stata possibile tramite l’impiego delle seguenti fonti bibliografiche:

Manualistica:

-Pietro Beltrami, La Filologia Romanza, Il Mulino, 2021

-Maria Luisa Meneghetti, Le Origini delle Letterature Medievali Romanze, Editori Laterza, Manuali Laterza, 1997

Saggistica:

-Aliza Fiorentino, Muwassahat ebraiche e Hargat romanze, rimario, per l’Università Sapienza di Roma, al seguente link: https://rosa.uniroma1.it/rosa03/cognitive_philology/article/download/ 15643/15043/29888

-Mauro Azzolini, Le hargat mozarabiche: stato dell’arte e edizioni a confronto, tramite Academia.edu

Informazioni aggiuntive dai seguenti link:

-https://www.frammentirivista.it/lincontro-tra-mondo-arabo-e-mondo-occidentale-nelle-hargat/

-https://it.wikipedia.org/wiki/Muwashshah


Simone Di Massa

Disse il linguista Noam Chomsky che nella vita "è importante imparare a stupirsi dei fatti semplici", ciò è esattamente quanto i miei lavori di linguistica, filologia e letteratura cercano di apportare a SF, il culto degli studi e della ricerca e la meraviglia della semplicità, fino alla minima parola poetica. Studioso di Lettere Moderne a Milano, da sempre vivo con l'ambizione di tenere alti i valori sacri del mondo delle lettere, donando con i miei lavori quanto il panorama letterario ha donato a me, apportando alla mia vita nuovi colori e la consapevolezza che la totalità non è che un insieme di dissonanze.

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